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Autore: Nadim    25/08/2013    1 recensioni
Johnny è a Los Angeles in cerca di successo con il suo gruppo, The Kids.
La fama e la notorietà sono obiettivi sempre più difficili da raggiungere e i soldi sempre meno.
Essendo a corto di denaro, Johnny tenta qualsiasi tipo di lavoro, e fu proprio in uno di questi che conobbe lo stretto compromesso che si cela a volte tra i soldi e l'amore.
“Se fosse così, allora, amare dovrebbe essere illegale.
Se fosse così, allora, lei non sarà mai mia.”

 
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Contrariamente a ciò che tu possa pensare, James non mi era affatto antipatico, anzi.
Era un bravo ragazzo, lo si vedeva nei suoi occhi. Era dolce e protettivo nei suoi confronti; quelli di Jane ovvio.
E no.
Non ero geloso di lui, infondo non era colpa sua se stavano insieme.
In realtà non era colpa di nessuno se non dell’amore e… mia.
Mia perché mi ero innamorato, diavolo.
Innamorato di una persona che non potevo conquistare.
Mi stavo uccidendo, a poco a poco. Mi sentivo inadeguato.
Inadeguato alla vita, ai miei amici, al lavoro…essì a volte anche alla chitarra, alla musica.
Prima non ti ho detto come mi ero sentito guardandola abbracciata a James.
Beh, ripensa a ciò che ti ho appena detto, perché io mi sentivo proprio in quel modo.
Inadeguato.
Il terzo incomodo. La terza J di troppo. Jane, James e Johnny.
Ma no, Johnny non c’era perché  Johnny  era l’amico fidato.
Jane, James e poi Johnny.
Mi ricordo la prima volta che la incontrai.
Allora eravamo solo Jane e Johnny.
Ci conoscemmo in officina.
Lei aveva per sbaglio fatto un incidente e aveva danneggiato così, il cofano dell’auto nuova di sua padre.
Chiese a me e al Signor. Hudson di aggiustarglielo senza far sapere niente ai suoi… Michael non era disposto ad accettare, poteva avere dei guai seri… così mi presi io tutta la responsabilità a patto che quella “bellissima ragazza dai capelli color grano”  (così l’avevo chiamata la prima volta, quando non conoscevo ancora il suo nome) accettasse di uscire con me quella sera.
Non nego che era tutta una strategia per rimorchiare…e non ero sicuro che lei mi dicesse di “sì”, ma a quanto pare era così disperata che fu proprio quello che fece, dirmi di “sì”.
E fu così che iniziò tutto tra me e lei. Tra lei e me.
Dopo la prima serata passata insieme, ce ne fu una seconda e poi una terza, naturalmente anche una quarta e poi si sa… quello di “uscire insieme” diventò un vizio inevitabile. Inevitabile fu anche che me ne innamorai; non subito naturalmente…ma dopo un mese mi accorsi che lei era tutto ciò che desideravo.
Ci scappò un bacio, anche due…ma poi…poi arrivo James.
E i suoi regali. E il suo sorriso. E i suoi soldi. La sua sicurezza. E il suo modo di guardarla come se fosse una stella, come se fosse l’unica al modo che potesse farlo sentire vivo.
E io…no… non mi ero comportato così in quel mese. Quando non c’era lei, c’erano le groupie… e quando c’era lei, c’era la mia indecisione.
Così passato un altro mese in cui ci eravamoinevitabilmente  allontanati, una sera mi disse:
 “Johnny…mi dispiace, ma io sono innamorata di…James. Non di te. Ci siamo fidanzati la settimana scorsa e mi dispiace…davvero. Possiamo rimanere ancora amici, se vuoi…”
Dio solo sa quanto mi sentii male in quel momento.Male, ma cos’era quella parola in confronto a tutto quello che provavo dentro?
Non ero arrabbiato, sì forse. Ma non con lei, magari con me stesso.
In realtà ero fin troppo confuso. Era come se il mondo mi fosse caduto addosso, schiacciandomi e stringendomi in una morsa straziante, quasi letale.
Il mio cuore era in subbuglio e la mia mente continuava a dirmi che ero stato uno sciocco, che non avrei dovuto mostrarmi così indeciso con i miei sentimenti, che non avrei dovuto scopare con le altre ragazze sapendo che lei, lei provava qualcosa per me. Avrei dovuto rispettarla. Sì. Era tutto ciò che non avevo fatto e in quel momento mi sentii così stupido, in colpa con me stesso.
Solo allora mi resi conto quanto l’amavo.
Ma era troppo tardi e non potevo urlarle il mio amore , dopo che proprio lei mi aveva detto “Io sono innamorata di James, non di te.”
E così… così in quel momento mi rassegnai, con tutto il rimorso, mi rassegnai davvero.
“Sì, certo. Amici, è giusto. Lo siamo sempre stati infondo.” Le dissi.
E le sorrisi anche, con immensa fatica e rammarico riuscii a sorriderle.
Pare che con quelle parole la convinsi del fatto che per me lei, nonostante tutto (e il tutto era veramente troppo), era sempre stata solo una buona amica.
E rimanemmo così amici, per altri due mesi.
Due mesi in cui cercai di dimenticarla.
Il suo profumo, i suoi capelli, i suoi occhi…le labbra scarlatte.
Ma più cercavo di accantonare nella mia mente quei piccoli particolari, più la sua figura si faceva strada nel mio cuore. E faceva male, quell’amore faceva male. Lei mi faceva male…ma era come se non riuscissi farne a meno.

Credo, credo di essermi dilungato un po’ troppo, sai?
Ma volevo che capissi quanto lei fosse importante per me...
Comunque, continuo a raccontarti la storia perché non ho ancora finito.

A conclusione di quei due mesi di agonia, che solo la chitarra e il suo suono riuscivano a placare, arrivò il giorno in cui come già ti ho detto precedentemente era iniziato tutto.
Il 12 Giugno 1981.
Sì, dunque.
Ci incamminammo verso casa e passammo tutto il pomeriggio a provare, provare, provare, bere e ancora provare.
Quel pomeriggio sembrò infinito. Aspettavamo tutti la sera, la sera del grande concerto. Beh, non era poi tanto “grande”, ma l’Agora fu il promo luogo serio dove andammo a suonare. Serio perché a detta di alcuni, spesso lì bazzicavano  produttori discografici. Certo, a insaputa delle band che andavano a suonare, però chi poteva dirlo che non ce ne fosse uno proprio lì, quella sera?
Poteva essere un opportunità…
Comunque, dopo un tempo che sembrò eterno arrivarono le otto di sera. Il nostro spettacolo era programmato per le dieci, ma ci eravamo prefissati di andare prima per montare al meglio l’attrezzatura sul palco.
Beh, scendemmo di casa e caricammo tutti gli strumenti su un pick-up sgangherato, che ci aveva rifilato il Signor. Hudson.
A quanto pare quel mezzo era di una coppia di contadini del Maine, che aveva deciso di rottamarlo in quanto in quell’ultimo periodo non stava andando poi tanto bene.
Mr. Hudson ci diede un occhiata e nonostante sapesse che non ci fosse nulla da fare, cercò di sistemarlo al meglio, riuscendo (con i dovuti acciacchi) a far partire il motore.
Chiamò quindi quella coppia di contadini e gli disse che era riuscito in parte ad aggiustarlo, ma loro ad ogni modo erano decisi “distruggerlo” o al massimo a darlo via a qualcuno. Quel “qualcuno” fui proprio io.
Allora non lavoravo ancora, anzi ero proprio in cerca di un lavoro.
Passai lì per caso davanti a quella officina, notai quel pick-up e pensai che facesse proprio a caso nostro, a caso della band, s’intende.
Doveva costare poco, pensai. Infondo non è che sembrava essere messo bene.
Entrai quindi e chiesi al proprietario se quel mezzo era in vendita e a quanto lo avrebbe dato.
Fu una cosa di pochi secondi.
“Cento dollari” mi disse.
“Ma io non ho cento dollari…” Davvero non li avevo, o meglio sì…ma mi servivano per pagare il resto dell’affitto.
 “Allora niente da fare, ragazzo.”
Ma a me serviva, serviva dannatamente quel coso.
Cercai di buttarmi a pietà…di solito funzionava…
“La prego, mi serve davvero…”
L’uomo davanti a mi guardò per un attimo.
“Facciamo così, se lavori per me solo per una settimana ti do quel pick-up, ci stai?”
Ci stavo? Se ci stavo?
Quell’uomo mi aveva appena tirato dai pasticci! Per una settimana sì… però mi aveva pur sempre aiutato. Era quello che credevo.
Ma poi, come già sai, come hai avuto modo di testare sono stato lì per più di una settimana. E non poteva andarmi meglio.

Anche questa volta mi sono dilungato un po’ troppo. Perdonami.
Ma non penso che tu sapessi queste cose e credo che sia meglio fartele sapere.
Dov’eravamo rimasti?
Ah, sì. Alla serata.

Dopo aver caricato gli strumenti, Bruce ed io salimmo sul pick-up e partimmo dirigendoci al nostro locale.
Bill e Joey ci  raggiunsero a piedi, non c’era molto spazio su quel mezzo.
Ci ritrovammo insieme solo dopo un quarto d’ora, fuori al locale.
Io e Bruce eravamo arrivati prima, ovvio. Ma decidemmo comunque di aspettare gli altri due membri.
Una volta riuniti, quindi, entrammo nel locale (che era ancora del tutto vuoto, naturalmente. La vera vita in quei posti iniziava solitamente dopo le undici…)
e cercammo il proprietario, con il quale avevamo parlato una settimana prima.
Ci disse di portare gli strumenti dentro e di montarli sul palco, lui poi ci avrebbe aiutato con l’amplificazione e il sound.
Non ci sembrava ancora del tutto vero.
Non ci sembrava mai vero. Non prima dei 15 minuti pre-concerto. Il che significava pre-ansia, pre-paura, pre-adrenalina, pre-preoccupazione, pre-tutto.
Ma in quel momento, come ti ho già detto non avevamo ancora del tutto realizzato che stavamo per suonare davanti ad un pubblico e quindi con estrema tranquillità ci limitammo a fare ciò che ci era stato detto.

Scusami, si è fatto tardi.
Ora devo andare, ma tornerò domani mattina.
Continuerò a raccontarti questa storia fin quando non sarà finita.
Tu intanto aspettami.
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Ragazze scusatemi ç___ç
Non avevo più l’ispirazione giusta per questa storia, poi sono andata in vacanza e vi ho abbandonate. Sono un mostro  ç__ç
Sono imperdonabile, vero? Sì, lo sono. Scusate, scusate, scusate.
Potete mai perdonarmi?
Vi lascio con questo dilemma e questo capitolo che spiega un po’ i vari incontri.
Vado a vedere tutto ciò che mi sono persa.
Grazie a tutte quelle che non mi abbandoneranno.
Ciao! Baci a tutte :3
  
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