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Autore: Glox    02/03/2008    3 recensioni
"Si svegliò di scatto. Erano le 8.05 di mattina. Accese la luce. Respiro affannato, occhi sbarrati e terrorizzati, senso di vuoto e di solitudine. Paura."
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Incubo

Incubo

[La Paura Nel Sonno]

Si svegliò di scatto. Erano le 8.05 di mattina. Accese la luce.

Respiro affannato, occhi sbarrati e terrorizzati, senso di vuoto e di solitudine. Paura.

Aveva appena fatto un incubo. Esattamente il secondo durante quella nottata di sonno. Un record. Di solito le capitava di fare un incubo a notte, mai di farne due, uno vicino all’altro poi. E mai si era sentita così spaventata. Una sensazione orribile. Era come se tutto il mondo le fosse caduto addosso, che non avesse nessuno vicino, trovarsi non sotto le lenzuola, ma sotto le acque di un fiume nero e freddo.

Si rilassò e poggiò di nuovo la testa sul cuscino. Ripensò all’incubo.

Si trovava a casa di sua nonna assieme alla sua famiglia. Aveva in mano una busta, l’aprì. Ne tirò fuori una lettera. Foglio bianco con sopra parole scritte in nero. Calligrafia ordinata e pulita. La lesse.

Non sa esattamente quello che c’era scritto, vide solo che la ragazza, la sua alter-ego, la stava leggendo, però le parole, non riusciva a vederle. La Camille del sogno prese una foglio e una penna e cominciò a scrivere. Mise il pezzo di carta dentro una busta, e la posò sul poggiolo. Pochi secondi e al suo posto, ci fu un’altra lettera dell’uomo misterioso. Uomo. Non sapeva chi fosse, ma diceva che fosse un uomo. Forse, lo diceva, perché oltre all’uomo non poteva esserci nessun altra creatura vivente che scrive, ma si sbagliava. Dopo pochi attimi, avrebbe avuto la certezza, che lui non era un uomo, ma un demone.

Camille lesse la lettera. Uno sguardo impietrito le si formò sugli occhi. Una voce dietro le disse ‘Non leggere più. Lascia perdere. Se lo ignori non si farà più sentire.’ Era suo fratello maggiore. Lei ubbidì e buttò via il foglio.

Un forte senso di paura le attanagliò il cuore. E se quell’essere, non l’avesse lasciata in pace? E se avesse continuato a scrivere? E poi, ce l’aveva proprio con lei, o con qualcun altro della sua famiglia? O con tutta la sua famiglia?

Raggiunse gli altri in salotto con questi dubbi sulla mente.

Cambio scena. Albergo. Un grande, rosso, albergo. La hall era deserta, non si sentiva nemmeno una vocina di bambino. Era tutto inquietamente silenzioso e abbandonato. Perché si trovava là? Aveva forse prenotato una camera? Probabile. Però non sapeva né quando e né dove. Camille camminò. Avanzò per il corridoio.

Troppa tranquillità, le faceva paura. Tanta, troppa, paura. Odiava tutta quella tranquillità e quel silenzio. Voleva andarsene da lì. Si girò verso la porta, ma non c’era.

Il cuore le cominciò a battere veloce, sembrava che le scoppiasse;

gli occhi, umidi, facevano trasparire terrore puro;

il viso tirato, faceva capire che la ragazza stava per scoppiare a piangere.

Cambio scena. Una strada, lunga, grigia, con delle macchine parcheggiate affianco al marciapiede. Anch’essa era silenziosa e deserta come l’albergo.

Qui non c’era Camille. Gli occhi della sognatrice vedevano soltanto il paesaggio, ma non stessa.

La telecamera girava, puntando gli alberi, le macchine, le case e poi di nuovo la strada.

Silenzio.

Deserto.

Paura.

Ad un certo punto, si sentì un rumore. La telecamera inquadrò una macchina. Questa stava parcheggiando e da essa scese un uomo. Avrà avuto sulla trentina. Capelli castani corti, occhi dello stesso colore e portava gli occhiali. Aveva un viso dai lineamenti duri e una sguardo scuro. Camminò con passo veloce e bussò alla porta di una villetta bianca. Aprì una donna bionda con occhi azzurri. Aveva una faccia sciupata, provata dalla malattia. Il suo sguardo triste, appena vide l’uomo si rallegrò. Lo abbracciò e lo fece entrare. Si sedettero sul divano e cominciarono a parlare. Non si sentivano le parole.

Parlarono per cinque minuti buoni poi, silenzio. Abbassarono la testa fissando il pavimento, si presero per mano come per volersi consolare a vicenda. Poi buio.

Cambio scena. Locale. Era pieno zeppo. C’era chi beveva e parlava e chi ballava col proprio partner. Anche qui non c’era Camille ma un uomo. Pure lui, come l’altro, aveva almeno una trentina d’anni. Capelli castani lunghi e ricci, occhi marroni. Assomigliava a Slash dei Guns N’ Roses. Aveva una sguardo fiero e orgoglioso. Stava seduto sui divanetti e si gustava una birra rossa. Osservava la folla. La musica non si sentiva.

Finita la birra, Slash (così lo chiameremo) uscì dal locale. Il sole stava tramontando, l’uomo tolse i suoi rainban dal colletto della camicia e se li mise addosso. Cominciò a camminare senza una meta precisa. Andava avanti, dritto per la strada. La luce rossastra del sole lo illuminava.

Passò un ora, o almeno così sembrava. Il sole ormai era tramontato del tutto e Slash si trovò da solo nella strada descritta prima. Si fermò in mezzo ad essa e si guardò in giro. C’erano le stesse macchine di prima e la stessa solitudine. Tirò fuori dalla tasca del giubbotto di pelle un pacchetto di sigarette e ne prese una. L’accese. Aspirò tranquillo la nicotina, poi lasciò uscire dalla bocca una piccola nuvola di fumo. Era teso e inquieto.

Una macchina abbastanza vecchia di colore blu notte attirò la sua attenzione. Gli sembrava di conoscerla. Si avvicinò alla vettura e guardò all’interno. Sì, la conosceva. Quella macchina apparteneva ad un suo conoscente. Mise lo sguardo davanti a sé e guardò la villetta bianca. Dalla finestra si vedevano due ombre. Forse l’uomo era lì dentro, pensò. Si avvicinò e guardò all’interno. Sì, era proprio lui. (Il nome di questo “lui” è sconosciuto, sia Slash che la donna [che sembrerebbe la madre] non lo dicono.)

Dopo aver guardato, Slash si sedette sugli scalini davanti all’entrata. Continuò a fumare la sua sigaretta in tranquillità, nonostante fosse preda di una grande ansia.

Cambio scena. Di nuovo l’albergo. Camille si trovava dentro una stanza insieme a delle persone. Più precisamente, con lei c’erano una bambina e una ragazza coi capelli lunghi biondi e gli occhi azzurri che avrà avuto vent’anni. La bambina invece aveva i capelli castani che le arrivavano sulle spalle e gli occhi azzurri. Avrà avuto dieci anni. Erano sdraiate sul letto matrimoniale e parlavano. Come successe sulle scorse scene, la voce non si sentiva. Dalla loro faccia si vedeva che erano felici, però, i loro sguardi facevano trasparire un po’ di paura. Anche le altre due, come Camille, erano rinchiuse dentro quell’albergo.

La stanza era abbastanza grande. In mezzo ad essa c’era il letto e, nei lati di questo, due comodini. Di fronte stava un grandissimo armadio di legno chiaro. E basta. Questi erano gli unici oggetti presenti. Il pavimento era coperto da una moquette rossa, invece i muri e il soffitto erano rosa. Le tre ragazze chiacchieravano. Ma non ridevano. Non riuscivano. Avevano gli occhi umidi, l’ansia le attanagliava lo spirito. Ad un certo punto, sentirono un tonfo. Le tre girarono la testa verso la porta. Sui loro occhi si leggeva terrore. Camille si alzò e, a passo di formica, avanzò fino alla porta. L’aprì piano, cercando di non far rumore, e mise la testa fuori per guardare. Vuoto. Rimise la testa dentro e chiuse la porta. Con la lentezza di prima ritornò nel letto.

Ore le due ragazze e la bambina non parlavano più. Stavano zitte ad aspettare. Non sapevano cosa ma aspettavano.

Passarono dieci minuti e sentirono l’urlo d’un uomo. Le tre, terrorizzate, si abbracciarono. Camille, nonostante la paura, decise di andare a vedere nel corridoio chi avesse urlato. Col cuore in gola si alzò e, lentissima, andò alla porta e l’aprì. Le gambe le si paralizzarono e le ci volle moltissima volontà per fare un passo fuori. Ci riuscì. Guardò alla sua sinistra. Niente. Guardò alla sua destra e vide una porta aperta. Era terrorizzata, le gambe le tremavano tantissimo, ma riuscì ad andare avanti. Raggiunse la porte e girò lo sguardo all’interno. Vide la schiena di un uomo. Con flebile voce Camille gli chiese che fosse successo. L’uomo si girò. Era il conoscente di Slash. I capelli corti, di solito in ordine, erano tutti disordinati e gli occhi castani, erano barrati dalla paura. Gli occhiali stavano giusti sulla punta del naso, mancava poco che cadessero. L’uomo guardò Camille e non fiatò. Le si mise affianco e alzò l’avambraccio, mettendo la mano alta col pollice che indicava l’interno della stanza. Camille andò a guardare e ciò che vide le fece venire un senso di nausea. Davanti a sé, sopra il letto matrimoniale, stava il cadavere di una donna sulla quarantina, la madre dell’uomo. Lo sguardo fisso al soffitto, il sangue che le usciva da tutto il corpo e tantissimi coltelli infilzati sull’addome e sul petto. Camille non riuscì a resistere, corse fuori e vomitò. Ma ciò che la spaventò di più non era il cadavere, ma ciò che l’assassino scrisse sul muro rosa col sangue della vittima. Con una calligrafia ordinata e pulita, scrisse ‘ voi siete i prossimi ’ . con gli occhi barrati dall’orrore, tornò nella sua stanza, mentre l’uomo cominciò a girovagare per il corridoio.

Camille raccontò alle altre due ciò che aveva appena visto. La bambina si mise a piangere, la giovane donna si trattenne, ma voleva piangere pure lei, Camille, invece, rimase impassibile seduta sul letto. Adesso sapeva cosa stava aspettando. La morte. Ormai ne era certa. Quel giorno, lei e le due amiche, sarebbero morte. A questo pensiero, Camille non versò una lacrima, non le venivano. Non riusciva a piangere. Se questo era il suo destino, allora che venga. Rimase in uno stato apatico per almeno mezz’ora poi, qualcosa dentro di lei riuscì ad animarla ed urlò a gran voce che avrebbe cambiato il suo destino e non sarebbe morta. Cercò di convincere le sue amiche ad uscire dalla camera ma non fu cosa semplice. Riuscì a convincere solo la bambina, la giovane donna preferì rimanere dentro la stanza, aspettando la morte. Camille e la bambina uscirono e cominciarono a girare per il corridoio. C’era un silenzio disumano. Dalle stanze non usciva neppure un sospiro. Avevano una fifa nera addosso ma continuarono. Il corridoio era lunghissimo, sembrava infinito, non finiva mai. C’erano vari incroci, questo fece capire alle due che quello non era un albergo normale. Aveva un solo piano, lunghissimo, pieno di corridoi. Era facile perdersi, ed era ancor più facile finir preda dell’assassino.

Sentirono un urlo. All’improvviso apparve l’uomo di prima che urlò alle due di scappare via. Le due obbedirono e cominciarono a correre dalla parte da cui venivano. Camille si girò per vedere cosa ci fosse dietro e lo vide. Un uomo dai lunghi capelli grigi con metà faccia coperta dalla frangia. Il corpo longilineo e un set di coltelli tenuti nella cinta. No, quello non era un uomo, era un demone. Camille corse, tenendo per mano la bambina corse il più possibile. Girò in un corridoio e poi in un altro ancora, cercando di sviare il demone. Ci riuscì. Non lo avevano più alle calcagna. Aprì la porta di una stanza e vide dentro un bambino. Pure lui si stava nascondendo. Disse alla bambina che aveva con sé di stare chiusa in camera con lui, mentre lei sarebbe andata a cercare una via di scampo. La bambina cercò di fermarla ma non ci riuscì. Camille cominciò a correre per gli infiniti corridoi. Tornò nel corridoio in cui era prima e passò davanti alla stanza in cui era nascosta prima di cominciare a scappare. La porta era aperta. Aveva paura di entrare, sapeva già la scena che le spettava di vedere, ma varcò comunque la soglia e vide il cadavere dell’amica grondante sangue e pieno di coltelli. Si mise una mano davanti la bocca e si sedette per terra. Aveva perso tutte le forze. Guardò il muro e lesse la frase ordinata di prima. Chiuse gli occhi. Scivolando col sedere all’indietro, uscì dalla stanza. Si alzò e cominciò a correre come una forsennata. Girò per i vari corridoi. Voleva trovare al più presto una via di fuga ma incappò nel demone. Si fermò. Lo guardò con occhi barrati e fece retromarcia. Non aveva più fiato nei polmoni ma corse come non aveva mai fatto. Il demone alle sue spalle, non la mollava. Lei era la sua preda. Andò sempre dritta, sperava che il corridoio non fosse infinito come sembrava e alla fine le sue speranze si esaudirono. Trovò la fine. C’era una rampa di scale e su queste era seduto l’uomo di prima. Lei corse verso di lui, e lo superò. Il demone stava camminando, tranquillo, leccava un coltello e gustava già la prossima uccisione. Camille arrivò al piano di sopra e vide un corridoio identico. Sentì un urlo provenire da sotto, l’uomo era stato ucciso. Dei passi piano, piano venivano verso di lei. Si rimise a correre. Arrivata a metà corridoio si voltò e lo vide. Aveva un sorriso maligno sulla bocca e gli occhi, che fino a quel momento non riuscì a vedere, erano impossessati di una luce sinistra. La ragazza non aveva più forze, e cadde in ginocchio. Abbassò la testa. Il demone si stava avvicinando. Camille cominciò a piangere. Le lacrime che aveva trattenuto dentro di sé, uscirono. Aveva paura, tanta. Non voleva morire. Però ormai mancava poco. Cominciò a piangere più forte e urlò:

!!>

Il demone si fermò a cinque centimetri dalla sua testa e per la prima volta parlò:

!!!>

Camille, quando urlò ‘Vivere’ alzò la testa e incrociò gli occhi del demone. Non avevano più quella luce sinistra e il sorriso maligno era sparito. Non aveva nessun coltello in mano e la guardava. In quell’attimo Camille vide in lui un uomo, e non più un demone.

L’assassino si girò e cominciò a camminare verso le scale. Camille se ne stette in ginocchio in mezzo al corridoio, a fissarlo mentre si allontanava.

Il ricordo finì e Camille, ancora avvolta da paura e ansia, spense la luce e chiuse gli occhi. Si addormentò poco dopo, con un sorriso sulle labbra. L’incubo ormai era passato, e non sarebbe più tornato.

-the end-

Buona sera a tutti. Era da tantissimo che non scrivevo qualcosa. Bene. Questa fic è nata dall’incubo che ho fatto sta mattina. Mi ha spaventata talmente tanto che lo ricordo perfettamente. Ovviamente, non era così ben descritto, era a pezzi e io, ho cercato di descrivere il meglio possibile le scene che ho visto.

Spero che vi piaccia!

I commenti sono sempre ben accetti e ne aspetto di tutti i tipi, da quelli positivi alle critiche costruttive.

Un saluto dalla vostra Glox.

   
 
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