l'attacco
Tutto successe in un istante. Un secondo prima Jake mi diceva di andare, e quello dopo ero a terra, immersa tra le macerie con qualcosa di caldo che mi colava sul viso: il mio sangue. Avevo avvertito un rumore, uno scontro assordante, come quando sei al cinema a guardare un film d'azione; solo che quello non era un film, e dopo quel colpo fu come se mi avessero strappato le orecchie dal corpo.
Tossii, respirando la polvere bianca; giaceva sul pavimento, schiacciata dal peso delle mura frantumate. Riuscivo a muovere a malapena la testa, il mio corpo era bloccato, i miei occhi offuscati dal sangue e dal fumo.
Fumo.
C'era un incendio .
Cercai di parlare, di chiedere aiuto, ma la mia voce era andata come tutto il resto di me.
-Charlie!- Mi chiamò qualcuno, doveva essere Jake, ma la sua voce mi arrivò lontana, come un eco sussurrato: il colpo di prima aveva smorzato il mio udito.
- Ti porto via da qui- Ora era più vicino, riuscivo quasi a vederlo. Sentii dei tonfi, e il peso delle macerie divenne più leggero aumentando il dolore.
Jake mi aiutò a rialzarmi, probabilmente avevo una caviglia rotta, non riuscivo a distinguere quale parte del corpo mi facesse più male.
Sentii una fitta al braccio destro, mentre Jake si portava il sinistro attorno alle spalle per aiutarmi a stare in piedi, e vidi che era coperto di sangue: un grosso pezzo di vetro mi si era conficcato nella carne.
Il ragazzo mi porto fuori dalla stanza, il calore del fuoco si faceva più forte. Sentivo delle urla, il suo di una campanella, poi Jake si fermò e con un lembo della sua manica asciugò il sangue dal mio viso. Ora la vista era più chiara.
- Dobbiamo muoverci, mi senti?- urlò lui - devi cercare di correre!
- Toglilo- risposi - dal mio braccio...
Lui guardò il taglio, poi me, come se fosse indeciso - Farà male- disse.
- Fallo.
Lui annuì, mi guardò negli occhi, poi mi disse di trattenere il respiro e, con un solo trattone, strappò il vetro dalla carne. Lanciai un urlò, ma trattenni le lacrime. Jake si tolse la felpa, me la porse e mi disse di tenerla premuta sul braccio per bloccare il sangue.
-Muoviamoci- Jake mi spinse a camminare. Aggrappata a lui la lucidità cominciava a tornare : il suono della campanella d’allarme continuava a coprire le urla degli abitanti dell’edificio; vidi pazienti e infermieri correrci attorno da una stanza all’altra, altri erano immobili, stesi sul pavimento con il sangue che sgorgava dai loro corpi o sepolti sotto le macerie.
Ci fu un secondo colpo. Era come se stessero bombardando la zona.
- Che sta succedendo?- urlai scendendo le scale più velocemente possibile.
-Dobbiamo aiutarli- dissi- Jake!- Ma lui non mi ascoltava. La porta era bloccata da qualcosa all’esterno e lui stava cercando di aprirla a forza di calci.
Sta calma , mi ripetei, ma l’agitazione venne lo stesso, insieme al panico, ed improvvisamente ero senza fiato.
- Potevamo morire - riempivo i polmoni dopo ogni parola ma era come se non riuscissi a tenerci l’aria dentro – Noi… dobbiamo aiutare quelle persone. Dobbiamo portarle fuori.
-E chi porterà fuori noi?- Era la prima volta che gli vedevo negli occhi quella rabbia. Forse aveva ragione, non potevamo aiutarli.
Riuscì ad aprire la porta e scoprimmo cos’era a bloccarla.
- L’infermiera al banco…- Al corpo mancava un braccio, il sangue, la carne, avevano inzuppato il camicie bianco e quel poco che restava della sua pelle.
Sentivo di vomitare da un momento all’altro.
-Non guardare- m’intimò lui, trascinandomi fuori in quello che restava dell’atrio.
Un’intera parete era scomparsa, c’erano fiamme, fumo, e sangue ovunque guardassi.
Questo è un massacro , pensai inorridita. Chi avrebbe mai potuto fare una cosa del genere?
-Non fermarti
Continuammo a correre verso l’uscita.
Fuori sarà tutto finito. Tutto finito, Ripetevo nella mia testa.
Ma poi ci fu un’altra esplosione, così vicina da far crollare la parete proprio accanto a me…