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Autore: Medea00    01/09/2013    5 recensioni
Raccolta in cui sono contenute tutte le OS che ho scritto per le Seblaine Sundays e l'iniziativa domeniche a tema, organizzata dal gruppo Seblaine Events. Tutti i rating e i generi che mi passano per la testa.
23/06: Supernatural!AU
30/06: Babysitting
21/07: Dystopic!AU
1/09: Aeroporto
15/09: Magia
22/09: Literature!AU
6/10: 4 canzoni del tuo Ipod
20/10: Raffreddore
27/10: Scommessa
17/11: Esame andato male
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa fanfiction partecipa all'iniziativa domeniche a tema organizzata dal gruppo Seblaine Events.


 






“Mi ripeta per l’ennesima volta il concetto di ‘volo cancellato’.”
Sebastian stava affrontando quel discorso da mezz’ora, ormai. Con le mani appoggiate sul bancone, il piccolo trolley di marca abbandonato da un lato, il primo bottone della camicia slacciato per via del caldo, del nervosismo, del sonno e del tic che gli prendeva spesso quando non sapeva su cos’altro mettere le mani. Fissava l’assistente di volo con i suoi occhi freddi, cercando di trasmetterle tutto il suo crescente odio. Ma lei restò impassibile, mentre controllava il suo monitor gigantesco dall’altro capo del bancone, raddrizzandosi gli occhiali sottili: “Mi dispiace, ma non posso farci niente.”
“Dispiace a lei?” Soffiò acido: “E io adesso come ci vado in Francia, me lo spiega? Salgo su un unicorno e cavalco un arcobaleno?”
Dio, quanto odiava gli aeroporti.
 
Lo sapeva che non avrebbe dovuto prendere quel maledetto volo. E al diavolo se sua sorella era incinta e voleva festeggiare Natale con tutta la famiglia a Parigi, lui aveva un lavoro, una vita sociale, una vita sessuale e per quelle vacanze aveva pianificato un programma da urlo: uscire per locali, fare sesso, dormire, mangiare, fare di nuovo sesso, fare castelli di carta, finire di leggere quel libro iniziato otto mesi fa e mandare mail minatorie al suo capo, fingendosi un terrorista israeliano. Ah, e fare sesso. Invece, nella mattina della vigilia, si trovava all’aeroporto di New York, primo di una fila di centosessanta persone creta da lui stesso, a imprecare in tutte le lingue che conosceva contro la compagnia aerea e quelle stupide previsioni meteo.
Ma dai, fanno soltanto due gocce!”
“Signore, guardi.” La signorina con gli occhiali gli indicò la grande vetrata alla sua sinsitra, dalla quale si aveva una perfetta visuale dell’aeroporto e degli arei fermi. “È in corso la peggior bufera degli ultimi centocinquant’anni!”
“E allora? È solo acqua ghiacciata, che diavolo. Spendete tanti soldi per i vostri aereoplanini e poi non sapete gestire un po’ di neve. A che diavolo lo pago il biglietto in prima classe se non mi fate viaggiare? Per farmi bere champagne scadente e guardare hostess in minigonna di cui, francamente, m’importa una ricca se-“
“Signor Smythe”, lo interruppe bruscamente, adesso, con tono decisamente alterato. “Tutti i voli sono cancellati. Questo è il suo biglietto provvisorio, le faremo sapere quando sarà possibile imbarcarsi. Ci sono tantissimi negozi, bar e ristoranti, perchè non si trova qualcosa da fare nel frattempo?”
Qualcosa da fare? Ma stava scherzando, vero? Lui doveva essere in Francia. In. Francia.
“Mi sembra un’ottima idea”, proferì gelido, per un attimo, illudendo la signorina che lo guardò speranzosa. “Potrei pettinare le bambole. O controllare se l’orologio batte due volte la stessa ora. Oh, potrei anche piangermi addosso per l’estinzione dei Dodo. Uccelli affascinanti i Dodo, lo sa? Beh, a dire il vero, tutti gli uccelli sono affascinanti, non so se mi spiego, ma questa è un’altra storia.” L’assistente lo guardò a metà tra l’allibito e il disgustato: “Adesso smetta di intasare la fila, le persone dietro di lei sono stanche delle sue polemiche.”
Sebastian si voltò verso la fila interminabile alle sue spalle: stavano inveendo e parlando tra di loro, offendendolo sottovoce e battendo nervosamente i piedi a terra; avevano gli occhi stanchi, le gambe pesanti, le braccia intorpidite dalle borse e valigie e il volto scuro dalla rabbia, sembravano più esausti di lui.
“E al popolo?”
“Lei è davvero un maleducato.” Sbottò l’assistente. “Se ne vada. Ora!”
Pessima, pessima mossa. Gli aveva appena fornito la possibilità di risponderle a tono su un piatto d’argento.
“Non mi va. Sa cosa mi va di fare? Voglio parlare di quanto sia imbarazzante la sua incompetenza, che ne dice?”
“Come osa!” Spalancò la bocca in modo tanto teatrale quanto ridicolo: “Io non le permetto di insultarmi!“
“Signorina, la prego. Ha iniziato lei. E mi creda, la sua voce stridula ha già scheggiato la maggior parte dei miei neuroni, per fortuna ne ho tanti. Ma no, ha ragione, non dovrei permettermi di parlare male di persone inferiori a me. Mi fate quasi tenerezza.” Mormorò, con una punta di dispiacere, ergendosi con la testa e passandosi una mano trai capelli. “Dopotutto non è certo colpa sua se Madre Natura è stata così vile da donarle dei capelli stopposi, dei denti storti, o delle orribili zampe di gallina che cerca inutilmente di coprire con degli occhiali che non usa nemmeno mia nonna, e un trucco che la fa assomigliare a Nicki Minaj. Oh, no, non pianga, la prego, ecco, tenga un dollaro. Si sente meglio, ora? Vuole scrivere una letterina a Babbo Natale?”
 “Oh mio Dio, la vuoi piantare?”
Fu allora che si sorprese, e non poco, di sentire una voce esterna al piccolo dialogo, una voce fuori dal coro di quella fila chilometrica che si era esposta in modo particolarmente deciso e interessante. Era una voce calda, giovanile e, dal tono seccato, piuttosto divertente.
Per il primo secondo fece finta di non scorgere quel ragazzo alto quasi la metà di lui, con i capelli riccioli e scuri, gli occhi chiari che, probabilmente, volevano guardarlo male – che tenero – e le labbra serrate in una smorfia, mentre guadagnava lentamente la sua attenzione.
“Ah.” Fece Sebastian, dopo averlo squadrato dall’alto – molto alto - verso il basso. “Scusa, hai bisogno di qualcosa?”
“Vorrei chiederti la stessa cosa. Ti credi molto simpatico a fare il prepotente con una ragazza?” Gli rispose lui, continuando a guardarlo fisso negli occhi. I suoi avevano un colore particolare. “Gli aerei non partono, te l’ha detto ottanta volte, quindi o sei sordo o semplicemente non ci arrivi.”
Bene bene bene. Finalmente qualcuno che faceva finta di tenergli testa.
“L’unica cosa che non riesco a sentire è la tua voce”, Sorrise Sebastian, “Perchè sei troppo basso e non mi arriva bene. Sai, problemi di interferenze radio.”
Lo vide sbottare in una risata leggera, una di quelle piacevoli, disimpegnate, non aveva un suono fastidioso, sembrava quasi divertirsi esattamente quanto lui.
“Va bene, ho capito.” Sebastian venne ignorato con una tranquillità disarmante; il ragazzo gli passò accanto, porgendo un fazzoletto alla signorina in lacrime e sussurrando: “Va meglio? Vuoi un po’ d’acqua?”
“Oh. Ma dai. Non ci credo.” Sebastian incrociò le braccia al petto. “Sono mortificato”, Mentì, “Non volevo offendere la tua amichetta.”
“Cosa?” Si voltò verso di lui con un sopracciglio inarcato: “Amica? Non la conosco nemmeno.”
Adesso fu lui a dire, soprendentemente: “Che cosa? E allora che diavolo vuoi?”
“Si chiama gentilezza. Una parola a te del tutto sconosciuta, mi pare, visto che sai soltanto prendere in giro le persone e lamentarti per ore.”
“Sei un missionario?”
L’altro ragazzo strabuzzò gli occhi, preso completamente in contropiede: “Che cosa?! No!”
“E allora perchè diavolo hai l’istinto da crocerossina? Fatti i fatti tuoi.”
Purtroppo per lui, quella conversazione non terminò in quel preciso istante, come sperato. Tutto il contrario: quel ragazzo si piazzò di fronte a lui, gli occhi ben piantati sui suoi, e non importava quanti centimetri di differenza ci fossero tra di loro, non sembrava curarsene affatto mentre affilava le parole come se fossero lame di una spada, e parlava a denti stretti senza nemmeno prendere il tempo di respirare.
“Stammi a sentire. Sono quaranta minuti che sto facendo la fila soltanto per chiedere a questa ragazza se sia possibile ottenere un rimborso del biglietto, e sto aspettando che tu finisca con il tuo monologo di come il mondo sia brutto e cattivo, e di quanto tu sia troppo ottuso per renderti conto che fuori c’è una tormenta, i voli non partono, non andrai a quella bendetta Parigi fino a quando non te lo dice lei e sai cosa? Spero ti rinchiudano in Francia, spero che tu prenda un volo di sola andata perchè sei un ragazzo arrogante, prepotente, polemico, insopportabile e Dio, non sei il primo e non sarai sicuramente l’ultimo a perdere un volo il giorno della Vigilia. Quindi fatti da parte, fai un cruciverba, allacciati le scarpe, qualunque cosa, ma trovati qualcosa da fare e fai scorrere questa maledetta fila.”
Beh, qualcuno qui aveva gli artigli ben affilati. Si fece da parte giusto di un passo, mentre lo vide avvicinarsi alla signorina e chiederle quel famoso rimborso di cui parlava, con un tono completamente diverso da prima.
“Mi dispiace”, Sentì rispondere dall’assistente, “Non possiamo rimborsare i voli in Economica.”
Economica?
“Oh Dio.” Ridacchiò Sebastian, “Mi sono beccato la ramanzina da un plebeo?”
Vide l’altro ragazzo afferrare la valigia, prima di scostarlo quanto bastava per poter passare e abbandonare la folla di persone.
“Se eri così ricco ti pagavi un jet e volavi quando ti pareva, aristocratico.”
Avrebbe dovuto arrabbiarsi, forse: nient’affatto. Nell’esatto momento in cui squadrò quel fondoschiena decisamente interessante penso che, sì, aveva appena trovato cosa fare per il resto della giornata.
 
 
“Quindi.”
Quando si sedette esattamente di fronte a Blaine, intento a leggere un cruciverba con aria impegnata, per un momento non venne minimamente considerato. Si schiarì la voce, aggiustandosi il colletto della camicia e approfittando di quei secondi per squadrarlo senza riserve: quel ragazzo non era proprio niente male, con i suoi riccioli folti che cadevano sulla fronte, le labbra carnose, gli occhi grandi ed espressivi. Come aveva detto di chiamarsi? Oh, non lo aveva detto. Spiò il cartellino attaccato al suo bagaglio a mano, e riuscì a leggervi, grazie ai suoi dieci decimi, il nome Blaine Anderson scritto frettolosamente con inchiostro blu.
“Piacere.” Godendosi il suo sguardo di sorpresa, misto a confusione, misto a irritazione totale, gli offrì la destra: “Sebastian Smythe.”
“Che ci fai qui?!”
“Non lo so, siamo in una caffetteria, tu cosa dici? Avevo intenzione di noleggiare una mongolfiera e fare il giro del mondo.”
“Non intendevo...” Lo vide mordersi un labbro, scrollando appena la testa e allontanando, finalmente, il giornalino. Un punto per Smythe.
“... Che ci fai qui, seduto davanti a me?”
Dopo una breve pausa, si strinse nelle spalle: “Volevo fare due chiacchiere, Blaine. Dopotutto abbiamo ancora molte ore buca da riempire.”
Prese consapevolezza del fatto che gli piacesse quel nome; gli piaceva come scivolasse sulla sua lingua in modo così fluido e invitante, come un piccolo segreto sussurrato a fior di labbra. Era dolce, ma non melenso; gli donava alla perfezione. Anche Blaine se ne accorse, tanto che si ritrovò ad arrossire leggermente, mentre sviava i suoi grandi occhi chiari verso il tavolino di vetro bianco: “Come... come fai a sapere il mio nome?”
Non ci era arrivato? Sebastian si ritrovò a sorridere per i suoi stessi pensieri: quella sua innocenza era tanto adorabile quanto... eccitante. Molto eccitante.
“Sono bravissimo a indovinare le cose. Ad esempio, posso indovinare il motivo per cui non vuoi parlare con me.”
Blaine inarcò un sopracciglio, piuttosto scettico: “Non ho mai detto che non voglio parlare con te... ma, comunque, non ci vuole un genio per capire che non mi hai fatto una buona impressione, prima.”
“Devi perdonarmi. Tendo a diventare irascibile quando degli incompetenti si mettono in mezzo alla mia strada.”
Forse non doveva dirlo. L’espressione di Blaine diventò ancora più cinica e, per un attimo, temette di aver perso l’attenzione guadagnatasi, dal momento che tornò a leggere impassibile il cruciverba. Seguiva con il dito la linea da indovinare e, corrispondendo alla definizione, lesse: “Iniziali del terzo presidente.”
“Thomas Jefferson”, sbottò annoiato. “Ma quali cruciverba hai preso, quelli delle giovani marmotte? È sin troppo facile.”
“Come facevi a saperlo?” Chiese improvvisamente incuriosito Blaine, mentre riempiva le caselle con le iniziali e facendole quadrare con le altre definizioni.
“Il fatto che sia un ragazzo con poca pazienza e ancora meno voglia di discutere con dipendenti incapaci di fare il loro lavoro”, Commentò Sebastian, orgoglioso, “Non fa di me un ignorante.”
“No di certo. Ma sicuramente fa di te uno snob.”
Con un piccolo ghigno, avvicinandosi un po’ di più alla sua parte del tavolo, disse solo: “Ognuno ha i suoi difetti. Ma ho anche un sacco di pregi, come hai potuto ben vedere.”
“Cosa?” Di nuovo, distorse lo sguardo dal giornale. Due a zero per lui; beccati questa, Jefferson. “Fino ad ora ho visto soltanto che sai il nome del terzo presidente.”
“So anche il tuo.” Gli fece l’occhiolino; Blaine, arrossendo un altro poco, roteò gli occhi al cielo, ma Sebastian continuò: “E so anche che ti piaccio.”
Ecco, quello fu un passo più lungo della gamba. Forse. Perchè Blaine era diventato improvvisamente di tutti i colori e, beh, se quella penna avesse potuto parlare, si sarebbe di certo lamentata di quanto la stesse stringendo.
“Questa è una menzogna”, Balbettò, cercando di assumere un tono deciso, “Non è affatto vero.”
“Te l’ho detto, Blaine.” Il suo sorriso si faceva sempre più serafico, mentre con la coda dell’occhio si divertiva a immaginare quella pelle olivastra nascosta dal colletto della polo. “Sono molto bravo a indovinare le cose; e non mi ci è voluto molto per capire che mi trovi attraente.”
“Che cosa?! No, ti sbagli.”
“Da come stai torturando quel cruciverba”, ghignò, “Non si direbbe.”
Jefferson l’avrebbe perdonato per quello.
“Andiamo, Blaine.” Lo incitò, mellifluo. Si appoggiò completamente allo schienale della sedia, appoggiandosi con un braccio al tavolo, mettendo in rilasto il suo fisico asciutto e slanciato: “Oseresti dire che non sono bello?”
Per un attimo credette di aver colto nel segno; Blaine lo fissò a lungo, studiando i lineamenti del suo volto, gli occhi verdi, le labbra sottili, le gambe lunghe da modello. Probabilmente da un momento all’altro avrebbe cominciato a deglutire a vuoto e balbettare qualche scusa, perché sicuramente si poteva dire qualsiasi cosa di Sebastian Smythe, ma non che fosse bello. Uno stronzo, forse, e anche un po’ meschino; ma, insomma, doveva pur compensare in qualche modo tutta la sua bellezza e intelligenza.
 “Sebastian”, lo sentì proferire, con un filo di voce. Aveva un modo tutto suo di pronunciare il suo nome, e questo, sorprendentemente, gli piacque molto. “Io-voglio dire.”
Ah. Un’esitazione?
Tre a zero per Smythe. Ormai poteva anche arrivare direttamente ai supplementari.
“Non ci conosciamo nemmeno, e la prima impressione che ho avuto di te è stata che sei un idiota.“
“E la mia prima impressione su di te è stata che sei un polemico, permaloso, petulante ragazzo con il ciclo. Ma ehi, errare è umano.”
Se avesse potuto, sicuramente Blaine lo avrebbe trafitto con quella penna.
“Però hai un bel culo”, Commentò Sebastian, godendosi la sua faccia allibita, “E questo tuo atteggiamento da scolaretto in calore è... troppo eccitante.”
Dopo quella frase, la risposta fu repentina: “Io non farò sesso con te.”
“Come no?”
Ma allora, di che stavano parlando, si poteva sapere?!
“Perchè diavolo pensavi che mi sono seduto qui, scusa? Per finire il tuo cruciverba?”
“Oh mio Dio.” Blaine chiuse il giornale con uno scatto, alzandosi per andare a buttare il bicchiere vuoto di caffè e prendersi un momento di pausa. Sebastian lo fissò per tutto il tempo, gli occhi puntati su quel fondoschiena che, davvero, più lo vedeva e più gli provocava scariche di adrenalina per tutto il corpo. Sarebbe stato davvero un peccato se, alla fine di quella giornata orrenda, non lo avesse saggiato. Per questo motivo restò alquanto deluso quando Blaine, tornando a sedere, disse: “Prima di tutto: io e te non ci conosciamo. Seconda cosa: devo passare altre cinque ore in questo aeroporto, quindi, gradirei tornare a casa senza seccatori di turno.”
Seccatore? Lui?!
“Terza cosa”, Concluse: “L’aeroporto è pieno di persone, e tu... insomma, non hai problemi a trovare qualcun altro con cui passare il tempo, no?”
“Quindi hai appena ammesso che mi trovi attraente.”
“Ma hai sentito almeno una cosa di quello che ti ho detto?!”
“Certo, hai detto che non ci conosciamo, rimedieremo subito.”
“Ma io non voglio-”,
“E va bene, va bene.” Sebastian alzò le mani in aria, come per arrendersi. Dio, che nervi. “Va bene, non ci proverò con te. Ma già che ci siamo, perchè non facciamo due chiacchiere, mentre aspettiamo il volo? Scommetto che quel cruciverba puoi finirlo anche un’altra volta.”
Blaine sospirò, ma si sistemò meglio sulla sedia, accavallando le gambe e dedicandogli tutta la sua attenzione.
“Perfetto”, lo sfidò, “Hai detto che sei bravo a indovinare, no? Sentiamo cosa hai da dire su di me.”
Sebastian non riuscì a trattenere un sorriso: dopotutto non era affatto male, quel ragazzo. Riusciva quasi a tenergli testa e, francamente, era una qualità da sottolineare. Giocherellò con il tappo della penna scivolata dalle dita di Blaine, senza smettere di guardarlo negli occhi. “Dunque, ti chiami Blaine.”
“E fin qui”, Scherzò lui, “Sono capace anche io di leggere il nome sulla valigia.”
Oh. Beh, un punto per lui; ne aveva ancora due, di vantaggio.
“Stai tornando a casa.”
“Ma questo te l’ho detto io!”
“Giusto”, Affermò, “Ma non hai detto che la tua casa è... in Florida.”
“No.”
“In California.”
“Per niente.”
“In Venezuela centrale!”
“Che-Ma nient’affatto! Sono dell’Ohio.”
“OHIO?” Esclamò: “Chi diavolo vive in Ohio? Esistono ancora delle forme di vita in quel posto per sfigati?!”
Blaine fece una smorfia talmente espressiva da risultare un commento più che eloquente. Ok. Forse aveva toppato e aveva incassato un altro goal, ma era ancora sopra di un punto.
“Ad ogni modo”, Continuò, “A questo punto mi sembra chiaro che torni a casa per le vacanze, per andare a trovare i tuoi genitori.”
“No.”
Che cosa?! Ma che diavolo-
“Il tuo... ragazzo?” Domandò con una vena di incertezza, fino a quando Blaine non scoppiò in una risata leggera e rispondendo piano ed esitando per un secondo: “No, no, nessun ragazzo.”
“Oh. Bene. No perchè, sappi che non è un problema per me, se non lo è per te, ma comunque, ok.”
Quella chiarificazione era alquanto inutile, in effetti. Insomma, figuriamoci se a uno come Sebastian Smythe importasse davvero lo stato sentimentale di un ragazzo petulante e polemico, che faceva cruciverba in un aeroporto.
Non poteva interessargli. Non doveva interessargli. Non gli interessava.
Appoggiò un gomito sul bancone e sfoggiò il miglior sorriso strafottente del suo repertorio: “Vai a trovare tuo zio.”
“No.”
Non mutando la sua espressione di una virgola, non si perse d’animo e riprovò dicendo: “Tua nonna.”
“No!”
“Il tuo cane che non ti vede da otto anni e che aspetta ogni giorno alla stazione che tu arrivi.”
“Che cos-NO, Sebastian, vado a trovare Cooper, mio fratello maggiore.”
“Oh. Fratello. Certamente.” Commentò Sebastian, con un tono del tutto neutro e una mano sotto al mento.
Fratello! Maledizione, come diavolo aveva fatto a non pensarci!
E Blaine continuava a guardarlo con un sorriso sempre più divertito, mentre giungeva, pesante come un’incudine, la consapevolezza che aveva recuperato tutti i punti fino a raggiungere il suo stesso livello. Erano ai calci di rigore adesso: non poteva commettere passi falsi.
“Facciamo una scommessa”, Esordì, sporgendosi verso di lui e affilando il suo sorriso: “Se io indovino il lavoro che fai, ti fai offrire un altro caffè, ma stavolta in un bar che si possa chiamare tale e senza bufere di neve che ci fanno saltare i nervi.”
Blaine non rispose; forse stava valutando la sua offerta, forse stava ammirando i suoi occhi verdi. Fatto sta che, alla fine, con una voce incredibilmente bassa che gli fece venire i brividi, lo guardò sornione e sussurrò: “Vorresti... vuoi uscire con me?”
Maledizione.
“No. No. Che cosa stai dicendo? Certo che no. Io non esco con i ragazzi. Non ho tempo da perdere in queste cose da bambini.”
Blaine sembrò alquanto deluso da quella risposta, ma si strinse nelle spalle, accarezzando un’orecchia del suo cruciverba e pensando ad alta voce: “Beh, sei passato da ‘facciamo sesso adesso e subito’ a ‘ti offro un caffè’. È comunque un progresso.”
Mei-dei. Mei-dei. Huston, abbiamo un problema. Doveva recuperare lo svantaggio. Ora. Subito.
“Sebastian, mi aiuteresti a finire il cruciverba?”
Blaine alzò lo sguardo con i suoi grandi occhi nocciola, verdi, dorati, non riusciva ancora a decifrarli, che lo guardavano esattamente come un cucciolo guarda il suo padrone. E Dio mio, ma ce l’aveva almeno il porto d’armi per quei cosi? Erano illegali, maledizione. Illegali e soprattutto scorretti.
“Io non faccio cruciverbi.” Sbottò stizzito. “Non li ho mai fatti e non li farò mai.”
“Per favore...”
Illegali. Completamente illegali.
Lo sentì esultare con un “Grazie!” Solo quando si accorse, troppo tardi, di aver annuito involontariamente con la testa. Maledetto linguaggio del corpo. Vide Blaine sfogliare quel giornalino come se stesse scartando un pacco regalo, ricercando il cruciverba di prima e mordicchiando con fare concentrato il tappo della penna. Sebastian non si era nemmeno accorto di averlo fissato per almeno un minuto, fino a quando non lo sentì leggere ad alta voce una definizione: “La metà di cerchio.”
“Semicerchio.”
Blaine ridacchiò appena, scrivendo qualcosa dentro le caselle: “No, è ‘rc’.”
“Che? Che diavolo sarebbe ‘rc’?”
“La metà di cerchio”, Ribattè lui. Sebastian resistette all’impulso di battersi una mano in fronte.
“Ma che razza di giochino per bambini è?”
“Devi leggere tra le righe, Sebastian.” Il suo sorriso era così divertito, così dolce, così... particolare, che a Sebastian, per un momento, non gli importò nemmeno più di tanto di quale fosse la risposta alla definizione.
Ma restava pur sempre Sebastian Smythe. E lui non fa mai figuracce.
“Quattro lettere”, Esordì Blaine: “Si mette in bocca.”
“Pene.”
“Cibo.” Lo ignorò repentino, diventando color rosso porpora. “Cibo. Passiamo alla prossima.”
Sebastian si sporse un po’ di più sul tavolo, appoggiandosi con i gomiti e inclinando leggermente la testa per osservare meglio Blaine. Quel giochino cominciava a farsi molto interessante.
“Undici verticale: lo fa la pecora.”
“Mettersi a novanta?”
Sebastian!”
“Ritiro tutto quello che ho detto su questo cruciverba, non è affatto per bambini. Dove l’hai preso, a un sexy shop?”
“No-assolutamente no, sei-sei tu che continui a inventarti cose ass-“
“Visto che ho fatto?” Chiese raggiante, “Ho letto tra le righe. Devi leggere tra le righe, Blaine. È molto più divertente.”
“Oh Dio, non voglio nemmeno ascoltarti. Non ti sto ascoltando.”
Erano a pochi centimetri di distanza, tanto che riuscì a scorgere ogni dettaglio del suo viso, alle labbra serrate, alle lunghe ciglia scure rivolte verso il basso, sfiorandogli appena le guance rosse. Non lo stava nemmeno guardando negli occhi per quanto era imbarazzato, e quella cosa era ancora più adorabile.
Poi, tutto ad un tratto, un rumore acustico proveniente dagli altoparlanti attirò la loro attenzione: il tabellone dei voli, prima completamente vuoto, adesso si stava riempiendo man mano di imbarchi e informazioni sui gate, pronti, finalmente, per la tanto attesa partenza.
Il tono di Blaine si fece un po’ più timido, mentre scorgeva la destinazione “Parigi” lampeggiare sul tabellone: “Hanno fatto prima del previsto.”
“Già. A quanto pare.”
Sebastian si voltò per un attimo, come per avere una conferma ufficiale di quello che stava succedendo: doveva andarsene.
Si scambiarono una veloce occhiata, poi, di nuovo, evitarono di guardarsi. Blaine teneva lo sguardo basso, la smorfia evidente sul viso che non si preoccupava minimamente di nascondere; quel cruciverba, tutto ad un tratto, era diventato così noioso. Così poco importante.
“Oh beh.”
Sebastian glielo sfilò dalle mani insieme alla penna, per poi fargli l’occhiolino. Blaine, che aveva già intuito dove volesse arrivare, sfoggiò un sorriso così grande, così bello, che a Sebastian per un momento mancò la terra sotto ai piedi. Ed era alquanto buffo, considerando che si trovassero in aeroporto.
“Tanto ormai sono già in ritardo, no?”


   
 
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