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Autore: Strega_Mogana    02/09/2013    9 recensioni
Perché la vita a volte ti mette in ginocchio e hai bisogno di una mano per rialzarti.
A volte la persona che tende quella mano è la più inaspettata.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus, Ron/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Altro sorriso per la mia riaccolta e, come al solito, é uscito molto, ma molto più lungo del previsto. Per intendeci all'inizio la storia doveva essere solo l'ultimo pezzo. XD

Rialzarsi

Hermione Granger aveva una vita strana.
Per prima cosa era una strega. E non una strega qualsiasi. Era la migliore amica di Harry Potter, l’eroe del mondo magico.
Aveva visto un cane gigante a tre teste, giocato in una scacchiera gigante. Si era trasformata accidentalmente in un gatto, era stata pietrificata da un Basilisco. Aveva viaggiato nel tempo e aiutato un criminale a scappare dai Dissennatori. Era stata la ragazza di un famoso giocatore di Quidditch. Aveva fondato con Harry e Ron un gruppo segreto e combattuto al Ministero quando ancora non era maggiorenne.
Aveva combattuto contro serpenti, troll e Mangiamorte.
Hermione Granger portava al collo una catenina. Non era una catenina come tutte le altre, non aveva un ciondolo comune, ma due fedi. Due fedi nuziali per la precisione.
Sua e di suo marito.
Erano passati quasi cinque anni dalla fine della guerra. Anni di pace e di tranquillità per il mondo magico, ma non per lei.
Lei, Harry e Ron si erano divisi quando la scuola aveva riaperto un anno dopo la battaglia finale. Lei aveva finito gli studi, era sempre stato uno dei suoi più grandi desideri. Era stato un settimo anno tranquillo, quasi noioso a dirla tutta, ma era felice di potersi concentrare sullo studio senza la presenza costante di Harry o Ron che le chiedevano di copiare i compiti. Era stato bello studiare fino a notte fonda senza dare spiegazioni a nessuno.
Era stato un anno piacevole.
Presi i M.A.G.O. lei e Ron si erano sposati subito, erano giovani, follemente innamorati ed ancora entusiasti per la fine della guerra. Erano convinti che nulla poteva accadere dopo quello che avevano passato.
Invece Hermione si era ritrovata a rimpiangere i giorni passati nella tenda in mezzo ai boschi a mangiare funghi molli e panini freddi.
Il loro matrimonio era stato felice, pieno di risate, amore e molta passione, ma breve.
Troppo breve.
Dopo soli due anni Ron si era ammalato. Una malattia rara nel mondo magico e sconosciuta in quello Babbano. Era stato straziante vederlo stare male, la malattia glielo aveva strappato dalle braccia in pochi mesi.
Si era ritrovata vedova ancora prima di compiere trent'anni.
Dopo il funerale si era chiusa in casa ignorando tutto e tutti. Aveva pianto per settimane, divisa tra il divano e il letto. Sentendosi in colpa per non averlo salvato, per aver scelto di diventare una paladina degli elfi domestici – come scherzosamente la chiamava lui – invece che medimaga.
Forse avrebbe potuto salvarlo, trovare una cura o avere più tempo per stare insieme.
Invece l'aveva visto spegnersi senza poter fare nulla di veramente utile, e nonostante Ron avesse sorriso e scherzato fino all'ultimo, era stata per lei un'agonia senza fine.
Dopo un mese, dove aveva chiuso porte e finestre, rimandato indietro ogni gufo che le arrivava e staccato il telefono Babbano, si era vista piombare in casa Molly, sua madre, Ginny e Fleur. Tutte molto preoccupate.
Si era sentita tremendamente in colpa anche per loro.
Non voleva dare altri pensieri, non voleva che si preoccupassero dopo quello che era successo.
Così aveva iniziato a fingere, giorno dopo giorno. Aveva ripreso il lavoro, aveva ripreso a mangiare normalmente, usciva per fare lunghe passeggiate, partecipava alle cene alla Tana col sorriso, spesso ridendo.
Aveva funzionato per un po', di giorno sorrideva e cercava di vivere, la notte sprofondava nel letto e piangeva fino ad addormentarsi. Quando aveva bisogno di sentirlo vicino indossava un suo pigiama.
Le cose erano precipitate quando Ginny aveva annunciato la sua gravidanza.
Si era congratulata con l'amica promettendole di andare per negozi a comprare tutine e accessori per il piccolo. Aveva finto fino a quando non era arrivata a casa, si era spogliata ed era entrata in doccia. Non appena l'acqua l'aveva colpita era scoppiata a piangere, in ginocchio sul piatto della doccia, ed aveva continuato fino a quando il vapore caldo non le aveva tolto il respiro.
Lei e Ron avevano sempre desiderato avere dei figli, ma ritenevano di essere ancora troppo giovani per una tale responsabilità. Aveva sempre immaginato di avere una figlia con gli occhi di lui e le sue lentiggini, l’avrebbe chiamata Rose come la sua nonna, perché era un nome dolce che le lasciava sempre il sorriso sulle labbra. Ron aveva sempre immaginato un figlio maschio, un piccolo ribelle con i capelli rossi, asso nel Quidditch, voleva chiamarlo Hugo come uno dei più famosi portieri dei Cannoni di Chudley.
Erano ricordi felici, ma che la torturavano.
Quando si era vista allo specchio, bagnata fin nelle ossa, con gli occhi rossi e gonfi si era vista invecchiata di dieci anni in poco meno di un anno, così aveva deciso che le serviva aiuto.
Nel Ministero e al San Mungo c'erano parecchi gruppi di incontro per aiutare chi aveva perso una persona cara durante la guerra o nei successivi anni, ma non poteva parteciparvi.
Che le piacesse o meno era considerata una celebrità nel mondo magico e tutti erano sempre con le orecchie tese in cerca di un suo punto debole. I pettegolezzi si sprecavano e l’ultima cosa che le serviva era un imbarazzate articolo della Skeeter che metteva in dubbio la sua integrità emotiva.
Così aveva cercato nel mondo Babbano. C’era un centro vicino a Diagon Alley con dei corsi di supporto per chi aveva perso qualcuno in situazioni tragiche o improvvise. Si era iscritta certa che nessuno l’avrebbe mai riconosciuta e, soprattutto, all’insaputa di tutti, nella speranza di trovare l'aiuto e il sostegno di cui sentiva la necessità.
Il primo Giovedì che si era presentata si era sentita a casa, felice di poter parlare con persone che non la conoscevano e dove poteva dire e piangere quanto voleva.
Era stato bello e liberatorio.
Al secondo incontro aveva fatto una sconcertante scoperta.
Lui.
Severus Piton
faceva parte del gruppo.
Non lo vedeva da tre anni, dall’ultima commemorazione in onore di Silente e degli altri caduti in guerra.
Era stato Harry a trovarlo ancora in vivo nella stamberga. Aveva combattuto tra la vita e morte per un lungo periodo, ma poi era guarito. Almeno fisicamente. C’erano voluti due anni e quando lei e Ron si erano sposati, lui era uscito dal San Mungo. Aveva lasciato la scuola nelle mani della McGranitt e aveva venduto la casa a Spinner’s End. Aveva rilevato la farmacia a Diagon Alley e la gestiva continuando a distillare pozioni.
Decisamente un futuro insolito per il mago che, da solo, aveva portato sulle spalle un peso enorme.
Durante la riunione del gruppo era stato in disparte, silenzioso come sempre. Hermione gli aveva lanciato qualche occhiata, era sempre nella rigida posizione di quando era a scuola. Perfino lo sguardo era lo stesso, forse solo più cupo.
Finita la serata si era avvicinata titubante.
- Sono sorpresa di vederla qui, professor Piton.
- Non sono più professore. – sibilò lui freddo bevendo una sorsata del caffè annacquato che offrivano.
- Cosa ci fa qui?
Lo vide staccare le labbra sottili dal bicchiere di plastica e lanciarle un’occhiataccia.
Effettivamente era una domanda stupida.
- Mi piace il caffè. – rispose acidamente prima di girare i tacchi e uscire dalla piccola stanza prenotata dal gruppo.
Nonostante i vestiti scuri da Babbano che indossava il portamento di Piton era sempre lo stesso.
Da quella volta Hermione pensava di non vederlo più, invece fu sempre presente. Ogni Giovedì era seduto su quell'unica sedia nell'angolo. Beveva quell'orrido caffè e restava in silenzio.
Aveva chiesto qualche informazione ad una donna che aveva perso il figlio in un incidente stradale e le aveva detto che Severus partecipava alle riunioni da molto tempo, ma che parlava pochissimo. Era un grande ascoltatore, l'unica volta che l'aveva sentito parlare era stato l'anno prima, all'anniversario della morte della donna che aveva perduto. Era rimasta colpita dal quello che aveva udito, ma non aveva indagato oltre. Con quello che aveva passato aveva imparato che ognuno doveva gestire il dolore a modo proprio. E Severus Piton conviveva con quel dolore da oltre vent'anni.
Gli incontri erano continuati e entrambi partecipavano come se non si fossero mai visti.
Lei parlava molto, si sfogava, si confidava. Lui restava in silenzio. Beveva il caffè, l'espressione impenetrabile. Quando lei parlava si sentiva il suo sguardo addosso, ma non si era mai più voltata a guardarlo.
Sei mesi dopo la prima riunione e dopo quasi due anni dalla morte di Ron, aveva accettato di uscire con un funzionario dell'Ufficio della Regolamentazione di Manufatti Incantati. Un bell'uomo che le faceva una corte spietata da svariati mesi.
Era stata una serata piacevole, lo conosceva bene ed era stato bello parlare e camminare mano nella mano, come due adolescenti.
Si erano baciati in un piccolo vicolo accanto al ristorante e lui l'aveva invitata a casa sua.
Quando era rientrata nel suo appartamento con il vestito sgualcito, l'acconciatura ormai del tutto disfatta e senza trucco si era sentita una traditrice.
Durante la riunione di quel Giovedì aveva pianto per tutto il tempo, definendosi una sgualdrina.
Finito l'incontro e le lacrime, rimasta sola in quella stanza con il senso di colpa e un macigno sul cuore, Piton le si era avvicinato.
- Ti offro un caffè decente.- non era neppure un vero invito, ma piuttosto le era sembrato un ordine.
L'aveva seguito comunque, non voleva tornare in quella casa vuota, aveva bisogno di compagnia. Andava bene anche quella silenziosa di Piton.
Era stato strano seguirlo in quella strada Babbana, del tutto a suo agio, perfettamente mimetizzato con gli altri passanti. L'aveva seguito in una piccola caffetteria, lo vide ordinare due caffè e, dall'espressione della cassiera, Hermione si era rese conto che Severus Piton era un frequentatore assiduo di quel modesto locale. Quando le porse il suo caffè d'asporto lo seguì fino ad una panchina non molto lontano, dava sulla strada e l'aria era invasa dal mormorio della folla alle loro spalle e dal frastuono delle auto davanti a loro.
- Ci viene spesso qui? - gli domandò togliendo il tappo di plastica dal bicchiere e annusando l'aroma del caffè.
- Ogni Giovedì. - rispose lui bevendo un piccolo sorso fumante – Mi aiuta a riflettere.
Hermione lanciò un'occhiata ai passanti alle loro spalle e alla auto davanti.
- Qui? Con tutto questo chiasso?
- Sono abituato ad una scuola piena di adolescenti con i problemi più disperati, Granger. Questa è quiete.
Restarono in silenzio mentre bevevano il caffè e osservavano le macchine e la folla sul marciapiede dall'altra parte della strada.
- Da quanto va al gruppo di sostegno? - gli chiese senza aspettarsi realmente una risposta.
- Tre anni.
- Dalla commemorazione?
- Sì. - soffiò lui nel bicchiere – Ho deciso che era arrivato il momento di andare avanti. In un modo o nell'altro...
- E c'è riuscito?
- Ho l'aspetto di uno che c'é riuscito? - domandò cinico.
Calò di nuovo il silenzio su quella panchina.
Tornò a bere il suo caffè – che, in effetti, era buono – e si concentrò sulle macchine.
Si rese conto che era facile concentrarsi nonostante la confusione.
- Mi piace pensare che Ron sia in un posto migliore. - confessò tenendo lo sguardo fisso su un taxi fermo al semaforo – So che lui non vorrebbe che io stia così male, che non viva più una vita vera ed intensa. Sono certa che se lui mi guardasse ora mi direbbe che sto solo perdendo tempo a piangermi addosso e che dovrei essere felice per quello che abbiamo avuto anche se per poco tempo.
Piton non rispose subito, fissava la folla che entrava e usciva dalla metropolitana e beveva ad intervalli regolari.
- E' più probabile che Weasley sia in fila per qualche infinito buffet. - sentenziò senza guardarla.
Hermione si era voltata di scatto a fissarlo, avrebbe voluto urlargli contro che non si doveva permettere di parlare così di Ron. Che non lo conosceva. Che lui era molto più di quello che credeva.
Aprì la bocca per replicare, ma, invece di urlare, scoppiò a ridere.
Una vera risata, di cuore e pancia, una di quelle che non faceva da due anni.
Rise così forte che Piton si guardò attorno imbarazzato dal suo atteggiamento e questo alimentò ancora di più la sua ilarità. Continuò a ridere forte fino a quando non le fece male la pancia, la mascella e gli occhi iniziarono a lacrimare.
Ed era così bello e liberatorio che non avrebbe mai voluto smettere.
Ci vollero dieci minuti buoni per quietare i singhiozzi.
- Ha ragione. - fece asciugandosi gli occhi – In effetti i sentimenti di Ron tendevano a passare prima dallo stomaco.
Il silenzio li avvolse si nuovo come una calda coperta.
Si alzarono quando entrambi avevano finito il loro caffè.
- Come si fa ad andare avanti? A dimenticare un amore così profondo?
- Lo stai chiedendo alla persona sbagliata. - rispose lui mentre si dirigevano verso Diagon Alley – Credo, - disse poi quando arrivarono al Paiolo Magico – che il segreto sia ricominciare da capo. Come un nuova vita. E portare sempre nel proprio cuore una piccola parte di quell'amore, ma provare ad aprirsi anche agli altri. Non lasciare che quell'amore ti avveleni cuore e anima.
- E' più facile con le parole che con i fatti.
- Se non fosse stato un amore sincero e profondo non si soffrirebbe così tanto.
- Una nuova vita... ricominciare... - borbottò lei riflessiva.
Quando superarono il muro fecero un altro pezzo di strada, si avvicinava l'ora di cena e, per fortuna, la strada principale era poco affollata.
Arrivati al bivio che li avrebbe divisi Hermione gli tese una mano. Piton la fissò.
- Piacere,- gli disse con un sorriso sulle labbra – mi chiamo Hermione.
Un sopracciglio sottile del mago si inclinò verso l'alto. La fissò ancora per qualche istante poi ricambiò la stretta con una presa salda.
- Piacere, Hermione. - rispose – Io sono Severus.

* * * *


Era iniziata così un’amicizia di poche parole.
Si incontravano solo al Giovedì al gruppo di sostegno, lei parlava e lui restava in silenzio nell’angolo. Poi uscivano insieme.
Andavano al piccolo bar a prendere il caffè e si sedevano sulla panchina.
A volte parlavano, altre restavano in silenzio a bere caffè e a fissare la vita che scorreva fuori dal loro mondo.
Alcune volte, quando era di buon umore, si portava un libro e ne leggeva qualche pagina.
Libri frivoli, spesso d'amore, con storie banali e scontate, che Severus demoliva con poche semplici parole.
Era piacevole avere compagnia. Aveva imparato a conoscere uno dei maghi più burberi di Hogwarts e, ammise a se stessa, era sempre affascinante notare qualche sfumatura del comportamento di Piton che ignorava quando era stata una sua studentessa.
Non si era mai soffermata troppo sulla vita dei suoi ex docenti, per lei il professore era un essere leggendario che nasceva già adulto e professore. Come se si materializzasse all'improvviso dietro una cattedra. Era assurdo, se lo diceva da sola. Ma gli studenti non vogliono conoscere la vita sociale dei propri professori così come i figli non vogliono conoscere la vita sessuale dei genitori.
La prima volta che lo incontrò al di fuori delle riunioni fu un Giovedì sera.
Era andata ad aprire con James in braccio intento a bere il latte dal biberon. Vide Severus inarcare un sopracciglio di fronte a quella insolita scena.
- Potter è vittima di una fattura di rimpicciolimento?
Hermione ridacchiò e strinse il bambino che aveva in braccio.
- E' James.- spiegò facendo entrare il mago e mettendo a terra il piccolo di poco più di un anno che riprese a vagare per casa finendo il latte.
- Era quello che temevo. - ammise lui osservando il bambino improvvisamente interessato ad un cruciverba – Perché lo tieni tu?
- Ginny si è presentata questo pomeriggio sull'orlo di una crisi di nervi. James è una piccola peste. Lei e Harry avevano bisogno di qualche ora di silenzio.
Come se avesse capito il piccolo Potter iniziò a correre attorno al divano con la tettarella in bocca.
- James no! - fece Hermione correndogli dietro, ma il piccolo era veloce e riusciva a schivarla con facilità – James non si corre! E' pericoloso! Hai il biberon in bocca!
Ma il bambino non ne voleva sapere, riusciva ad infilarsi tra un mobile e altro ridacchiando e sputazzando il latte.
- Potter! – gridò Severus, il bambino si bloccò di colpo e lo fissò – Ora siediti sul tappeto e finisci il tuo latte. In silenzio!
Il piccolo lo scrutò curioso, si tolse il biberon dalla bocca e fece tremolare il labbro inferiore in vista di un capriccio.
Piton gli puntò contro un lungo dito.
- Non. Ci. Provare. - lo intimò severamente.
James, a questo punto, si sedette sul tappeto e indicò la televisione con la manina paffuta.
- Solo per mezz'oretta. - acconsentì Hermione con un sorriso accendendo l’apparecchio e cercando un cartone animato da fargli vedere.
Mentre il piccolo malandrino finiva il suo latte, Hermione e Severus andarono in cucina a prendere una tazza di caffè.
- E' per questo che non sei venuta al gruppo, oggi?
- Sì, - ammise lei con un sospiro stanco – mi hanno preso alla sprovvista e non ho saputo dire di no. Di solito sta alla Tana con Victoire, ma le è venuto il morbillo e Ginny non voleva esporre ulteriormente il bambino al virus. – prese due tazze e le appoggiò sul tavolo - Grazie per prima, è tutto il pomeriggio che continuo a dire la parola no, ma lui finge di non capire. Sai come si trattano i bambini.
- No, - la corresse sedendosi – so come trattare i Potter.
La seconda volta che gli aveva aperto la porta del suo appartamento era stata un paio di settimane dopo, quando aveva saltato un'altra riunione del gruppo.
Quando Severus la vide arricciò le labbra trattenendo un sorriso divertito.
- Non c’è nulla da ridere. – aveva detto in tono duro lasciandolo entrare.
Indossava in pesante pigiama di due taglie in più, aveva i capelli raccolti alla bene e meglio e il corpo ricoperto di puntini pruriginosi.
Piton si era diretto subito in cucina e aveva fatto apparire con un colpo di bacchetta una fiala, una bottiglia dal collo lungo e un contenitore.
- Il contenuto di questa fiala, - le disse indicando la fiala più piccola – versala nell’acqua calda quando farai il bagno, lenirà il prurito. Bevi questa pozione, - continuò indicando la bottiglia – per una settimana anche se i puntini sono spariti. E questa, - finì prendendo in mano il barattolo – è una crema. Mettila nei punti dove senti più fastidio.
- Al momento l’unica cosa che mi da fastidio,- rispose lei incrociando le braccia al petto cercando di assumere un tono minaccioso - è quel sorriso che fingi di nascondere.
- Sei poco credibile con la faccia coperta di puntini e il pigiama con disegnate delle pecore.
- Stai attento Severus Piton, potrei decidere di starnutirti addosso.
Lui non replicò, ma si guardò attorno.
- Da quanto non mangi? - le domandò a bruciapelo notando la cucina pulita.
- Ho finito l’ultima porzione di pasticcio di carne che mi ha preparto Molly ieri sera.
- E tua madre?
- Mio padre non ha mai avuto il morbillo. Mamma non vuole venire perché potrebbe passarglielo, come ha fatto James con me.
- E tu non cucini?
- L'odore del cibo mi fa venire la nausea.
Lo sentì sospirare e iniziare ad arrotolarsi le maniche della camicia che indossava.
- Vai a farti un bagno caldo, usa la fiala e io ti preparo qualcosa.
Non aveva avuto le forze di controbattere, era andata in bagno e aveva preparato il bagno. Si era immersa nell'acqua calda e aveva lasciato che la pozione lenisse quel maledetto prurito che la stava uccidendo. Quando uscì dal bagno si sentiva meglio, aveva indossato un pigiama pulito e senza disegni imbarazzanti. Si era messa sul divano dove Severus le aveva fatto comparire una calda coperta. Lo sentiva muoversi in cucina e pensò che era bello sentire di nuovo rumore in quella casa. Iniziò a torturare la catenina che aveva al collo riflettendo sulla situazione.
Sull'uomo che c'era nell'altra stanza e quello che provava per lui.
Si era addormentata immersa nei suoi pensieri, quando si era svegliata la casa era in penombra e silenziosa. Non sapeva quando aveva dormito, ma era certa che Severus non fosse più nel suo appartamento.
Il tavolo della cucina era stato apparecchiato per uno e una pentola era sul fornello spento.
Sul piatto c'era un pezzetto di pergamena.
Saprò se non hai mangiato.
Bevi la pozione.
Severus

La terza volta che lo vide al di fuori delle riunioni fu il suo turno di andare da lui. Si era presentata un pomeriggio nel suo negozio. Ricordava un posto lugubre, affascinante, ma dall'odore immondo.
Severus l'aveva rivoluzionato.
Il pavimento era pulito. La puzza era sparita e ogni ingrediente era al suo posto nei barattoli sistemati su tutte le pareti dell'unica stanza che costituiva il negozio.
Hermione non poté fare a meno di paragonare la farmacia al suo vecchio ufficio in Hogwarts.
Il bancone era posizionato infondo alla stanza davanti ad una porta chiusa che, probabilmente, portava al laboratorio.
Era impossibile non vederci Severus in quel posto. Riconosceva molti tratti del vecchio professor Piton, ma vedeva anche molto del Severus che aveva imparato a conoscere. Dell’uomo che cercava disperatamente di andare avanti con la sua vita senza riuscirci. Vedeva tutto questo in quella piccola stanza colma di ingredienti meticolosamente ordinati e riposti con cura e precisione sugli scaffali.
Si avvicinò al bancone dove era stato risposto un cartello.
Sto lavorando ad una pozione. Non mettetevi ad urlare. Vi ho sentito entrare.
Arriverò non appena la pozione si sarà stabilizzata.
Se è urgente andate al San Mungo.
Non toccate nulla in mia assenza.
Il proprietario Severus Piton.

Ridacchiò leggendo il cartello riconoscendo il burbero insegnante dei sotterranei. Ci vollero quasi venti minuti prima che la porta dietro il banco si aprisse. Severus indossava gli stessi abiti di quando era ad Hogwarts, era passato così tanto tempo dall'ultima volta che l'aveva visto con abiti da mago che aveva quasi dimenticato quella stretta casacca con la lunga fila di bottoncini da cui spuntava la candida camicia dai polsini e dal colletto. Aveva quasi dimenticato il mantello nero che fluente ondeggiava ad ogni suo lento movimento.
Aveva dimenticato tutti questi particolari o, forse, non vi aveva mai fatto caso.
- Ciao. - gli disse quando incrociò il suo sguardo, all'improvviso si era ritrovata un groppo in gola – Ti ho disturbato in momento delicato?
- No, - rispose lui facendo sparire il cartello – hai bisogno di qualcosa?
- No.... Sì! - si corresse subito sentendosi stupida – Sì, ho bisogno di qualcosa.
- Hermione stai bene?
Fece un sorriso imbarazzato, ma non tolse mai lo sguardo da lui.
- Io... mi ero preparata un discorso a dire il vero, ma ora mi sembra stupido.
- Un discorso? - anche Piton sembrava in imbarazzo, ma non sapeva se per le sue frasi sconclusionate o per il fatto che se l'era ritrovata nel negozio senza preavviso.
- Mi piaci, Severus. - disse tutto d’un fiato senza pensaci troppo fissandolo negl'occhi – Direi che mi piaci parecchio. E ho capito in questi ultimi anni che la vita é troppo breve per non cogliere le occasioni quando ti si presentano. Con Ron ho avuto molte occasioni per dirgli che lo amavo, ma ho aspettato fino all'ultimo e siamo stati insieme troppo poco. Invece ora non voglio più aspettare, perché sento che se aspetto sarà troppo tardi. E quindi sono qui per dirti che mi piaci Severus Piton e vorrei uscire con te.
Era rimasto dietro il bancone, con le mani aperte sul ripiano e senza mai smettere di fissarla. Aveva le labbra serrate con così tanta forza da farle sparire in una sottile striscia di carne rosea, sembrava impallidito di colpo.
- Hermione...- sibilò lui – io...
- Non voglio una risposta ora. - si affrettò ad aggiungere improvvisamente attratta dal contenuto di un barattolo – Pensa alle mie parole. Mi farai sapere qualcosa quando ti sentirai pronto.
Non gli lasciò il tempo di replicare, si voltò in fretta ed uscì. Tornò a respirare in modo normale solo quando rientrò in casa e si chiuse la porta alle spalle. Nelle ore successive aveva camminato per il salotto torturando le fedi che portava al collo, dandosi della stupida e chiedendosi con quale coraggio l'avrebbe ancora guardato negli occhi dopo il suo rifiuto.
Perché era palese che lui l'avrebbe rifiutata.
Bussarono alla porta mentre mangiava una pizza congelata che aveva appena tolto dal forno. Quando lo vide attraverso lo spioncino le venne quasi un infarto, aprì la porta con il fiato corto come se avesse corso per chilometri e il forte battito del cuore che le riempiva le orecchie.
Severus non le diede il tempo di dire o fare nulla, si avventò immediatamente sulle sue labbra togliendole il respiro e la lucidità mentale.

* * * *


C'erano parecchie cose strane nella vita di Hermione Granger.
E non era la magia che scorreva nelle sue vene.
O il fatto che avesse combattuto una guerra magica. O l'essere trasformata per errore in un gatto, aver visto a trasformazione di un lupo mannaro, essere stata prigioniera di sirene nei fondali del Lago Nero, aver lottato contro i Mangiamorte al Ministero della Magia, aver cancellato la memoria dei suoi genitori per salvargli la vita o aver viaggiato per un anno alla ricerca di pezzi di anime.
Non era tutto questo.
La prima cosa strana era la collana che portava al collo. Una semplice catenina con due fedi nuziali.
Sua e di suo marito.
Quella catenina e il dolore che nessuna moglie ventenne dovrebbe mai provare.
La seconda cosa strana era l'uomo che, in quel momento, giaceva con lei nel letto matrimoniale che anni prima aveva diviso con Ron.
Un uomo sempre vestito di nero, con lo sguardo cupo che conosceva il suo stesso dolore da molti più anni di lei.
Si fissavano negl'occhi dopo aver fatto l'amore. Sdraiati nudi sul lato, una mano sotto il cuscino, l’altra intenta ad accarezzarsi dolcemente, con il lenzuolo color rosa pesca a coprirli fin sopra la testa, come avvolti in un caldo bozzo che escludeva il mondo esterno.
Filtrava la luce del lampadario e sembrava l'alba in quel mondo dalle pareti di stoffa.
E Severus era bello anche avvolto dalle coperte color pesca.
- Posso farti una domanda, Severus?
Lui annuì solamente preso dal loro gioco con le dita.
- E’ una domanda… difficile…
- Sono abituato alle situazione difficili. – rispose lui con un mezzo sorriso.
- Perché non hai mai detto a Lily che l’amavi?
Restò in silenzio per qualche secondo osservando le loro dita che si intrecciavano perfettamente.
- A dire il vero gliel’ho detto.
Hermione sgranò gli occhi incredula.
- Ma… come… quando?
Lo sguardo di Seveurs si spostò dalle loro dita ai suoi occhi. Aveva uno sguardo profondo, scuro, era come un’ombra che copriva la scintilla della vita.
- E’ stato dopo l’ultimo esame dei M.A.G.O.. L’ho fermata al portone di quercia e le ho detto che mi ero innamorata di lei.
- E lei? Cosa ti ha risposto, Severus?
Un sorriso triste comparve sulle sue labbra.
- Mi ha detto che era comunque troppo tardi. Che le cose non sarebbero mai cambiate se continuavo a frequentare certa gente. E che James le aveva chiesto di sposarla quella stessa mattina e aveva accettato con entusiasmo.
- Oh… Severus… è stata crudele.
Il mago fece un sospiro rassegnato.
- E’ stata semplicemente Lily.
Hermione liberò la mano dalla sua e gli accarezzò una guancia.
- Deve averti fatto molto male.
- E’ stata una ferita che ha sanguinato per oltre vent’anni. – ammise lui – Fino a quando non ho offerto un caffè ad una giovane strega triste.
Hermione si sentì arrossire, arricciò una ciocca nera di capelli sulla punta delle sue dita.
- Ti ho mentito, Severus. – gli disse avvicinandosi un poco – Quando ti ho detto che mi piaci.
Un sopracciglio sottile si incurvò verso l’alto, ma non sembrava arrabbiato o sorpreso.
- Sul serio?
- Sì, non è vero che mi piaci. Io… io… mi sto innamorando di te, Severus.
Severus fece un piccolo sorriso, l’afferrò in vita con il braccio libero e la avvicinò al suo corpo, intrecciando i loro occhi, le loro mani, le loro gambe, i loro cuori e le loro anime.
- Bene. – sussurrò sulla sua bocca – Perché se riesco a trovare bello anche quel tuo pigiama con le pecore, vuol dire che anch’io mi sto innamorando di te, Hermione.
Hermione fece l’unica cosa che le venne in mente.
Sorrise.

Fine



   
 
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