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Autore: Madnesss    24/08/2013    1 recensioni
I seguenti, sono gli ultimi estratti dal diario del Dott. Arnold Richards che, all’età di sessantasette anni ed in perfetta salute, è stato trovato morto nella sua camera da letto, giacente nel suo stesso sangue e con un sonnifero in mano. Gli incidenti che circondano gli eventi contenuti in questo diario sono stati accuratamente investigati, ma il caso non è mai stato risolto.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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I seguenti, sono gli ultimi estratti dal diario del Dott. Arnold Richards che, all’età di sessantasette anni ed in perfetta salute, è stato trovato morto nella sua camera da letto, giacente nel suo stesso sangue e con un sonnifero in mano. Gli incidenti che circondano gli eventi contenuti in questo diario sono stati accuratamente investigati, ma il caso non è mai stato risolto.

1 Aprile, 1996

Era una vecchietta dall’aspetto fragile, piccola e magra, con pochi capelli bianchi arruffati e gli occhi infossati. I pantaloni e la maglietta larghi e sbiaditi la facevano probabilmente sembrare più scheletrica di quanto in realtà fosse. Non l’avevo mai sentita parlare. Ogni volta che veniva qui, il Dott. Yetes la faceva silenziosamente entrare in una stanza senza dire nulla né a lei e né a nessun altro. Per quanto fosse strano, non condizionava il mio lavoro e quindi facevo del mio meglio per ignorarlo.

14 Maggio, 1996

In questa splendida giornata di Mercoledì, sono arrivato all’ospedale con la notizia che il Dott. Yates ha avuto una tranquilla morte nel sonno il giorno prima. Ero davvero sorpreso. Io e lui non eravamo particolarmente confidenziali, ma eravamo amichevoli l’un l’altro e, nonostante fosse vecchio, sembrava in perfetta salute. Mi è stato detto che il suo cuore si era semplicemente fermato facendolo morire pacificamente e in tranquillità. Io, con i nostri colleghi ed altri cittadini, andremo al funerale questa Domenica.

19 Maggio, 1996

Oggi una delle nostre segretarie mi ha informato che un nuovo paziente era stato aggiunto alla mia lista, una donna segnata unicamente come Sybil. Il giorno dopo, a mezzogiorno, Sybil si trascinò verso la mia porta e la raggiunsi per presentarmi. L’ho salutata e le ho offerto le mie condoglianze per il Dott. Yates, essendo ovvia una qualche confidenza tra loro. Sybil si limitò a guardarmi con uno sguardo vuoto e si diresse meccanicamente verso la stanza. Appena entrati, si mise delicatamente a sedere e mi guardò, senza battere ciglio. Le lanciai uno strano sorriso e presi la cartella contenente i suoi documenti e gli appunti medici. Sybil era un’impressionante novantaseienne con alle spalle una vita sanissima, considerando che gli appunti contenevano unicamente il suo nome e la sua età. Non era segnata la residenza, riferimenti alla sua data di nascita e nessun certificato. L’unico elemento negli appunti era che soffriva di insonnia cronica, che spiegava il suo aspetto stanco. Cercando nella cartella per avere altre informazioni, le mie dita sfiorarono un foglietto. Con una scrittura frettolosa e in maiuscolo, recitava “SOLO LE PILLOLE”.

Cercai nuovamente nella cartella e trovai un sacchetto con delle capsule in polvere che ho subito riconosciuto come droga soporifera: sonniferi. Guardai Sybil, che aveva lo sguardo fisso su di me. Mi sentii a disagio. C’era qualcosa di sbagliato in quella misteriosa situazione ma, affidandomi al giudizio del Dott. Yates, sorrisi e scherzai, “Bè, alla fine hai reso facile il mio lavoro.”, porgendo il sacchetto a Sybil. La donna, mantenendo la stessa espressione degli ultimi quindici minuti e con una rapidità inaspettata per la sua età, prelevò il sacchetto dalle mie mani e con voce roca mi disse, “Grazie, Dott. Richards.”

La accompagnai alla porta e la guardai andare via. Tornando a casa, mi sentii stranamente esausto e andai a letto presto. Mentre mi addormentavo, ricordai qualcosa che mi mise a disagio. Non avevo mai detto il mio nome a Sybil. Il Dott. Yates doveva avermi nominato qualche volta in passato. Misi la cosa da parte e mi addormentai.

28 Maggio, 1996

A mezzogiorno esatto, Sybil si avvicinava nuovamente alla porta della clinica. L’ho accolta e accompagnata nella stanza a lei tanto familiare dove si mise a sedere e iniziò nuovamente a fissarmi. Ricordando il mio disagio della settimana scorsa, le ho fatto notare di non averle mai detto il mio nome chiedendole come facesse a conoscerlo. Senza spostare il suo sguardo, alzò semplicemente il polso e indicò verso la scrivania della stanza senza rispondere. Seguendo il suo dito, notai che indicava la sua cartella che avevo lasciato lì la settimana scorsa, con l’appunto abbandonato su di essa. Solo le pillole. Mi girai verso Sybil e le dissi che non avevo pillole. Non conoscevo il suo dosaggio, non era trascritto. Continuava ad indicare la cartella. Un pensiero sciocco si fece strada dentro di me. Presi la cartella e, con la fronte corrugata, cercai al suo interno. Tirai fuori le sue carte trascinando con loro anche un sacchetto identico a quello dell’ultima volta. Ero certo che la settimana scorsa ci fosse un solo sacchetto nella cartella che era stata lasciata dove l’aveva messa; nessuno l’aveva toccata. Guardai cautamente Sybil che ricambiò aprendo la sua mano. Le diedi le pillole e lei rispose, “Grazie, Dott. Richards”, nello stesso identico modo della settimana scorsa.

Sospettoso, portai la cartella a casa per essere sicuro che nessuno la manomettesse. Questa notte, non mi sono sentito solo esausto ma davvero debole. Non avevo la forza di fare nulla. Tutto ciò che riuscivo a fare era andare a dormire. Mi addormentai alle 18:00.

4 Giugno, 1996

Prima di andare in clinica oggi, controllai la cartella. Tutto ciò che conteneva era l’appunto, che lasciai sul mio comodino, e i documenti di Sybil. Niente pillole. La visita di Sybil avvenne come sempre e dopo essere entrati nella stanza le dissi di essere preoccupato per il suo abuso di sonniferi e le chiesi di provare a stare una settimana senza. Si limitò a guardarmi ed a indicare la cartella che per tutto il tempo avevo tenuto in mano. Diedi uno sguardo all’interno e, come se fosse improvvisamente apparso, il sacchetto si trovava in cima ad un quadratino di carta bianca. Con rabbia, presi il sacchetto e lessi, inorridito, il foglietto che nascondevano. Solo le pillole. Mi voltai verso Sybil e spinsi il sacchetto verso di lei, urlando, “Ecco! Prendi le tue dannate pillole!”. Mi disse il suo solito “Grazie, Dott. Richards”, e mi lasciò da solo nella stanza, tremante di rabbia.

Questa sera, mi sono sentito davvero male. Dopo un’ora di continuo vomito, crollai sul letto, appena capace di muovermi. Mentre cercavo di spegnere la luce sul mio comodino, il mio sguardo cadde su un foglietto di carta bianca. Non avevo bisogno di leggerlo per sapere cosa contenesse. Ero confuso e terrorizzato. Con le mie poche forze, feci il foglietto a pezzi e li mandai giù per lo scarico del gabinetto. Esausto, mi abbandonai in un profondo sonno.

11 Giugno, 1996

La mia malattia mi rese impossibile lavorare per esattamente una settimana. Questa mattina mi sono svegliato rendendomi conto di come mi sentissi strano solo il giorno in cui davo le pillole a Sybil. Avevo paura di tornare a lavoro. Però, se avessi fatto tardi, si sarebbe stancata di aspettare e sarebbe andata via. Aspettai fino alle due per poi, nervosamente, andare alla clinica. La mia mano si soffermò sulla maniglia e, dopo essere lentamente entrato, tirai un sospiro di sollievo. Sybil non era nella sala d’attesa. Chiesi alla segretaria che mi disse che Sybil non si era presentata. Oggi, decisi, avrei scoperto chi davvero fosse quella donna. Andai nella stanza per recuperare i suoi documenti e trovai Sybil a fissarmi, come se mi stesse aspettando. Mi bloccai. Prima, lo sguardo di quella donna era vuoto e passivo. Adesso era diabolico, divertito, provocatorio. Non volevo guardarla e cercai di ignorarla ma la sua presenza riempiva la stanza bianca. Percepivo il suo sguardo come una mano sulla spalla. Andai verso la scrivania e presi la cartella notando una macchia bagnata nell’angolo in basso a destra. Lo aprii e notai nuovamente le pillole e l’appunto. Le pillole erano del solito giallo, nello stesso soffocante sacchetto. L’appunto era fatto a pezzi e umido. Aveva inumidito la cartella ed i documenti al suo interno. Urlai contro Sybil. “Chi diavolo sei? Cosa vuoi da me?” Indicò la cartella. “Fanculo.” Le risposi. “Fanculo alle tue pillole!” Gettai la cartella sul pavimento disintegrando le pillole con la mia scarpa. “Sembra che starai sveglia per un po’.” Dissi, sarcastico. Sybil mi guardò coi suoi occhi diabolici per quello che sembrò essere un anno. Finalmente parlò, con quella che non sembrava la voce di una donna novantaseienne. “Addio, Dott. Richards.” Si alzò, ed uscì.

Ero furioso, e terrorizzato. Perché mi aveva detto “Addio”? E soprattutto, come aveva potuto il Dott. Yates sopportare questa donna per due mesi quando io non avevo resistito per un mese? Improvvisamente, ricordai. Il Dott. Yates era morto. Era morto nel sonno. Andai nell’ufficio della segretaria e chiesi i documenti medici del Dott. Yates. La segretaria mi guardò spaventata e me li diede. Guidai verso casa il più velocemente possibile. Sparsi i tutti i documenti sul tavolo della mia cucina e, dando un’occhiata frettolosa alle carte, trovai un’altra piccola busta etichettata “RAPPORTO DEL CORONER”. Col contenuto della busta, la mia paura prese forma. Il suo corpo era contorto, il suo viso pieno di orrore e sofferenza, il sangue colava dalla sua bocca e dalle sue narici. Fui costretto a coprirmi la bocca ed a trattenere le lacrime. La sua espressione era orribile, con gli occhi ruotati al contrario e le articolazioni sottosopra. In tutti i miei anni di esperienza, non avevo mai visto nessuno bloccato in tale sofferenza. Nel rapporto, il coroner scrisse che la causa della morte era indeterminata. Questo non mi soddisfò. Avevo bisogno di sapere. Esaminai quelle foto per tutta la notte e in una delle foto del suo viso straziato, notai un foglietto bianco che faceva capolino fuori dal suo cuscino.

12 Giugno, 1996

Raccogliendo tutto il mio coraggio, presi la mia torcia e guidai verso la casa del Dott. Yates. Era a quattro miglia di distanza, in un luogo isolato. Sapevo che sarebbe stato vuoto. Quella notte era stranamente fredda e umida. Andai verso la porta, abbassai la maniglia tremante ed entrai in casa. Solo la luce della luna entrava attraverso la finestra. Gli interruttori non funzionavano, la corrente era già stata staccata. Supponendo che io sapessi dove si trovava la sua camera da letto, arrivai a tentoni alle scale e salii al secondo piano. L’adrenalina pompava nelle mie vene, raggiunsi la prima maniglia che la mia torcia illuminò. Esitando per qualche secondo, e prima di cambiare idea, la abbassai. Era un piccolo bagno e puzzava di vomito. Lo specchio/armadietto sopra il lavandino era spalancato mostrando molte pillole qua e là sugli scaffali. Le stesse pillole che diedi a Sybil nelle scorse tre settimane. La causa del mio terrore. Feci sbattere violentemente la porta e mi guardai intorno con la torcia. Rimaneva una sola porta alla fine del corridoio. Potevo sentire il rumore del sangue scorrere nelle mie orecchie mentre camminavo verso quella che sapevo essere la camera da letto. Nuovamente, la mia mano esitò sulla maniglia prima che potessi aprire la porta. La camera somigliava alla mia, con un letto matrimoniale e due comodini ai lati. La luce della luna trasformava i colori della stanza in un cupo nero e bianco. Potevo chiaramente vedere la macchia di sangue lasciata dal corpo del Dott. Yates, chiara sul bianco del suo materasso. Ricordando la foto, mi avvicinai al cuscino sporco di sangue. Lo spostai rivelando un documento a me familiare. Lo illuminai con la torcia per leggere la scritta su di esso. Sybil.

Improvvisamente, mi sentii incoraggiato. Quella donna non mi avrebbe terrorizzato ancora per molto. L’avrei capita. Mi sarei confrontato con lei. Avrei magari provato ad aiutarla. Se davvero non dormiva mai, potevo andare a casa sua anche in quel momento. Era l’una e mezza del mattino. Trovando l’indirizzo di Sybil, lo scrissi in un pezzo di carta ed entrai nuovamente in macchina. Guidai per due miglia finché il tutto non iniziò a risultarmi familiare. Appena arrivato nella sua via, la mia fiducia andò in pezzi. Con orrore, capii dove l’indirizzo mi aveva portato. Rallentando con la macchina, mi avvicinai con terrore alla familiare porta della clinica. Con un enorme sforzo per mantenere lucida la ragione che stavo lentamente perdendo, controllai nuovamente l’indirizzo che avevo scritto. Tre parole si mostrarono davanti a me. Solo le pillole.

Non riesco a rivelare ciò che accadde quella notte quando entrai nella clinica. Tutto ciò che posso dirti è che sarà l’ultima volta che lascerò quella porta. Sarà l’ultima volta che vedrò Sybil, e che sarà l’ultima volta che andrò a dormire nella mia vita. Presi tra le mani una pillola gialla che poteva salvarmi. Ma non potevo. Mi rifiutavo di diventare come lei. Avrei preferito dormire che rimanere sveglio.
   
 
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