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Autore: Kingdommarco    22/08/2013    0 recensioni
"La mia vita è monotona. Troppo monotona. Vivo ascoltando i battiti del mio cuore, che come l’orologio svizzero più puntuale al mondo, scandiscono imperturbabili gli inutili e identici momenti della mia altrettanto inutile vita. Mi dicono che è così, per un lavoratore come me è normale, ma per me no, non lo è. Io odio la monotonia, e ora odio la mia vita."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La monotonia. Attimo dopo attimo, respiro dopo respiro, scandisce la mia vita.
Afferro la maniglia, la spingo in basso e questa scatta. Apro la porta e mi affretto a varcarla, chiudendola alle mie spalle.


 
La mia vita è monotona. Troppo monotona. Vivo ascoltando i battiti del mio cuore, che come l’orologio svizzero più puntuale al mondo, scandiscono imperturbabili gli inutili e identici momenti della mia altrettanto inutile vita. Mi dicono che è così, per un lavoratore come me è normale, ma per me no, non lo è. Io odio la monotonia, e ora odio la mia vita.
 


Avanzo a passi lenti attraverso il terrazzo, con le antenne paraboliche irte, come guardie di galera, pronte a scortarmi al patibolo attraverso quella mia breve, ultima passeggiata.
 


E alla gente piace. Si, alla gente piace svegliarsi la mattina, mangiare e uscire per andare a lavorare, ascoltare le elucubrazioni sul caffè del mio capo, con cui crede di poter mostrare la sua superiorità psicologica sui dipendenti di fronte alla macchina distributrice, vivere dinnanzi a un computer il quale schermo, sbiadito dall’usura, mostra sempre la stessa schermata pallida, dove numeri e lettere si mescolano dando vita al mio desiderio di fuga, di liberazione da quella schiavitù mentale. Piace tornare a casa ed ascoltare i lamenti della propria compagna, che ostenta richieste delle quali non può fottermene assolutamente nulla e che crede che il suo affetto, dimostrato sotto forma di rottura di scatole, sia ricambiato.
 


Salgo un gradino e un altro ancora. Continuo a camminare, piano, gli occhi chiusi e la mente fissa sul gesto da compiere. È già tutto programmato. Nulla andrà storto.
 


Io odio anche le persone che mi stanno attorno. I miei figli, sono dei bastardi. Bambini, sì, ma bambini meritevoli di morte. E i miei colleghi, li odio tutti. E perché? Perché a loro piace la vita, la loro mente atrofizzata non comprende che la vita può esser fatta di esperienze sempre nuove, e non solo di un ufficio che puzza di chiuso in cui una trentina di noi sono relegati a lavorare al nero per ottocento e passa euro al mese. E i soldi, a che servono? A niente, se non a permettere ai ricchi di averne più dei poveri. La società sta andando in rovina. E io non voglio, no, non voglio continuare a trascorrere la mia inutile vita in questo mondo.
 


Mi siedo sul cornicione, mi rimetto in piedi. Dinnanzi a me, il vuoto.
 


È da un po’ di tempo che ci penso, penso alla morte, al fatto che qualsiasi cosa ci sia, dopo il buio, possa essere meno monotona di questo. Chi riesce a rompere la monotonia della propria vita è un grande, un idolo, e merita approvazione e ammirazione.
 


Chiudo gli occhi. Tiro un respiro profondo. I piedi si alzano da terra, le braccia si spalancano come  ali di un uccello in planata. L’aria mi preme sul volto, il mio corpo precipita nel vuoto. L’impatto.
 


Ce l’ho fatta. Ho rotto la monotonia della mia vita. Distruggendola.

 
   
 
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