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Autore: Acinorev    28/08/2013    11 recensioni
La comunicazione, verbale e non verbale, si basa su cinque assiomi, ovvero cinque principi impliciti e fondamentali. Il primo dice che è impossibile non comunicare: Caren l’ha studiato al liceo, accantonandolo subito dopo perché era troppo impegnata ad uscire con Henry o con Kim.
Eppure, a ventidue anni compiuti, si ritrova a ragionare sul serio su quel piccolo concetto sbiadito dagli anni, perché Lake lo incarna alla perfezione.
Lake non parla molto, perché le parole sono spesso inutili o superflue, ma questo non vuol dire che non comunichi: Caren l’ha capito quando lui le ha accarezzato un braccio con le dita ruvide per svegliarla. Quando ha baciato il suo collo prima di uscire di casa, con la sigaretta pronta ad essere accesa e i capelli in disordine. Quando ha percorso il suo corpo con le dita e le ha dato un confine.
Lake è comunicazione pura in ogni movimento che compie, in ogni respiro trattenuto e in ogni sguardo. Caren l’ha solo compreso in ritardo.
"Lui che dice qualcosa del genere? - domanda l'altra, divertita. Subito dopo scuote la testa e riprende. - No, non mi ha detto niente. Ma poi ti ha guardata, ed io ho capito".
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo uno - Coincidence
 
*Eli si legge Ilai

 

Caren sta per avere una crisi di nervi, se lo sente, e non ne è entustiasta, perché è dannatamente in ritardo e perché lo è anche Eli*.
L'ha conosciuto mentre era all'edicola all'angolo della sua via, il pomeriggio precedente: entrambi erano stati attratti dall'ultima copia disponibile di un quotidiano e lei si era aspettata che lui glielo cedesse per galanteria,  invece non l'aveva fatto, giustificandosi con un semplice "ne ho proprio bisogno". Lei aveva rimuginato su quanto fosse strano avere bisogno di un quotidiano, ma aveva dovuto concentrarsi su qualcos'altro subito dopo, perché Eli si stava già presentando con un sorriso troppo gentile sul viso e con gli occhi troppo neri per essere veri. Caren non era riuscita nemmeno a distinguere la pupilla al loro interno, in un primo momento.
«Da uno a dieci quanto sarei inopportuno, se ti invitassi a cena per rimediare?» le aveva chiesto poi, ammiccando e passandosi una mano dalla pelle olivastra tra i capelli castani. Lei aveva alzato le sopracciglia chiare, stupita, e si era lasciata distrarre dal viso pulito e sottile di quel ragazzo.
E adesso, alle 20.43 di una tiepida sera primaverile in pieno aprile, la sua casa assomiglia vagamente ad un campo di battaglia: sul piccolo tavolo in legno chiaro vicino alla finestra, ci sono ancora i piatti usati per la cena e altri sono riposti in malo modo nel lavandino, reduci del pranzo. Il pavimento in mattonelle di un bianco sporco ospita qualche maglietta e pantalone che Caren ha provato e poi scartato, troppo impaziente per rimettere tutto al proprio posto. Il bagno è un’invasione di cosmetici, molti dei quali non ha mai usato e mai userà, ma che conserva nel caso dovessero mai servirle.
E lei – che è sicuramente la cosa più disordinata, lì in mezzo - gironzola indaffarata nel suo piccolo appartamento poco distante dal centro della tranquilla Worthing, e pensa a dove quel ragazzo la porterà - "spero in un bel posto" -, a come si vestirà, a come avrà sistemato i capelli e a cosa le dirà. In realtà, però, sta anche e soprattutto pensando che non riesce a trovare quel maledettissimo paio di ballerine argentate: era convinta che fossero nella scarpiera, ma sono misteriosamente scomparse.
Sa benissimo che di solito la donna deve farsi attendere, ma non è mai stata brava a rispettare questa specie di tradizione, perché Caren odia arrivare in ritardo. E anche i ritardatari.
Infatti, quando poco dopo suona il citofono di casa e lei borbotta un «cazzo, no», si passa una mano sul volto ben truccato e rinuncia alla sua missione di ricerca: afferra il primo paio di scarpe che si trova davanti - delle decoltè nere che si era ripromessa di buttare - e se le infila in tutta fretta, evitando per un pelo una storta. Al diavolo il suo tentativo di non sembrare troppo... Troppo.
Respira profondamente, davanti alla porta di casa, e si sistema la camicetta a tre quarti di raso grigio, infilandola ordinatamente nei jeans scuri; infine, controlla che i bottoni siano tutti nelle rispettive asole, anche e soprattutto il primo, che rischia di lasciare scoperto un po' troppo della sua scollatura, comunque non molto abbondante.
«Hey» dice, regolando il tono di voce per non far trasparire l'agitazione, quando finalmente arriva al portone di casa, dopo aver percorso le quattro rampe di scale che separano il suo appartamento dal piano terra.
Eli le sta davanti con una mano in tasca, mentre con l'altra ricambia il saluto: è alto qualche centimetro più di lei, nonostante i tacchi. Indossa un pantalone nero e un maglioncino di cotone beige, uno di quelli che cadono morbidi sui fianchi, uno di quelli che fan risaltare la sua carnagione. Ha le labbra aperte in un sorriso e i capelli come il giorno precedente, un po' disordinati sulla fronte.
È bello.
«Scusa il ritardo» esclama subito Eli, mentre Caren si chiude la porta alle spalle, facendo scattare la serratura con un rumore un po’ stridulo e fastidioso. Al fondo del vialetto c'è una vecchia macchina malandata che le fa storcere un po' il naso: il motore è acceso e del fumo nero sbuffa fuori dalla marmitta a tratti.
«Non preoccuparti, anche io ero in ritardo: non capisco come le cose possano sparire proprio nei momenti sbagliati» spiega lei, mentre si impegna a mantenere l'equilibrio sui ciottoli del vialetto.
La risata di Eli inizia a farsi conoscere con un accenno esitante, quasi imbarazzato, e la stupisce, perché non se l'aspettava così profonda. La sua voce è mite, lenta, e quasi non si addice al suono che è appena scaturito da quelle labbra poco carnose: Caren decide che le piace, la sua risata.
«Almeno tu hai perso qualcosa - sospira poi lui, fermandosi davanti all'auto che sembra di un blu scuro. Lei fa lo stesso, curiosa di sapere quale sia stato il suo contrattempo. - A me si è rotta la macchina».
«Davvero?» chiede Caren, cercando di trattenersi dal ridere.
«Avanti, ridi pure - la incita il castano, con fare rassegnato. - Sono sceso in garage e puff! Non si accende più, quella dannata».
Ora Caren non la trattiene più, quella risata, perché anche lui ha fatto della sua sfortuna un aneddoto su cui scherzare: è lieta del fatto che non sia uno di quei ragazzi innamorati della propria auto, che non vivono se non sanno che è tutta intera e al sicuro.
«Comunque ho trovato un passaggio giusto in tempo» la rassicura Eli, aprendole lo sportello che cigola un po'.
Lei corruga la fronte chiedendosi chi troverà al posto del guidatore, ma, prima di poter fare un passo, si ritrova la bocca del suo accompagnatore vicina all'orecchio: «Avrei preso in prestito solo la macchina, ma Lake sa essere molto testardo quando vuole» le spiega in un sussurro divertito, mentre Caren si immagina l'eventuale discussione con la quale Eli ha cercato di convincere il suo amico o chiunque questo Lake sia. Evidentemente si è dovuto scontrare con una possessività in campo di auto che non gli appartiene.
Gli sorride e annuisce, cogliendo il velo di preoccupazione nei suoi occhi pece: non è un problema che qualcuno li accompagni in giro, anche se forse potrebbe risultare un po' imbarazzante.
L'interno dell'auto non rispecchia fedelmente l'aspetto esteriore: è molto curato, pulito, e c'è una leggera fragranza che scaturisce da un aggeggio ovale che pende dallo specchietto retrovisore. Caren si siede al centro dei sedili posteriori, rivestiti da un tessuto grigio topo, salutando con un cordiale «Ciao» il ragazzo che sta alla guida: questo si volta verso Eli, che è appena salito al posto del passeggero e aspetta un suo cenno del capo per ingranare la marcia e partire.
La ragazza non sa se essere incuriosita o offesa dal comportamento del loro "autista", che non l'ha degnata nemmeno di uno sguardo: non riesce a vederlo bene in faccia, perché fuori è buio e i lampioni che fiancheggiano la via non illuminano granché nell'abitacolo. Quello che riesce a scorgere è la pelle chiara e i capelli neri, più degli occhi di Eli. Un piccolo neo irregolare sotto l'occhio sinistro e un naso squadrato e leggermente troppo largo. Ha un tatuaggio sul collo, ma è coperto per metà dal colletto del suo giubbotto, quindi non riesce a distinguere cosa sia.
«Lake, lei è Caren - li presenta Eli, con un entusiasmo simile a quello di un bambino. - Caren, questo è Lake, il mio migliore amico» spiega, appoggiando una mano sulla spalla dell'amico e rivolgendo un sorriso a lei.
«Piacere» esclama Caren, sforzandosi di mantenere il grado di gentilezza che si usa di norma con gli estranei.
Tutto quello che ottiene in risposta, però, è un semplice cenno del capo.
«Non te la prendere - la rassicura Eli, con un tono di voce quasi affettuoso. - È fatto così». La sua tranquillità, usata nel parlarne, le fa capire che deve essere abituato al carattere del suo amico: lei non sa nemmeno cosa pensarne, invece. Ma d'altronde, dovrebbe per caso importarle?
«Oh, oh, aspetta, gira qui!» esclama all'improvviso il castano, indicando una strada alla loro sinistra e provocando una frenata brusca da parte di Lake. Caren sente il clacson di una macchina alle loro spalle, che è stata evidentemente colta alla sprovvista, e si aggrappa al bordo del sedile del passeggero.
Guarda Lake alzare una mano al centro dell'abitacolo, in segno di scusa per il caos creato. L'auto ancora ferma in mezzo all'incrocio, in attesa della fine del via vai di macchine che impediscono la loro svolta.
«Pardon, mi ero distratto» ridacchia bonariamente Eli, stringendosi nelle spalle. Ed è proprio in quell'istante, che Caren incontra gli occhi di Lake per la prima volta.
Lui li hai spostati sullo specchietto retrovisore, non per guardare lei - no di certo -, ma molto più probabilmente per controllare la situazione dietro di loro. La ragazza è costretta a deglutire, quando i fari di un'auto di passaggio illuminano lei e gli altri due.
Tutto dura un solo istante. Gli occhi di Caren, di una banale tonalità di marrone chiaro, incontrano quelli di Lake. Sembrano di un blu scuro, ma è impossibile capire se siano così vicini al nero solo a causa del buio: la loro sfumatura imprecisa li rende unici.
Per un attimo guardano proprio lei, facendola sentire piccola ed indifesa, cosa che non le piace affatto.
Lake è un nome strano, l’ha pensato da subito, ma dopo aver incrociato quello sguardo, è convinta che gli si addica: quel colore, quell'intensità, sono gli stessi di un lago. Caren si chiede soltanto se possano essere altrettanto profondi e pericolosi.
«Non fa niente» mormora Lake velocemente, per rassicurare l'amico, mentre riesce finalmente a girare dove gli è stato indicato. La sua voce è risultata tanto bassa da essere facilmente sovrastata dai rumori del motore e della strada. Ormai Caren ha capito che non è un tipo di molte parole.
«No, davvero, so quanto ti dia fastidio» insiste Eli, questa volta con aria di sincere scuse. L'atmosfera non è tesa, però, e questo suggerisce a Caren che non ci sia alcun pericolo di una vera e propria discussione.
Eli riesce a distrarla dai suoi pensieri sull'altro ragazzo con la sua voce allegra e limpida, e ne è sollevata, perché, quando il castano si volta per dirle qualcosa con un sorriso, lei si scuote di dosso quella brutta sensazione opprimente e si sente subito meglio.
 
Eli ha ventiquattro anni, compiuti il mese scorso, e per l'occasione si è regalato un viaggio in Kenya.
Ama i gatti e ne ha due, che però stanno sempre via di casa per qualche  giorno, facendolo spaventare ogni santa volta.
È originario di Liverpool e il padre è per metà irlandese.
Abita nel distretto di Findon Valley, a qualche quartiere di distanza da Caren, che invece alloggia nel West Tarring, tanto che lei non si é trattenuta dal rimproverarlo in tono scherzoso: «Così lontano? Saresti potuto andare ad un'altra edicola e lasciare a me quel giornale». Lui si è messo a ridere e ha vinto, perché ha risposto con un sopracciglio alzato: «A quest'ora non sarei a cena con te». Caren ha incassato il colpo con un sorriso e ha preso un'altra forchettata di bistecca ai ferri.
Eli lavora in un ufficio dell'azienda di suo zio Charles: per ora fa le fotocopie e porta il caffè ai colleghi, ma è sicuro che lo promuoveranno presto.
Le sembra un tipo abbastanza diretto, o almeno questa è stata la sua impressione quando nel mezzo della cena lui ha alzato gli occhi dal suo piatto ancora pieno e l’ha guardata per qualche secondo, prima di muovere le labbra lentamente e «Sei davvero bellissima» dire.
Gli piace viaggiare, guardare il baseball in tv ed uscire con Lake e gli altri amici.
Ride spesso, Caren l'ha notato, ma non perché sia frivolo: trova sempre qualcosa da ribattere e su cui scherzare, infatti è impossibile che cada un discorso in sua presenza. A lei questo fa piacere, perché adora parlare, adora conoscere bene le persone e capire tutto di loro, e con Eli tutte queste cose sono molto semplici.
Lui ha pagato il conto senza che lei se ne accorgesse e ora, mentre aspettano che Lake torni a prenderli, le ha confessato di aver trascorso una bella serata. Una mano a scompigliare i suoi capelli e le labbra inclinate all’insù vittime di un certo imbarazzo.
«Sì, anche io» annuisce Caren, stringendosi nelle spalle per l'arietta fresca che li avvolge.
In realtà c'è qualcosa che non la convince: certo, è andato tutto bene, si è divertita e anche la cena è stata davvero ottima, ma aveva sperato in qualcosa di più. Questo però non lo dice ad Eli, perché alla fine le piace il sorriso che ha e il modo in cui sorride proprio a lei.
 
Quando la macchina di Lake si ferma davanti al ristorante, proprio sotto l'insegna al neon che recita un elegante "Stanley's", Caren ha un'improvvisa voglia di tornare a piedi, eppure non lo dà a vedere. Inspira profondamente e si sistema i capelli biondo cenere che ha lasciato sciolti sulle spalle, perché sono venuti stranamente bene grazie a quella piastra che è riuscita a renderli mossi, e perché le piace la sensazione di sentirli sulle clavicole sporgenti.
Entra in auto e sorride semplicemente, anche se non sa a chi, dato che Lake sta guardando fuori con una sigaretta in bocca, tenuta con l'indice ed il pollice. Il finestrino lascia entrare solo un flebile spiffero d'aria, infatti a Caren bruciano gli occhi a causa del fumo che impregna tutto l'abitacolo.
«Hey, amico - lo saluta Eli, prendendo posto davanti. - Dove sei stato?»
Lake alza le spalle, mette in moto e riparte.
«Ho mangiato qualcosa da queste parti» risponde soltanto.
Caren si sente improvvisamente in colpa: alla fine è meno imbarazzante di quanto credeva, essere accompagnati al proprio appuntamento, ma le dispiace che qualcuno abbia dovuto passare una serata del genere solo per fare un favore ad un amico.
«Grazie, comunque» dice infatti, sorridendo allo specchietto retrovisore nel quale, di nuovo, incontra gli occhi di Lake.
Lui butta fuori del fumo ed alza un sopracciglio folto, senza distogliere lo sguardo: «Figurati».
L'attimo dopo Caren sta già guardando un riflesso che la ignora, ma è almeno soddisfatta di aver ottenuto una risposta.
 
«Allora, pensi che potremmo rivederci? - le chiede Eli con le mani nelle tasche, mentre le sta di fronte, davanti alla porta di casa. - O devo rubarti un altro quotidiano?» aggiunge poi, scherzando.
Caren ride e scuote la testa mordendosi il labbro inferiore, fine e ricoperto da un rossetto chiaro.
«Credo che potrebbe essere una buona idea» annuisce, convinta che quel ragazzo si meriti un'altra possibilità. Non che la prima l'abbia sprecata del tutto.
«Intendi il secondo appuntamento o il furto di giornali?»
«L'appuntamento, ovvio» ribatte lei, ridendo ancora e facendosi imitare da lui.
«Ok, bene - esclama Eli, senza riuscire a contenere perfettamente il suo entusiasmo. - Ti chiamo io, allora. O chiamami prima tu, se vuoi. Oh, insomma, ci sentiamo» conclude, passandosi una mano dietro il collo.
Caren sorride e gli lascia un bacio sulla guancia: «Buonanotte, Eli».











Non potete capire quanto io sia felice di aver pubblicato questa storia jfsdk
Sia perché, dopo un mese di vacanza aka assenza di un computer sul quale scrivere aka non poter aggiornare/pubblicare, ero entrata in una specie di astinenza, sia perché non so, volevo pubblicarla ahha
Comunque, questa è la seconda storia originale che scrivo – la prima è finita nel cestino perché faceva abbastanza schifo (Y) – e non so nemmeno da dove io l’abbia cacciata fuori! Sono un po’ “in ansia” perché non so se potrà piacere!
Questo primo capitolo è molto tranquillo, ma serve ad introdurre i tre personaggi: molte di voi penseranno che Lake sia un nome orrendo, lo so, ma quando me lo sono trovato davanti ho pensato a questa storia e tutti gli altri non mi soddisfacevano, quindi non ho resistito (ora praticamente lo amo) fjdskal Ah, premetto che non ci sarà nessun triangolo amoroso: voglio dire, nessuna storia di tradimenti tra migliori amici e cose del genere haha
E niente, in realtà non ho molto altro da dire! Piuttosto sono curiosa di sapere le vostre impressioni (:
Spero di aggiornare presto, tanto ho già pronti una dozzina di capitoli (sì, le mie vacanze hanno fatto schifo quindi ho riempito le note del telefono ahahha), e dal prossimo capitolo si capirà un po’ di più anche su Caren (:
Vi ringrazio moltissimo per aver letto e vi chiedo di lasciarmi il vostro parere, anche se questo primo capitolo lascia un po’ a desiderare dato che è solo una specie di introduzione!
E un grazie gigantesco a caterina aka malpensandoti per il banner, per la pazienza, per non avermi mandata a stendere, per avermi sopportata: tanto amore per te cate <3333
 
Ps. La citta di Worthing esiste davvero – così come i suoi distretti – e si trova sulla costa dell’Inghilterra, ma i posti che verranno descritti sono completamente inventati! Mi ero rotta della solita Londra!
E ultima cosa, i capitoli sono più corti, rispetto a quelli che scrivo di solito: non so perché, è come se fossero un po’ più essenziali (?). Ok, ora me ne vado sul serio ahha

Ciao,
Veronica.

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