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Autore: Pikky    01/09/2013    5 recensioni
SPOILER di tutta la seconda stagione e lievi spoiler della TERZA
Capitan Uncino è già stato a Neverland, da ragazzino. Era un Ragazzo Sperduto che a differenza degli altri è riuscito a fuggire, anche grazie all'aiuto di una sirena, Ariel. Qualche anno dopo la ritrova nella Foresta Incantata e avrà modo di ricambiare il favore.
Tempo dopo, infine, quando torna a Neverland per trovare il modo di vendicare la morte di Milah, la ritrova per caso. Cosa succederà? Cosa li vedrà accomunati? Come potrà essergli utile nei suoi piani di vendetta contro il Coccodrillo?
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Ariel, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo Sei

 

Il freddo le penetrava fin dentro le ossa.

La cella in cui Oscar l’aveva fatta portare era senza finestre, buia e umida, e Ariel non faceva altro che tremare, avvolta in una coperta che aveva trovato ripiegata sulla brandina che doveva fungere da letto. Era lì da qualche ora eppure le sembrava che fossero trascorsi secoli, mentre attendeva il compiersi del proprio destino.

Ormai non c’era più nient’altro da fare.

Quell’attimo di esitazione nell’uccidere Oscar aveva ribaltato le carte in tavola, facendole perdere la partita. Non sarebbe tornata mai più sirena, ma le andava bene così. Non era giusto che per farlo dovesse uccidere un altro essere umano, che per riavere la propria vita di un tempo dovesse mettere fine a quella di Oscar, per quanto meschino egli fosse e per quanto lo meritasse. Ariel però non era nessuno per ergersi a giudice della vita di un uomo, né voleva trasformarsi in una spietata assassina come Oscar, che uccideva a suo piacimento per perseguire i propri scopi. Bagnandosi i piedi del suo sangue, sarebbe diventata tale e quale a lui, ma soprattutto non sarebbe stata più tanto diversa dalle sirene al servizio di Peter Pan, a Neverland. Se fosse tornata ad Atlantica da sirena e suo padre avesse saputo quel che aveva fatto per riottenere la propria coda, dubitava che l’avrebbe accolta a braccia aperte. Non era così che l’aveva educata insieme a sua madre.

Ariel era stata così accecata dal rancore e dalla vendetta da aver dimenticato per un attimo quella che era davvero. Oscar aveva ragione quando le aveva detto che lei non era come lui, eppure era stata ad un passo dal diventarlo.

Sospirò, rannicchiandosi ancora di più contro il freddo muro dietro di lei.

Non era pentita di come erano andate le cose.

Le dispiaceva soltanto di non essere riuscita a fuggire e di non aver valutato più a fondo la proposta che Killian le aveva fatto, di solcare i mari insieme a lui come membro della sua ciurma e dimenticare tutto. Non era una cattiva idea, ma lei lo aveva capito troppo tardi. Era stata troppo accecata dal dolore e dal rancore per prendere davvero in considerazione quell’ipotesi.

Si chiese cosa stesse facendo Killian in quel momento, se stesse bene, se fosse riuscito a fuggire. Le aveva detto che per un pirata come lui quelle imprese erano all’ordine del giorno, per cui doveva essersela cavata. Ariel lo sperava vivamente. Si rammaricava di averlo coinvolto nei propri guai e se gli fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.

La pesante porta di legno che chiudeva la sua cella si aprì con uno scatto, interrompendo quei pensieri. Oscar in persona fece la sua comparsa, recando un vassoio contenente una ciotola fumante e dell’acqua.

– Vostra Maestà in persona mi porta da mangiare? – domandò Ariel, fingendosi sorpresa. – Quale onore! – commentò quindi con ironia, mentre Oscar le appoggiava il vassoio sulla branda e tornava indietro per chiudere la porta, nel timore che la ragazza potesse fuggire.

Ariel si alzò e andò a sedersi sulla branda, prese fra le mani la ciotola ancora fumante e iniziò a sorbire la zuppa che essa conteneva, nel tentativo di scaldare un po’ le membra. Oscar, immobile alla porta, la osservava con espressione neutra.

– Spero che tu abbia trovato confortevole l’alloggio a te destinato – disse ironico, non appena Ariel ebbe finito di nutrirsi.

– Non c’è male, sì – stette al gioco la ragazza. – So che puoi fare di meglio, però – lo provocò dunque, incrociando le braccia. Sperava di estorcergli qualche informazione riguardo il proprio destino, usando le sue stesse armi.

– In effetti sì, e sono qui proprio per questo – ammise Oscar. – Ho riflettuto molto, questa notte – esordì. – Vedi, la tua incursione è stata completamente inaspettata. Insieme a quel delinquente, poi. Devo ammettere che ci sai fare, con gli uomini. Prima mio fratello, poi lui… Sei ammaliante, non c’è che dire – constatò, prima di interrompersi per studiare una possibile reazione di Ariel, che però non reagì alla provocazione. – Davvero eri venuta con l’intenzione di uccidermi? – domandò infine, in tono serio, inclinando lievemente la testa di lato.

– Sì – rispose Ariel, concisa. Non capiva dove quel farabutto volesse andare a parare.

– Come pensavo – borbottò Oscar, tra sé e sé. – Per quanto tu non sia riuscita nella tua impresa, trovo ammirevole il fatto che tu abbia voluto cimentarti in essa. Non ti credevo così determinata. Posso sapere cosa ti ha fatta vacillare nei tuoi propositi?

Ariel rimase in silenzio. Temeva che se avesse aperto bocca, tutto il dolore che ancora sentiva per la morte di Eric sarebbe esploso come un fiume in piena, e non poteva permetterlo. Non poteva mostrare a Oscar come l’aveva ridotta, uccidendo l’uomo che amava.

– Oh, beh… Non mi aspettavo che rispondessi – constatò Oscar, interpretando il suo silenzio. – Avrai avuto i tuoi buoni motivi, ma non è questo il punto. Devo ammettere che ieri mi sono sbagliato, quando ti ho detto che non sei come me – disse dunque, muovendo un passo verso di lei. Ariel era confusa, ma aveva messo tutti i propri sensi all’erta, intuendo che qualcosa stava per cambiare. Gli occhi di Oscar erano animati da una luce strana, quasi di bramosia. – Nel tentativo di uccidermi, hai dimostrato che il tuo animo è incline all’oscurità. È così che si comincia. È così che ci si fa ammaliare dal potere e dal male, è così che si capisce che è l’unica via per ottenere quel che si vuole.

Ariel strinse ancora di più le braccia al petto, nell’inconscio tentativo di proteggersi da quell’individuo malvagio al quale si trovava di fronte.

– Arriva al punto, Oscar – gli intimò dunque, con durezza. Non ne poteva più di tutti quei giri di parole.

– Certo, certo – convenne lui, stranamente condiscendente. – Mi sto perdendo in chiacchiere. Sono venuto qui di persona per offrirti una via di fuga, Ariel.

La ragazza lo guardò stranita, cercando di mantenere un contegno. Aveva udito bene? Che diavolo stava succedendo? Oscar per caso durante la notte si era redento e aveva deciso di ammettere i propri crimini davanti a tutto il regno, ritirando le accuse nei suoi confronti? Ne dubitava.

– Prego? – domandò dunque, perplessa.

– Oh mia cara, sei confusa, non è vero? – rise Oscar. Ariel rabbrividì senza una ragione precisa. – Un po’ lo sono anch’io, devo confessarlo. Ti ho sempre trovato bella, ma ti ho sempre vista come un ostacolo ai miei obiettivi. Ieri invece ti sei rivelata per quella che sei, per quella che potresti essere al mio fianco. È per questo che voglio offrirti una possibilità: ritirerò le accuse nei tuoi confronti, se accetti di governare al mio fianco, come mia regina.

Ariel sentì l’ira montare in sé, così intensa che dovette serrare le mani a pugno.

– Come osi? – sibilò, alzandosi in piedi per tenere testa a Oscar. – Hai ucciso tuo fratello, l’uomo che io amavo e ora mi fai questa proposta? Sei proprio senza coscienza e senza cuore come pensavo. Io non sono così, non sono come te! Nel tentativo di ucciderti ho rischiato di diventarlo, non lo nego, ma mi sono fermata. Vuoi sapere perché? Me l’hai chiesto prima ma non ho risposto. Lo farò ora, anche se dubito capirai. Ho esitato perché mi sono fermata a pensare che cosa avrebbe detto Eric, nel vedermi con un pugnale puntato contro di te. Ho esitato perché mi sono resa conto che non volevo diventare un’assassina come te, che hai ucciso sangue del tuo sangue solo per impadronirti di un trono. Avevi ragione, ieri, nel dirmi che non sono come te. Ed è per questo che rifiuto la tua via di fuga. Preferisco morire piuttosto che essere la tua regina – proferì dunque, scandendo bene l’ultima frase. Voleva che quel concetto fosse chiaro. Voleva che tutto il discorso che aveva appena pronunciato si marchiasse a fuoco nella mente di Oscar, che quelle parole lo perseguitassero negli anni a venire, finché non si sarebbe trovato in punto di morte. Si stupì lei stessa della veemenza delle proprie parole, nate dalla consapevolezza di avere dei principi a cui per un attimo aveva rischiato di venir meno.

– Preferisci morire? – ripeté Oscar, a denti stretti. – Sarai accontentata.  L’alternativa alla mia proposta è proprio la morte. Sarai decapitata domattina, all’alba, e tutto il popolo sarà invitato alla tua esecuzione. Sarò io stesso il tuo boia – stabilì infine, prima di uscire dalla cella e chiudere la porta a chiave.

Ariel fremeva ancora per l’ira e l’indignazione. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, per calmarsi e ragionare a mente lucida. Dopo qualche minuto li riaprì e si mise a sedere sulla brandina, che scricchiolò sotto il suo peso.

Oscar aveva intenzione di giustiziarla l’indomani.

Era quello il fatto principale su cui concentrarsi. Non poteva permetterlo, non poteva dargliela vinta così, non poteva dargli l’occasione di vantarsi dei propri crimini, facendoli passare per legittimi.

Doveva fuggire.

E un modo c’era.

Estrasse la propria collana da sotto la camicia che indossava e prese un respiro profondo. Non sapeva a quali effetti collaterali sarebbe andata incontro, ma valeva la pena tentare se l’alternativa era la morte per mano di quell’assassino senza cuore.

Si alzò in piedi e si avvicinò al muro che le stava di fronte.

Strinse la collana con la mano sinistra e chiuse gli occhi, visualizzando la meta, pensando a casa. Un sorriso le sorse spontaneo sulle labbra, all’immagine del palazzo di Atlantica.

Riaprì gli occhi e con la mano destra disegnò un arco, sul muro. L’ultimo tratto le risultò faticoso, dovette stringere i denti per riuscire a concludere. Sentì che le gambe le cedevano e la vista le si annebbiava, mentre la testa iniziava a girarle vorticosamente. Sperò con tutta se stessa che la collana funzionasse, che i suoi sforzi non fossero stati vani e poco dopo il portale che aveva creato iniziò a rilucere d’azzurro.

Con le ultime forze che le rimanevano in corpo mosse un passo verso esso e si lasciò cadere dentro, mentre gli occhi le chiudevano, facendola sprofondare in un nero abisso senza fine.

 

Killian era riuscito ad introdursi nel castello giocando d’astuzia.

Era solo e una strategia d’assalto sarebbe stata deleteria, facendolo finire in cella con Ariel, quando invece lui doveva tirarla fuori di lì.

Dopo essere fuggito, si era nascosto nei boschi e aveva atteso a lungo, nel tentativo di escogitare un piano. Aveva provato a riposare, ma non era riuscito a dormire se non per poche ore, talmente era preoccupato. Doveva agire il prima possibile, non poteva lasciare Ariel troppo a lungo tra le grinfie di quel farabutto.

Stava pensando alla soluzione migliore, quando aveva avvertito dei rumori in lontananza e si era arrampicato su un albero per avere una visuale migliore.

Un uomo a cavallo, vestito come le guardie del castello di Oscar, stava pattugliando il bosco, probabilmente sulle sue tracce. In quel momento il piano perfetto gli era apparso alla mente come un fulmine a ciel sereno, così aveva affrontato la guardia, aveva avuto la meglio e aveva indossato la sua armatura per poi tornare al castello di Oscar e potervi entrare senza difficoltà.

Sospirò, sperando di riuscire a trarre Ariel in salvo.

Era felice che la ragazza avesse deciso di risparmiare la vita a Oscar, ma avrebbe preferito che prendesse quella decisione in un altro momento e che questa non avesse comportato la sua cattura.

Se fosse riuscito nella propria impresa, l’avrebbe accolta nel proprio equipaggio, volente o nolente che ella fosse. Non poteva tornare a Neverland, da umana, e Killian non l’avrebbe lasciata sola nella Foresta Incantata esposta a tutti i pericoli che essa nascondeva. Le avrebbe offerto la possibilità di ricominciare da capo e di vivere una vita avventurosa.

Scosse la testa; era inutile pensare a cosa sarebbe successo dopo, doveva concentrarsi sul proprio compito.

Origliando i discorsi degli abitanti del castello era venuto a sapere che la ragazza era stata portata nelle segrete, in attesa della propria esecuzione, che sarebbe avvenuta il giorno dopo. Killian fu grato del fatto di aver agito così tempestivamente; se avesse aspettato oltre Ariel sarebbe morta e lui non se lo sarebbe mai perdonato.

Stava aspettando il momento più propizio, quando Oscar sarebbe rimasto da solo e lui avrebbe potuto assalirlo e intimargli di liberare Ariel.

All’inizio aveva pensato di farlo egli stesso, recandosi alle prigioni e forzando la porta della cella in cui la ragazza era rinchiusa, ma così facendo avrebbe creato troppo trambusto e rischiato di fallire. Sarebbe stato più opportuno minacciare Oscar e farsi accompagnare personalmente da lui alla cella per poi tramortirlo una volta liberata Ariel e scortarla fuori dal castello, ancora travestito da guardia, con la scusa che il sovrano volesse metterla alla gogna nella piazza del villaggio, prima dell’esecuzione.

Con fare sicuro, per non destare sospetti, si diresse nella camera di Oscar. Ricordava il percorso fatto la sera prima, per cui non fu troppo difficile. Avrebbe atteso che il sovrano si recasse lì per qualsiasi motivo, e poi avrebbe agito. Entrò nella stanza e si tolse l’elmo, il cui peso era divenuto opprimente e insopportabile.

Dopo un lasso di tempo che non avrebbe saputo definire, Oscar entrò nella stanza, e Killian gli fu subito addosso. Lo atterrò e gli fu sulla schiena, immobilizzandogli le braccia, per impedirgli ogni tentativo di fuga o di ribellione.

– Non dire una parola – gli intimò. – Non osare chiamare le guardie o ti spezzo l’osso del collo prima che tu possa finire la frase.

Sparrow – bofonchiò Oscar, mentre tentava di guardarlo con la coda dell’occhio.

– Ora io mi sposterò da qui e tu ti alzerai in piedi e ascolterai ciò che ho da dirti – proferì Killian. – Senza dimenticare il mio suggerimento di poco fa, ovviamente.

Il pirata si alzò e attese che Oscar facesse altrettanto, senza però smettere di puntargli contro la spada che aveva estratto dal fodero non appena si era rimesso in piedi. Il sovrano alzò le mani in segno di resa, ma con un’espressione trionfante dipinta in viso. Forse aveva ancora qualche asso nella manica, anche se Killian non immaginava quale potesse essere.

– Ti ascolto – lo invitò a parlare Oscar.

– Puoi immaginare perché io sia qui, ma te lo spiegherò comunque. Tu ora mi condurrai da Ariel e la libererai, oppure ti ucciderò. Se vuoi collaborare sarà tutto più facile e ti sarà risparmiata la vita, se non vuoi, ti ucciderò e farò da solo. Sarà tutto un po’ più complicato, ma non sono uno che si perde d’animo – disse Killian, puntando la spada alla gola dell’uomo che gli stava di fronte per rendere più chiaro il concetto.

Oscar scoppiò a ridere, di gusto.

– Credo che la comunicazione sia importante, in un rapporto – decretò, sibillino.

– Non capisco – borbottò Killian.

– Certo che non capisci – constatò Oscar, con sorriso trionfante. – Arrivi tardi per la tua amica, Sparrow.

Killian s’incupì. Che Ariel fosse già morta? Possibile che Oscar non fosse stato in grado di attendere fino all’indomani e l’avesse giustiziata con le proprie mani senza nessun pubblico ad assistere?

– L’hai uccisa? – domandò dunque, per fugare ogni dubbio.

– Sfortunatamente no – rispose Oscar, schioccando la lingua per il disappunto. – Ariel è fuggita. È un mistero; non capisco come abbia fatto. La cella in cui l’ho fatta rinchiudere era senza finestre e la porta non reca segni di forzatura.

– Come sarebbe a dire? – chiese Killian, cercando di ignorare il sospetto che stava iniziando a farsi strada nella propria mente.

– È svanita nel nulla. Letteralmente. Avrà usato la magia – spiegò Oscar, con un’alzata di spalle. – Torno proprio ora dalla sua cella, e l’ho trovata vuota.

Killian chiuse gli occhi, mentre l’ira montava in lui. Ariel aveva usato la collana per fuggire, non c’era altra spiegazione. Probabilmente era morta, e la colpa era tutta di Oscar, di quel farabutto che gli stava di fronte e che aveva rovinato la vita a colei che tanti anni prima lo aveva salvato.

Con un movimento fulmineo abbassò la spada e trafisse Oscar proprio al centro dello stomaco. Questi sgranò gli occhi per la sorpresa, prima di digrignare il volto in una smorfia di dolore.

– Maledetto! – esclamò, non appena Killian estrasse la spada dalle sue carni.

– Oh, non credo proprio – ribatté il pirata, guardandolo accasciarsi a terra. – Contrariamente ad Ariel, io non sono poi tanto diverso da te. Lei si è fatta degli scrupoli che tu non meritavi – disse, muovendo un passo verso Oscar, che ora gli dava le spalle e con una mano si stava trascinando verso il camino, mentre con l’altra si teneva la ferita. Lo raggiunse e con un calcio lo ribaltò, costringendolo a guardarlo negli occhi.

– Ti darò quel che ti meriti, Oscar – sibilò, prima di conficcargli la punta della spada nella gola, per mettere fine una volta per tutte alle sue affabulazioni.

Attese che il farabutto esalasse l’ultimo respiro, senza la minima traccia di rimorso. Non appena fu certo della sua morte, rinfoderò la spada, infilò di nuovo l’elmo e si allontanò da quella stanza indisturbato.

Aveva fatto giustizia.

Aveva saldato il debito con Ariel, rendendosi responsabile della morte di colui che l’aveva spinta ai propri limiti e che indirettamente l’aveva spinta ad uccidersi, utilizzando la propria collana.

Mentre si allontanava dal castello, tuttavia, una domanda lo tormentava.

Perché Ariel non aveva atteso che lui tornasse a salvarla?

 

Quando Ariel riaprì gli occhi si ritrovò nella propria stanza, e per un attimo credette di aver fatto soltanto un brutto sogno, che in realtà fosse trascorsa solo una notte dall’ultimo litigio con suo padre e che tutto quello che aveva passato fosse solo frutto della propria fervida immaginazione. Tuttavia, quando si mise a sedere sul proprio giaciglio, notò di avere ancora le gambe, e comprese che purtroppo era tutto reale.

Sospirò e si guardò intorno, notando che il proprio letto si trovava sotto una bolla d’aria, la quale le permetteva di respirare in tutta tranquillità pur essendo sott’acqua.

Era viva.

Era sopravvissuta, a dispetto di ogni aspettativa. Un po’ se ne rammaricava, perché la morte avrebbe posto fine alle proprie sofferenze, ma d’altro canto era grata di essere viva, di essere di nuovo a Neverland, a casa, dove forse avrebbe trovato pace. Era quello che aveva voluto fin da quando Eric era morto.

– Oh, grazie a Nettuno! – esclamò una voce ben nota, entrando nella stanza.

Ariel sorrise nel vedere il padre prendere posto accanto al letto, cercando di reprimere il ricordo di quando non molto tempo prima si era trovata in una situazione simile e al suo risveglio aveva trovato Eric ad accoglierla.

– Temevo che non ti saresti più svegliata – disse re Tritone, portando una mano all’interno della bolla d’aria per stringere la mano della figlia. – Hai dormito per giorni interi. Eri molto debole.

Ariel ricambiò la stretta del padre con vigore, mentre gli occhi le si inumidivano. Nonostante tutto, l’aveva accolta di nuovo tra le proprie braccia e accudita, senza nemmeno sapere cosa le fosse successo.

– Papà, io… - tentò di dire, ma venne sopraffatta dai singhiozzi. Si coprì il volto con le mani e poco dopo sentì il rassicurante abbraccio del padre avvolgerla per placare quella manifestazione di dolore e vi si abbandonò completamente. – Mi dispiace – fu solo in grado di dire.

– Tranquilla, figlia mia – la rassicurò re Tritone. – Non so cosa sia successo, né perché tu sia tornata qui su un paio di gambe, ma l’importante è che ora tu sia di nuovo a casa. Del resto parleremo quando te la sentirai – stabilì dunque, continuando a stringerla tra le proprie braccia.

Ariel annuì e continuò a piangere, sfogando tutto il proprio dolore, finché la stanchezza la vinse e cadde di nuovo addormentata.

Re Tritone la adagiò delicatamente sul letto e uscì dalla stanza.

Quando fu sulla soglia si voltò e guardò la figlia dormire, con un sorriso affettuoso. Era felice di rivederla, era stato tanto in pensiero per lei. Quando, il giorno dopo la loro discussione era andato in camera sua a cercarla e l’aveva trovata vuota, era stato preso dal panico e aveva temuto il peggio. Aveva subito mandato Sebastian a cercarla insieme ad altri tritoni, per giorni, finché non gli era apparso chiaro che la figlia era fuggita non solo da Atlantica ma da Neverland. Forse era stato troppo severo con lei e così facendo l’aveva indotta ad abbandonarlo.

Ora, però, Ariel era tornata. Da umana, certo, ma era lì. (1)

 

Qualche ora dopo, Ariel si svegliò di nuovo e si mise a sedere. Si voltò e trovò suo padre nella stanza, che le sorrideva.

– Come ti senti? – le chiese, con una nota di preoccupazione nella voce.

– Debole – rispose Ariel. – Ma almeno sono viva. Non credevo di farcela – aggiunse, stringendosi nelle spalle.

– Hai corso un grande rischio, infatti – la rimproverò bonariamente re Tritone. – Sei stata molto fortunata. Ti ho vista apparire dal nulla nella sala del trono, priva di sensi, e subito mi sono precipitato a soccorrerti, usando la magia del mio tridente – le spiegò. – Posso sapere dove sei stata in questi giorni? – domandò dunque, in tono delicato. – E perché sei riapparsa qui in forma umana?

Ariel sospirò. Era arrivato il momento di dire la verità a suo padre, di rivivere per l’ennesima volta tutto quello che aveva passato.

– È una storia un po’ lunga – esordì. – E non credo che ti piacerà – aggiunse in un sussurro, prima di abbassare lo sguardo e prendere un respiro profondo, dopodiché gli spiegò tutto, dall’inizio alla fine. Versò molte lacrime, e con esse sfogò molto dolore.

Gli raccontò persino di Killian, rivelandogli così anche ciò che aveva fatto quattro anni prima, aiutandolo a fuggire. Si sorprese nel vedere il padre sorridere. Non la rimproverò, se non per il fatto di essersi avventurata in territorio ostile; la lodò invece per ciò che aveva fatto per quel ragazzino. Come lei, era convinto che nessun bambino meritasse di crescere sull’Isola che non c’è tra le grinfie di Peter Pan.

Quando gli raccontò di Eric e di Oscar rimase in silenzio, limitandosi a stringerle la mano per darle conforto o ad asciugarle le lacrime col pollice.

– Sono fiero di te, Ariel – dichiarò, non appena la ragazza ebbe terminato il proprio racconto. – Sono fiero di come hai esitato di fronte all’uccisione di un essere umano, di come hai rinunciato a tornare sirena pur di non macchiarti di un orribile crimine – espresse meglio il concetto, con un sorriso. – Mi dispiace per tutto quello che hai passato.

Non… non sei arrabbiato con me? – chiese Ariel, esitante.

– No. Quando non ti ho più trovata ho temuto di averti persa per sempre, come ho perso tua madre. La rabbia che permeava il nostro ultimo incontro è presto scomparsa, sostituita dalla preoccupazione. Sono solo felice che tu sia di nuovo qui a palazzo – rispose re Tritone, con un sorriso.

– Anche se sono umana e sono costretta a restare sotto questa bolla d’aria?

– Oh, a quello possiamo rimediare – suggerì re Tritone, impugnando con la mano destra il tridente che fino a poco prima giaceva accanto alla propria coda.

– Puoi farmi tornare sirena? – chiese Ariel, speranzosa. Non aveva pensato a quell’eventualità. Sapeva che il tridente del padre era dotato di grandi poteri, ma non le era mai stato permesso chiedere troppo a riguardo e quindi ignorava le reali capacità dell’oggetto.

– Non proprio – ammise re Tritone. – La magia della Strega del Mare è una magia oscura, e io posso fare ben poco contro essa. Annullare l’effetto della sua pozione richiede un atto altrettanto oscuro (2); ecco perché quando sei tornata da lei ti ha dato quel pugnale dicendoti di uccidere un essere umano. Con il mio tridente non posso invertire del tutto l’incantesimo, ma qualcosa posso fare – spiegò.

– E cioè?

– Posso far sì che tu sia una sirena ogni volta che sei in acqua. Non appena ne sarai fuori, però, sarai umana. Avrai una doppia natura: sarai sia umana che sirena. È tutto quello che posso fare – le chiarì.

– Va bene – annuì Ariel, convinta. – Va bene – ripeté.

Le sarebbe bastato per avere la tranquillità e la pace che cercava.

 

 

 

Note:

(1)  Sì, lo so, forse vi starete chiedendo: “Ma dov’è finito il padre severo del primo capitolo?”. La risposta è semplice: per questa parte mi sono rifatta molto al cartone animato Disney. Anche lì, nonostante Ariel sia scappata di casa contravvenendo ai suoi ordini e si sia rivolta ad Ursula, verso la fine re Tritone non esita a sacrificarsi al posto della figlia, quando questa dopo aver smascherato Ursula torna sirena.

(2)  Qui mi sono ispirata a Harry Potter, quando Silente spiega a Harry che per creare gli Horcrux è necessario compiere un atto oscuro.

 

Eccomi qui con il sesto capitolo.

Chiedo scusa per il ritardo, ma ieri non sono riuscita a pubblicare perché ho avuto una giornata bella piena. Organizzare una grigliata in montagna all’ultimo momento richiede concentrazione, per cui non ho avuto tempo per rivedere il capitolo e pubblicare.

Insomma, che ve ne pare?^^

Lo so, probabilmente mi starete odiando perché ho di nuovo diviso le strade di Ariel e Killian, ma non temete. Nel prossimo capitolo torneranno ad incrociarsi.

Oscar è uscito di scena ed è tornato re Tritone; spero che il modo in cui le due cose sono avvenute sia piaciuto, anche se temo di incorrere nelle ire delle fan di Oscar xD

Come sempre ringrazio chi ha recensito, chi legge soltanto e chi mi ha inserita nelle tre categorie.^^

Spero di riuscire a pubblicare il nuovo capitolo tra una settimana; sono già a buon punto ma avendo ripreso a studiare sono un po’ titubante.

A presto :)

Sara

   
 
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