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Autore: Whity    24/08/2013    1 recensioni
Magnus e Alec si sono lasciati.
Ad essere precisi, Magnus ha lasciato Alec.
Ora sono in guerra, a combattere la stessa guerra.
Solo che non lo sanno.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Prendi la tua strega luce – gli disse – Io ho lasciato a casa la mia –.
Lui le lanciò un’occhiataccia infastidita.
[…]
- In  teoria dovresti portarla con te ovunque – osservò Alec.
- Ah sì? E tu hai portato il tuo sensore? – rilanciò lei – Io dico di no […] -.
(Cassandra Clare  - Città degli angeli caduti)

 
Lo spiazzo, che sino ad un paio d’ore prima non era nulla di diverso da un normalissimo prato, era ormai ridotto ad un’immensa distesa di corpi e frammenti di armi d’ogni sorta. A questo – ovviamente – si aggiungeva il sangue che macchiava l’erba e bagnava il terreno, come a voler nutrire una folle Natura ingorda del sacrificio degli stessi uomini.
 
Quando anche l’ultimo demone fu sconfitto ed eliminato, Alexander Lightwood si prese il disturbo di gettare un’occhiata al campo di battaglia. Erano stati molti i fratelli a perire, tanto che si trovò a ringraziare segretamente l’Angelo per la maternità che costringeva Clary a letto, sorvegliata costantemente da Isabelle e Jocelyn.
 
 - Alexander – si voltò verso Jace, sorridendo nel vederlo tutto sommato intero – ce l’abbiamo fatta -.
 
L’interpellato annuì, prima di voltarsi alla ricerca di visi noti, di fratelli d’armi sopravvissuti all’ennesima battaglia.
 
Sembrava incredibile quanto fosse facile trovarsi di nuovo a combattere, cercando di placare la sete di vendetta del demone di turno. Per un breve periodo si erano illusi di poter vivere finalmente in pace, ma il richiamo della battaglia si era fatto risentire in una manciata di settimane.
 
Come punto da uno spillo lo Shadowhunter sussultò.
 
- Tutto bene? – Jace gli si avvicinò, prima di indirizzare lo sguardo nella medesima direzione – Oh… - fu tutto ciò che riuscì a dire.
 
Magnus Bane si guardava intorno, probabilmente anche lui alla ricerca di qualche compagno sopravvissuto.
 
- Che ci fa lui qui? – mormorò Alec, cercando di mantenere un tono di voce quanto più possibile fermo.
 
Erano passati ormai quasi tredici mesi dalla loro rottura – dodici mesi e ventitre giorni, gli ricordò la vocina che aveva in testa – eppure la ferita rimaneva ancora aperta.
 
- Il Concilio ha chiesto l’aiuto dei figli di Lilith – gli rispose il suo parabatai, prima di stringergli leggermente la spalla, come a fargli coraggio.
 
Perché l’aveva visto cadere, Jace. L’aveva visto cadere, annaspare, disperarsi ma mai piangere. Però vedeva la ferita ancora aperta ogni volta che lo scrutava in viso, ogni volta che stringeva l’elsa del pugnale per un istante di troppo, ogni volta che indugiava per un istante, salvo poi partire a testa bassa quale che fosse la missione.
 
Come attirato da una calamita, Magnus si voltò verso di loro e – alla vista dei due Parabatai – si mosse per raggiungerli. Al collo, appesa da un improbabile laccio di cuoio stava…
 
- Ma quello non è il ciondolo che ti aveva regalato Robert? – la voce di Jace assunse una sfumatura stupita – Quello che rileva le presenze demoniache e… -.
 
L’altro lo bloccò con un cenno della mano, prima di fare un passo in avanti.
 
- Magnus – mormorò – Non mi aspettavo di trovarti qui -.
 
L’altro si strinse nelle spalle.
 
- Alleanza – borbottò, prima di voltarsi come a controllarne il viso – Tu sei tutto intero? -.
 
- A quanto pare… -.
 
Lo stregone si prese un paio di minuti per osservarlo.
 
Era cambiato, in quei dodici mesi – e ventitre giorni, gli ricordò una vocina petulante nella sua testa – il suo piccolo Alexander, ma non era pronto a scommettere si trattasse di un cambiamento in meglio. Era più uomo, per quanto dirlo potesse parer ridicolo, più solido, quasi temprato dalle battaglie che aveva dovuto affrontare. Eppure, quella luce negli occhi che ricordava distintamente era offuscata, per non parlare del fatto che – era pronto a scommetterci – aveva perso qualche chilo e la morbidezza di un corpo che ogni tanto sognava ancora aveva lasciato posto alla spigolosità del corpo di un uomo che aveva paura di non conoscere più.
 
- Ti vedo bene – mentì, più per continuare a parlargli, per non lasciarlo andare, che per reale convinzione.
 
L’altro borbottò qualcosa, prima di voltarsi.
 
- Scusami, devo andare – si congedò, senza neanche aspettare una risposta da parte dell’altro.
 
Jace, rimasto indietro, si voltò verso lo stregone e lo osservò con occhio critico.
 
- Devi esserti rincoglionito, in questo anno – il giovane Shadowhunter si rivolse allo stregone con il solito tono strafottente – altrimenti non gli avresti detto che lo vedi bene. Anche un cieco si renderebbe conto che sta di mer… -.
 
- Che altro avrei dovuto dirgli? – lo interruppe l’altro – Che mi manca? Che lo amo? Che lo perdono? Questo succede nei romanzetti che legge la tua consorte, non nella vita vera. Sì mi manca. Sì, che Lilith mi perdoni, lo amo ancora. Ma la vita non è un romanzo, caro il mio Jace. Certe volte non si può tornare indietro… -.
 
- Sai quando ho iniziato a preoccuparmi del fatto Alec fosse gay? – il Cacciatore incrociò le braccia al petto e lo squadrò critico – Quando mi sono reso conto che si sarebbe trovato a fare i conti con un coglione orgoglioso tanto quanto lui. Stasera festeggeranno la vittoria con la solita bevuta. Perché non ci fai compagnia in onore dei vecchi tempi? – detto questo si volse e raggiunse i propri compagni, ansioso di darsi una ripulita e poter finalmente tornare a casa.
 
Magnus rimase qualche secondo ad osservarli. Un bicchiere di vino non l’avrebbe ucciso, dopotutto…
 
- In realtà, i vestiti non mi interessano un granché – ammise Alec.
- Ed è una cosa che adoro di te – annunciò Magnus – ma i adorerei lo stesso anche se tu avessi un bel vestito griffato. Che dici? Dolce? Zegna? Armani? -.
(Cassandra Clare – Città di Vetro)

 
Alec si osservava critico, riflesso nella porta in legno laccato del salone. Come al solito, Isabelle era in ritardo. Clary e Jace sarebbero arrivati dopo – il Cacciatore aveva preteso la moglie riposasse ancora un poco – ma la sorella avrebbe dovuto esser pronta da un quarto d’ora. In quel lasso di tempo si era osservato più volte, mordendosi un labbro al ricordo di come fosse venuto in possesso di quei vestiti di sartoria.
 
- Sono per te, Alexander -.
- Grazie ma non dovev… -.
- Certo che dovevo! Mica vorrai presentarti alla festa che ho organizzato per domani con la stessa roba scucita che usi per allenarti!? -.
 
- Ci sono, eccomi – la sorella scese rapidamente le scale, fasciata in un corto vestito blu notte che ben si intonava con l’incarnato chiaro – Che poi non capisco cosa vengo a fare… ero di turno a fare la balia, oggi – borbottò, ancora leggermente contrariata per la richiesta che Jace le aveva fatto quella stessa mattina.
 
Richiesta che sembrava più una decisa asserzione di volontà, ma tant’era…
 
-  Vieni in quanto mia accompagnatrice, sorella, migliore amica e puccipucci – la riprese lui, offrendole poi cavallerescamente il braccio.
 
Si diressero al luogo stabilito – una piazza allestita per l’occasione con tavoli e sedie, oltre che dotata ovviamente di numerose botti di vino e birra – e si sedettero vicino ad alcuni conoscenti, intavolando una discussione sul progetto di aprire un Istituto a Bangkok.
 
- Vogliono affidartelo, giovane Lightwood – mormorò un commensale, sorridendo – Tuo padre mi ha detto sempre grandi cose sul tuo conto -.
 
- E non si sbagliava – la voce di Magnus interruppe la conversazione, prima che lo stregone andasse a sedersi esattamente davanti ad Alec e di fianco a Isabelle – Alexander farà grandi cose, questo è certo .
 
L’interpellato strinse una mano a pugno da sotto il tavolo.
 
Perché?
Averlo lasciato non era forse una punizione sufficiente?
Godeva nel farlo sembrare debole e umiliato davanti a tutta quella gente?
Cosa voleva ancora da lui?
E – per l’Angelo – che la smettesse di guardarlo con quei dannati occhi magnetici!!!
 
- Alec – mormorò Izzy, quasi ne avesse percepito la tensione.
 
- Non ho ancora accettato, in ogni caso – lo Shadowhunter tornò padrone di sé – Non affrettiamo i tempi , Sir Nachtlicht -.
 
“Dovresti accettare, Alexander” la voce di Magnus si fece spazio nei suoi pensieri “Te lo meriti, dopotutto. Sei un grande Cacciatore, lascia che gli altri lo riconoscano”.
 
Come punto da uno spillo il ragazzo si alzò, si congedò con un sorriso e una scusa messa a bella posta e si diresse verso una piccola scalinata che dava su un cortiletto riparato.
 
- Spero di non averti turbato – la voce di Magnus lo fece sobbalzare.
 
- Affatto – mentì – chi ti ha detto della festa? – chiese poi.
 
Magnus ghignò, pregustandosi la reazione dell’altro alla sua risposta.
 
- Il tuo parabatai, Alexander -.
 
L’altro si morse un labbro prima di voltarsi, come a volergli dire qualcosa. L’indice di Magnus sulle proprie labbra lo fece desistere.
 
- Hai un aspetto terribile – mormorò – sto quasi iniziando a sentirmi in colpa… - concluse con un’alzata di spalle.
 
- Quasi?! – Alec scacciò via la mano dell’altra con uno schiaffo poco gentile – Perché diamine credi che dorma a malapena e mangi cosa mi capiti? Perché pensi trascorra ogni secondo libero ad allenarmi sperando di svuotare la testa? Sentiamo, sommo stregone di Brooklyn, illuminami! – concluse allargando le braccia e esibendosi in una ridicola reverenza.
 
L’interpellato gli alzò il meno passandovi sotto l’indice, in modo da far incontrare le loro iridi.
 
- Non sono io che ho mandato tutto a monte – sibilò.
 
- Non mi sembra nemmeno tu abbia fatto molto per porvi rimedio  - rilanciò lo Shadowhunter.
 
- Non avevo nulla a cui porre rimedio! – Magnus iniziò a strepitare, qualche scintilla azzurra gli scappava dalle mani – Se tu mi avessi ascoltato… -.
 
- Se tu me ne avessi parlato, diamine! – lo interruppe Alec, prima di voltarsi di scatto e prendere un respiro profondo – Tutto quello che volevo, Magnus, era che mi abbracciassi e mi dicessi che sarebbe andato tutto bene. Che me ne avessi parlato prima, che mi avessi permesso di affrontarlo insieme a te… -.
 
 L’altro non rispose, si limitò a fare un passo.
 
- Ti ricordi cosa ti dissi, dopo la morte di Lilith? Che avremmo affrontato tutto quello armati di speranza – gli strinse una spalla, come a cercare di ripristinare un contatto al quale entrambi non erano più abituati – Perché non ti sei fidato di me, piccolo? -.
 
A quel nomignolo Alec non riuscì a non farsi scappare un singhiozzo.
 
- Avevo paura – mormorò infine – paura di non essere all’altezza, di rimanere indietro, di rovinare tutto – si concesse una risata amara – il ridicolo è che è successo esattamente quello: ho rovinato tutto -.
 
- Ho più di ottocento anni – iniziò Magnus – e per tutto questo tempo non ho mai incontrato un ragazzino ostinato, caparbio, orgoglioso e geloso come te, Lightwood – le labbra si piegarono in un sorriso sghembo – e mai prima di allora mi sono sentito in diritto di poter mandare al Diavolo il mio, di orgoglio. Sai? -.
 
Alec si voltò di scatto, gli occhi lucidi e il fiato corto.
 
- Tu… - mormorò, prima di tentare con scarso successo di dargli un pugno – Tu, dannatissimo stregone – questa volta il pugno colpì lo Stregone alla spalla, facendolo mugolare di dolore – Sei un lurido… un maledetto… - incapace di trovare un sostantivo adatto si limito ad assestargli un altro pugno, prima che l’altro gli bloccasse i polsi.
 
 - Cosa dicevano? – gli mormorò ad un orecchio, mentre sentiva il suo respiro calmarsi – Fate l’amore, non fate la guerra? – concluse baciandogli una tempia, ispirando nuovamente quell’odore di pini e di pulito che credeva di aver perso per sempre.
 
Alec singhiozzò un insulto che avrebbe scandalizzato anche il suo degno Parabatai, prima di alzarsi sulle punte ed avvicinare le proprie labbra a quelle di Magnus.
 
- Mi stai chiedendo il permesso, Shadowhunter? – lo motteggiò questo ultimo, prima di coprire la distanza che c’era tra loro e baciarlo, sorridendo sulle sue labbra perché era esattamente come l’ultima volta che si erano baciati.
 
Perché era come se non fosse cambiato nulla.
Di fatto erano cambiate un sacco di cose.
Loro, i rispettivi caratteracci, le rispettive priorità, persino la loro visione del mondo.
 
- Sai – la voce dello Stregone lo distolse dai propri pensieri –dovresti accettare l’offerta del Conclave. Bangkok è un bel posto, e ho già in mente almeno dieci cose che adoreresti visitare nel tempo libero… -.
 
Alexander sorrise, prima di sfiorargli le labbra un’altra volta ed appoggiare il capo sulla spalla dell’altro.
 
- Era un sacco non mi sentissi così a casa – mormorò principalmente a se stesso.
 
Magnus sorrise.
 
- A proposito di casa, il Presidente Miao ha un collare nuovo che non vede l’ora di farti vedere, ed anche io avrei un paio di cose da mostrarti… - gli sorrise, sghembo e dolcissimo, provocatore eppure dannatamente innamorato come sempre – Mi fa l’onore, Schadowhunter Lightwood? – chiese tra il serio e il faceto, prima di aprire un portale e attendere che l’altro lo prendesse per mano.
 
In meno di due secondi si ritrovarono nel solito polveroso loft di Brooklin, pieno di cartoni di cibo d’asporto e ormai ricolmo di panni da lavare. Alla vista del gatto che ronfava pigramente dentro ad un sombrero Alec non riuscì a non sentirsi a casa, stranamente euforico, sinceramente felice.
 
- Vedo che certe cose non cambiano – trattenne a stento una risata.
 
L’altro non disse nulla, si limitò a schioccare le dita e far sparire tutto quel caos, prima di porgerli di nuovo la mano.
 
Nemmeno due ore dopo, mentre si accasciavano esausti sul letto dopo l’ennesimo amplesso, Alexander non riuscì a non trattenere una lacrima di gioia. Quale che fosse stato il prezzo che aveva dovuto pagare per riavere Magnus accanto a sé, nonostante la mancanza di fiducia la gelosia il rancore, era convinto che – col celeberrimo senno di poi che a quattordici anni gli aveva reso odioso Hodge, visto e considerato lo infilasse in ogni discussione che intavolavano – ne era valsa la pena.
 
Per quelle braccia strette attorno alla sua vita, per quel sorriso che gli illuminava le giornate, per quelle mani calde che non avevano smesso un attimo di toccarlo amarlo venerarlo…
 
Il mattino seguente, lo stregone fu svegliato dall’ennesimo messaggio inviato col fuoco.
 
- Se è di nuovo quell’elfo… - mormorò tra sé e sé, sperando il lieve trambusto non avesse svegliato la figura accanto a sé.
 
Non era un elfo particolarmente insistente, a scrivergli, tantomeno qualcuno implorando i suoi servigi.
 
“Spero non abbiate svegliato tutto il vicinato, voi due.
Questo dovrebbe aiutare a svegliarvi col piede giusto, in ogni caso.
Alec, ti aspettiamo in fondazione fra una settimana.
NON osare presentarti prima, pezzo d’asino”.

 
Sorrise, notando le tazze di caffè fumanti  - come aveva fatto a farle apparire?! – e conscio del fatto la prosa di Jace non fosse migliorata negli anni. Proprio per nulla.
 
- Che succede? – mormorò Alec, mentre si stiracchiava leggermente e apriva gli occhi.
 
Lo stregone mise da parte il biglietto, prese il caffè e gliene porse una tazza.
 
- Colazione a letto, Alexander – mormorò, prima di dargli un bacio all’angolo della bocca – Direi che è proprio il caso di riprendere con alcune vecchie abitudini… - concluse con fare sornione.
 
Il miagolare disperato del Presidente Miao li fece voltare entrambi.
 
Alec ridacchio, prima di baciarlo lentamente ed alzarsi ed andare alla ricerca del sacchetto dei croccantini del gatto. Nudo. Completamente, totalmente nudo.
 
Magnus si appoggiò più comodamente alla parete dietro di se – chiamarla testiera del letto era decisamente fuori luogo – e prese un sorso di caffè.
 
Quella era decisamente un’altra di quelle vecchie abitudini alla quale si sarebbe riabituato in fretta.
   
 
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