Buon pomeriggio, miei adorati lettori e
carissime lettrici!
Molti
incontri, tanto per citare
il romanzo, ci saranno in questo capitolo. Ma le presentazioni non finiranno
qui. :)
Un gigante grazie
a tutti coloro che leggono, commentano, preferiscono, seguono e ricordano. :)
Buona lettura!
Marta.
Pietra
- sequel di Betulla -
06.
12 Settembre 3019 T. E.
La carovana di viaggiatori era ormai visibile anche ad
occhio umano. Si muovevano con calma, ma i loro pesanti piedi e gli zoccoli dei
pony sollevavano ugualmente un gran polverone. In prima linea cavalcava il Re,
affiancato dai suoi migliori amici e dai nipoti. Nonostante fossero passati
parecchi anni per la vita di un Nano, e neanche un battito di ciglia per un
Elfo come lui, Legolas notò che Thorin non fosse cambiato poi tanto dall’ultima
volta che si erano visti. Non aveva perso quel suo portamento regale e
dignitoso che lo avevano contraddistinto in quella combriccola di Nani che era
piombata a Bosco Atro, e se ben ricordava, non lo aveva perso neppure quando lo
aveva minacciato con il suo arco.
Legolas sorrise, per nulla preoccupato dall’inevitabile scontro
con il Nano. Sapeva che non sarebbe stato felice di rivederlo, neppure dopo
tutto quel tempo; esso era infatti capace di serbare rancore fino alla fine dei
suoi giorni, ma aveva letto anche una profonda saggezza in quegli occhi chiari
e stanchi, e sperò con tutto il cuore che gli risparmiasse i suoi modi burberi
e arroganti.
Raggiunse Gimli e Boromir, saltando da una rovina all’altra
con agilità e leggerezza, e li trovò in quella che doveva essere stata una
delle piazze principali della città, dove una fontana rotonda in disuso ne
segnava il centro.
«Allora? Sono vicini? Stanno arrivando?» domandò Gimli,
stringendo la sua ascia tra le mani callose e reprimendo a stento il suo
entusiasmo.
«La tua attesa verrà presto ripagata, amico mio. Giungeranno
in città in meno di un’ora. Thorin guida il gruppo, e tuo padre gli è accanto,
insieme a Dáin II.»
Gli occhi del Nano brillarono di contentezza e rise, come
non faceva da tempo. Rimasero in attesa, finché Legolas montò nuovamente il suo
bianco cavallo, affiancando Boromir sul proprio, mentre Gimli rimase con i
piedi ben saldi a terra. I tre si mossero verso l’entrata nord, al Cancello di
Condir, seguiti dai soldati incaricati di tenere alto lo stendardo di Gondor, e
andando incontro ai loro ospiti. Quando i cancelli si aprirono, il suono delle
trombe li accolse e così i canti degli Uomini che diedero loro il benvenuto
nella loro vecchia capitale. Boromir si ritrovò a respirare profondamente,
orgoglioso.
Thorin fu il primo a smontare dal suo pony e si chinò
davanti a lui, credendolo il Re di Gondor. Ma egli sorrise e, smontato
anch’esso, si chinò a sua volta.
«Sono io che devo inchinarmi ad un Re, sire Thorin.» disse
l’Uomo, portandosi una mano sul cuore. «Benvenuto a Gondor, nella bella
Osgiliath. Io sono Boromir, figlio di Denethor II, Sovrintendente di Gondor,
Capitano della Torre Bianca e di Gondor, e Signore di questa città.»
Il Nano alzò lo sguardo sull’Uomo. «Ebbene, sei regale
quanto un re, Boromir, figlio di Denethor II, poiché sebbene non abbia una
corona in testa, credevo di avere Re Elessar dinnanzi ai miei occhi. Ed egli
deve riporre grande fiducia in te, a ben vedere dai titoli che seguono il tuo
nome.»
«Il Re avrebbe voluto accogliervi qui, con me, ma lo
incontrerete a Minas Tirith. Le difese dei confini lo tengono occupato.
Purtroppo anche mio fratello, Principe dell’Ithilien, non è potuto essere
presente, ma sarà felice di guidarti tra gli alberi della sua foresta
domattina, se lo desideri.»
Thorin annuì, e spostò lo sguardo verso il Nano dalla barba
ramata, ancora in ginocchio ai piedi del suo sovrano. «Gimli, figlio di Glóin, fierezza
della nostra stirpe! Vieni qui e abbraccia un vecchio amico.»
Il padre si fece avanti e osservò con orgoglio il figlio,
che ricambiava il gesto d’affetto del Re. «Ebbene, partisti quasi nove mesi
addietro, e rieccoti qui, sulle tue gambe! Che Durin ti benedica, figlio mio!»
I due risero, commossi dopo la lunga lontananza e
consapevoli entrambi dei pericoli che avevano corso durante quel periodo. Poi,
Gimli si voltò verso Legolas e, puntellando l’ascia sul terreno, lo indicò ai
Nani. «Mi rincresce doverlo ammetterlo, padre, ma queste corte gambe non
camminerebbero più se non fosse stato anche per i miei compagni di viaggio. La
mia ascia ha saggiato molto sangue nemico, ma anche l’archetto di quest’Elfo si
è dato da fare.»
I suoi amici e parenti spostarono lo sguardo scettico su
Legolas che, sceso anch’esso da cavallo, si portò una mano alle labbra, al
petto ed infine verso loro, nel tipico saluto Elfico. Sopportò con deferenza lo
sguardo pesante del Re dei Nani, che non diede il tempo a Gimli di terminare le
presentazioni.
«Legolas, figlio di Thranduil, Principe di Bosco Atro. Come
dimenticarti.» disse, mal celando il sarcasmo. «Mi stupisce che sia arrivato
fino in fondo alla missione, Elfo, giacché credevo fosse abitudine della tua
razza voltare le spalle agli amici al minimo segno di pericolo.»
Quello sorrise pacatamente, ripensando che, con il
temperamento di qualche anno prima gli avrebbe risposto con una freccia puntata
su quel naso grande e aquilino che il Nano si ritrovava in mezzo alla faccia.
«E io sono felice di averti sorpreso, sire Thorin. Mi rincresce solo che la tua
memoria rimanga ostinatamente ferma sul passato.»
«La mia memoria funziona perfettamente.» sbottò il Re.
«Non lo metto in dubbio, ma a quanto pare neppure gli anni
ti hanno portato la saggezza che dovresti avere.»
Thorin mosse un passo verso l’Elfo, stringendo un pugno.
«Non mi farò insultare dal figlio di un codardo.»
«Signori, per favore.» fece Balin, sollevando le mani in
segno di resa. «Siamo in tempo di pace, non roviniamoci questo momento con
vecchi asti, che superammo a tempo debito; tu e Re Thranduil chiariste molto
tempo fa il rapporto tra le nostre razze. E hai forse già dimenticato del
nostro fortuito incontro durante il viaggio, Thorin?»
Passarono secondi di tensione, dettati dagli sguardi
impenetrabili dei due contendenti. Poi Gimli, resosi conto dell’aria pesante
che era improvvisamente calata tra loro come le nuvole che solevano provenire
da Mordor, tentò di salvare la situazione. «E comunque, vorrei far presente che
qualsiasi cosa l’Elfo vi dirà sul numero di nemici che uccise, non credetegli.
A meno che non sia io a vincere.»
«Chiaro!» rise Legolas, che gli batté una mano sulla spalla.
Il cielo tornò limpido e tutti, Boromir compreso, tornarono a respirare
regolarmente.
«Vogliate seguirmi verso il banchetto di benvenuto, signori
miei.» fece il Sovrintendente, muovendo una mano verso la piazza, dove gli
Uomini avevano apparecchiato un lungo tavolo ricco di carni arrosto, patate e
frutta. La sola vista e il solo odore di quel ben di dio fece brontolare gli
stomaci dei Nani, che si scoprirono improvvisamente affamati.
Prima di sedersi a tavola, Thorin terminò le presentazioni e
prese posto accanto al Signore della Città. Il sole era alto nel cielo quando
iniziarono a banchettare. Discussero molto sulla guerra che avevano dovuto
combattere solo pochi mesi prima, e si scambiarono i racconti delle battaglie
che li avevano visti protagonisti, da una parte e dall’altra. Thorin, udendo
ciò che era accaduto alla Città Bianca, ringraziò il lavoro dei Nani per la
solidità della roccia e della montagna su cui si erano rifugiati, per non aver
subito la stessa sorte.
Ma gli animi erano lieti e rilassati, ora che erano giunti a
Gondor dopo il lungo viaggio, cosicché i dialoghi si spostarono su racconti più
sereni. E qualcuno di loro cantò anche, dopo qualche coppa di buon vino in più.
Boromir brindò ai Nani e alla loro gentilezza, ringraziandoli più volte per
essere accorsi in loro aiuto. E Thorin alzò a sua volta il calice, poiché
l’amicizia tra Nani e Uomini era ben salda e il loro onore gli ordinava di
rispondere alle richieste del loro giusto Re, così come era sicuro avrebbero
fatto anch’essi nel momento del bisogno. Non ci fu bisogno di lanciare
l’ennesima occhiata di disprezzo all’Elfo, per fargli intendere che era quello
il modo in cui gli alleati si comportavano solitamente.
Terminato il pranzo, Boromir lasciò i suoi ospiti a
riposare, poiché erano stanchi. Solo Gimli e Legolas, strattonato dall’amico,
rimasero in compagnia di Balin e del padre. Kili, d’altronde, conoscendo
l’abilità degli Elfi con l’arco e le frecce e ricordandosi quella del figlio di
Thranduil, gli domandò se un giorno avessero potuto allenarsi insieme.
«Sai che lo zio ti ucciderà, per questo?» gli domandò il
fratello.
L’altro annuì, con un sorrisino divertito sulle labbra. «Oh,
sì. Ma per quel momento sarò allenato abbastanza bene da sapermi difendere.
Giusto, Elfo?»
«Ma certo, mastro Nano. E anzi, ti costruirò un arco se ti
dimostrerai all’altezza dei miei insegnamenti.»
Fili ridacchiò. «Ora è sicuro: se rimpiazzerai il suo arco,
lo zio ti ammazzerà, ti riporterà dalla terra dei morti e ti ammazzerà di nuovo,
solo per il gusto di farlo.»
Thorin, nella sua lunga vita, non aveva mai visto una tale
bellezza architettonica per mano di Uomini. Nonostante fosse in completa
rovina, riuscì a percepire la maestosità di quegli archi distrutti, di quelle
torri crollate, di quelle pietre spaccate un tempo finemente lavorate. Sfiorò
la superficie di un muro e ne assorbì l’energia e la sua storia: raccontava di
musica, di orgoglio, di battaglie combattute fino all’ultimo Uomo. Thorin sentì
il peso di quell’incarico sulle spalle e il desiderio di riportare quella città
ai suoi fasti originali, o addirittura oltre, si fece pressante e si sentì
pervadere dall’adrenalina. Solo l’attesa prima di una battaglia e la sensazione
di stringere l’ascia tra le mani, equivaleva a quella del martello che batteva
sull’incudine, poiché lavorare la pietra e i metalli, per un Nano, era motivo
di orgoglio, era qualcosa scritto nel suo sangue dal momento della sua nascita.
Camminò ancora un poco, osservando le rovine al chiaro di
luna e scorgendo la bianca sagoma di Minas Tirith che sorgeva dal Mindolluin. Avrebbe
dovuto attendere un paio di giorni prima di raggiungere la Capitale di Gondor
e, guardando la Città di Pietra che pareva maestosa anche da una grande
distanza, si sentì fremere di eccitazione. Non ne aveva mai parlato con
nessuno, ma da quando aveva letto e immaginato la grande città degli Uomini,
aveva sperato di poterla visitare, un giorno. Purtroppo, o per fortuna, gli
affari del Nord lo avevano tenuto lontano dal suo desiderio.
Thorin tornò in direzione dell’accampamento. Gli Uomini
avevano sistemato il suo letto e quello dei suoi amici in quella che un tempo
doveva essere l’armeria; dell’edificio rimanevano solo quattro mura e qualche
colonna al suo interno, ma il primo piano era crollato tempo addietro, e così
il tetto – che era stato rimpiazzato da una tenda sfoggiante lo stemma di
Gondor. Così, mani dietro la schiena e viso pensoso, attraversò Osgiliath, ma
si fermò a metà strada quando scorse la famiglia dai capelli rossi; erano seduti
su alcuni capitelli rovesciati sul lastricato in rovina, e si accorse che fossero
in compagnia. Si fermò a pochi passi di distanza, nascosto dietro una colonna,
sentendo la rabbia e la voglia di rivalsa insinuarsi nel suo cuore, non appena
si rese conto di chi fosse l’altro.
Legolas era calmo e sereno, e nonostante Thorin fosse sicuro
che l’avesse sentito arrivare, non fece niente per fargli capire di averlo
scorto. Continuava a parlare con i Nani, e trovò strano che stessero usando la
lingua corrente per conversare, invece che l’Elfico. D’altronde, avrebbero
dovuto conoscere la lingua dei loro avi.
«Sì, ebbi la fortuna di incontrare la vostra lontana parente.
Ainariël la Gemma Rossa, viene chiamata. Venne nel regno di mio padre qualche
tempo fa, e soggiornò da noi per parecchi mesi. Le somigli molto, dama Trán.»
aggiunse l’Elfo.
Nonostante la fioca luce notturna, Thorin la vide arrossire.
«Temo che il mio sangue si sia mischiato troppe volte, per
aver ereditato i suoi lineamenti.» fece lei in risposta. «Ma non ho mai avuto
l’onore di conoscerla, quindi non posso dirti se menti o no.»
«In tal caso fidati di me, non mento.»
La Nana sorrise, e nessuno parlò per parecchi minuti.
Rimasero in silenzio, così Thorin, che non avrebbe potuto muoversi senza essere
scoperto finché uno dei due non avesse ripreso a parlare. Poi finalmente Legolas
spezzò il silenzio, ma il Re decise di restare, giacché l’argomento della
discussione si fece interessante.
«Come ben sapete, Nani ed Elfi non sono due razze nate per
andare d’accordo; eppure la Gemma Rossa e il vostro lontano parente si
innamorarono, si sposarono e crebbero una famiglia insieme. Potete ben
immaginare cosa ne derivò, tra Elfi e Nani. Le malelingue non si risparmiarono
certo, e dovettero sopportare offese di ogni tipo. Immagino che, nonostante il
tempo, ciò non sia cambiato.»
Fu sempre Trán a prendere parola, con sommo stupore di
Thorin; aveva ben capito che fosse poco loquace in presenza di persone che non
conosceva bene; ma quello che aveva davanti era un Elfo, era ovvio che lo considerasse parte della
famiglia.
Lei scosse il capo, sorridendo tristemente. «Le tre
generazioni che seguirono quell’unione hanno dovuto sopportare ben peggio,
credo. Il frutto di un amore simile è blasfemia, e delle volte pare che sia
colpa mia, dei miei fratelli e di mio padre se gli Elfi – beh, se tuo padre non si presentò in battaglia
quando noi ne necessitavamo – e addirittura, avete tentato di appropriarvi del
tesoro di Erebor. Sire Thorin è un Nano e in quanto tale orgoglioso e
possessivo nei confronti delle sue ricchezze. Raramente i Nani chiedono aiuto
in battaglia, quindi puoi ben capire cosa significò per lui rivolgersi a voi.
La vostra risposta negativa incrinò il suo orgoglio e ancora oggi ne pagate le
conseguenze. In più, Erebor e ciò che vi era dentro gli fu tolto ingiustamente,
e quando si vide non uno, bensì due eserciti che la reclamavano, andò
giustamente su tutte le furie.»
«Le scelte di un capo a volte sono dolorose e difficili, mio
padre questo lo sa bene. E anche quella volta ponderò a lungo la sua decisione,
prima di agire. Non fu per il risentimento di non aver ricevuto i gioielli che
commissionò a Re Thráin, che pagò ma che non vide mai; la sua decisione giunse
perché capì che neanche il suo esercito avrebbe potuto fermare il Drago –
sarebbe stata una carneficina, e preferì evitarla. Ma l’azione di uno non deve
implicare necessariamente quelle degli altri. È ciò che i Nani non comprendono
ancora.»
«O non vogliono comprendere. Non vi è peggior sordo di chi
non vuol udire, purtroppo.» replicò Káel.
La gemella si strinse le gambe al petto, poggiando il mento
sulle ginocchia. «Io non biasimo sire Thorin per il suo rancore, né posso
obbligare lui e la sua gente ad accettare il mio sangue Elfico. Vorrei solo
essere rispettata, così come la mia famiglia rispetta loro. E poi, anche se siamo
più alti della norma e non abbiamo l’aspetto di un Nano purosangue, è a questa
razza che apparteniamo. Sono nata dentro il ventre di una montagna da due Nani,
ho lavorato il ferro, mio padre e i miei fratelli hanno combattuto davanti alle
porte di Erebor. Cosa c’è che non fa di me una Nana? Con tutto il rispetto per
la tua razza, beninteso.»
Legolas rise. «Nessuna offesa. E detto tra noi, sono felice
per te che non somigli ad una Nana, Trán. O si farebbe fatica a distinguerti da
un maschio.» aggiunse a voce bassa, per non farsi udire dall’ospite
indesiderato che origliava a pochi piedi di distanza. I fratelli risero, e con loro
anche lei.
Thorin non riuscì a decifrare ciò che provò nel sentirla
parlare così di lui, come se lo conoscesse da una vita; poiché nonostante il
loro rapporto fosse ambiguo e sul filo di una lama, non si erano mai fermati a
parlare di ciò che avevano dovuto vivere nel passato. Eppure rifletté sulle sue
parole e le trovò sagge, inadatte ad una bocca così giovane – e soprattutto,
terribilmente veritiere. Come aveva fatto una Nana-per-metà a capire il dolore e l’affronto che lo avevano
colpito in quegli anni a causa degli Elfi? Cosa poteva saperne, lei,
dell’orgoglio Nanico e dell’amore per il proprio tesoro che gli era stato portato
via senza motivo e con un incredibile spargimento di sangue e sofferenza?
«Come avete fatto?» domandò Káir, curioso. «Intendo, come
avete fatto tu e il Nano a diventare così amici?»
L’Elfo sorrise, ripensando a tutti i pericoli e le gioie che
avevano condiviso insieme – e i bisticci infiniti. «Avevamo un motivo per
combattere la stessa guerra. Arriva un momento, nella tua vita, in cui capisci
che devi mettere da parte tutti i rancori e l’orgoglio che ti hanno avvelenato
l’anima, se vuoi compiere qualcosa di buono. Non nego che sia stato difficile
convivere, nei mesi passati, anzi! Ma dovevamo guardarci le spalle in ogni
istante, o farci forza nel dolore. Il tempo è la risposta per ottenere la
fiducia dell’altro.»
Thorin sospirò pesantemente. Neanche il tempo gli avrebbe
fatto cambiare idea sugli Elfi, di quello ne era sicuro. Nonostante avesse
firmato una tregua con il padre di quel damerino dalle orecchie a punta, la sua
opinione sarebbe rimasta tale e quale finché sarebbe morto.
«Ti hanno mai detto che spiare è per le comari di paese, mio
Re?» domandò Dwalin, che nonostante avesse parlato a bassa voce, fu udito
chiaramente dai conversanti.
Thorin lanciò un’occhiata verso il gruppo, che guardava
sospettoso nella sua direzione. Maledì a denti stretti il tempismo dell’amico
e, preso per un braccio, lo trascinò lontano.
«Non spiavo. Ho udito il mio nome e ho pensato che fosse
bene capire perché lo avessero fatto.»
L’occhiata dell’amico non sembrò convinta, ma Thorin non
aggiunse altro in sua difesa. Poiché non vi era alcun motivo di difendersi.
«Ebbene,» fece Dwalin. «stavano complottando con l’Elfo per
toglierti di torno, o si lamentavano del buio delle montagne paragonato alle
verdi foreste?»
Thorin, raggiunto il suo giaciglio, si sedette pesantemente,
poggiando gli avambracci sulle ginocchia. Fili e Kili erano già profondamente
addormentati sulle brande accanto alla sua e russavano come se non ci fosse
stato un domani. «Discutevano sul da farsi, niente di interessante, infine.»,
mentì.
Si sdraiò, dopo aver tolto la pesante giacca imbottita di
una sottile cotta di maglia e gli stivali; osservò il movimento placido della
tenda sopra la sua testa, e lo stemma di quel Regno gli parve più brillante che
mai sotto la luce della luna.
Ripensò alle parole della ragazza, ancora irritato e
incredulo per ciò che aveva udito. Ma in cuor suo, in un angolo remoto del suo
cuore, sentì un flebile fastidio che gli stava bruciando l’anima lentamente e
discretamente; poiché capì di cosa si trattasse e si ritrovò a stringere i
pugni con forza. L’aveva sentita parlare in sua difesa, pronta a capire i
motivi che lo avevano portato a detestare incontrollabilmente gli Elfi e la
loro stirpe; eppure mai, durante quel lungo viaggio, aveva dato prova di comprensione
nei suoi confronti; anzi! E mentre quasi tutti coloro della sua ristretta
cerchia di amici avevano accettato il fatto che fossero con loro, lui era
rimasto ostinatamente distante da qualsiasi forma di dialogo; l’unico di quel
gruppo con cui aveva scambiato volentieri più di due parole, senza insultarsi,
era il gemello della ragazza. Neanche dopo quella notte spesa a galleggiare
sull’Anduin, a stretto contatto l’uno con l’altra, era servita ad avvicinarli;
col senno di poi si era chiesto se non fosse stato stupido ed avventato, da
parte sua. Voleva solo togliersi quel peso che sentiva nei suoi confronti, per
averlo protetto.
Aveva capito perché lei fosse così restia e distante nei
suoi confronti, e ciò non poteva che mandargli in ebollizione il sangue nelle
vene.
Lei attendeva delle scuse, e lui e il suo orgoglio non erano
pronti a dargliele.
Si girò su un fianco, chiudendo gli occhi e tentando di
prendere sonno; eppure, la sola idea che potesse provare gelosia per non aver
ricevuto la giusta considerazione gli impedì di dormire per parecchio. Non che
ne necessitasse come l’aria per respirare; non aveva bisogno della comprensione
di una persona che non aveva vissuto gli orrori e il dolore che invece lui e la
sua gente avevano dovuto patire. Ma lui era il Re ed esigeva rispetto.
Kili, poco distante, russò con più forza. Subito dopo si udì
un tonfo e, appena si voltò per capire cosa fosse successo, trovò il nipote a
terra, ancora rintronato dal sonno, mentre l’altro si rimetteva a letto.
«Scusa zio, dovevo
farlo. Ha svegliato persino me!» fece Fili, dopo uno sbadiglio. «Buona notte.»
Thorin non nascose un sorriso. «Bada a non fare la stessa
fine. Dormi b–»
Non fece in tempo a finire la frase, che Kili era già
saltato sulla branda del fratello, per fargliela pagare. Ogni possibilità di
trovare riposo, quella notte, sembrava ormai lontana.
Quando finalmente riuscì ad addormentarsi in un sonno senza
sogni, mancavano ormai poche ore all’alba.
13 Settembre 3019 T. E.
I lavori iniziarono presto. C’era talmente tanto da compiere
che Dáin II, guardandosi intorno, quasi non seppe neppure da dove cominciare. Osgiliath
era un mucchio di rovine, e sebbene gli Uomini avessero dato inizio ai lavori
mentre loro erano ancora in viaggio, era consapevole che i prossimi mesi
sarebbero stati sfiancanti. Ma la mole dell’incarico non lo spaventava certo, e
anzi: lo eccitava oltremodo.
Così, affiancato da Dwalin, che non aspettava altro, svegliò
tutti i suoi lavoratori a suon di calci e secchiate d’acqua. Presto
l’accampamento fu sommerso da un brusio di lamenti in Khuzdul, troppo poco
eleganti per essere tradotti.
«Avanti, Nani dei Colli Ferrosi e della Montagna Solitaria!
Fate colazione, prendete energie e poi al lavoro!» gridò, salito su una pietra
che usò come piedistallo. «Voglio che metà di voi si rechi all’imbocco del
fiume a Sud, per aiutare gli Uomini nel trasporto della pietra; impilate il
materiale fuori le mura. L’altra metà con me, prepariamo le officine di lavoro.
Rulin, voglio che tu, i tuoi apprendisti e i tuoi figli Tarón e Káir facciate
un giro di ricognizione, prendiate rilievi e iniziate a disegnare il progetto.
Mi aspetto grandi cose da voi.»
Il Nano si inchinò al cospetto del suo Re, drizzando poi
orgogliosamente la schiena. «Non ti deluderemo, sire Dáin. Non lo abbiamo mai
fatto.»
L’altro gli diede una poderosa pacca sulla spalla e sorrise.
«Lo so bene, amico mio. Al lavoro, dunque!»
Thorin, che stava in piedi poco distante con le braccia
conserte, lanciò una rapida occhiata ai figli del carpentiere, fieri del loro
padre e dell’alta considerazione che Dáin avesse di lui. Spostò immediatamente
la sua attenzione verso gli Uomini, quando si accorse che un paio di occhi
azzurri lo osservavano con soddisfazione; con quello sguardo, il primo che gli
rivolgeva dopo tanti giorni, Trán sembrava volergli dire: hai visto dove è in grado di arrivare un Nano-per-metà?
Si sedettero al banchetto allestito il giorno precedente, e
fecero colazione con abbondante frutta, pane, burro e marmellate. Alla vista
dei funghi, Kili sorrise.
«Ah, se solo Bilbo fosse qui! Tutto questo gli sarebbe
piaciuto.»
«Meglio che non ci sia lo Hobbit, invece.» replicò Dwalin,
addentando una mela. «O Bombur, se capite cosa intendo.»
Fili e Kili scoppiarono a ridere, e così tutti coloro che
conoscevano il loro grasso amico.
Thorin si voltò verso Gimli. «Così anche tu hai avuto il
piacere di conoscere la razza degli Hobbit?»
«Oh, sì. Quei piccoli mascalzoni!» Il Nano dalla barba
ramata si lasciò sfuggire un sorriso. «Merry e Pipino sono tremendi quando si
tratta di cibo. Non so questo Bilbo di cui parlate, ma vi assicuro che mangiano
per un intero esercito.»
«Posso assicurarti, mio caro amico, che il Bilbo di cui si
discute – almeno quando era più giovane – fu in grado di svuotare l’intera
dispensa da solo, quando s’intrufolò nel regno di mio padre.» fece Legolas. «Anche
se sono sicuro che non fu così avaro da mangiare da solo.»
Thorin sentì addosso lo sguardo dell’Elfo, che sorrideva
come se sapesse. Scosse il capo,
ripensando a quei giorni che gli parevano così lontani. Se non fosse stato
grazie a quello Hobbit che aveva la capacità di comparire e sparire nel giro di
un battito di ciglia, loro sarebbero probabilmente morti. E, a quanto pare, era
stato proprio per opera di quella piccola gente che la Terra di Mezzo ora era
salva dal pericolo del Male.
«E dove sono questi Hobbit di cui parlate?» domandò Kili.
«Mi piacerebbe conoscerne altri.»
Boromir sospirò, con un po’ di rammarico. «Ahimè, sono tornati
verso la loro bella e lontana terra. Solo i Valar sanno quanto quei piccoletti
mi manchino!»
«Capisco cosa provi in questo momento, messer Boromir.» fece
il Re Sotto la Montagna. «Perché è esattamente ciò che sento anche io. Mi
vergogno di quello che dissi allo Hobbit la prima volta che lo incontrai, e
anche le successive. Lo sminuii, perché non credevo nelle sue capacità. Ma mi
sorprese in più di un’occasione, e capii che la vera forza non sta nella
portata del braccio, ma in quella della mente e del cuore. Se tutti gli Hobbit
della Contea sono come coloro che abbiamo avuto la fortuna di incontrare,
allora la Terra di Mezzo dovrebbe esserne invasa.»
Boromir annuì con un sorriso e decise che, prima di partire
con la scorta di Thorin verso il fratello, avrebbe scritto un messaggio ai suoi
vecchi e lontani amici.
E mentre il Re e i suoi più stretti compagni si preparavano
per la visita di piacere alla foresta di Faramir, Legolas si avvicinò
silenziosamente a Trán. Si accorse di lui solo quando se lo trovò seduto
accanto, mentre lei era intenta a ricucire una maglia del fratello.
«Vorresti venire con me e Gimli nell’Ithilien? O i tuoi
doveri ti chiamano?»
«Io, Káel e Trión andremo a Minas Tirith, non lavoreremo
qui. Ma ti ringrazio, messer Legolas, non posso comunque unirmi a voi.»
«Perché no?»
«Perché solo le persone importanti sono state invitate.»
Trán si strinse nelle spalle. «E che io sappia, non sono né la dama di corte,
né la nipote del Re.»
«Non ti reputi importante? Mi deludi, figlia di Rulin. Egli
è il carpentiere di fiducia di Re Dáin II.»
Lei ridacchiò, scuotendo il capo. «Non sarei ben accetta
comunque. Re Thorin non ne sarebbe felice.»
«Non puoi saperlo. I suoi nipoti, comunque, lo sarebbero. E
anche io.»
Trán guardò con sospetto l’Elfo, ma non fece in tempo ad
aggiungere altro, poiché i fratelli più esuberanti che avesse mai incontrato le
balzarono davanti, rischiando di farla pungere con l’ago per lo spavento.
«Dunque, sei pronta per la gita?» chiesero in coro.
La Nana scambiò un’occhiata con Legolas, che rise.
«Devo prima chiedere il permesso a mio padre.»
Fili le strizzò un occhio. «Il tuo vecchio è sistemato, Kili
ha appena finito di parlarci. Allora, cosa rispondi?»
Rulin, che aveva osservato la scena dalla sua postazione di
lavoro, sorrise alla figlia e le fece cenno di andare e divertirsi un po’. Era preoccupato
per l’umore instabile della sua bambina, che era diventata taciturna e scortese
dopo la morte della madre; ma aveva anche notato che l’amicizia che stava
nascendo tra lei e i nipoti di Re Thorin le stava giovando al viso, che era
tornato quello spensierato di un tempo.
«D’accordo, mi avete convinta. Verrò con voi.» si arrese,
infine, alzando le braccia al cielo. «Ma ad una condizione. Káel ci
accompagnerà, e anche Trión; non posso lasciarlo solo.»
«E sia! Ci stanno già aspettando.» disse Fili. «Ora, prendi
le tue cose e vieni con noi. Si parte tra mezzora.»
Trán non seppe definire con esattezza a quali cose si stessero riferendo, ma afferrò
la sua piccola sacca a tracolla e ci infilò un paio di mele e la borraccia
d’acqua. Li seguì verso l’accampamento dello zio, dove trovarono il gemello e
il fratellino, Gimli e Boromir in compagnia del Re, Balin e Dwalin.
Quest’ultimo non badò troppo alla presenza della ragazza, sebbene non gli
disturbasse più come all’inizio, dopo l’inconveniente della freccia; ma il
fratello, invece, parve ben felice di averla tra loro e la salutò con un
caloroso sorriso.
Thorin non interruppe la discussione intavolata con i suoi
amici, ma fissò insistentemente la ragazza. Trán gli concesse solo qualche
secondo del suo sguardo, per poi riversare la sua attenzione su Trión.
Detestava essere ignorato, soprattutto da qualcuno che invece aveva la sua
piena attenzione; si avvicinò a Kili, le mani intrecciate dietro la schiena, e
abbassò lo sguardo sul nipote quando gli fu accanto. «Esattamente, cosa ci fa lei
qui?»
«Viene con noi. Insieme ai fratelli.»
La candida risposta del ragazzo lo fece sospirare. «Mi era
parso di capirlo. Allora, perché è
qui?»
Kili riconobbe quel tono di voce irritato e temette per la
sua incolumità quando gli rispose. «Perché io e Fili glielo abbiamo domandato.
E anche l’Elfo. Spero non sia un problema, zio. Pensavo che le cose andassero
meglio tra voi, dopo che... beh, vi ho visti l’altra notte... in acqua, mezzi
nu–»
A quelle ultime parole, Thorin lo fulminò con i soli occhi e
Kili avrebbe preferito rimangiarsi la lingua pur di non aver parlato; neppure
Smaug sarebbe stato in grado di incenerirlo così. «Kili, devo ricordarti cosa
dissi a te e a tuo fratello riguardo gli Elfi? E in particolar modo quell’Elfo?»
«Sì, che sono persone di cui non ci si può fidare e che
dobbiamo girargli alla larga.» ripeté il giovane Nano. «Ma zio, Legolas è
diverso da quello che incontrammo anni fa. È cambiato, così come lo sei tu e lo
sono io.»
«Gli Elfi non cambiano. Hanno un’eternità per farlo, ma non
cambiano.» scandì bene l’altro. «Non mi ripeterò una seconda volta: non voglio
che tu e tuo fratello lo frequentiate.»
«E... Trán? I suoi fratelli? Loro possiamo frequentarli?»
Thorin sospirò. La osservò con la coda dell’occhio mentre
chiacchierava con un impacciato Gimli. «Mi ricordo dei fratelli in battaglia,
sono abili combattenti e meritano il mio rispetto. E anche lei, nonostante
tutto.» aggiunse, in un borbottio. Kili sorrise gioioso e Thorin non poté che
scuotere il capo.
Quando il nipote si allontanò, Balin prese il suo posto. «Non
posso credere che lo abbia detto sul serio.» lo rimproverò. «Nonostante tutto? Thorin, devi davvero spiegarmi
quale sia il problema.»
«Il problema, amico mio, è che non mi piace il suo
atteggiamento. Non mi porta il necessario rispetto, e lei non avrà il mio. E nonostante
si sia rivelata utile durante il viaggio da Erebor, ella è infima perché mi sta
rubando ciò che amo di più.»
«A parte l’orgoglio, non mi pare stia rubando alcunché. Suvvia,
non fare lo sciocco, mio Re. Non perderai mai Fili e Kili per colpa di
un’innocente ragazza, anzi: più tu impedirai loro di stare in sua compagnia,
più loro s’intestardiranno. Allora sì che rischieresti di perderli.» Balin gli
sorrise, stringendo una mano sulla spalla contratta del Nano. «Ma dimmi, amico
mio, poiché credo di aver perso qualche passaggio: cosa ha visto Kili, la notte
scorsa?»
Thorin alzò gli occhi al cielo e non rispose, preferendo
allontanarsi da quelle domande scomode e cacciando indietro lo strano imbarazzo
che iniziava a provare nell’essere stato scoperto. Era stato davvero avventato
ad offrirle il suo aiuto, quella notte; era stato spinto da una debolezza che
non provava da tempo, quella che lo spingeva a preoccuparsi delle persone a lui
care; quella che lo rendeva uno zio affettuoso e desideroso di insegnare ai
suoi nipoti tutto ciò che sapeva. Ma lei cos’era? Non certo una nipote, né una
lontana parente. Era solo un’estranea; una scorbutica e permalosa estranea.
Voleva cercare di riparare qualsiasi cosa si fosse incrinato tra loro, e non
sapeva neppure lui il perché. Ma non aveva funzionato e, si promise
mentalmente, di non infilarsi più in situazioni ambigue come quella.
Quella ragazzina non meritava le sue attenzioni.
*
E
finalmente in Nani sono giunti a Gondor! Ora iniziano le danze, ho tante
sorprese in serbo per loro – e per voi. ;)
Grazie
a chiunque si sia fermato... siete la mia gioia. :)
Alla
prossima settimana!
Marta.