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Autore: Blue Tokage    05/09/2013    6 recensioni
Ci sono storie che durano nel tempo. Sono storie strane, un po' magiche...storie che, in un momento buio possono spingerci ad andare avanti.
Dal testo:
“Orlando, un cavaliere cristiano, si innamora di Angelica, una principessa musulmana, che non ricambia il suo amore, ma sposa un semplice soldato della sua stessa fede. Quando Orlando lo viene a sapere, impazzisce e perde il senno. Lo perde letteralmente, come se avesse perso una chiave, un calzino, un guanto … Un altro cavaliere, Astolfo, decide di recuperare quel senno.”
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Spezzati'
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Ciò che si perde qui, là si ritrova
 
Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l’inutil tempo che si perde a giuoco,
e l’ozio lungo d’uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,
i vani desideri sono tanti,
che la più parte ingombran di quel loco:
ciò che in somma qua giù perdesti mai,
là su salendo ritrovar potrai.
                               [“L’Orlando Furioso”, Ariosto, Canto XXXIV, Ott. 75]
 
 
Anche questa notte il treno corre attraverso i distretti verso Capitol City, sugli stessi binari sui quali si muovono i miei spettri, quelli della 74° edizione degli Hunger Games.
Anche questa notte gli incubi la fanno da padroni in questa stanza che mi sembra un nido ed una prigione, le cui sbarre ho costruito io stessa.
Anche questa notte, le sue braccia sono la mia unica ancora di salvezza per non affogare.
“Riusciremo a ritrovare un po’ di pace?”
Non so davvero come mi siano uscite di bocca queste parole. Pace, l’unica cosa che Snow mi ha giurato non avrò mai.
“La luna.” Peeta guarda un punto indefinito nel buio.
“Come hai detto?”
“La pace … forse dovremmo andarla a cercare sulla luna.” Sembra serio.
Sono un po’ seccata: non mi sembra il momento giusto per prendermi in giro. Gli rispondo sgarbatamente “Sì. E magari ci costruiamo pure un albergo.”
Peeta mi guarda stranito, poi capisce. Scuote la testa “Non intendevo quello … hai mai sentito della follia d’Orlando e del suo senno perduto?”
Questa volta sono io a guardarlo senza capire. Lui sorride. Quanto mi fa sentire meglio questo sorriso.
“Cristiani e Musulmani si facevano la guerra.”
Cristiani e Musulmani? Deve essere parecchio vecchia, questa storia … mi sembra fossero religioni di prima della guerra che ha portato alla fondazione di Panem …
“Orlando, un cavaliere cristiano, si innamora di Angelica, una principessa musulmana, che non ricambia il suo amore, ma sposa un semplice soldato della sua stessa fede. Quando Orlando lo viene a sapere, impazzisce e perde il senno. Lo perde letteralmente, come se avesse perso una chiave, un calzino, un guanto … Un altro cavaliere, Astolfo, decide di recuperare quel senno.”
“E lo va a cercare sulla luna?” Forse sto iniziando a capire …
Il ragazzo del pane sorride “Allora mi stai ascoltando.” Sbuffo, ma ho voglia di sorridere “Vai avanti, dai.”
Continua “Il Regno della Luna è la copia rovesciata della Terra, vi si trova tutto ciò che qui manca e manca tutto ciò che qui c’è.”
Devo avere un’aria trasognata, perché mi sembra di essere tornata bambina, tra le braccia di mio padre …
Peeta mi accarezza i capelli “C’è di tutto, lacrime di innamorati, sogni, il tempo sprecato, la fama, la gloria, il potere … - guardo questa storia riflettersi nei suoi occhi - … la sobrietà di Haymitch, la simpatia di Effie e forse anche il vero colore dei capelli di Caesar Flickerman.”
Scoppiamo a ridere entrambi.
Peeta continua il racconto: il senno di Orlando è chiuso in una grande ampolla perché non evapori e, una volta trovato quello ed il proprio, Astolfo torna sulla Terra e salva l’altro dalla follia.
Peeta è il mio Astolfo, sono le sue braccia, il suo petto, i suoi occhi, ad impedire che perda il senno, sono loro l’ampolla che impedisce a quel poco che è rimasto di svanire nel nulla.
Non posso perderlo, non ora che le sue mani sono il nodo che mi stringe e tiene insieme i miei pezzi. No, non ora…
 
 
Poi giunse a quel che par sì averlo a nui,
che mai per esso a Dio voti non ferse;
io dico il senno; e n’era quivi un monte,
solo assai più che l’altre cose conte.
 
Era come un liquor sottile e molle,
atto a esalar, se non si tien ben chiuso;
e si vedea raccolto in varie ampolle,
qual più, qual men capace, atte a quell’uso.
Quella è maggior di tutte, in che del folle
Signor d’Anglante era il gran senno infuso;
e fu che da l’altre conosciuto, quando
avea scritto di fuor: “Senno d’Orlando”.
                               [“L’Orlando Furioso”, Ariosto, Canto XXXIV, Ott. 82, v.5 – Ott. 83]
 
 
Faccio e sfaccio nodi. Non posso pensare, non devo farlo, non voglio. Se lo facessi, questa diverrebbe la mia tomba e tutto quello che ho fatto finirebbe per crollare. Non ho fatto tanto, ma ci rimetterebbero le persone a cui voglio bene … e in questo senso ho già fatto abbastanza …
Perché diavolo questo nodo non si scioglie!
Mi bruciano le dita. Lancio con rabbia questo stupido pezzo di corda.
Stupido nodo … la presa delle sue mani sul mio collo …
Mi scoppia la testa, voglio uscire, sto impazzendo qui, mi sembra ogni momento che passa di perdere sempre di più il senno, goccia a goccia …
 
“… perde il senno. Lo perde letteralmente, come se avesse perso una chiave, un calzino, un guanto …”
 
… mi accorgo solo ora che sto piangendo.
Asciugo le lacrime. Frugo nel paracadute finché non la sento in mano, liscia, tonda … la stringo come se volessi farla diventare parte di me, parte del mio corpo. Perché è l’unica cosa che mi rimane di lui, una perla, candida, luminosa … è come se avesse staccato la luna dal cielo e me ne avesse fatto dono …
 
“… forse dovremmo andarla a cercare sulla luna ...”
 
Perché non riesco a smettere di piangere? Vorrei solo che queste stupide inutili lacrime la smettessero di annebbiarmi la vista … vorrei solo addormentarmi e non sognare … vorrei solo scordarmi tutto …
 
 
Ciò che si perde qui, là si raguna
                               [“L’Orlando Furioso”, Ariosto, Canto XXXIV, Ott. 73, v. 8]
 
 
Mi addormento e sogno. Sogno l’arena, la nebbia, gli ibridi, le ghiandaie … sogno Cinna, Rue, Mags, Wiress … sogno occhi azzurri come il mare e come il ghiaccio e sento una stretta attorno al collo … sogno Snow, che mi chiama Angelica … la colpa è mia, sono io il mostro che lo ha ridotto alla pazzia, l’ibrido, l’assassina … sento bruciarmi la mano, come se stessi stringendo un tizzone ardente … sogno anche strane ampolle piene di liquido chiaro … hanno dei nomi … Annie, Finnick, Peeta … Katniss … la prendo, strappo il tappo, gran parte rimane lì, ma un po’ l’aspiro … le cose sembrano più chiare, forse non tutto è così perso …
 
Mi risveglio sudata, la mano ancora stretta spasmodicamente attorno alla perla. Mi manca l’aria.
Corro a quella specie di finestrella che c’è nella stanza e la apro. L’aria fresca della notte mi fa bene, mi calma.
Non capisco quello che c’è fuori, ma ciò che volevo vedere, l’ho visto: è lì, alta, splendida, distante nel cielo eppure stretta nel mio pugno.
Avvicino la perla alle labbra e, guardando la luna, lo giuro su quei bagliori:
questa volta non sarò Orlando, ma nemmeno Angelica, sarò Astolfo e riporterò qui tutto ciò che si è perso. Finnick, Annie, mamma … Peeta …
… ti ritroverò.
 
 
Chi salirà per me, madonna, in cielo
A riportarne il mio perduto ingegno?
                               [“L'Orlando Furioso”, Ariosto, Canto XXXV, Ott. 1, v.1-2]
  
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