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Autore: Deb    05/09/2013    6 recensioni
La vita è effimera. Un minuto sei qui e il secondo dopo potresti non esserci più. Con gli Hunger Games è facile. Sai che la probabilità di morire è alta, almeno se non sei tra i Favoriti. Coloro che si allenano per una vita intera soltanto per entrare nell'arena volontariamente e diventare Tributi.
Quando vieni scelto è diverso. La paura si irradia nel corpo, sai che al novantanove percento, in poche settimane la tua famiglia piangerà la tua perdita.
Eppure andranno avanti, senza di te.

{Partecipa alla challenge Multifandom e Originali con il prompt #35. Morte}
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Feelings After-war ~ Katniss/Peeta'
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Solo

La vita è effimera. Un minuto sei qui e il secondo dopo potresti non esserci più. Con gli Hunger Games è facile. Sai che la probabilità di morire è alta, almeno se non sei tra i Favoriti. Coloro che si allenano per una vita intera soltanto per entrare nell'arena volontariamente e diventare Tributi.
Quando vieni scelto è diverso. La paura si irradia nel corpo, sai che al novantanove percento, in poche settimane la tua famiglia piangerà la tua perdita.
Eppure andranno avanti, senza di te.
Perché la vita è così, non aspetta. Il dolore può essere immenso, ma non puoi fare altro se non continuare a camminare, nascondendoti dietro una maschera ben costruita, fatta di rabbia, di sorrisi o di indifferenza. E vai avanti cambiando completamente il tuo modo di essere.
Cambi radicalmente quando incontri per la prima volta la morte.
Come la morte di una persona a te cara. Piangi. Ti rannicchi per giorni sotto le coperte continuando a non riuscire a fare a meno di versare le lacrime, oppure ti fai forza, anche per chi non ce la fa.
Il tempo, poi, allevierà il dolore cieco che provi, lasciando solo il vuoto. Una cicatrice indelebile che, quando meno te lo aspetti, torna a ripresentarsi e a ributtarti nel vortice del dolore.
È come un circolo vizioso. Piangi, ti fai forza, indossi una maschera, ridi, scherzi, ma poi torna. Sempre. Non è possibile non osservare qualcosa e riuscire a non ricordare quella persona. Può essere una foto, un fiore o un posto, ma prima o poi, anche se non vuoi, i ricordi torneranno prepotenti e sembrerà che non sia passato un giorno dalla sua morte.

Io ho partecipato a due Hunger Games, convinto di morire per lei nel primo, sono sopravvissuto proprio grazie al suo aiuto, alla sua forza. Sono entrato due volte nell'arena e due volte ne sono uscito. Ma ho comunque perso.
Perdere se stessi non è forse come morire? Diventare una persona che non si è, con idee, pensieri e ricordi non tuoi non è come essere sepolti sotto terra? Perdere tutta la famiglia nei bombardamenti, credere che la colpa sia da imputare alla ragazza che ho amato con tutto me stesso, per la quale avrei dato la mia vita, non è come essere morti?
Non ho potuto piangere la mia famiglia a dovere, non sono riuscito a portare loro l'ultimo saluto, quando sono io quello che avrebbe dovuto morire. Sono io il cadavere che cammina, non loro. Loro sarebbero andati avanti con la loro vita, facendo diventare il dolore della mia perdita un ricordo lontano, una cicatrice indelebile.
Mi siedo sul prato e strappo l'erba sotto le mie mani, almeno quella poca che è ricresciuta. Mi hanno detto che avevano seppellito tutti i cadaveri lì. Mia madre, mio padre e i miei fratelli riposano tutti sotto di me, in una fossa comune. Quelli del Villaggio insieme alle persone del Giacimento.
Sorrido pensando che mia madre sarebbe decisamente contraria a questa soluzione. E mi manca. Mi mancano persino i suoi schiaffi, le sue urla e i suoi insulti. Vorrei sentirle dire che sono un buono a nulla, ma forse, se fosse ancora qui, si ricrederebbe.
Ho sentito che mi chiamano eroe. Colui che, insieme alla Ghiandaia Imitatrice, ha portato la libertà nella nazione. Grazie a noi due non ci sono più gli Hunger Games, non si lavora soltanto per Capitol City ed avremo un futuro migliore. Per noi e i nostri figli.
Le lacrime mi rigano il volto e non mi sono nemmeno accorto di star piangendo. Mi sento svuotato dalla morte che aleggia in ogni dove. Qui, al Villaggio, per le strade del Distretto. Ma non solo. Anche a Capitol City. Ci stiamo tutti riprendendo, ma lentamente. Ed inesorabilmente arriverà quel periodo in cui torneremo indietro, quando sentiremo che tutto è stato inutile, che le perdite sono maggiori dei risultati. Ma non è così. Almeno continuano a ripetermelo e allora ne ho fatto un motto perché non credo che il futuro potrà essere radioso come annunciano. Sarà soltanto una salita che scalerò con calma, senza fretta, perché ormai non ho bisogno di rincorrere niente e nessuno. Non osservo nessuna ragazza da lontano sperando che si accorga di me, non ho nessuno da proteggere perché non è rimasto più niente.
Sono solo, perso e completamente distrutto. E non riesco a farmi forza, non più.
Forse non è vero che sono sopravvissuto a due arene, sono morto nella seconda e non so se riuscirò a tornare indietro. Il mio primo pensiero dovrebbe andare a Katniss che so perfettamente dove abita e che sta bene, invece non voglio vederla. Non posso vederla. Non ancora, non sono nelle giuste condizioni. Prima devo sconfiggere questo senso di oppressione, come se qualcuno mi tenesse legato e mi stringesse in una morsa ad intervalli irregolari. Ed il dolore che provo è più profondo di quello che provavo durante le torture. È diverso, ma ugualmente pungente.
Non sono più io, che senso ha cercare di farsi forza a vicenda, sperando e desiderando che tutto torni come una volta quando sappiamo benissimo che nulla tornerà come un tempo? Non noi, almeno. Il nuovo Stato rinascerà dalle ceneri che lei ha lasciato sparpagliate nella terra. E, questa volta, nemmeno lei riuscirà a tornare quella che è stata.
Siamo dannati, maledetti e lo saremo per sempre. Non avremo modo di cancellare i nostri incubi, i nostri dolori. Non noi. Noi cammineremo insieme agli altri, ma rimarremo sempre fermi, come se il tempo per noi non esistesse.
Ho perso me stesso, ma sono tornato. Mi hanno fatto ritornare indietro e sono morto, dentro, per tutto il dolore che mi avvolge. Sembra quasi una coperta spessa, di quelle che si utilizzano in inverno inoltrato, ma è così pesante sul mio corpo che non riesco ad uscirne. Sono ingrovigliato da tutto il peso di quello che è stato, che è e che sarà.
Sono in piedi, ma è come se fossi sotto terra, insieme a loro. Insieme ai cittadini del Distretto 12.
Cos'è che mi rimane? Una casa, un buono stipendio per non fare nulla, soltanto perché sono un eroe ed il vuoto. Un buco nel petto e nella testa. Ricordi che non ritorneranno mai più, pensieri che sono andati persi insieme alla fine della rivoluzione.
Sono sempre io, ma non potrò mai esserlo del tutto. Sono morto e nessuno piange la mia scomparsa. Sono il fantasma di me stesso. Quindi continuerò a camminare, a seguire la strada che mi porterà a vivere una vita piatta e senza senso, ma è pur sempre vivere. Non la darò vinta a chi mi ha ridotto così, andrò avanti, portando il dolore e la perdita sempre con me. Solo.

Il carrozzone va avanti da sé,
con le regine, i suoi fanti, i suoi re
Ridi buffone, per scaramanzia,
così la morte va via .
[...]
E il carrozzone prende la via,
facce truccate di malinconia...
Tempo per piangere, no, non ce n'è,
tutto continua anche senza di te.
Il Carrozzone - Renato Zero



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Did you miss me? :3
Dopo una settimana di assenza ritorno con una fanfiction decisamente tristissima sul mio Peetuccio amoroso dududu dadada. :° Povero il mio bimbo.
Quando ho cominciato a scrivere questa shot, non sapevo dove mi avrebbe condotta. Poi, durante la stesura ho cominciato a pensare alla canzone di Renato Zero - Il carrozzone.
Fanfiction decisamente angst, ambientata durante il ritorno di Peeta nel Distretto 12, dopo la rivoluzione, ma prima che decidesse di andare da Katniss con le primule.
Spero che vi sia piaciuta :°
Baci
Deb
   
 
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