Capitolo Ottavo
L’Ultima Cena
-
Sì, Ammiraglio.
L’ologramma
di Hackett annuisce, seriamente, guardando Shepard con occhi penetranti, ma non
cattivi.
-
Alcune navi della flotta hanno avuto dei problemi, durante l’ultimo controllo.
Nulla di serio, ma non possiamo permetterci errori durante l’operazione
Crucibolo. Rimani in attesa di ordini, comandante.-
Shepard
si mette sull’attenti. Nessuno li sta guardando - non è nemmeno una riunione
ufficiale - eppure le viene sempre spontaneo, un riflesso di fronte
all’Ammiraglio.
Perché
lei è un soldato dell’Alleanza e lo sarà sempre. Non ha mai voluto essere di
più.
-
Si goda questi ultimi giorni, Shepard, perché la battaglia finale si avvicina.-
Konstantin
sorride e nemmeno risponde, semplicemente attende che Hackett interrompa il
collegamento.
Scomparso
l’ologramma, si volta verso lo specchio della sua cabina.
Non
sa se essere felice, che la missione sia stata rimandata.
Una
parte di lei vuole semplicemente farla finita.
Cacciare
i Razziatori dall’universo, costi quel che costi.
Ma
un’altra parte di lei, sa che questo potrebbe costarle la vita. Sa che il
Crucibolo potrebbe essere la fine della guerra, ma anche la sua. Le sembra
quasi naturale che un’impresa così grande - come distruggere i Razziatori -
richieda una fatica superiore alle possibilità di un essere umano.
Sa
che tutto potrebbe finire in un battito di ciglia e vuole godersi a fondo tutto
il tempo che le è stato concesso.
Stare
con il suo equipaggio - che sono i suoi amici, la sua famiglia - e soprattutto,
stare con Thane.
- Siha?-
Come
richiamato da quel pensiero, il drell appare sulla soglia della cabina.
Konstantin
sorride: averlo conosciuto è stata la cosa migliore della sua esistenza.
La
missione contro i Collettori era stata, al contempo, il periodo peggiore ed il
migliore della sua vita. Aveva infranto ogni legge possibile ed immaginabile,
aveva dovuto distruggere un intero sistema batarian, aveva guidato una missione
suicida con la lucida consapevolezza di essere a un passo dalla distruzione
totale. Aveva rischiato di perdere il suo equipaggio… eppure aveva conosciuto
le persone più importanti della sua vita e aveva ritrovato i vecchi compagni,
che temeva persi assieme alla Normandy originaria.
Trattiene
a stento un sorriso: quando si erano rivisti, su Horizon, Kaidan non era
riuscito a trattenersi dal farle un lungo cazziatone su “lavorare con Cerberus”.
- Siha?- la chiama Thane, indicando
l’olosveglia, sul comodino - Siamo in ritardo.-
Konstantin
annuisce, scuotendosi dai ricordi.
Lo
specchio le restituisce un’immagine familiare, eppure diversa, distante.
Indossa
un vestito nero, sobrio ed una lunga collana d’argento.
-
Andiamo, allora.- risponde, raggiungendo Thane e baciandolo dolcemente sulle
labbra.
Emeirin
Stone sorride, impostando il datapad audio per un delicato sottofondo.
Quella
cena è stata un’idea sua.
Per
conoscere il compagno di Konstantin, prima che la guerra li inghiotta di nuovo.
Per
trascorrere una serata tranquilla, in cui fingere che tutto proceda normalmente
e che i Razziatori siano rimasti rintanati nel mito.
Ha
incontrato tutti i membri dell’equipaggio della Normandy e tutti,
indistintamente, le sono sembrate persone eccezionali. Solo, le dispiace la
piega che stanno per prendere le cose.
Digita
qualcosa sul comunicatore, poi inoltra il messaggio.
Si
ravvia i capelli, sorridendo al suo riflesso sulle superfici metalliche della
nave.
Se
socchiude gli occhi, lampi di luce iridescente la riportano al passato, lampi
di pura memoria.
Si
stringe nella mantella di lana leggera.
Da
quanto tempo abita quel corpo? Quel corpo di carne e sangue e organi e
terminazioni e membrane e muscoli e respiro e debolezza? Se lo sente aderire
addosso come un guanto, eppure sa benissimo che non le appartiene, non più di
quanto non le appartengano le emozioni che ha finito per provare.
“Va
e sperimenta” è stato il suo ultimo ordine. La sua ultima programmazione.
E
“va” l’ha condotta lontano, talmente lontano che ora ha perso la via per
tornare indietro.
E
“sperimenta” le ha fornito quel corpo - quell’abito
-, con tutto ciò che comporta.
Estrae
uno specchietto e finge di controllarsi il trucco, in un gesto umano che ha
imparato qualche secolo prima e che adesso è un movimento riflesso, un
intercalare.
“E pensare che è tutto un
colossale inganno”
bisbiglia una voce, da qualche parte dietro ai suoi occhi
“Se
ci si convince della propria menzogna, si mente ancora?” si domanda Emeirin,
pensierosa.
“Sì” replica la voce,
implacabile
“Mi
sorprende che Javik non mi abbia letta fino in fondo. Avrebbe potuto vedere”
“I servi scelgono di non
vedere ciò che è troppo, per loro. Se sapesse quello che hai fatto al suo
popolo…”
Emeirin
dischiude le labbra, come per rispondere, ma in quel momento le porte si
spalancano e Shepard e Thane entrano nella cabina, con un sorriso e una
bottiglia di vino rosso.
-
Scusa il ritardo.- sorride la comandante, sollevando maldestramente l’orlo
della gonna per non inciampare
-
Nessun ritardo.- ribatte Emeirin, di nuovo solare, di nuovo radiosa -
accomodatevi.-
L’hanno
sistemata nella camera del supporto vitale (e, mentre l’accompagnavano, Thane
si era chinato ed aveva sussurrato qualcosa, contro la guancia di Shepard.
Doveva essere stata una battuta, perché Konstantin si era coperta la bocca con
una mano e aveva riso, divertita e complice) e, per quanto difficile potesse
sembrare, Emeirin era riuscita a rendere la stanza relativamente accogliente e
meno spoglia.
Il
sergente logistico Gardner ha preparato una cena apposta per loro, come se ci
fosse qualcosa da festeggiare.
In
realtà, per Konstantin c’è. Si festeggia per aver ritrovato quel frammento
della sua famiglia che temeva distrutto, si festeggia perché domani potrebbe
non esserci più niente. Si festeggia per quello che hanno e che hanno ora.
-
Dovete raccontarmi tutto.- esordisce Emeirin, versando il vino rosso in tre
bicchieri - Come vi siete conosciuti?-
Prima
di parlare, Shepard beve un lungo sorso.
Non
ha mai veramente immaginato una cena in cui presentare Thane alla famiglia. Sua
madre ancora nemmeno sa di lui. E
adesso ogni frase le sembra inadatta, perfetta solo per far travisare la
realtà.
Ma
la verità è che si sono incontrati mentre lei tentava di salvare le colonie
umane e mentre lui portava a termine un omicidio.
Quando
glielo dice, Emeirin solleva un sopracciglio, perplessa:- omicidio?-
-
Sì, zia, ma quello è un capitolo concluso.- borbotta Shepard.
Sotto
il tavolo, Thane le prende la mano e la stringe delicatamente nella sua.
La
sua stretta è tiepida, la sensazione delle squame sulla pelle è qualcosa che a
Konstantin scatenerà sempre repentini brividi di piacere.
-
Adesso sparo solo ai mutanti.- sorride il drell
- Che
progetti avete, per quando la guerra sarà finita?- chiede Emeirin, cambiando
argomento.
Sente
a malapena la risposta di Shepard, perché la voce ha ripreso a tuonare nella
sua mente.
Non
sta urlando, semplicemente le basta parlare per sovrastare qualunque altro
pensiero.
“Non ci sarà una fine”
Al
termine della cena, Konstantin e Thane tornano nella cabina del comandante.
Rimasta
sola, Emeirin si siede sulla branda, sfilandosi lentamente i bracciali e la
collana. Si scioglie i capelli.
Si
distende (“fingi ancora di dover
dormire, figlia mia?”) e socchiude gli occhi.
Le
tenebre l’accolgono con bagliori adamantini, con l’aurora boreale.
Non
si addormenta, ma ricorda.
E’ in un giardino.
Passeggia, ancora un po’
instabile, ancora a disagio con due gambe e la strana sensazione della pelle e
tutte le dimensioni sfasate.
Il sole irradia uno strano
tepore, nell’aria, ed è piacevole sentirlo.
L’ordine non le viene
comunicato né trasmesso, semplicemente all’improvviso le viene marchiato fra i
pensieri, come se fosse sempre stato lì.
Si volta e torna sui suoi
passi.
Nel laboratorio c’è
silenzio.
Due scienziati, con gli
occhi freddi e allucinati di chi per troppo tempo ha subito l’indottrinamento,
si stanno muovendo fra le grandi vasche, toccando la superficie trasparente.
- Che succede?- dice,
picchettando con le dita sul vetro
Uno scienziato solleva il
braccio, lentamente, a fatica, indicandole uno schermo.
Sullo schermo, la linea che
prima correva, come impazzita, si è stabilizzata ed è piatta come l’orizzonte.
- Nessun rigetto?- chiede
Emeirin, compiaciuta
L’indottrinato scuote la
testa, senza sorridere, senza nemmeno guardarla negli occhi.
- Molto bene. Applicate
quest’impianto anche al gruppo di controllo 3 e se tutto va bene, avete il mio
via libera.- si volta, ma i due scienziati già non la vedono più - buon
lavoro.-
Mentre si allontana, li
sente mormorare fra loro, in una parodia di quello che era il loro linguaggio.
Due menti eccelse, ecco
cos’erano. Genetisti, biologi, medici… prima della guerra forse studiavano come
migliorare la vita delle specie organiche.
Poi hanno visto in faccia
il mostro.
E hanno avuto paura, sono
stati confusi, si sono convinti di potersi salvare, alleandosi con quelle
creature troppo superiori e troppo crudeli. E adesso sono gusci vuoti,
nient’altro.
Non hanno nemmeno più
l’aspetto di un tempo. Sono cambiati. Si sono spenti.
Le porte del laboratorio si
chiudono alle spalle di Emeirin.
E’ di nuovo nel giardino.
Si siede su una panchina,
esplorando i limiti del suo corpo.
Si sente bloccata.
Bloccata su tutti i fronti.
Nello spazio,
nell’evoluzione, nel pensiero.
Bloccata, in quella gabbia
di carne.
-
Un
capitolo di transizione che assolutamente non dà risposta ma, semmai, crea
nuove domande! Ma non temete, il momento delle grosse spiegazioni inquietanti è
ormai prossimo!
Colgo
l’occasione per ringraziarvi per avermi seguita fin qui: questa long è un
progetto a cui sono molto affezionata ma che, credetemi, mi lascia con più
dubbi di quanti ne lasci a voi J
Nota:
sì, lo so che il sergente logistico Gardner lavorava per Cerberus ma, insomma,
io non me la vedo
Un
bacio a tutti e alla prossima!
-