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Autore: MyLandOfDreams    05/09/2013    2 recensioni
Sono passati 4 anni dall’ultima volta che l’ha visto. Quattro anni da quando le ha dichiarato il suo amore. Quattro anni senza ricevere sue notizie.
Fino ai 12 anni Mike occupava una parte importante nella vita e nel cuore di Lucia, e, ora che lui è lontano, lei non fa altro che aspettare il suo ritorno. Ormai ha compreso quali sono i sentimenti che prova per il suo amico, ma quest’ultimo non ha mai provato a mettersi in contatto con lei.
Lei non ha più amici. Ha solo la sua famiglia.
Fin quando, il primo giorno del terzo anno di liceo, non incontra lui.
Claudio che, in punta di piedi, entrerà nella sua vita aiutandola a rifarsi una vita.
Ma il passato non si può cancellare.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Prima di tutto vorrei chiedere perdono per il ritardo e non posso neanche promettere che la prossima volta sarò puntuale. Che senso ha fare promesse se si sa già dal principio che non le si può mantenere? Tra poco tempo ricomincerà la scuola e non avrò più tutto il tempo che avevo prima da dedicare alla storia per cui vogliate scusarmi se non mi farò sentire per un po' di tempo. Ci si vede giù.
 
Capitolo 7
 
  Ci sono momenti, nel corso della propria vita, in cui si mette in dubbio la veridicità della realtà circostante.
  Molte volte avevo avuto sogni estremamente vividi, altrettante avevo rivisto scene già vissute.
  Tuttavia mai, questi, mi erano parsi tanto reali quanto la persona che mi stava difronte e che mi aveva svegliata.
  Ciò che avevo davanti, chi avevo davanti, non era certamente reale, eppure lo sembrava, in una maniera tanto assurda da convincermi solo di una cosa.
  «Sono morta vero?» Dissi con voce tremula. Una lacrima mi solcò il viso.
  Era ingiusto che fossi morta il giorno del mio sedicesimo compleanno. Ingiusto che fossi morta dopo aver deciso, per ironia della sorte, di ricominciare a vivere, dopo aver chiarito con Claudio, promettendogli di non allontanarlo più dalla mia vita. Ingiusto che fossi morta senza aver rivisto Mike un'ultima volta, anche solo di sfuggita.
  Quale altra spiegazione poteva esserci, però, al fatto che fossi in presenza di qualcuno che non sarebbe dovuto essere? Non più, perlomeno.
  Era esattamente come lo ricordavo. Uguale all'ultima volta che l'avevo rivisto quattro anni prima. Gli occhi azzurri che tanto amavo, i capelli biondi ancora scompigliati dal sonno.
  Anthony, seduto sul bordo del letto, continuava ad accarezzarmi il capo con una mano. Con l'altra mi asciugava le lacrime che, copiose, mi rigavano il viso. Sul volto troeggiava un sorriso divertito. «No piccola. Sta tranquilla. Sei decisamente viva» Rispose alla mia domanda quasi come se mi stesse dicendo che il sole sorge a est.
  Se da una parte quella risposta mi tranquillizzò, dall'altra mi confuse ancora di più. «Ma allora perché posso vederti? Sei un fantasma?». La voce era divenuta acuta, quasi stridula.
  «Te l'ho ripetuto milioni di volte. A te e a Belle. I fantasmi non esistono». Mi rispose con aria di rimprovero. Avrei voluto dirgli che non era vero. Non me lo aveva mai detto. «Sono semplicemente un, diciamo “riflesso del tuo inconscio"» spiegò scrollando le spalle e mimando le virgolette.
  «Un cosa?» Chiesi incredula.
  «Si dai, hai capito. Sono la parte del tuo cervello contenente pensieri, emozioni, istinti e anche ricordi di cui tu non hai conoscenza e bla bla bla. Vuoi seriamente che ti faccia una lezione di psicologia?». Rispose, inizialmente gesticolando in modo vago, per poi pormi l'ultima domanda con tono scettico e un sopracciglio inarcato.
  «N-no» balbettai leggermente in soggezione «voglio capire che ci fai qui e perché in questa forma» spiegai in un sussurro.
  «Giusto. Hai presente quando, poco fa, ti ho detto che milioni di volte ho detto a te e Belle che non esistono fantasmi?». Senza neanche aspettare una mia risposta, proseguì «Beh quello era un ricordo che tu hai rimosso. Eri così convinta che esistessero, che le mie rassicurazioni, cioè di Anthony, diventavano per te inaccettabili e ne rimuovevi il ricordo. Cioè, in parte, questa è la ragione.» spiegò.
  «Ciò non spiega perché tu sia qui» riflettei ad alta voce.
  «Dovrei farti ricordare certi momenti facendoti capire quanto sia idiota la tua idea di lasciarti Mike alle spalle. Credo, però, che sarà più interessante vedere cosa accadrà senza che io interferisca» un sorriso beffardo gli si dipinse sul volto.
  Era alquanto inquietante vedere quel ghigno caratteristico di Mike comparire sul volto del padre che era, invece, sempre stato dolce e gentile.
  «Che intendi?» Chiesi titubante.
  «Ti dico solo che non è tutto oro ciò che luccica. Nulla è come sembra» rispose enigmatico. Dopo questa frase sibillina, scomparve.
  Avevo ormai capito che fosse tutto nella mia mente, seppur così realistico, ma non m’immaginavo certo che sarebbe sparito così, non dopo avermi messo la pulce nell'orecchio. Un attimo era lì, difronte a me, e l'attimo dopo mi ritrovavo sola.
  Chiunque mi avesse vista, mi avrebbe certamente internata. Quale essere sano di mente viene svegliato dal “riflesso del proprio inconscio” con l'aspetto di un defunto per ritrovarsi, una volta che questo è scomparso, a cercare di invocarlo per continuare la discussione che stavano avendo?
  Giunsi a una sola conclusione: stavo diventando pazza. Altri episodi come questi e mi sarei ritrovata stretta in una di quelle camicie di forza che venivano usate per immobilizzare i malati di mente. Forse stavo esagerando, certo, ma il concetto era quello.
  Consapevole che, se qualcuno fosse entrato in quel momento sentendomi chiamare Anthony avrebbe certamente chiamato l'ospedale psichiatrico, abbandonai ogni tentativo di riportarlo indietro. Mi lasciai quindi cadere sul letto coprendomi gli occhi con il braccio.
  Cercai di rilassarmi, convincermi che non fosse stata altro che un'allucinazione dovuta allo stress o chissà cos'altro. Continuavo, tuttavia, a ripensare a quando aveva nominato Mike. Perché ricompariva ora, dopo che finalmente ero riuscita a voltare pagina? Che intendeva con l’espressione «credo che sarà più divertente vedere cos accadrà senza il mio intervento»? Se era il “riflesso del mio inconscio”, allora perchè non mi aveva spiegato quello che doveva, sostenendo invece che sarebbe stato più divertente vedere ciò che sarebbe accaduto? Ciò significava forse che, nel profondo, ero sadica e masochista?
  Evidentemente quello era il giorno "facciamo morire d'infarto Lucia", poiché un urlo, seguito da un abbraccio, mi fece saltare in aria ridestandomi dalle mie elucubrazioni.
  «Buon compleanno!» Esclamarono in coro i miei familiari.
 Margaret mi si era aggrappata al collo e non dava segno di volerlo lasciare, Marco se ne stava seduto sul letto intento ad osservarmi con un sorriso a trentadue denti. I miei genitori erano, invece, in piedi difronte al letto, tenendo ognuno un vassoio stracolmo di cibo, anche loro col sorriso sulle labbra.
  Era un rito di famiglia quello della colazione a letto. A ogni compleanno ci si recava nella stanza del festeggiato, o festeggiata che fosse, con così tanto cibo da poter sfamare un esercito, e tutti insieme si faceva colazione lì sul letto fregandosene, per una volta, di tenere tutto pulito e in ordine. Ogni colazione finiva, infatti, sempre con una guerra del cibo, che contribuiva a renderci impresentabili per qualunque impegno potessimo avere. In quei giorni, infatti, nessuno andava a lavoro o a scuola ad eccezione di mio padre che, a volte, veniva chiamato d'urgenza dall'ospedale.
  Non feci caso alla sensazione che tutta quella situazione fosse sbagliata: Margaret non aveva mai partecipato a tale rito.
  Un lieve sorriso m’increspò le labbra. «Buongiorno» dissi fingendo una voce leggermente assonnata.
  In risposta vidi i sorrisi dei presenti allargarsi sempre più, e la stretta della piccola Margaret farsi ferrea. «Piccola, potresti lasciarmi? Almeno per farmi alzare» chiesi dolcemente alla testolina bruna che mi ritrovavo addosso.
  Un «no!» Con la 'n' prolungata fu la risposta che ottenni «tu rimani così!» Aggiunse seria, provocando però, le risate di tutti.
  «Dai, ti prometto che rimango abbracciata a te anche da seduta» tentai nuovamente, sapendo che era quello che voleva.
  «Vabbene» rispose controvoglia. Per lei saremmo potute restare in quella posizione per tutta la giornata.
  Senza aspettare oltre mi alzai, facendo leva con un braccio, mentre con l'altro tenevo stretta a me mia sorella. Solo una volta, col busto dritto, notai la presenza di un intruso.
  Claudio, con un sorriso da un orecchio all'altro, se ne stava in disparte, appoggiato alla porta, concentrato nell'osservare quella tradizione familiare che stava avendo luogo sotto i suoi occhi. Aveva un sorriso magnifico, che, però, non si rifletteva sui suoi occhi che erano, invece, cupi come immersi in ricordi dolorosi. Avevo ormai compreso che la sua non era un famiglia felice. Tra la separazione, il divorzio e l'odio di una madre per il figlio, come poteva una famiglia essere felice? «Ma tu non puoi essere qui!» Esclamai rendendomi conto che solo il giorno prima era ancora in coma. «Perché non potrei, scusa?». Rispose con tono offeso, distogliendo lo sguardo con fare snob.
  «Perché dovresti essere in ospedale! E poi come sei finito in casa mia?» Risposi con certezza.
  «Ehm. Io ho lasciato la moka sul fuoco» intervenne mio padre poggiando il vassoio che teneva tra le mani, per poi affrettarsi ad uscire dalla mia camera.
  «Io devo mettere a lavare i camici di tuo padre che sono tutti sporchi» fu invece la scusa di mia madre. Era chiaro come il sole che volevano lasciarci parlare da soli.
  «Io invece» balbettò mio fratello «dovrei… si ecco.». Faceva tenerezza vederlo cercare una qualsiasi scusa per lasciarci soli. «Devo andare in bagno! Sì, devo andare in bagno» esclamò dopo qualche secondo di silenzio. «Margaret vieni con me?» chiese, infine, facendo inarcare un sopracciglio a Claudio.
  «Perché la piccola dovrebbe venire in bagno con te?» chiese scettico. Possibile che non avesse capito che quella non era altro che una scusa per lasciarci soli? Oppure lo faceva apposta? Certo che mio fratello, però, poteva trovarne una migliore se voleva proprio coinvolgere Margaret.
  «No, non intendevo… cioè io…» riprese nuovamente a balbettare, senza neanche guardare il suo interlocutore in faccia.
  Dovetti mordermi le labbra per evitare di scoppiare a ridere. Nonostante ciò, gli andai in aiuto, levandolo, così, da quell’impiccio «Lascia stare. Me la tengo io. Tu vai a fare quello che devi.»
  Felice per il mio intervento, Marco corse fuori lasciando così me e quell’irresponsabile da soli. Il sopracitato, silenziosamente, si avvicinò al letto fino a chinarsi per guardarvi sotto.
  Ero allibita. Perché mai avrebbe dovuto ficcanasare in camera mia?
Improvvisamente si udì un lamento di bambino che fece incuriosire sia me che Margaret, la quale sciolse l’abbraccio per osservare le gambe di Claudio distese sul pavimento in quanto, il resto del corpo, era sotto il letto. Pochi secondi dopo, durante i quali i lamenti si facevano sempre più forti e frequenti, vedemmo Claudio uscire da lì sotto con un bambino uguale a lui.
  I capelli erano gli stessi, così come i tratti del viso. Ciò che variava, erano gli occhi del piccolo, che erano verdi. Era quello il famoso fratellino che Claudio aveva salvato finendo così per essere investito?
  «Ti presento Lucas.» disse sorridendomi.
  Il bambino se ne stava col capo chino, come fosse stato scoperto con le mani nel vasetto della nutella. Effettivamente il paragone non era certo tanto lontano dalla realtà.
  «Ciao piccolo. Io sono Lucia» gli sorrisi dolcemente porgendogli la mano, che afferrò timidamente guardandomi attraverso le ciglia. Le labbra, che prima erano curve verso il basso, pian piano si distesero in un sorriso impacciato.
  Finalmente Margaret si staccò completamente da me per scendere dal letto e abbracciare il bambino. «Ciao! Tu ora sei mio amico!» disse con determinazione facendomi sorridere e provocando la risata di Claudio.
  Mia sorella era una bambina un po’ sfacciata, ma, al tempo stesso, dolce. Ogni qualvolta vedeva un bambino, o bambina che fosse, ci si avvicinava senza alcun indugio, decisa a farci amicizia, perché per lei ogni bambino era suo amico. Avevo in parte contribuito a quel suo modo di pensare.
  Dopo la separazione da Mike e Belle, mi ero ritrovata senza amici e incapace di trovarmene di nuovi, anche se nonriuscivo a farmi degli amici semplicemente perché non volevo farmene. Fatto sta che non volevo che alla piccola Margaret capitasse quel che era capitato a me. Non volevo che avesse solo un amico, ma che ne avesse tanti, in modo tale che, se uno si fosse allontanato da lei, lei non sarebbe rimasta sola come lo ero rimasta io.
  Senza attendere una sua qualsiasi risposta, lo prese per mano portandolo in chissà quale angolo della casa per poterci giocare.
  Rimanemmo così soli in quella camera in cui, per qualche secondo, regnò un silenzio di tomba. «Sai dovresti fare come tua sorella» esordì il moro che si era messo seduto sul bordo del mio letto, nella stessa posizione in cui poco prima era Anthony. «Lei non ha problemi nel farsi nuovi amici. Probabilmente tu c’entri qualcosa con questo suo comportamento, magari tu stessa la aiuti a farsi degli amici. Ma perché non provi ad ascoltare i tuoi stessi consigli?» Com’era possibile che riuscisse a capire il mio ragionamento? Ero così prevedibile?
  «Beh ci sto provando. Tu ne sei la prova» gli risposi.
  «Ok, cambiamo argomento perché so che finiremmo col parlare del tuo amichetto. Rispondo alla domanda che mi hai fatto prima. Ero nel parco qui accanto con Lucas quando ho visto tuo fratello che tornava dalla pasticceria in fondo alla strada. Quando mi ha notato pure lui, per poco non gli veniva un infarto» ridacchiò al ricordo «Mi sa che non gli hai detto che ieri mi sono risvegliato. In ogni caso, una cosa tira l’altra, e mi ha invitato qui. Non che fosse contento di avermi in casa sua, ma evidentemente l’ha fatto per te. Ah, comunque tanti auguri». Aveva parlato così velocemente, da rendermi difficile seguire il suo discorso. Insomma, cavolo! Mi ero appena svegliata. Ma a che ora si alzava lui per essere così pieno di energie a quell’ora del mattino? Che comunque non sapevo neanche che ore fossero, in quanto ,appena sveglia, ero stata troppo impegnata a parlare con Anthony.
  Immersa nei miei pensieri diedi un’occhiata alla sveglia digitale sul comodino che segnava le nove e mezza. Strabuzzai gli occhi. Io non mi svegliavo mai così tardi, neanche durante le vacanze. Decisi di non dare molto peso a quel dettaglio, dopotutto non sarei andata a scuola quel giorno. Riportai, quindi, l’attenzione su Claudio che, improvvisamente, si era fatto più vicino di quanto non ricordassi.
  «Sai, tu mi piaci. Per me non sarai mai un’amica, vorrei che fossi la mia ragazza» sussurrò a pochi centimetri dalle mie labbra.
  Ero terrorizzata, e, al contempo, estremamente confusa. Perché stava dicendo quelle cose? Perché mi era così vicino? Cosa voleva fare? Com’era arrivato a quel discorso?
  Non ebbi il tempo di dire o fare nulla, che sentii le sue labbra sulle mie. Erano labbra familiari, morbide, carnose. Assaporai anche il suo gusto. Nei libri i sapori delle altre persone vengono espressi come miscugli di più elementi, menta e cioccolato, fragola e vaniglia, tabacco e limone, broccoli e cavolfiore. Il sapore che stavo assaggiando in quel momento, però, non era definibile. Non sapeva di alcun frutto, o erba aromatica o quant’altro. Eppure l’avevo già provato prima di allora, solo che non ricordavo né dove né quando.
  Mi ritrovai a ricambiare il bacio convinta che prima o poi l’avrei riconosciuto. Pochi secondi dopo aprii gli occhi di scatto consapevole, finalmente, di che sapore fosse quello.
  «Mike» sussurrai inconsapevolmente dando voce ai miei pensieri.
  E poi tutto divenne buio.
 
  Il rombo di un tono mi fece salare in aria ridestandomi da quello che, compresi solo allora, non era altro ce un assurdo sogno.
  Ma se era solo un sogno, perché percepivo vivido il sapore di Mike sule labbra?
  Perché una margherita era posata sul cucino difronte ai miei occhi?
  Perché la finesta era aperta se non dormivo mai con le fineste aperte nonostante il caldo?

 
  
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