Capitolo Sei
Il
freddo le penetrava fin dentro le ossa.
La
cella in cui Oscar l’aveva fatta portare era senza finestre, buia e umida, e
Ariel non faceva altro che tremare, avvolta in una coperta che aveva trovato
ripiegata sulla brandina che doveva fungere da letto. Era lì da qualche ora
eppure le sembrava che fossero trascorsi secoli, mentre attendeva il compiersi
del proprio destino.
Ormai
non c’era più nient’altro da fare.
Quell’attimo
di esitazione nell’uccidere Oscar aveva ribaltato le carte in tavola, facendole
perdere la partita. Non sarebbe tornata mai più sirena, ma le andava bene così.
Non era giusto che per farlo dovesse uccidere un altro essere umano, che per
riavere la propria vita di un tempo dovesse mettere fine a quella di Oscar, per
quanto meschino egli fosse e per quanto lo meritasse. Ariel però non era
nessuno per ergersi a giudice della vita di un uomo, né voleva trasformarsi in
una spietata assassina come Oscar, che uccideva a suo piacimento per perseguire
i propri scopi. Bagnandosi i piedi del suo sangue, sarebbe diventata tale e
quale a lui, ma soprattutto non sarebbe stata più tanto diversa dalle sirene al
servizio di Peter Pan, a Neverland. Se fosse tornata
ad Atlantica da sirena e suo padre avesse saputo quel che aveva fatto per
riottenere la propria coda, dubitava che l’avrebbe accolta a braccia aperte.
Non era così che l’aveva educata insieme a sua madre.
Ariel
era stata così accecata dal rancore e dalla vendetta da aver dimenticato per un
attimo quella che era davvero. Oscar aveva ragione quando le aveva detto che
lei non era come lui, eppure era stata ad un passo dal diventarlo.
Sospirò,
rannicchiandosi ancora di più contro il freddo muro dietro di lei.
Non
era pentita di come erano andate le cose.
Le
dispiaceva soltanto di non essere riuscita a fuggire e di non aver valutato più
a fondo la proposta che Killian le aveva fatto, di
solcare i mari insieme a lui come membro della sua ciurma e dimenticare tutto.
Non era una cattiva idea, ma lei lo aveva capito troppo tardi. Era stata troppo
accecata dal dolore e dal rancore per prendere davvero in considerazione
quell’ipotesi.
Si
chiese cosa stesse facendo Killian in quel momento,
se stesse bene, se fosse riuscito a fuggire. Le aveva detto che per un pirata
come lui quelle imprese erano all’ordine del giorno, per cui doveva essersela
cavata. Ariel lo sperava vivamente. Si rammaricava di averlo coinvolto nei
propri guai e se gli fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
La
pesante porta di legno che chiudeva la sua cella si aprì con uno scatto,
interrompendo quei pensieri. Oscar in persona fece la sua comparsa, recando un
vassoio contenente una ciotola fumante e dell’acqua.
–
Vostra Maestà in persona mi porta da mangiare? – domandò Ariel, fingendosi
sorpresa. – Quale onore! – commentò quindi con ironia, mentre Oscar le
appoggiava il vassoio sulla branda e tornava indietro per chiudere la porta,
nel timore che la ragazza potesse fuggire.
Ariel
si alzò e andò a sedersi sulla branda, prese fra le mani la ciotola ancora
fumante e iniziò a sorbire la zuppa che essa conteneva, nel tentativo di
scaldare un po’ le membra. Oscar, immobile alla porta, la osservava con
espressione neutra.
–
Spero che tu abbia trovato confortevole l’alloggio a te destinato – disse
ironico, non appena Ariel ebbe finito di nutrirsi.
–
Non c’è male, sì – stette al gioco la ragazza. – So che puoi fare di meglio,
però – lo provocò dunque, incrociando le braccia. Sperava di estorcergli
qualche informazione riguardo il proprio destino, usando le sue stesse armi.
–
In effetti sì, e sono qui proprio per questo – ammise Oscar. – Ho riflettuto
molto, questa notte – esordì. – Vedi, la tua incursione è stata completamente
inaspettata. Insieme a quel delinquente, poi. Devo ammettere che ci sai fare,
con gli uomini. Prima mio fratello, poi lui… Sei
ammaliante, non c’è che dire – constatò, prima di interrompersi per studiare
una possibile reazione di Ariel, che però non reagì alla provocazione. –
Davvero eri venuta con l’intenzione di uccidermi? – domandò infine, in tono
serio, inclinando lievemente la testa di lato.
–
Sì – rispose Ariel, concisa. Non capiva dove quel farabutto volesse andare a
parare.
–
Come pensavo – borbottò Oscar, tra sé e sé. – Per quanto tu non sia riuscita
nella tua impresa, trovo ammirevole il fatto che tu abbia voluto cimentarti in
essa. Non ti credevo così determinata. Posso sapere cosa ti ha fatta vacillare
nei tuoi propositi?
Ariel
rimase in silenzio. Temeva che se avesse aperto bocca, tutto il dolore che
ancora sentiva per la morte di Eric sarebbe esploso come un fiume in piena, e
non poteva permetterlo. Non poteva mostrare a Oscar come l’aveva ridotta,
uccidendo l’uomo che amava.
–
Oh, beh… Non mi aspettavo che rispondessi – constatò
Oscar, interpretando il suo silenzio. – Avrai avuto i tuoi buoni motivi, ma non
è questo il punto. Devo ammettere che ieri mi sono sbagliato, quando ti ho
detto che non sei come me – disse dunque, muovendo un passo verso di lei. Ariel
era confusa, ma aveva messo tutti i propri sensi all’erta, intuendo che qualcosa
stava per cambiare. Gli occhi di Oscar erano animati da una luce strana, quasi
di bramosia. – Nel tentativo di uccidermi, hai dimostrato che il tuo animo è
incline all’oscurità. È così che si comincia. È così che ci si fa ammaliare dal
potere e dal male, è così che si capisce che è l’unica via per ottenere quel
che si vuole.
Ariel
strinse ancora di più le braccia al petto, nell’inconscio tentativo di
proteggersi da quell’individuo malvagio al quale si trovava di fronte.
–
Arriva al punto, Oscar – gli intimò dunque, con durezza. Non ne poteva più di
tutti quei giri di parole.
–
Certo, certo – convenne lui, stranamente condiscendente. – Mi sto perdendo in
chiacchiere. Sono venuto qui di persona per offrirti una via di fuga, Ariel.
La
ragazza lo guardò stranita, cercando di mantenere un contegno. Aveva udito
bene? Che diavolo stava succedendo? Oscar per caso durante la notte si era
redento e aveva deciso di ammettere i propri crimini davanti a tutto il regno,
ritirando le accuse nei suoi confronti? Ne dubitava.
–
Prego? – domandò dunque, perplessa.
–
Oh mia cara, sei confusa, non è vero? – rise Oscar. Ariel rabbrividì senza una
ragione precisa. – Un po’ lo sono anch’io, devo confessarlo. Ti ho sempre
trovato bella, ma ti ho sempre vista come un ostacolo ai miei obiettivi. Ieri
invece ti sei rivelata per quella che sei, per quella che potresti essere al
mio fianco. È per questo che voglio offrirti una possibilità: ritirerò le
accuse nei tuoi confronti, se accetti di governare al mio fianco, come mia regina.
Ariel
sentì l’ira montare in sé, così intensa che dovette serrare le mani a pugno.
–
Come osi? – sibilò, alzandosi in piedi per tenere testa a Oscar. – Hai ucciso
tuo fratello, l’uomo che io amavo e ora mi fai questa proposta? Sei proprio
senza coscienza e senza cuore come pensavo. Io non sono così, non sono come te!
Nel tentativo di ucciderti ho rischiato di diventarlo, non lo nego, ma mi sono
fermata. Vuoi sapere perché? Me l’hai chiesto prima ma non ho risposto. Lo farò
ora, anche se dubito capirai. Ho esitato perché mi sono fermata a pensare che cosa
avrebbe detto Eric, nel vedermi con un pugnale puntato contro di te. Ho esitato
perché mi sono resa conto che non volevo diventare un’assassina come te, che
hai ucciso sangue del tuo sangue solo per impadronirti di un trono. Avevi
ragione, ieri, nel dirmi che non sono come te. Ed è per questo che rifiuto la
tua via di fuga. Preferisco morire piuttosto che essere la tua regina – proferì
dunque, scandendo bene l’ultima frase. Voleva che quel concetto fosse chiaro.
Voleva che tutto il discorso che aveva appena pronunciato si marchiasse a fuoco
nella mente di Oscar, che quelle parole lo perseguitassero negli anni a venire,
finché non si sarebbe trovato in punto di morte. Si stupì lei stessa della
veemenza delle proprie parole, nate dalla consapevolezza di avere dei principi
a cui per un attimo aveva rischiato di venir meno.
–
Preferisci morire? – ripeté Oscar, a denti stretti. – Sarai accontentata. L’alternativa alla mia proposta è proprio la
morte. Sarai decapitata domattina, all’alba, e tutto il popolo sarà invitato
alla tua esecuzione. Sarò io stesso il tuo boia – stabilì infine, prima di
uscire dalla cella e chiudere la porta a chiave.
Ariel
fremeva ancora per l’ira e l’indignazione. Chiuse gli occhi e prese un respiro
profondo, per calmarsi e ragionare a mente lucida. Dopo qualche minuto li
riaprì e si mise a sedere sulla brandina, che scricchiolò sotto il suo peso.
Oscar
aveva intenzione di giustiziarla l’indomani.
Era
quello il fatto principale su cui concentrarsi. Non poteva permetterlo, non
poteva dargliela vinta così, non poteva dargli l’occasione di vantarsi dei
propri crimini, facendoli passare per legittimi.
Doveva
fuggire.
E
un modo c’era.
Estrasse
la propria collana da sotto la camicia che indossava e prese un respiro
profondo. Non sapeva a quali effetti collaterali sarebbe andata incontro, ma
valeva la pena tentare se l’alternativa era la morte per mano di
quell’assassino senza cuore.
Si
alzò in piedi e si avvicinò al muro che le stava di fronte.
Strinse
la collana con la mano sinistra e chiuse gli occhi, visualizzando la meta,
pensando a casa. Un sorriso le sorse spontaneo sulle labbra, all’immagine del
palazzo di Atlantica.
Riaprì
gli occhi e con la mano destra disegnò un arco, sul muro. L’ultimo tratto le
risultò faticoso, dovette stringere i denti per riuscire a concludere. Sentì
che le gambe le cedevano e la vista le si annebbiava, mentre la testa iniziava
a girarle vorticosamente. Sperò con tutta se stessa che la collana funzionasse,
che i suoi sforzi non fossero stati vani e poco dopo il portale che aveva
creato iniziò a rilucere d’azzurro.
Con
le ultime forze che le rimanevano in corpo mosse un passo verso esso e si
lasciò cadere dentro, mentre gli occhi le chiudevano, facendola sprofondare in
un nero abisso senza fine.
Killian era riuscito
ad introdursi nel castello giocando d’astuzia.
Era
solo e una strategia d’assalto sarebbe stata deleteria, facendolo finire in
cella con Ariel, quando invece lui doveva tirarla fuori di lì.
Dopo
essere fuggito, si era nascosto nei boschi e aveva atteso a lungo, nel
tentativo di escogitare un piano. Aveva provato a riposare, ma non era riuscito
a dormire se non per poche ore, talmente era preoccupato. Doveva agire il prima
possibile, non poteva lasciare Ariel troppo a lungo tra le grinfie di quel
farabutto.
Stava
pensando alla soluzione migliore, quando aveva avvertito dei rumori in
lontananza e si era arrampicato su un albero per avere una visuale migliore.
Un
uomo a cavallo, vestito come le guardie del castello di Oscar, stava
pattugliando il bosco, probabilmente sulle sue tracce. In quel momento il piano
perfetto gli era apparso alla mente come un fulmine a ciel sereno, così aveva
affrontato la guardia, aveva avuto la meglio e aveva indossato la sua armatura
per poi tornare al castello di Oscar e potervi entrare senza difficoltà.
Sospirò,
sperando di riuscire a trarre Ariel in salvo.
Era
felice che la ragazza avesse deciso di risparmiare la vita a Oscar, ma avrebbe
preferito che prendesse quella decisione in un altro momento e che questa non
avesse comportato la sua cattura.
Se
fosse riuscito nella propria impresa, l’avrebbe accolta nel proprio equipaggio,
volente o nolente che ella fosse. Non poteva tornare a Neverland,
da umana, e Killian non l’avrebbe lasciata sola nella
Foresta Incantata esposta a tutti i pericoli che essa nascondeva. Le avrebbe
offerto la possibilità di ricominciare da capo e di vivere una vita avventurosa.
Scosse
la testa; era inutile pensare a cosa sarebbe successo dopo, doveva concentrarsi
sul proprio compito.
Origliando
i discorsi degli abitanti del castello era venuto a sapere che la ragazza era
stata portata nelle segrete, in attesa della propria esecuzione, che sarebbe
avvenuta il giorno dopo. Killian fu grato del fatto
di aver agito così tempestivamente; se avesse aspettato oltre Ariel sarebbe
morta e lui non se lo sarebbe mai perdonato.
Stava
aspettando il momento più propizio, quando Oscar sarebbe rimasto da solo e lui
avrebbe potuto assalirlo e intimargli di liberare Ariel.
All’inizio
aveva pensato di farlo egli stesso, recandosi alle prigioni e forzando la porta
della cella in cui la ragazza era rinchiusa, ma così facendo avrebbe creato
troppo trambusto e rischiato di fallire. Sarebbe stato più opportuno minacciare
Oscar e farsi accompagnare personalmente da lui alla cella per poi tramortirlo
una volta liberata Ariel e scortarla fuori dal castello, ancora travestito da
guardia, con la scusa che il sovrano volesse metterla alla gogna nella piazza
del villaggio, prima dell’esecuzione.
Con
fare sicuro, per non destare sospetti, si diresse nella camera di Oscar.
Ricordava il percorso fatto la sera prima, per cui non fu troppo difficile.
Avrebbe atteso che il sovrano si recasse lì per qualsiasi motivo, e poi avrebbe
agito. Entrò nella stanza e si tolse l’elmo, il cui peso era divenuto
opprimente e insopportabile.
Dopo
un lasso di tempo che non avrebbe saputo definire, Oscar entrò nella stanza, e Killian gli fu subito addosso. Lo atterrò e gli fu sulla
schiena, immobilizzandogli le braccia, per impedirgli ogni tentativo di fuga o
di ribellione.
–
Non dire una parola – gli intimò. – Non osare chiamare le guardie o ti spezzo
l’osso del collo prima che tu possa finire la frase.
–
Sparrow – bofonchiò Oscar, mentre tentava di
guardarlo con la coda dell’occhio.
–
Ora io mi sposterò da qui e tu ti alzerai in piedi e ascolterai ciò che ho da
dirti – proferì Killian. – Senza dimenticare il mio
suggerimento di poco fa, ovviamente.
Il
pirata si alzò e attese che Oscar facesse altrettanto, senza però smettere di
puntargli contro la spada che aveva estratto dal fodero non appena si era
rimesso in piedi. Il sovrano alzò le mani in segno di resa, ma con
un’espressione trionfante dipinta in viso. Forse aveva ancora qualche asso
nella manica, anche se Killian non immaginava quale
potesse essere.
–
Ti ascolto – lo invitò a parlare Oscar.
–
Puoi immaginare perché io sia qui, ma te lo spiegherò comunque. Tu ora mi
condurrai da Ariel e la libererai, oppure ti ucciderò. Se vuoi collaborare sarà
tutto più facile e ti sarà risparmiata la vita, se non vuoi, ti ucciderò e farò
da solo. Sarà tutto un po’ più complicato, ma non sono uno che si perde d’animo
– disse Killian, puntando la spada alla gola
dell’uomo che gli stava di fronte per rendere più chiaro il concetto.
Oscar
scoppiò a ridere, di gusto.
–
Credo che la comunicazione sia importante, in un rapporto – decretò, sibillino.
–
Non capisco – borbottò Killian.
–
Certo che non capisci – constatò Oscar, con sorriso trionfante. – Arrivi tardi
per la tua amica, Sparrow.
Killian s’incupì. Che
Ariel fosse già morta? Possibile che Oscar non fosse stato in grado di
attendere fino all’indomani e l’avesse giustiziata con le proprie mani senza
nessun pubblico ad assistere?
–
L’hai uccisa? – domandò dunque, per fugare ogni dubbio.
–
Sfortunatamente no – rispose Oscar, schioccando la lingua per il disappunto. – Ariel
è fuggita. È un mistero; non capisco come abbia fatto. La cella in cui l’ho
fatta rinchiudere era senza finestre e la porta non reca segni di forzatura.
–
Come sarebbe a dire? – chiese Killian, cercando di
ignorare il sospetto che stava iniziando a farsi strada nella propria mente.
–
È svanita nel nulla. Letteralmente. Avrà usato la magia – spiegò Oscar, con
un’alzata di spalle. – Torno proprio ora dalla sua cella, e l’ho trovata vuota.
Killian chiuse gli
occhi, mentre l’ira montava in lui. Ariel aveva usato la collana per fuggire,
non c’era altra spiegazione. Probabilmente era morta, e la colpa era tutta di
Oscar, di quel farabutto che gli stava di fronte e che aveva rovinato la vita a
colei che tanti anni prima lo aveva salvato.
Con
un movimento fulmineo abbassò la spada e trafisse Oscar proprio al centro dello
stomaco. Questi sgranò gli occhi per la sorpresa, prima di digrignare il volto
in una smorfia di dolore.
–
Maledetto! – esclamò, non appena Killian estrasse la
spada dalle sue carni.
–
Oh, non credo proprio – ribatté il pirata, guardandolo accasciarsi a terra. –
Contrariamente ad Ariel, io non sono
poi tanto diverso da te. Lei si è
fatta degli scrupoli che tu non meritavi – disse, muovendo un passo verso
Oscar, che ora gli dava le spalle e con una mano si stava trascinando verso il
camino, mentre con l’altra si teneva la ferita. Lo raggiunse e con un calcio lo
ribaltò, costringendolo a guardarlo negli occhi.
–
Ti darò quel che ti meriti, Oscar – sibilò, prima di conficcargli la punta
della spada nella gola, per mettere fine una volta per tutte alle sue
affabulazioni.
Attese
che il farabutto esalasse l’ultimo respiro, senza la minima traccia di rimorso.
Non appena fu certo della sua morte, rinfoderò la spada, infilò di nuovo l’elmo
e si allontanò da quella stanza indisturbato.
Aveva
fatto giustizia.
Aveva
saldato il debito con Ariel, rendendosi responsabile della morte di colui che
l’aveva spinta ai propri limiti e che indirettamente l’aveva spinta ad
uccidersi, utilizzando la propria collana.
Mentre
si allontanava dal castello, tuttavia, una domanda lo tormentava.
Perché Ariel
non aveva atteso che lui tornasse a salvarla?
Quando
Ariel riaprì gli occhi si ritrovò nella propria stanza, e per un attimo credette di aver fatto soltanto un brutto sogno, che in
realtà fosse trascorsa solo una notte dall’ultimo litigio con suo padre e che
tutto quello che aveva passato fosse solo frutto della propria fervida
immaginazione. Tuttavia, quando si mise a sedere sul proprio giaciglio, notò di
avere ancora le gambe, e comprese che purtroppo era tutto reale.
Sospirò
e si guardò intorno, notando che il proprio letto si trovava sotto una bolla d’aria,
la quale le permetteva di respirare in tutta tranquillità pur essendo sott’acqua.
Era
viva.
Era
sopravvissuta, a dispetto di ogni aspettativa. Un po’ se ne rammaricava, perché
la morte avrebbe posto fine alle proprie sofferenze, ma d’altro canto era grata
di essere viva, di essere di nuovo a Neverland, a
casa, dove forse avrebbe trovato pace. Era quello che aveva voluto fin da
quando Eric era morto.
–
Oh, grazie a Nettuno! – esclamò una voce ben nota, entrando nella stanza.
Ariel
sorrise nel vedere il padre prendere posto accanto al letto, cercando di
reprimere il ricordo di quando non molto tempo prima si era trovata in una
situazione simile e al suo risveglio aveva trovato Eric ad accoglierla.
–
Temevo che non ti saresti più svegliata – disse re Tritone, portando una mano
all’interno della bolla d’aria per stringere la mano della figlia. – Hai
dormito per giorni interi. Eri molto debole.
Ariel
ricambiò la stretta del padre con vigore, mentre gli occhi le si inumidivano.
Nonostante tutto, l’aveva accolta di nuovo tra le proprie braccia e accudita,
senza nemmeno sapere cosa le fosse successo.
–
Papà, io… - tentò di dire, ma venne sopraffatta dai
singhiozzi. Si coprì il volto con le mani e poco dopo sentì il rassicurante
abbraccio del padre avvolgerla per placare quella manifestazione di dolore e vi
si abbandonò completamente. – Mi dispiace – fu solo in grado di dire.
–
Tranquilla, figlia mia – la rassicurò re Tritone. – Non so cosa sia successo,
né perché tu sia tornata qui su un paio di gambe, ma l’importante è che ora tu
sia di nuovo a casa. Del resto parleremo quando te la sentirai – stabilì
dunque, continuando a stringerla tra le proprie braccia.
Ariel
annuì e continuò a piangere, sfogando tutto il proprio dolore, finché la
stanchezza la vinse e cadde di nuovo addormentata.
Re
Tritone la adagiò delicatamente sul letto e uscì dalla stanza.
Quando
fu sulla soglia si voltò e guardò la figlia dormire, con un sorriso affettuoso.
Era felice di rivederla, era stato tanto in pensiero per lei. Quando, il giorno
dopo la loro discussione era andato in camera sua a cercarla e l’aveva trovata
vuota, era stato preso dal panico e aveva temuto il peggio. Aveva subito
mandato Sebastian a cercarla insieme ad altri tritoni, per giorni, finché non
gli era apparso chiaro che la figlia era fuggita non solo da Atlantica ma da Neverland. Forse era stato troppo severo con lei e così
facendo l’aveva indotta ad abbandonarlo.
Ora,
però, Ariel era tornata. Da umana, certo, ma era lì. (1)
Qualche
ora dopo, Ariel si svegliò di nuovo e si mise a sedere. Si voltò e trovò suo
padre nella stanza, che le sorrideva.
–
Come ti senti? – le chiese, con una nota di preoccupazione nella voce.
–
Debole – rispose Ariel. – Ma almeno sono viva. Non credevo di farcela –
aggiunse, stringendosi nelle spalle.
–
Hai corso un grande rischio, infatti – la rimproverò bonariamente re Tritone. –
Sei stata molto fortunata. Ti ho vista apparire dal nulla nella sala del trono,
priva di sensi, e subito mi sono precipitato a soccorrerti, usando la magia del
mio tridente – le spiegò. – Posso sapere dove sei stata in questi giorni? –
domandò dunque, in tono delicato. – E perché sei riapparsa qui in forma umana?
Ariel
sospirò. Era arrivato il momento di dire la verità a suo padre, di rivivere per
l’ennesima volta tutto quello che aveva passato.
–
È una storia un po’ lunga – esordì. – E non credo che ti piacerà – aggiunse in
un sussurro, prima di abbassare lo sguardo e prendere un respiro profondo,
dopodiché gli spiegò tutto, dall’inizio alla fine. Versò molte lacrime, e con
esse sfogò molto dolore.
Gli
raccontò persino di Killian, rivelandogli così anche
ciò che aveva fatto quattro anni prima, aiutandolo a fuggire. Si sorprese nel
vedere il padre sorridere. Non la rimproverò, se non per il fatto di essersi
avventurata in territorio ostile; la lodò invece per ciò che aveva fatto per
quel ragazzino. Come lei, era convinto che nessun bambino meritasse di crescere
sull’Isola che non c’è tra le grinfie di Peter Pan.
Quando
gli raccontò di Eric e di Oscar rimase in silenzio, limitandosi a stringerle la
mano per darle conforto o ad asciugarle le lacrime col pollice.
–
Sono fiero di te, Ariel – dichiarò, non appena la ragazza ebbe terminato il
proprio racconto. – Sono fiero di come hai esitato di fronte all’uccisione di
un essere umano, di come hai rinunciato a tornare sirena pur di non macchiarti
di un orribile crimine – espresse meglio il concetto, con un sorriso. – Mi dispiace
per tutto quello che hai passato.
–
Non… non sei arrabbiato con me? – chiese Ariel,
esitante.
–
No. Quando non ti ho più trovata ho temuto di averti persa per sempre, come ho
perso tua madre. La rabbia che permeava il nostro ultimo incontro è presto
scomparsa, sostituita dalla preoccupazione. Sono solo felice che tu sia di
nuovo qui a palazzo – rispose re Tritone, con un sorriso.
–
Anche se sono umana e sono costretta a restare sotto questa bolla d’aria?
–
Oh, a quello possiamo rimediare – suggerì re Tritone, impugnando con la mano
destra il tridente che fino a poco prima giaceva accanto alla propria coda.
–
Puoi farmi tornare sirena? – chiese Ariel, speranzosa. Non aveva pensato a
quell’eventualità. Sapeva che il tridente del padre era dotato di grandi
poteri, ma non le era mai stato permesso chiedere troppo a riguardo e quindi
ignorava le reali capacità dell’oggetto.
–
Non proprio – ammise re Tritone. – La magia della Strega del Mare è una magia
oscura, e io posso fare ben poco contro essa. Annullare l’effetto della sua
pozione richiede un atto altrettanto oscuro (2); ecco perché quando sei tornata
da lei ti ha dato quel pugnale dicendoti di uccidere un essere umano. Con il
mio tridente non posso invertire del tutto l’incantesimo, ma qualcosa posso
fare – spiegò.
–
E cioè?
–
Posso far sì che tu sia una sirena ogni volta che sei in acqua. Non appena ne
sarai fuori, però, sarai umana. Avrai una doppia natura: sarai sia umana che
sirena. È tutto quello che posso fare – le chiarì.
–
Va bene – annuì Ariel, convinta. – Va bene – ripeté.
Le
sarebbe bastato per avere la tranquillità e la pace che cercava.
Note:
(1) Sì, lo so,
forse vi starete chiedendo: “Ma dov’è finito il padre severo del primo
capitolo?”. La risposta è semplice: per questa parte mi sono rifatta molto al
cartone animato Disney. Anche lì, nonostante Ariel sia scappata di casa contravvenendo
ai suoi ordini e si sia rivolta ad Ursula, verso la fine re Tritone non esita a
sacrificarsi al posto della figlia, quando questa dopo aver smascherato Ursula
torna sirena.
(2) Qui mi sono
ispirata a Harry Potter, quando
Silente spiega a Harry che per creare gli Horcrux è
necessario compiere un atto oscuro.
Eccomi
qui con il sesto capitolo.
Chiedo
scusa per il ritardo, ma ieri non sono riuscita a pubblicare perché ho avuto
una giornata bella piena. Organizzare una grigliata in montagna all’ultimo
momento richiede concentrazione, per cui non ho avuto tempo per rivedere il
capitolo e pubblicare.
Insomma,
che ve ne pare?^^
Lo
so, probabilmente mi starete odiando perché ho di nuovo diviso le strade di
Ariel e Killian, ma non temete. Nel prossimo capitolo
torneranno ad incrociarsi.
Oscar
è uscito di scena ed è tornato re Tritone; spero che il modo in cui le due cose
sono avvenute sia piaciuto, anche se temo di incorrere nelle ire delle fan di
Oscar xD
Come
sempre ringrazio chi ha recensito, chi legge soltanto e chi mi ha inserita
nelle tre categorie.^^
Spero
di riuscire a pubblicare il nuovo capitolo tra una settimana; sono già a buon
punto ma avendo ripreso a studiare sono un po’ titubante.
A
presto :)
Sara