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Autore: Aniel_    05/09/2013    8 recensioni
Chicago 1940.
A Dean Winchester, poliziotto di ventotto anni, viene tolto il caso della vita, a cui lavorava ormai da anni. Ma ha una nuova pista che lo condurrà nel luogo più blues di tutta la città.
Incontrare un certo sassofonista e trovarlo "vagamente interessante" non era di certo nei suoi piani.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Fandom: Supernatural
Pairing/Personaggi: Dean/Castiel, Sam/Ruby, John Winchester, Missouri, Joshua, Bobby Singer, Rufus Turner, vari.
Rating: NSFW
Chapter: 8/?
Betavampiredrug ♥
Genere: introspettivo, romantico, angst
Warning: AU, slash, OOC
Words: 3032/? (fiumidiparole)
Disclaimer: nessuno mi appartiene, nemmeno il sax di Cas. È così triste, non è vero?
 

CAPITOLO 8
West End Blues


 

Castiel mugugnò nel sonno mentre l'aria fresca del mattino filtrava da una delle finestre aperte della camera da letto, costringendolo a coprirsi fin sopra il viso. Il corpo caldo e rilassato di Dean aderiva perfettamente contro la sua schiena, regalandogli una piacevole e ovattata sensazione di calore.
Per un momento - quello incoerente prima del risveglio- ebbe la bizzarra sensazione di trovarsi all'interno di una bolla di profumi e sensazioni che non aveva mai provato prima. Piacevole.
Non voleva svegliarsi, Castiel.
Unico.
Aprì gli occhi quasi controvoglia, come quando ci si sveglia dopo un bel sogno che sarebbe per sempre rimasto incompiuto.
«Dean?» domandò, cercando di voltarsi senza risultati. Gli arti intorpiditi e il peso dell'altro di certo non erano d'aiuto. «Dean andiamo, togliti di dosso, devo andare via.»
Dean non replicò e non fece per spostarsi ma si limitò a stringere le braccia attorno alla vita dell'altro, tirandoselo contro, più vicino.
Castiel grugnì, fingendosi infastidito, e quando riuscì con non poche fatiche a voltarsi trovò due occhi chiari e pimpanti a dargli il buongiorno.
«Allora sei sveglio» sussurrò, sinceramente colpito. «Non credevo fossi in grado di svegliarti prima delle otto.»
«Sono un uomo pieno di sorprese» replicò pigramente, «e poi non ho alcuna intenzione di sprecare una bella mattina come questa dormendo.» continuò, mentre faceva scivolare le dita lungo il petto di Castiel, sempre più in basso, solleticandogli l'ombelico.
Allusivo come solo Dean Winchester sapeva essere.
Il musicista rise, afferrandogli la mano e intrecciando le dita con le sue, fermando la sua avanzata. «Non ci provare, Winchester. Se non mi presento a lavoro neanche stamattina, Missouri potrebbe seriamente uccidermi.»
Il poliziotto sorrise, languido, e lasciò un bacio asciutto sulla sua spalla per poi sporgersi lentamente e procedere fino al petto, baciando e succhiando piccole porzioni di pelle, come se non avesse alcun senso fare qualsiasi altra cosa.
«Dean, dico sul serio. Sono già due mattine che mi trattieni quasi con la forza. È sequestro di persona, punibile dalla legge. Tu sei la legge, Dean.» si lamentò, poco convinto, mentre bastavano pochi baci umidi e il calore del corpo di Dean per farlo capitolare ogni fottutissima volta.
Dean gli leccò il collo, raggiungendo in fretta il suo orecchio, arroventandolo con il proprio respiro. «Non sono un giudice, Cas. Non sono io la legge. E per quanto riguarda i tuoi ultimi sequestri, be', non mi sei sembrato così dispiaciuto o riluttante all'idea.» osservò, con quella finta innocenza mista a possessività che rischiava di togliergli sempre il fiato.
Castiel sbuffò, voltando il capo dall'altra parte, e lasciando che l'altro si accomodasse a cavalcioni su di lui, nudo e bellissimo, come una di quelle statue greche che aveva visto nei libri di Joshua da bambino.
«Il fatto che tuo padre ti abbia sospeso non implica che anche io debba perdere il lavoro e passare le mie giornate a scopare!»
Dean lanciò un'occhiata eloquente alla sue erezione, prima di prenderla tra le dita, stimolando tutti i punti che fecero annebbiare la vista di Castiel in pochi secondi. «Ma davvero?»
Castiel deglutì e strinse le lenzuola tra le dita, spingendosi contro quella mano calda e quando permise a se stesso di chiudere gli occhi e godersi quella sensazione, fu costretto a strabuzzare gli occhi dalla sorpresa: Dean si era calato lentamente su di lui, con naturalezza, sostituendo la propria mano al corpo bollente e stretto, puntellandosi con i palmi sul petto di Castiel che singhiozzò, arpionando le sue cosce con le mani.
«Dannazione, Dean... devo andare... dovrei... dovrei andare-» gemette, nella più totale incoerenza, perché era ormai assuefatto da Dean e dalle sensazioni che gli faceva provare.
Ma Dean parve prenderlo in parola e si spostò, lasciandosi ricadere sul letto con un braccio sul viso e il fiato corto. «Vai se devi proprio.»
E Castiel sapeva che a Dean piaceva quell'atteggiamento, la sensazione di comando, il saperlo portare sull'orlo del baratro e andare via come se niente fosse. Scalciò le lenzuola, facendole finire sul pavimento, e si avventò sull'altro che rise soddisfatto quando Castiel gli piegò le ginocchia contro il petto per poi penetrarlo con forza, spingendosi in lui velocemente e dettando un ritmo al quale Dean avrebbe solo potuto adeguarsi.
«Così, Cas. Così» singhiozzò Dean, aggrappandosi con una mano alla testata del letto e massaggiando la propria erezione con l'altra. «Vieni per me, Cas.»
E a Castiel quello bastò, portandolo ad accasciarsi tremante ed esausto sul corpo di Dean dopo poche altre spinte che portarono anche il poliziotto oltre il limite.
«Sai, Cas» mormorò, affondandogli una mano tra i capelli, «credo che tu sia in ritardo.»
«Fottiti.»
E poi Dean rise e tutti i buoni propositi di Cas - il lavoro, l'alzarsi dal letto, tutto il resto- andarono semplicemente a puttane. Quando Dean rideva lui non poteva fare altro che bearsi di quella musica e restargli accanto perché stava bene e perché non aveva alcun senso stare da qualsiasi altra parte.
Il musicista riprese fiato e osservò l'altro rilassarsi, sebbene non fosse sereno come sperava.
Dean non lo era mai e questo lo feriva. Non avrebbe saputo spiegare il motivo, ma gli piaceva pensare di essere una cura per lui e non un semplice intermezzo tra una caccia all'uomo e una discussione con il padre.
«Cosa farai oggi?» gli domandò, mentre accarezzava con lo sguardo il proprio soprabito adagiato sulla poltrona. «Io resterò al locale fino all'ora di cena, come minimo.»
Dean fece spallucce e si alzò di scatto, massaggiandosi le tempie. «Credo che andrò da Meg.»
«Prego?»
«Da Meg. L'adorabile puttana che ci ha provato con te in maniera non troppo sottile. L'hai già dimenticata?» lo schernì Dean, con quel solito tono strafottente che lo faceva infuriare tutte le volte.
«So chi è Meg. Non voglio che tu vada lì.»
Il poliziotto inarcò un sopracciglio. «Se hai paura che possa fare qualcosa con lei sei fuori strada...»
«Cazzo, Dean! No! L'ultima volta che sei stato lì hai rischiato quasi di farti ammazzare!»
«Ma non è successo.»
«Certo che non è successo, io ero lì, l'ho evitato.»
«Mi stai dicendo che non posso girare per la città senza di te perché rischierei di essere fatto fuori? Un po' arrogante da parte tua.» ridacchiò Dean, sinceramente divertito dalla faccenda.
Castiel non era bravo con le emozioni, non riusciva ad esprimerle senza farsi male, senza scottarsi. Per questo suonava: era più semplice, riusciva a scindere ogni sensazione, ogni sentimento, l'uno dall'altro senza venirne sopraffatto. Ma nella vita reale? Nella vita reale era solo un bambino che riusciva a malapena ad affrontare le giornate senza crollare e provare tutte quelle emozioni, tutte insieme, di certo non aiutava.
E in questo momento provava rabbia, esasperazione, preoccupazione, amore e non sapeva come farsi ascoltare da Dean perché Dean non ascoltava mai, non davvero.
«Puoi lasciar perdere, per questa volta?» gli domandò, sfinito.
Il poliziotto scosse il capo. «Non posso.»
«Perché?»
«Perché-» sospirò, «devo farlo, Cas. Se lui è qui, se ha intenzione di tornare in città...»
«Sei arrabbiato.»
«Cosa?»
Castiel chinò la testa. «Sei arrabbiato.» ripeté. «Sei sempre arrabbiato quando vieni qui.»
Dean non riuscì a replicare e il suo silenzio fu abbastanza per Castiel. Si sentì tutto a un tratto svuotato. Non era la cura, non lo era mai stato.
Era solo un mezzo, niente di più.
«Tutte le volte che sei venuto qui eri sempre così arrabbiato, persino ieri, dopo quello che è successo con tuo padre e io sono stanco, Dean. Sono così stanco.»
Dean colmò la poca distanza che li separava e poggiò le mani sulle spalle dell'altro, attento, come se potesse frantumarsi da un momento all'altro sotto le sue dita.
«No Cas, non è come pensi...»
«Davvero?» replicò Castiel, scettico. «Che stiamo facendo, Dean? Perché sei qui? Avevi detto di non sapere cosa fosse questa cosa che si è creata, mi hai chiesto di non esaminare tutto ma... devo saperlo, adesso. Ne ho bisogno.»
Il poliziotto indietreggiò, colto di sorpresa, e Castiel incassò il colpo sebbene facesse un male cane: Dean era lì ma era come se non ci fosse davvero.
Castiel non si era sbagliato la prima volta che lo aveva visto, era un fantasma, niente di più e lui si era fatto risucchiare in tutta quella storia, si era lasciato trasportare e non credeva che potesse finire così.
Però Dean poi sospirò e gli prese il volto tra le mani, costringendolo a guardarlo, e il musicista ebbe voglia di chiudere gli occhi per non affrontare quello che sarebbe successo dopo.
«Non sei uno sfogo.»
Castiel trattenne il fiato.
«Non lo sei, Cas. Non ti sto usando, non voglio che pensi questo.» continuò Dean, ferreo. «Non so cosa sia tutto questo ma... io sto bene. Sto così bene.» sorrise, accarezzandogli la guancia.
«Sei arrabbiato.»
«Non quando vengo qui.» puntualizzò. «Cas, non allontanarmi.»
«Io non-»
«Sì, invece. Mi allontani, lo fai sempre. Cosa ti spaventa?»
Castiel non rispose, spaventato all'idea che Dean avesse capito. Aveva fatto di tutto per nascondere la verità ma a quanto pare l'altro riusciva a leggergli dentro con più facilità di quanto immaginasse.
«Allora?» rincarò Dean e Castiel prese un respiro profondo prima di replicare.
«Tu. Tu mi spaventi.»
Dean esitò. «Io non ti farei mai del male, lo sai. Io non lo farei, non potrei mai...»
«No, Dean. Tu mi spaventi perché sei complesso, e cambi umore facilmente e niente ti trattiene. Tu-» deglutì, chiudendo finalmente gli occhi, «tu potresti andartene. Niente di definitivo, no? È una regola.»
«Ne abbiamo già parlato, non me ne andrò. Devi fidarti di me.» lo pregò, «Fidati di me. Non so più che regole inventare per convincerti che resterò qui.» ridacchiò, cercando di smorzare la tensione. «Sei la prima cosa al mondo che non ho intenzione di lasciar andare.»
E poi lo baciò.
E ancora, e ancora.
E i dubbi di Castiel si cancellarono come se non fossero mai esistiti.
 
*°*°*
 
Castiel annuì e sorrise nei momenti giusti, sorbendosi ogni raccomandazione, ogni ramanzina, ogni "quando torno voglio vedere tutto splendente, siamo intesi?" che Missouri era intenta a sciorinare, insieme ad una manciata di altre osservazioni che non riuscì a cogliere.
Allontanò per un momento lo sguardo dagli strumenti che stava lucidando solo per vedere la donna guardarlo con un cipiglio sospettoso.
«Ma mi stai ascoltando?»
«Sì. Il locale non è aperto al pubblico fino alle otto, lo so. Non sono un novellino, Missouri.» le fece notare, fingendosi offeso.
«Non è quello che ho detto. Dico solo che non ti sei mai occupato autonomamente del locale, non ti ho mai visto rimettere le sedie sui tavoli una sola volta in vita mia.»
«Dean mi ha visto.»
«Dean... ovviamente.» commentò, leggermente sprezzante, quel tanto da fare irrigidire Castiel.
«Cosa intendi dire?»
Missouri indugiò ad eliminare pieghe inesistenti sulle maniche del proprio cappotto, guardando l'altro da sotto in su. «Ti sta risucchiando nella sua illogica logica di poliziotto. Conosco i Winchester, fanno sempre così.»
«Dean non sta- ma di che cosa stai parlando, uhm?» domandò, spiazzato.
«Senti Castiel, nessuno più di me è felice del tuo cambiamento. Dio solo sa quanto abbia pregato per vederti di nuovo così... vivo. Ma...»
«Ma?»
«Sembra che tu gli stia lasciando troppo spazio nella tua vita. E non dico sia un male, solo... stai attento, va bene? Se dovesse decidere di andarsene...»
«Non lo farà.»
«Castiel...»
«Ho detto che non lo farà!» sbottò, facendola trasalire. Ha promesso.
Gli occhi di Missouri si incupirono e le sue labbra si aprirono per poi richiudersi, senza aggiungere nulla. Castiel sapeva cosa voleva dirgli.
Crollerai. Se va via, crollerai. Ancora.
Castiel scosse il capo, scacciando via quel pensiero dalla testa. «Perdonami, non volevo alzare la voce.» si scusò, «sto bene. Starò bene. D'accordo?»
La donna annuì, decisa a non insistere. «Prendi i liquori dal magazzino quando finisci.» concluse prima di allontanarsi.
Quando uscì, Castiel si sentì un po' in colpa.
Sospirò e andò a prendere i liquori, tentato dal desiderio di aprire una bottiglia e scolarsela da solo in pace e tranquillità.
Tuttavia, quando tornò dal magazzino, un uomo seduto a uno dei primi tavoli, quelli più vicini al palco, distrusse i suoi buoni propositi.
«Siamo chiusi.» gridò, per farsi sentire.
L'uomo non si scompose.
«Ehi... siamo chiusi.» ripeté, avvicinandosi lentamente.
Quando gli fu accanto studiò con cura i suoi lineamenti: non poteva avere più di una quarantina d'anni anche se ne dimostrava molti di più, forse per via della stanchezza o di qualcosa che Castiel non riuscì a capire. Indossava un bell'abito, nuovo di zecca, e dal polsino faceva capolino un orologio d'oro che la diceva lunga.
Non riuscì a cogliere più di questo.
Per la seconda volta in vita sua non riuscì a leggere una persona, ma con Dean era stato diverso. Dean non gli aveva trasmesso una simile sensazione di... insofferenza.
Quell'uomo aveva qualcosa che a Castiel non piaceva, che fece scattare tutti i campanelli d'allarme.
Si guardò intorno: l'uscita non era poi così lontana, avrebbe potuto raggiungerla se le cose si fossero messe male. Si schiarì la voce e cercò, con il tono più fermo possibile, di non mostrarsi intimidito.
«Devo chiederle di andarsene.»
L'altro finalmente gli concesse la propria attenzione. «Vorrei un bicchiere di whisky. Doppio. È stata una giornata stressante.»
«Mi dispiace ma siamo ancora chiusi. Può tornare più tardi.» replicò. La sua voce tremava appena.
«È un vero peccato.» commentò l'uomo, infilandosi una mano nella tasca interna della giacca, e Castiel sussultò, indietreggiando di pochi passi.
L'altro però tirò fuori solo un fascio di banconote - il musicista non seppe dire quanto denaro fosse- e lasciò una banconota da cinque dollari sul tavolo, per poi alzarsi in piedi. «Per il disturbo.»
Castiel annuì e lo vide andar via, indugiando per pochi istanti sulla porta, pensieroso. «Sto cercando un vecchio amico. Dicono che passa spesso di qui. Passerò quando sarà il momento.» si congedò, e solo allora Castiel si concedette un secondo per ricominciare a respirare.
Si era sempre fidato delle sue sensazioni e quelle che provava per quell'uomo erano tutt'altro che piacevoli.
Una mano calda e confortante si posò sulla sua spalla e Castiel non sentì il bisogno di voltarsi per capire chi fosse.
Joshua aveva sempre fatto così, fin da quando era bambino, e Castiel trovava quel tocco rassicurante, lo faceva sentire al sicuro, lo aiutava di nuovo a respirare.
«Chi era?»
Castiel sospirò. «Non ne ho idea ma... non mi piace.»
«Sei al sicuro qui.»
«Sì, lo so.» rispose, voltandosi e rivolgendogli un sorriso.
Anche Joshua sorrideva ma sembrava essere invecchiato di dieci anni in una manciata di giorni, era sereno questo sì ma Castiel fu costretto a distogliere lo sguardo e concentrare la propria attenzione su qualcosa che non fosse il suo viso.
Non ne avevano più parlato dall'ultima volta, non avevano più litigato e Castiel, in realtà, non aveva voglia di ricominciare. Prese un respiro profondo e tornò a guardarlo, fingendosi tranquillo. «Pensavo non venissi.»
«Già, lo pensavo anche io.» replicò Joshua, stringendo le labbra in una linea sottile. «Ma ho visto Missouri e mi sembrava un po'...»
«Preoccupata?»
«Il suo problema è che non ha fede.»
Castiel rise. «Non essere melodrammatico. Aveva solo paura che distruggessi il locale in vostra assenza.»
«Non ha tutti i torti. Batti la fiacca ultimamente.» lo riproverò Joshua, sebbene non sembrasse per niente arrabbiato. «Molto bene.»
Il musicista si accigliò. «Non sei arrabbiato?»
«Perché dovrei?»
«Perché... uhm... batto la fiacca.»
Joshua parve pensarci su mentre saliva sul palco e accarezzava con lo sguardo l'intero locale. «Beh, il locale è ancora in piedi e quando batti la fiacca non sei solo.» osservò. «C'è ancora Dean, no?»
E Castiel, inconsapevolmente, sorrise. «Sì, c'è ancora Dean.»
L'altro inclinò il capo, quasi gustando quella reazione così genuina sul viso del musicista. «So deep in my heart that you're really a part of me.» canticchiò sottovoce, ma in maniera abbastanza chiara da far arrossire Castiel.
«Come-» si schiarì la voce, «come sai-»
«Sono vecchio, Castiel. Non sono stupido.» lo interruppe Joshua, invitandolo sul palco accanto a sé. «Sono felice.»
«Davvero?»
«Sì. Hai un grande dono, Castiel.»
Castiel annuì. «Sì. La mia musica. È un dono di Dio e tutto il resto...»
«No, non parlo di questo. È il tuo sorriso. Hai sempre sorriso, figliolo, dalla prima volta che ti ho visto. Negli ultimi anni ho pensato - tutti abbiamo pensato- che non avresti più sorriso. Sarebbe stato un vero peccato.» spiegò. Respirò silenziosamente, non aggiungendo altro per una manciata di minuti, come se stesse valutando chissà cosa di importante. «Raccontami di Dean, per favore.»
E Castiel fece per aprire bocca, come se si trattasse di un'interrogazione e conoscesse tutte le risposte giuste. Fiero, oh così fiero...
Joshua scosse il capo e gli mise il sax tra le mani. «Raccontami di Dean, per favore.» ripeté, e Castiel lo fece.
Suonò come non aveva mai fatto in vita sua, raccontando di quella testa calda, di come lo aveva salvato, delle urla, del bacio, del sesso, delle lacrime, delle paure. Suonò, per quelli che gli parvero anni, e quando finì, Joshua aveva le lacrime agli occhi.
«È jazz.» osservò. «Dean è jazz.»
«E va bene?»
Joshua rise. «Capita a pennello.» commentò, tirando fuori dalla tasca una busta spiegazzata.
Castiel la prese e sbirciò al suo interno: un biglietto del treno per New Orleans e l'indirizzo di un albergo.
«Per me?» domandò, incredulo.
Non aveva mai messo piede  fuori dal quartiere, figurarsi fuori da Chicago. Eppure adesso l'idea era stimolante, come una scarica di adrenalina che si arrampicava prepotente su per la spina dorsale.
New Orleans, la patria del jazz.
Dean l'avrebbe amata, ne era certo.
«Per te.»
«È una scelta... singolare.»
«Potresti imparare tanto, potresti trovare la tua strada lì. È una bellissima città.»
Castiel annuì, felice e lo abbracciò, ispirando quell'odore che lo faceva sempre tornare ragazzino. «Grazie.»
Joshua gli passò con affetto una mano sulla schiena e chiuse le palpebre, affaticato. «Credo di aver bisogno di riposare un po'.»
«Ti va se più tardi proviamo un pezzo nuovo per stasera?» propose Castiel, improvvisamente più attivo. «Qualcosa di diverso.»
«Mi piacerebbe molto, Cas.»
«D'accordo, allora a più tardi.» replicò, febbrile, avvicinando nuovamente le labbra allo strumento e suonando forte, tutti dovevano sentirlo, tutti dovevano sapere.
La porta del locale si chiuse, lasciandolo solo.
E Castiel aspettò.
 
Dean rientrò a casa di Castiel con un paio di chiavi che l'altro aveva insistito che tenesse, sbadigliando.
Meg era stata di grande aiuto, ma dover declinare ogni proposta indecente e ignorare ogni provocazione lo aveva stremato.
Il telefono squillò e Dean alzò la cornetta, certo che fosse il musicista.
Vorrà assicurarsi che sia ancora vivo, pensò, ghignando. «Sto bene. Sono vivo e vegeto.»
Nessuno dall'altra parte della cornetta replicò per qualche secondo, poi Dean riconobbe il respiro di di Missouri. «Dean?»
«Sì. Ehm... Cas non è qui, pensavo fosse al Garden.» rispose, iniziando ad allarmarsi.
«No, lui è qui, è solo che-» la sua voce si spezzò e Dean sentì mancarsi la terra sotto i piedi. «Joshua. Lui è-»
Missouri non riuscì a continuare e Dean riagganciò senza aggiungere altro che un frettoloso "arrivo immediatamente."
A quanto pare tutti pensavano che Castiel sarebbe crollato.
Nessuno sapeva però che l'avrebbe fatto per un motivo diverso.

Continua...
 

Note dell'autrice: ebbene sì, sono viva. Incredibile ma vero. Siete autorizzati ad insultarmi e minare la mia persona fisicamente e moralmente. Non ho scuse. Tra l'estate e lo studio, ho cazzeggiato alla grande. Spero di essermi fatta un po' perdonare con questo capitolo.
Il prossimo arriverà presto, promesso.
Risponderò alle recensioni dello scorso capitolo domani. 
Vi amo, lo sapete.
E.

 

   
 
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