Benvenuti
a questo nuovo aggiornamento. Io continuo a ringraziare tutti coloro
che mi
leggono e recensiscono. Siete molto gentili e spero che questo racconto
continui a interessarvi. Grazie a tutti coloro che mi leggono e vi
prego di
lasciare una recensione se avete un momento libero, ovviamente. In ogni
caso vi
auguro buona lettura.
XXXVII
-Lady
Mc Stone- disse Rashid.
-Cosa
volete?-domandò la dama, mentre leggeva le pagine del
giornale nella minuscola
terrazza dei suoi alloggi.
Il
maggiordomo si avvicinò, camminando sciolto verso di lei.
-E'giunto un
messaggio da parte del signor Borowsky.-riferì, porgendole
una busta.
Soledad
la prese.
-Non
vi ha visto nessuno, vero?-chiese, rigirandosi la missiva tra le mani.
Il
sikh scosse il capo.
-Rashid,
nessuno deve saperlo-continuò- mi fido del vostro silenzio e
della fedeltà che
dovete al mio defunto marito. Queste lettere possono fare molti danni,
gli
stessi che hanno causato lo sfacelo che ci ha condotto sino a qui.-
Guardò per
un momento la busta, sospirando pesantemente. -Mi rendo conto che le
mie azioni
sono state oltremodo...ingrate...e voglio espiare, almeno per quanto
riguarda
me.- continuò- Non posso che sentirmi in colpa per quanto
accaduto...io non
volevo che andasse a finire così. Alistair mi ha dato
tanto...ed io non ho
saputo proteggerlo.-
Il
maggiordomo prese la tazzina che aveva portato pochi istanti prima.
-Se
posso permettermi, Miss-fece lui- in tutto questo, avete agito per
amore...e
non c'è niente più nobile di questa casa. Io non
smetterò di esservi grato per
quanto state facendo. Vorrei che anche loro lo sapessero, quanto siete
saggia e
fedele ai patti.-
Lady
Mc Stone scosse il capo. -Sono una femmina di ben misero valore,
invero-replicò- non ho mai saputo parlare a mio marito nella
maniera che
meritava...dirgli la ...profonda gratitudine per quanto aveva fatto per
me. -
Rashid
non disse niente.
Dalle
parole della dama, non poté comunque fare a meno di
percepire la profonda
afflizione che gravava su quella donna di 26 anni. Così, con
fare silenzioso,
si congedò...non senza lasciare uno sguardo all'indiana che
stava muta al
fianco della vedova. Lei ricambiò l'occhiata, con quelle
iridi un po'perse, un
po' senza fondo che possedeva spesso.
Quando
la porta si chiuse, la dama si accasciò sulla sedia dove era
appoggiata.
-Sarasa-
mormorò- sono una femmina orribile. Non posso che provare
vergogna per me
stessa e per la terribile azione di cui mi sono macchiata sei anni
prima. Non
posso credere di aver ceduto così alla mia debole condizione
di donna. Non
posso credere di essermi fatta incantare da quegli inutili e ipocriti
concetti...io che li ho sempre disprezzati ho finito per prestargli
fede...ed
ora sono così.-
L'indiana
sospirò.
-Mia
signora- fece lei- i fardelli che gravano sulle spalle di ognuno sono
un onere
esclusivo...e niente può alleggerirli. Possiamo adornarli di
belle parole...ma,
alla fine, nulla muta la realtà dei fatti.-
Soledad
non rispose.
Conosceva
bene quanto fosse amaramente vero in quelle parole. -Mia
sorella?-chiese, nel
vacuo tentativo di distrarsi.
-Se
vi riferite alla signorina Escobar, pare che sia rintanata nella
propria
camera...profondamente annoiata, stando alle parole della sua cameriera
personale. Non ha molta simpatia verso i vostri nipoti ed il sentimento
sembra
essere perfettamente ricambiato. Immagino che vostra cognata abbia
istruito la
prole su come trattare la figlia di secondo letto di vostro
padre-spiegò
l'altra, con un sorriso serafico in volto.
-E
Pilar?-domandò, socchiudendo le palpebre.
Sarasa
assunse un'espressione indecifrabile.
-Suor
Lucia è andata dalla massima autorità della
Chiesa di Roma qui a Londra, per
poter discorrere con lei, a proposito di quel frate di cui gli avete
citato il
nome.-rispose.
La
dama non commentò. Pensierosa, occhieggiava i vari
suppellettili della stanza,
come alla ricerca di una risposta ai tormenti che affollavano il suo
animo da
circa sei anni. I capelli erano acconciati in una pettinatura severa e
priva di
ornamenti, che esaltava in modo involontario, l'opale che era il suo
viso. -Credete
che stia subodorando le mie azioni?-fece, dando una punta di retorica
all'intera frase.
-Non
penso-rispose l'indiana- ma questo è un bene.-
-Non
approverebbe-aggiunse la giovane- non è nelle condizioni di
comprendere le mie
ragioni. D'altra parte, la sua voglia di farsi suora è stato
solo un modo per
sfuggire prima alla propria condizione. Lei ed io abbiamo lo stesso
sangue ma
conosciamo due famiglie diverse.-
Sarasa
non ribatté.
C'era
qualcosa di drammaticamente vero in quelle frasi piene di dolore. Le
scelte
passate avevano spezzato dentro quella dama in apparenza tanto forte.
Mentalmente si chiese se sarebbe riuscita a provare nuovamente dei
sentimenti,
dal giorno in cui tutto era crollato. in modo improvviso e molto
triste. Le
cose potevano prendere una piega assai diversa forse...ma ormai,
nessuno
avrebbe più potuto vederlo. Colui che poteva dare una
risposta a questo
aggrovigliato arcano, non era più.
Margareth
camminava per i corridoi con passo svelto, schivando la
servitù che, intimorita
da quella che era, a conti fatti, una vera e propria marcia, si metteva
da
parte, come se avesse il diavolo alle calcagna. Un sorriso divertito
balenava
sul suo volto, lo stesso che aveva sfoderato dopo aver inflitto
l'ennesima
sconfitta al cognato.
A
quel pensiero, sorrise.
Mettere
in difficoltà il rigido fratello del suo defunto marito era
un'operazione che
galvanizzava il suo ego, dandole l'impressione di poter fare qualsiasi
cosa.
Una mera illusione ma era grata a Mr. Gillford per la
generosità che aveva loro
offerto. Alla fine, dopo la sconfitta, era riuscita a strappare la
promessa da
suo cognato che avrebbe scritto a Lady Mc Stone, per poter avere un
incontro
privato.
Quel
misantropo aveva borbottato un po' per quella richiesta...ma aveva
perso a
carte e doveva cedere. Era un uomo d'onore in fondo...come dimostrava
il fatto
che aveva accettato la richiesta del fratello degenere ed aveva accolto
in casa
la vedova e la sua prole. Margareth lo ammirava per questo...e insieme
gli era
grata.
Nessuno
avrebbe mai mostrato una simile condotta irreprensibile...a meno che
non avesse
un carattere impossibile, un parentado imbarazzante e l'odiosa
necessità di
preparare una successione onorevole. Non dubitava che le remore del
vecchio
fossero pesantemente condizionate dalla sua nota misantropia ma non
avrebbe
permesso a quella testa calda di tirarsi indietro.
Conoscendo Cedric, non avrebbe gettato
l'occasione di sfuggire a quell'impegno...e per questo motivo voleva
parlare
con quella vedova.
-Ehi
Archie!-esclamò, rivolta al valletto del suo cognato.
Questi
ebbe un sussulto.
-Ditemi,
signora-fece, arricciando un po' il naso per le maniere spicce della
donna.
Malgrado fossero passati alcuni anni, non si era ancora abituato ai
suoi modi
grezzi.
Lei
non si scompose.
-Fate
avere questa lettera a Lady Mc Stone.-disse, senza aggiungere altro.
Il
valletto fissò il foglio...prima di annuire, non senza un
sospiro. Conosceva la
signora Gillford dalla culla e non gli erano estranee le sue maniere,
compreso
il suo temperamento deciso, che, per ragioni che tuttora ignorava,
avevano
fatto capitolare il fratello maggiore del padrone. Scrollò
il capo, prima di
obbedire un po'rassegnato. Per quanto ci provasse, non riusciva ancora
a vedere
la piccola Meg come una signora...ma solo come una pestifera
piantagrane.
Con
questo genere di pensieri, fece recapitare la lettera al destinatario,
senza
sapere quali conseguenze avrebbero portato con sé.
Oceane
leggeva la consueta puntata del romanzo d'appendice di quel mese.
-Non
riesco ancora a capacitarmi del fatto che siate venuta da me, Madame-
fece
Igor, comodamente seduto su una poltroncina- lo trovo...come dire,
temerario.-
La
francese ridacchiò.
-Non
temo per la mia reputazione...e poi siete noto per essere un uomo
integerrimo.
Non credo che mi fareste del male.-disse, strappando una risata al
russo. Lo
guardò suonare il piano, mentre se ne stava seduta nella
poltroncina del
salotto.
-In
ogni caso, l'assenza di uno chaperon è cosa assai
disdicevole.-continuò il
russo- La vostra datrice di lavoro, come la pensa a riguardo?-
Oceane
inclinò la testa, fingendo di pensarci un po'.
-In
realtà non le ho detto niente...anche perché
è molto impegnata. Sembra che
abbia degli ospiti...molto faticosi da gestire, visto che mi ha
concesso di
avere alcuni giorni liberi.-disse, giocherellando con i riccioli scuri-
e così,
non avendo molte conoscenze, ho pensato di andare da colui che reputo
un buon
amico. Spero di non avervi offeso per questa invadenza.-
Igor
stirò le labbra.
-Un
amico?-chiese retorico.
-Perché-ribatté
lei, osservandolo di sottecchi- non credete che uomini e donne non
possano
essere amici?-
Il
signor Borowsky non rispose, limitandosi a bere un bicchiere di vodka.
Lei
lo studiò.
Guardò
la sua aria dinoccolata e apparentemente svogliata, dovuta forse alla
considerevole altezza e alla lieve divergenza degli occhi chiari in due
opposte
direzioni. Igor Borowsky, figlio illegittimo di un principe russo, non
era
bello, benché fosse proporzionato. Non aveva la leziosa
perfezione efebica dei
nobili che non conoscevano altra attività fisica della
caccia e non sembrava
nemmeno interessato a quel genere di passatempi. Sembrava piuttosto uno
di quei
tipi silenziosi e malinconici, dediti all'arte e alla filantropia.
-Conoscete
la storia di Ero e Learco?-domandò il russo, interrompendo i
suoi pensieri.
L'istitutrice
conosceva quel mito, molto bene.
-Credo
che tra uomo e donna vi sia la stessa distanza mortale che
separò i due amanti.
Occorre fare uno sforzo oltremisura per poterla rompere- fece,
abbassando
all'improvviso la voce- ma basta un niente per distruggere questo esile
legame
di fiducia.-
Oceane
non commentò ma non poté fare a meno di sentire
un brivido correrle lungo la
schiena. Per un momento, ebbe l'impressione che non stessero
più parlando di
quella storia e, inaspettatamente, ebbe il timore di chiedere
spiegazioni. La
faccia indecifrabile del principe russo era come un muro, impossibile
da
abbattere...così rimase lì, seduta compostamente
sul divanetto, con quel
romanzetto d'appendice improvvisamente senza valore.
Igor
la squadrò.
-Perché
siete venuta?- chiese infine.
Oceane
non rispose a quella domanda. Improvvisamente, aveva perso tutta la sua
parlantina. Si chiese se ricordava che lo aveva scorto in
quell'orfanotrofio e
dei suoi sguardi di disgusto...ma non osò andare avanti. Per
la prima volta, da
quando era giunta a Londra, temeva di dover nuovamente riaprire quel
vaso di
Pandora...ed il coraggio volò via, insieme alla sua consueta
baldanza.
Capitolo
breve
ma di passaggio. Spero
che piaccia,
anche se nessuno mi dice cosa ne pensa. Vorrei ringraziare tutti coloro
che
leggono, compresi quelli di DONNA SACRA. Qui il clima è
leggermente diverso ma
spero che non sia un problema. Grazie a tutti.