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Autore: _Ella_    24/08/2013    4 recensioni
Roxas non si lasciava mai guardare (“Ho vergogna”, diceva) e lui ne approfittava sempre quando dormiva a costo di non fare la figura di una persona mentalmente sana, ma visto che non aveva un cuore magari avrebbe anche potuto fare a meno del cervello considerando che con Roxas la logica non funzionava nella quasi totalità dei casi.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH 358/2 Days
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 I’ll be waiting
nightmares

 

World that Never Was era sempre silenzioso, sempre buio, artefatto. Sembrava il riflesso o la caricatura di un posto vero, come una fotografia che ne conservava le sembianze ed i colori ed i dettagli ma non il dinamismo.
Axel pensava che fosse giusto così, nel modo più doloroso possibile, perché loro non erano altro che pupazzetti modellati in modo che assomigliassero ai loro Somebody. Delle persone a metà non avevano il diritto di vivere in città vere.
Ricordava la sua casa a Radiant Garden, il sole che filtrava tra le tegole del soffitto, l’acqua che gocciolava giù quando pioveva e le stanze si riempivano d’umidità. Sua madre non faceva che ripetergli di sistemare gli spifferi, lui non l’aveva mai fatto – ci voleva meno tempo ad infilarsi una maglia più pesante che salire sul tetto per sistemarlo e l’unica volta che aveva pensato di mettersi al lavoro Isa era passato a chiamarlo per andare da Merlino e rompergli le scatole mentre lavorava sui suoi intrugli.
Scivolò sul fianco, portandosi dietro le coperte. Le sistemò quando si accorse che per muoversi aveva in parte scoperto Roxas e insomma, se avesse preso il raffreddore per colpa sua Axel si sarebbe sentito davvero l’essere più ignobile del mondo. Si sentiva in colpa anche quando l’ultimo pezzo del suo gelato al sale marino si sfilava dal legnetto e cadeva giù nella piazza di fronte la stazione e oddio, che cosa terribile non aver comprato a Roxas un ghiacciolo abbastanza resistente al caldo, adesso avrebbe dovuto sopportare la vista del suo faccino imbronciato per tutto il tempo. Axel gli dava sempre il proprio quando succedeva, comunque. A lui quei ghiaccioli piacevano solo per il gusto di vedere Roxas tranquillo, nient’altro.
Sfregò un po’ la guancia sul cuscino, portando lo sguardo oltre la sua testolina bionda, sul comodino. Roxas aveva raccolto le conchiglie quando erano andati sulla spiaggia ed aveva deciso di conservare le più belle come ricordo, tenendole lì in mostra come se fossero tutte dei piccoli trofei. Ricordava il suo sorriso deliziato quando si era tolto gli stivali ed aveva camminato sulla sabbia tiepida, quando aveva infilato i piedi fino alle caviglie nell’acqua del mare ed aveva mosso le dita per sentire meglio il fresco.
La sua stanza era sicuramente la più vissuta di tutte le altre lì al Castello, anche se era arrivato quasi per ultimo: loro non sentivano proprie quelle camere, forse perché erano ancora affezionati a quelle che avevano avuto ma ad Axel sembrava che non fossero poi così diverse dalle celle di una prigione, tutte uguali tra loro come una massa di Shadow senz’anima.
Roxas però non ricordava neanche di aver vissuto prima, quindi non gli veniva difficile capire che stesse cercando inconsciamente di ricrearsi un angolo che avrebbe potuto definire totalmente suo, che avrebbe potuto farlo sentire un po’ a casa.
Distolse lo sguardo dai gusci, lucidi e brillanti per la luce che filtrava dalla finestra aperta – non aveva mai capito perché ma Roxas non aveva mai voluto che la chiudesse. Gli carezzò solo un po’ la guancia per non svegliarlo, guardandogli le labbra tenute schiuse per il respiro. Axel aveva subito detto sì quando gli aveva chiesto di fargli compagnia nel letto, ma non aveva immaginato che Roxas sarebbe crollato a dormire nel giro di qualche minuto. Però gli aveva dato il bacino della buonanotte e si era accucciato vicino per farsi tenere stretto e allora non poteva davvero lamentarsi visto che certi giorni a stento aveva voglia di parlare.
Sospirò piano, socchiudendo le palpebre e facendo sempre attenzione che avesse le spalle ben coperte. Quando sistemò di nuovo le lenzuola Roxas si mosse e rotolò a pancia in su. La stoffa si strinse tra le sue gambe sottili, così Axel rinunciò una volta per tutte nell’intento di riordinarle, puntellando il gomito sul guanciale per tenere il viso rialzato sul palmo. Immaginava che quella non fosse la nottata giusta per dormire.
Roxas non si lasciava mai guardare (“Ho vergogna”, diceva) e lui ne approfittava sempre quando dormiva a costo di non fare la figura di una persona mentalmente sana, ma visto che non aveva un cuore magari avrebbe anche potuto fare a meno del cervello considerando che con Roxas la logica non funzionava nella quasi totalità dei casi – del cazzo non avrebbe fatto a meno, quello no. Magari un giorno sarebbe tornato utile ad entrambi.
Poi però lo sentì agitarsi lasciandosi sfuggire un mugolio leggerissimo dalla bocca, le sopracciglia chiarissime che si aggrottarono assieme alla fronte, e tutti i pensieri di Axel si bloccarono come quando lo guardava sfacciato con quegli occhi azzurri senza lasciargli un momento per ragionare. Roxas singhiozzò improvvisamente, aspirando aria quasi stesse annaspando, e cercò di muovere le gambe imprigionate nella morsa delle coperte provando a scalciare. Quando sobbalzò per un tremito Axel non aspettò un altro momento per afferrargli le spalle e spingerselo addosso, stringendolo così forte e tenendolo così stretto che chissà, magari avrebbe potuto assorbirlo sotto la pelle o spezzarsi la colonna vertebrale in due per quanto la stava curvando.
Gli carezzò la schiena da sopra la maglia leggera, premendo la mano al centro delle scapole sporgenti per cercare di calmarlo. Era così piccolino tra le sue mani, così delicato che Axel si trovò a sperare che si riprendesse in fretta quando sentì le sue unghie graffiargli il petto, cercando probabilmente di aggrapparsi a qualcosa.
«Roxas» sussurrò senza smettere di abbracciarlo – premette le labbra tra i suoi capelli, socchiudendo gli occhi. «Roxas, non è niente, ci sono io».
Non credeva fosse esattamente una garanzia, non gli sembrava di aver mai fatto un granché per lui se non contribuire a confondergli le idee ma gli bastò stringerlo solo un altro po’ contro il petto perché rinfoderasse gli artigli smettendo di graffiarlo e di sobbalzare per i tremiti. Restò in silenzio, ascoltando il respiro affannato che pian piano spariva mentre Roxas si calmava, riprendendo coscienza.
Lo sentì sospirare piano, uno sbuffo quasi impercettibile che nessuno avrebbe notato – troppe cose che Roxas faceva o diceva non erano notate da nessuno, ma lui aveva imparato a coglierle perché erano quelle più importanti in assoluto, le più preziose, come piccole pepite incastonate tra i carboni di una miniera.
«Axel…» mormorò e i suoi polpastrelli lo carezzarono al centro del petto, dove probabilmente doveva avergli lasciato i graffi.
Lo baciò tra i capelli, tirandolo più su per fargli posare il viso sul cuscino e poterlo guardare in viso. «Non è successo niente, va tutto bene» che per dei Nobody voleva dire più o meno “va una merda, ma oggi non si nota”.
Roxas annuì, guardandolo con gli occhi gonfi e lucidi per il sonno, che iniziò a sfregare con la manina chiusa a pugno – e maledizione era troppo bello. Avrebbero dovuto multarlo o almeno fargli pagare una tassa per quella carineria eccessiva che lo faceva morire tutte le volte.
Gli carezzò la guancia rossa, resa meno liscia dalla trama delle pieghe del cuscino su cui poggiava neppure un minuto prima. «Era solo un incubo, no?».
Sfiorò il suo naso col proprio mentre sbadigliava, spalancando la boccuccia e lasciando rotolare via le lacrime di sonno che erano imprigionate nell’angolo dell’occhio – Axel le asciugò, tirandole via con le dita.
«Un incubo?» chiese dopo un momento, la voce ancora incerta. «È pericoloso?» aveva la bocca impastata e le parole scivolavano lente e pesanti dalle sue labbra morbide, come se cadessero fuori dalla bocca quasi per caso.
Axel sorrise, ridendo piano. «No, no. Sono solo brutti sogni, Roxas, non sono veri».
«Non sono veri» lo ripeté subito a voce bassissima, come se non avesse voluto farsi sentire. Non sembrava affatto convinto ma probabilmente dovette decidere di prendere le sue parole per buone, perché non aggiunse altro. Forse era solo troppo stanco.
«Riesci a riaddormentarti?» gli passò una mano tra i capelli, riordinandogli un po’ le ciocche scompigliate che gli ricadevano sulla fronte umida. Roxas strinse le spalle ed incastrò il viso contro il suo collo, solleticandolo col respiro mentre scalciava via le coperte dalle gambe per poterle intrecciare con le sue. Gli prese una mano, la strinse.
«Forse sì» gli lasciò un piccolo bacio, ed Axel era davvero troppo in brodo di giuggiole per ragionare sul fatto che era tardi e che dovevano riposare perché altrimenti non sarebbero durati cinque minuti in missione. «Dimmi qualcosa».
Aggrottò la fronte, intrecciando le dita con le sue. «Qualcosa?».
Roxas sbuffò un po’, ed alzò leggermente il viso per guardarlo. «Parli sempre. Adesso non sai cosa dire?».
Non sapeva se offendersi perché gli aveva appena dato del logorroico o essere contento perché evidentemente non era una cosa che lo infastidiva. Quando se lo ritrovò a sbattere le ciglia sui suoi occhi grandi decise che era meglio scegliere la seconda. «Anche io facevo gli incubi» lo carezzò con la mano libera, sistemandosi meglio contro il cuscino. «Li fanno tutti, ma io non li faccio da un po’. Non sogno da parecchio».
«Io sogno sempre» disse invece, sfregando il nasino contro il suo mento.
«Sogni cose belle, sì?».
Roxas si bloccò, smettendo persino di stringergli la mano. Si morse un po’ la bocca, poi annuì. «C’è… una ragazza» una ragazza. Mesi interi a dargli baci e lui sognava una ragazza. «Ed un ragazzo» adesso poteva quasi andargli bene. «E… non lo so, non capisco. È come se… i sogni non fossero miei o come se… io fossi… qualcun altro» non era convinto mentre lo diceva. Roxas non capiva mai quello che gli succedeva, non sapeva neanche decidersi se gli piacessero di più le fette di pane tostato col burro e la marmellata o quelle col cioccolato. Di sicuro gli piaceva il gelato salmastro.
«Però ti piacciono» provò, e lui annuì piano piano, come se avesse paura di ammetterlo.
«Non… non sono felice quando li sogno. A volte piango. Ma…» si prese un momento per pensare, forse un po’ di più. «So che… sarebbe peggio s-se non… se non mi ricordassi di loro».
C’erano un mare di cose sbagliate in quella frase, infinite. Roxas non avrebbe potuto essere felice nel sognare qualcosa, perché per loro i sentimenti erano off-limits, ed allo stesso modo e per lo stesso motivo non avrebbe neppure potuto essere triste. Erano atteggiamenti comprensibili, Roxas non poteva cogliere la differenza tra un’emozione vera ed una fasulla perché di quelle reali non aveva memoria. Ma non avrebbe dovuto o potuto piangere comunque, perché le sensazioni che provavano erano così slavate che non sarebbero state capaci di provocare così tanta angoscia o tristezza o dolore, a meno che non fosse fisico, perché solo le percezioni di quel tipo erano rimaste intatte.
Non glielo disse. Non ne ebbe il coraggio. Roxas era sempre stato un Nobody diverso da loro.
Roxas sbadigliò rumorosamente, ritornando ad abbracciarlo come se niente fosse. Axel lo tenne stretto e gli baciò la fronte, sospirando.
«Lo so che non mi dici tutto».
Tentennò per un momento, poi cercò di rilassarsi. «Ti dico solo quello che so, piccolo» gli carezzò la guancia, sorridendogli per rassicurarlo. Lui non ricambiò.
«Spero che non sia niente di… importante» sbadigliò di nuovo, poi le palpebre si abbassarono come se Roxas non riuscisse più a controllarle per quanto si erano fatte pesanti. «Aspetterò».
Axel non sapeva esattamente quanto avrebbe aspettato davvero, ma era sicuro che non lo avrebbe fatto in eterno – i Nobody non erano fatti per vivere a lungo, e per quanto lui fosse diverso da tutti loro non ci sarebbe stata una grande differenza.
Gli guardò il viso rilassato, tenendogli stretta la mano senza lasciarla andare anche adesso che era ritornato a dormire profondamente.
Immaginava che Roxas non avrebbe più sopportato tutte quelle bugie un giorno, ed avrebbe preteso una per una ogni risposta che meritava.
Ma se fosse andato via per cercarle Axel avrebbe aspettato tutto il tempo necessario perché tornasse e se non fosse tornato sarebbe andato a ripescarlo. E nella remota possibilità che non l’avesse trovato – perché la sua anima avrebbe sempre saputo dove andarlo a cercare – o che Roxas non l’avesse riconosciuto più (come se fosse diventato una parte del passato che non ricordava) avrebbe aspettato un’altra vita per stringerlo e per implorare perdono chiedendogli di amarsi con quel cuore che avrebbero avuto.
I Nobody non vivevano a lungo – ma chi avrebbe mai voluto una mezza vita che durasse per sempre? – Axel sperava solo che il tempo che gli era concesso fosse con Roxas. Altrimenti, avrebbe aspettato.
 








 





Ehm. Non ho idea di cosa scrivere, in realtà. Cioè boh.
Questa in realtà era la storia per l'akuroku day ma non so, non mi convince ancora per niente, solo che stamattina mi sono svegliata con la voglia di pubblicarla e beh, visto che Ella è conosciuta per l'incoerenza e il non-pensare perché mai dovrei darvi un buon motivo sul perché l'ho tenuta nascosta nove giorni per pubblicarla proprio ora? XD
Come al solito tante grazie alla mia be(r)tuccia che si impegna tanto per far sembrare le mie storie vagamente decenti e niente, scappo senza aver detto praticamente nulla perché le valigie sono ancora aperte e tra qualche ora mi tocca partire, help.
Alla prossima C:
(75esima storia su KH, yay.)
   
 
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