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Autore: stillfreeit    29/08/2013    1 recensioni
Anche questa è una creazione ormai piuttosto anziana.
Il titolo della storia si ispira alla canzone dei Nomadi "Il fiore nero". Mi sono fatta ispirare dalla frase:
"Come un popolo sotto l'oppressione, come uno schiavo sotto il padrone, così quando il sole muore, fiore perdi il tuo colore e le qualità che ti hanno reso vero. Ma chi lo dice che il fiore è nero?", ambientandola in un contesto leggendario/fantasy/drammatico.
Buona lettura.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Vendetta. Dolce vendetta.
La città intera urlava vendetta. Nel cielo rosso. Rosso. Senza nuvole che ne contrastassero
l'intensità. Rosso. Per le strade deserte. Sulle statue imponenti del Dominus, ormai quasi tutte
decapitate e mutilate. Nei manifesti dei mille divieti e delle corrispondenti pene e punizioni per i
trasgressori, ora vandalizzati da insulti ed oscenità. L'odore della vendetta si respirava come
ossigeno.
Il comandante Lyam si guardava intorno mentre si allontanava, zoppicando lievemente, dal cuore
della battaglia. La vendetta era davvero ovunque. Gli scorreva nelle arterie, pompata direttamente
dal battito cardiaco. L'avvertiva con tutti e cinque i sensi. La vedeva nei colori violenti del
tramonto, l'annusava nell'aria, l'udiva nelle urla alle sue spalle, nelle esplosioni, negli spari, la
toccava sul manico del coltello stretto nella mano sinistra che vomitava sangue militare, ne sentiva
il sapore in bocca. Non era affatto dolce. Acre, secco, con un vago aroma di ferro.
Sangue.
Erano stati i suoi genitori ad insegnargli che nessuna situazione era mai abbastanza disperata da
poter giustificare l'istinto di uccidere, che il dolore di una vita umana sulla coscienza lacera l'anima
più delle fiamme del rogo. Nella loro vita erano sempre stati coerenti. Loro non avevano cercato
vendetta quando su quel rogo c'era finita la loro figlia minore.
Anna. Sua sorella.
Lei insieme a decine di donne e uomini innocenti.
Praticavano magia nera, diceva il Dominus. Solo la sua magia era consentita nello Stato.
Ma Lyam non era suo padre, e non era mai stato in grado di sopportare come lui e sua madre che
tutte le colpe del Dominus venissero cancellate come se non fossero mai accadute, che i suoi occhi
gialli potessero riaprirsi ogni mattina. Ogni mattina da quasi un secolo, ormai. Mentre quelli di
Anna viaggiavano ancora con chissà quale vento.
Non sentiva alcun dolore nell'anima, nessun rimorso per ciò che era accaduto nelle ultime ore, per i
cadaveri militari che giacevano a terra con la gola tagliata, lo sterno bucato dal suo coltello, dai suoi
proiettili, dai suoi pugni. Sì, li aveva guardati anche negli occhi. Aveva visto gli uomini dietro la
divisa, ma nessun tremore in mezzo al petto lo aveva scosso, nessuna forza misteriosa, nessun Dio
gli aveva fermato la mano. Non era stato colto da alcun mancamento, tristezza, senso di colpa. Al
contrario, lo aveva colto una forza selvaggia nelle sofferenze di quegli uomini. Uomini, certo. Li
aveva sentiti urlare come aveva urlato anche Anna, tra le fiamme. Da innocente. Innocenti anche
loro? Non era un suo problema. Lo galvanizzava, lo elettrizzava sapere che stavano provando anche
solo una piccola porzione del dolore che loro, o chi per loro, avevano inferto ad Anna, e che i loro
familiari, chiunque e dovunque fossero, stessero patendo quanto aveva patito lui. D'altra parte, nulla
aveva fermato loro quando a bruciare erano stati altri giovani, innocenti anche loro, o quando ad
esplodere era stata casa sua insieme ai suoi genitori. Morti insieme alla loro stupida ed inutile
moralità, che non avrebbe mai cambiato il mondo. Non avrebbe mai cambiato niente.
Aveva lasciato quella cascata di sangue, carne e morte alle spalle. La rivolta che lui stesso aveva
guidato fino a quel momento. Non li aveva abbandonati, erano nelle mani di Sara, capace e forte
almeno quanto lui. Sarebbe tornato il prima possibile.
Gli era rimasto un ultimo colpo di pistola, e lui sapeva perfettamente a quale testa era indirizzato.
Proseguì quanto più spedito gli concedeva la gamba ferita. L'edificio a cui puntava era ben visibile
da qualsiasi punto della città: un enorme Tempio in stile Maya che si ergeva su almeno trecento
scale di pietra, restringendosi man mano che saliva. Finiva in un'unica stanza. Lì era diretto.
Non c'era un'anima attorno a lui, tutto ciò che di vivo era rimasto in città era concentrato vicino alle
mura, posto dal quale Lyam si stava allontanando.
Decine di persone di quella folla avrebbero voluto godere dell'onore di raggiungere il Dominus sul
gradino più alto del Tempio e fracassargli il cranio. Ma spettava a lui quel compito. Lui li aveva
guidati. Lui era il comandante. Spettava a lui.
Il Dominus era stato sconfitto, ormai. Le sue leggi non avevano più alcun potere, le carceri erano
state aperte. Era diventato lui il nemico pubblico. Qualcuno avrebbe potuto dire che era una
vendetta sufficiente.
Non Lyam.
Non gli bastava che venisse esiliato, deportato o costretto ai lavori forzati. No, non finché tutte
quelle presenze attorno a lui continuavano ad urlare a piena voce la loro sete di vera, autentica
vendetta. Urlavano da ogni palazzo, da ogni statua, da ogni oggetto.
Cominciò a salire lentamente le scale. Le sue condizioni fisiche non gli permettevano una velocità
maggiore e le scale da salire erano tante.
Fece con calma, non c'era fretta: il Dominus non poteva scappare da nessun'altra parte, a meno che
non optasse per il suicidio. Non lo avrebbe fatto.
Ad ogni gradino che conquistava, le urla attorno a lui diventavano sempre più ossessive ed
assordanti. La rabbia cresceva insieme ad esse.
Mai avrebbe potuto infliggere a quella sottospecie di uomo una morte più umiliante di quelle a cui
lui aveva condannato tanta altra gente, ma avrebbe fatto del suo meglio per non farglielo
dimenticare.
Era certo che non avrebbe incontrato nessuna guardia che potesse fermarlo. Tutti i corpi militari
erano concentrati alla rivolta, ma anche se così non fosse stato, non lo avrebbero fermato. Non
erano i primi che uccideva e finché la guerra non fosse finita non sarebbero stati nemmeno gli
ultimi. Il Tempio era sicuramente vuoto, ad eccezione di una persona.
Gli bastò spingere la porta d'ingresso perché si spalancasse. Si aprì un lungo corridoio appena
illuminato dalla poca luce che proveniva dalle braci sospese sul soffitto, di un soffocante colore tra
il rosso ed il nero. Conduceva ad un'altra porta. Era lì che il Dominus passava la maggior parte delle
sue giornate, tra libri, pozioni ed esperimenti, sicuro nella sua fortezza che era ormai la città stessa.
I suoi sudditi erano troppo assoggettati perché insorgessero, almeno fino a quel momento.
Proseguì sentendo solo il suono ovattato dell'eco del suo passo discontinuo. Strinse più forte la
pistola nella mano destra ed il coltello nell'altra. L'eccitazione cominciava a bruciare i suoi nervi
mentre l'adrenalina pulsava ai lati della testa.
Era tutto dietro quella porta dorata.
La spalancò con un calcio ed alzò in contemporanea la pistola, il dito indice era già fermo sul
grilletto, irrigidito dalla tensione. Vide per la prima volta il suo braccio. Braccio da assassino, da cui
colava sangue non suo, incrostato alla pelle, alla peluria, alle dita, fin sotto il bracciale delle manette
dalle quali si era liberato con la forza qualche ora prima. Ancora non bastava.
Realizzò con un ritardo di un millesimo di secondo cosa aveva di fronte.
La stanza era stretta poco più di due passi di un uomo adulto, e lunga almeno cinque volte tanto. Un
enorme tavolo di legno rettangolare ne copriva gran parte dell'estensione. E al capo opposto rispetto
a lui, il Dominus era seduto, nel suo lungo abito dorato, sul trono. In attesa.
Lyam rimase immobile, il braccio destro teso e la pistola puntata, con un vago tremore lungo tutto il
corpo. Rabbia assassina ed eccitazione erano solo due delle mille emozioni che provava.
La calma e la serenità aleggiavano sprezzanti attorno alla figura del Dominus, tanto fuori luogo
rispetto a tutto ciò che stava accadendo fuori. Bombe, urla e sangue sembravano far parte di una
dimensione del tutto estranea a quella stanza soffocante che diffondeva una sensazione di potere.
Quante morti erano state accordate in quella stanza, da lui e da quel suo falso Consiglio?
Il respiro di Lyam si fece affannoso, come se avesse fatto tutte le scale di corsa. La rabbia ed il
disgusto per quell'individuo, tanto indifferente alla morte che fuori di lì mieteva vittime senza
guardare in faccia né bambini e né anziani, lo paralizzarono di fronte a quello spettacolo. Non
riusciva neanche ad ordinare al dito di stringersi sul grilletto e farla finalmente finita.
Il silenzio opprimente venne rotto da una risata sommessa e tuttavia perfettamente udibile.
“Ti stavo aspettando”. Le parole giunsero in fretta fino a lui, riecheggiate dalle pareti vuote attorno
a loro. Lyam smise di tremare, ora molto più simile ad una statua di ghiaccio. Anche le urla che
aveva sentito fino a quel momento si erano interrotte. Non aveva più nulla intorno che gli iniettasse
forza, coraggio e desiderio di vendetta, annientati da quelle parole inaspettate e prive di qualsiasi
paura. Era solo lui. Lui, ed il Dominus di fronte.
Il Dominus si alzò in piedi. La tunica d'oro che scendeva sul suo busto ben più abbondante di molti
altri abitanti della città, luccicò alla luce insieme alla lucida testa pelata. Lo stridere grave del trono
riempì spiacevolmente le orecchie di Lyam, seguito dal passi leggeri dell'uomo di fronte a lui. Solo
allora poté distinguere perfettamente il colore giallo dei suoi occhi da felino. “O meglio, attendevo
una persona. Non illuderti di essere tanto importante. Ero certo che qualcuno di voi “eroi” sarebbe
arrivato presto o tardi” continuò enfatizzando il sarcasmo dell'aggettivo quanto più possibile.
Lyam digrignò i denti e ricominciò a tremare di rabbia.
Non poteva, non doveva farsi prendere dal panico, o avrebbe fatto il suo gioco. Ormai non valeva
più nulla. Non era più nessuno. Non era più potente di qualsiasi essere umano, di quelli che aveva
lasciato agonizzare sull'asfalto. Ciò che era rimasto di lui era solo un nome e un'orribile memoria.
“Se credi in un dio, questo è il momento di chiedergli clemenza. Deciderà lui se sarà il caso di
concedertela” riuscì a ringhiare Lyam. Non conosceva quella voce, né quel tono, ma era certo che
quelle parole fossero uscite dalle sue labbra.
Lungi dallo spaventarsi, dall'imbestialirsi, o da avere qualunque altra reazione meramente umana, il
Dominus si lasciò andare ad una risata puramente di scherno.
“Così giovane, così ingenuo” commentò scuotendo la testa. Lo stava studiando, impassibile, quasi
annoiato, forse anche ironico, dalla pistola puntata dritta sulla sua faccia che seguiva ogni suo
minimo movimento, alle macchie di sangue sui jeans e sulla pelle. “Ma stai tranquillo, non ti
rovinerò il tuo momento di gloria. Sarà il giorno più bello della tua inutile vita, uscire da questo
Tempio con la mia testa stretta in mano, verrai acclamato da eroe, e non è questo che vuoi?”.
Sminuire le persone, privarle della loro dignità umana, dell'autostima era alle basi della politica del
Dominus. In quel modo aveva preso il controllo delle menti della gente, facendo loro credere che
non fossero abbastanza forti per combattere da soli, che avevano bisogno di qualcuno di potente che
li guidasse... che li dominasse.
Non ci sarebbe riuscito con lui. Non era più un ragazzino, niente e nessuno poteva abbindolarlo.
Non era riuscito a proteggere Anna, era un errore da principianti a cui era disposto a rimediare al
più presto.
“Il giorno più bello della mia vita, sarà quando avrai pagato per tutto il male che hai fatto alla mia
gente, quando torneremo ad essere liberi e padroni di noi stessi e delle nostre azioni” rispose Lyam
con tutta la sicurezza che il suo ruolo di comandante gli aveva conferito. Quella sicurezza che
ancora non conosceva nella sua voce, quella durezza che non era sua, che il dolore gli aveva
iniettato nell'organismo.
Fu lì che avrebbe dovuto decidersi a sparare. Ma la sua mano esitò, dando modo al Dominus di
continuare. Rise ancora, a voler sminuire totalmente i propositi del giovane che aveva di fronte, ad
umiliarlo con la sua evidente superiorità.
“Giovane ed ingenuo” ripeté ancora, gli occhi luccicavano di un divertimento crudele. “Sei proprio
convinto che quando quei rozzi dei tuoi concittadini avranno ben dilaniato il mio corpo, sarete
finalmente liberi?” fece una pausa per lasciar scorrere un'altra fragorosa risata irridente. “Non sono
il primo e non sarò l'ultimo dittatore della storia, caro il mio eroe. Passeranno anni o secoli ma ne
arriverà un altro, e quei pecoroni lo acclameranno come un dio, come l'unico in grado di stabilire
sicurezza ed ordine. Ordine e sicurezza non esistono in un mondo in cui ogni uomo possiede la sua
libertà. La gente avrà paura. Qualcuno dovrà pur prendere il mio posto. E chi meglio del nostro eroe
qui presente?” disse esibendosi in un inchino gonfio di sarcasmo.
Lyam si sentì come fosse stato lui ad essere colpito dal proiettile. Con quale coraggio osava fare
simili paragoni?
“Io non sono come te!” esclamò scacciando via quel insulto come una mosca dal naso. “Io non
pretendo alcuna autorità sulla mente e sulla vita delle persone. Non mi impongo sugli altri con la
violenza. Io non sono un assassino!”. La risata del Dominus fu se possibile ancora più forte,
colpendolo duramente.
“Il sangue che hai addosso, la pistola ed il coltello affermano il contrario” contestò accennando
vagamente ai suoi vestiti ed alle armi che aveva con sé.
Fu un colpo duro, che lo lasciò senza parole, perché in una frazione di secondo tutto divenne chiaro.
Le urla che lo avevano accecato fino a quel momento, si trasformarono in un'unica innocente voce
musicale, simile a quella che ricordava di sua sorella. Finalmente si rese conto del presente, e fu
come essersi risvegliato da un lungo sonno. Si ritrovò, senza neanche sapere come, con la pistola
puntata alla testa dell'uomo che aveva di fronte, mentre il sangue che lo macchiava sulla pelle e sui
vestiti aumentò esponenzialmente il suo peso che gravava sulla sua coscienza, diventando simile al
piombo.
Quanti uomini erano morti sotto il suo coltello? Solo allora, mentre ascoltava la voce spaventata
della sorella, se ne rendeva conto. Uomini. Esseri umani. E lui si era preso la briga di strappar loro
la vita, come avevano fatto loro con tanti altri, sicuramente, ma questo non gli dava alcun diritto di
decidere. A cosa era servita tutta quella violenza? Tutta quella sete di vendetta? Solo a riempire i
cimiteri. Anna non sarebbe tornata di certo, avrebbe solo avuto più compagni su in paradiso. Anna
non avrebbe mai voluto vederlo sotto quella luce.
Che cosa aveva fatto? Che cosa era diventato? Tanto simile al mostro che adesso torreggiava su di
lui con spietata soddisfazione di fronte al suo silenzio. Il Dominus sapeva di avere ragione.
Lyam lo odiò.
Non più per tutte le persone che aveva fatto bruciare sul rogo, non più per gli spiriti liberi che aveva
rinchiuso in gabbia, non più per i lavori forzati a cui aveva costretto tutti... ma perché dietro quelle
iridi gialle, vedeva se stesso e tutto ciò che era stato capace di fare nelle ultime ore, abbagliato
dall'inutile vendetta che adesso pesava sulla sua anima attraverso tutte le vite che aveva tolto.
Come aveva fatto a trasformarsi in un cinico assassino? Lui non voleva fare nulla di male. Lui era
nel giusto. E invece era riuscito a cadere nell'errore più profondo, diventando parte integrante del
male contro cui stava lottando. “Noi uomini siamo tutti uguali, eroe. Siamo tutti potenzialmente
capaci di compiere le stesse efferatezze e guadagnarci su. Pensi che tutti quei bambocci che hai
messo in piazza a combattere siano lì per la libertà comune? Per un unico e solido ideale? C'è e ci
sarà sempre qualcuno che spererà di guadagnare qualcosa sulla morte di altri. Come ho fatto io al
mio tempo. Anche tu sei come me. Hai guidato le tue pecore alla rivolta, hai fatto esplodere il caos
nella città, hai ucciso persone innocenti, tutto vanificato, perché la dittatura non cesserà mai di
esistere finché vivranno gli uomini...”. Esplose.
Un solo colpo, e delle sue parole, del suo viso, della sua risata, non rimase altro che un buco, dal
quale continuò a sgorgare il sangue che allagò il pavimento, che schizzò sulle pareti e macchiò il
lungo tavolo di legno.
Il corpo del Dominus si accasciò nel lago del suo stesso sangue, assorbendolo con la stoffa
dell'abito dorato.
La bocca della pistola di Lyam continuò a fumare, mentre lui osservava ad occhi sgranati un futuro
attraverso immagini sul muro della stanza.
Finito. Tutto finito. Era lì per quello, giusto? Avrebbe gettato il corpo del Dominus per strada,
lasciando che se ne occupassero vermi e cani, sarebbe stato acclamato, le persone avrebbero preteso
la sua guida per ricostruire il loro mondo, per aggiustare tutto ciò che era stato distrutto... per
ristabilire l'ordine...
Lyam cadde in ginocchio, le mani incapaci di stringere ulteriormente la pistola ed il coltello che
caddero a terra con un rumore che sembrò riecheggiare per un'eternità.
Era diventato un mostro anche lui. Non aveva affatto riportato la pace e la libertà, ma un nuovo
clima di guerra, di rivolta, in cui tutti si sarebbero scagliati contro tutti, per conquistare il loro potere
personale... Invece di insegnare loro quanto fossero sbagliate le azioni del Dominus, li aveva
esortati a pensare che l'unica via per abbatterlo fosse ritorcergliele contro.
Non aveva distrutto la dittatura, aveva semplicemente preso il posto del Dominus... e chi poteva
essere sicuro che con lui sarebbe stato diverso se proprio in quel momento si era reso conto di
essere tremendamente uguale all'uomo che aveva ucciso? Aveva sperato che uccidendo lui, sarebbe
morta anche la parte della sua personalità che aveva devastato quel ragazzo timido ed innocente che
aveva giocato ai giardinetti con la sorellina per una vita, che aveva amato Sara e che da qualche
parte nella sua anima, l'amava ancora...
Non era più sicuro di potersi fidare di se stesso, come poteva, dopo tutto quello che aveva fatto?
Sarebbe stato come fidarsi del Dominus...
Se solo ci fosse stata Anna con lui, per consigliarlo, per placare quel demone che rischiava di
liberare contro coloro che aveva voluto proteggere...
“Lyam!” urlò sollevata una voce lontana, alle sue spalle. Conosceva quella voce, e sentirla chiamare
il suo nome lo riscosse. No, non era Anna... nulla poteva riportare indietro i morti, ed i morti non
avevano alcuna influenza sulla vita delle persone. Poteva contare solo su coloro che erano ancora in
vita, e mai nella sua vita era stato tanto felice, scoprendo che lei lo era.
Alzò la testa verso di lei. La luce del sole che tramontava la illuminava completamente alle spalle,
rendendo visibile all'occhio nudo umano solo una sagoma scura, ma questo bastò perché Lyam la
riconoscesse.
“Sara!”. Era un angelo, non poteva essere diverso. Apparsa proprio nel momento in cui più aveva
bisogno di lei. La sua salvezza.
Gli corse incontro e si lasciò cadere in ginocchio accanto a lui mentre lo stringeva in un abbraccio
sollevato.
“Ti ho visto venire verso di qui e... non ti vedevo uscire più! Ho avuto paura” gli sussurrò
all'orecchio. La sentì piangere. Le accarezzò i lunghi capelli castani, incrostati di sangue e di
sporco, ma non per questo meno belli di come li ricordava. Non l'aveva mai sentita tanto vicina. “È
rimasto mio fratello in piazza...” continuò lei, sciogliendo l'abbraccio per guardarlo negli occhi con
i suoi zaffiri azzurri, rispondendo ad una domanda che Lyam non le aveva posto, e che neanche
aveva pensato di fare.
La rivolta era già finita. Tutto era stato distrutto.
Non riusciva a dire nulla. Forse non c'era niente da dire. Continuava a guardarla felice e
preoccupato insieme.
Non era riuscito a salvare Anna, ma non avrebbe mai permesso a nessuno, neanche e soprattutto a
se stesso di fare del male a lei, la sola via d'uscita che gli restava, la sola che poteva rendere falso
tutto ciò che il Dominus aveva detto. Lei lo avrebbe aiutato a mantenere il controllo e la lucidità, a
non farsi trasportare dalla brama di potere prettamente umana. Grazie a lei, molto più che a lui, gli
uomini avrebbero ripreso la loro identità, come un fiore riprende colore dopo il buio della notte.
Lyam non avrebbe dimenticato l'ultima lezione impartitagli dal Dominus. C'era molto da ricostruire,
e avrebbero dovuto farlo insieme.
   
 
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