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Autore: Kary91    07/09/2013    18 recensioni
(Hazelle!centric - missing moment pre-saga)
In quel momento un rumore leggero la sorprese alle sue spalle, spingendola a voltarsi.
“Papà?”
La voce esitante di Rory si insinuò nell’aria e dei passi cauti echeggiarono in cucina. Hazelle avvertì la stanchezza caderle addosso di colpo.
(storia iscritta alla Multifandom e Originali con il prompt 187. Figlio)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Hawthorne, Gale Hawthorne, Hazelle Hawthorne, Rory Hawthorne, Vick Hawthorne
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Figli del Giacimento - The Hawthorne Family.'
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Premessa. Questa storia storia è ambientata a pochi mesi di distanza dall’incidente alle miniere che ha provocato la morte del signor Hawthorne e del signor Everdeen. Gale ha da poco compiuto 14 anni, Rory ne ha otto, Vick ne ha sei e Posy è appena una neonata.

Partecipa alla “Multifandom e originali challenge” con il prompt 187. Figlio.

Partecipa alla challenge 500themes_ita con il prompt 199. La fine dell’infanzia.

 

Una settimana dopo aver partorito, era già per strada a cercare lavoro.

Le miniere non erano una scelta plausibile,

con un neonato da accudire, e lei riuscì a farsi dare la biancheria da lavare da alcuni commercianti

della città. […] Ma tutto ciò non bastava per mantenere una famiglia di cinque persone, non senza che Hazelle si consumasse le dita fino all'osso su quell'asse da lavare.

Hunger Games – La ragazza di fuoco. Suzanne Collins

 

Piccoli uomini.

pu

 

Hazelle strinse i denti e sfregò con più forza la macchia di unto intrappolata nel tessuto del lenzuolo che stava lavando. Erano quasi le due del mattino e lo sciabordare ritmico dell’acqua insaponata scandiva il trascorrere lento dei minuti in casa Hawthorne, sopperendo al silenzio tipico di quell’ora tarda. Di fianco alla donna una neonata sonnecchiava tranquilla in una culla di legno, rintanata sotto diversi strati di coperte. Cercando di non svegliare la figlia, Hazelle si sollevò dalla sedia per andare a recuperare la cesta dei panni abbandonata di fronte all’ingresso. Muovendosi a tentoni nel buio finì per scontrarsi contro qualcosa di freddo e metallico. Trattenne a stento un gemito, mentre il tonfo sordo di qualcosa di pesante che colpiva il pavimento riempiva l’aria. La donna strizzò gli occhi nel buio, riconoscendo a terra le sagome dei picconi da lavoro di suo marito. Li raccolse uno alla volta, stringendone convulsamente il manico, per paura che il dolore alle dita la tradisse, facendole allentare la presa. Nel farlo riuscì miracolosamente a non svegliare Posy, che sembrava ancora avvolta dal torpore dei suoi sogni. Lo sguardo di Hazelle si soffermò fin troppo a lungo ad analizzare il legno smunto degli arnesi, ad accarezzarne la punta ricurva con tenerezza. A quasi due mesi di distanza dalla morte di suo marito, la donna non aveva ancora avuto il coraggio di rivendere i suoi strumenti da lavoro. Presto sarebbe stata costretta a farlo, ma almeno per il momento preferiva non pensarci. I picconi erano in buone condizioni e prima o poi Gale avrebbe comunque incominciato a lavorare in miniera: sperava di riuscire a conservarli per lui.

In quel momento un rumore leggero la sorprese alle sue spalle, spingendola a voltarsi.

“Papà?”

La voce esitante di Rory si insinuò nell’aria e dei passi cauti echeggiarono in cucina. Hazelle avvertì la stanchezza caderle addosso di colpo.

Il bambino le rivolse un’occhiata confusa, aggrottando le sopracciglia per distinguere al meglio il suo profilo alla luce fioca delle candele. Spostò poi lo sguardo in direzione della cesta traboccante di biancheria. La delusione improvvisa che si dipinse sul suo viso durò appena una manciata di secondi, ma quel poco fu sufficiente a rigare di dolore il volto di Hazelle.

“Perché lavori ancora, mamma?” domandò il bambino, non riuscendo a reprimere uno sbadiglio. Hazelle notò che il figlio si stringeva nelle braccia per cercare di proteggersi dal freddo.

“Torna a dormire, tesoro” mormorò la donna, sedendo di nuovo di fronte all’asse per lavare. Si assicurò che Posy stesse ancora dormendo, mentre Rory attraversava la cucina per raggiungerla.“È tardi e fa freddo, ti ammalerai se non resti sotto le coperte.”

“Vieni anche tu?” propose il ragazzino, analizzando con sguardo incerto le mani della madre. Hazelle le immerse nell’acqua del suo catino e recuperò un mozzicone di saponetta.

“Fra poco” rassicurò il figlio, prendendo una canotta dalla cesta dei panni. Incominciò a lavare con gesti nervosi, ignorando le dita doloranti e il brivido provocato dal contatto con l’acqua gelida. Tutto il bucato doveva essere pronto per le sei, giusto in tempo perché Gale potesse distribuirlo ai vari clienti prima di andare a scuola. Ogni minuto speso a fare altro veniva detratto alle sue ore di sonno, di cui avrebbe avuto bisogno per continuare a lavorare senza intoppi il giorno successivo. “Vai a dormire, Rory” ripeté ancora, sforzandosi di soffocare la stanchezza in un sorriso leggero. Le sue mani avevano incominciato a tremare, ma tentò di nasconderlo avvolgendole più a fondo nella canotta che stava lavando.

Il bambino si stropicciò un occhio con un pugno e prese posto di fianco a lei. Il suo sguardo si spostò un’ultima volta in direzione della porta d’ingresso e dei picconi adagiati poco distante. Rimase incantato a fissare quel punto della stanza per quella che parve una sequenza interminabile di secondi, come se si aspettasse di veder arrivare qualcuno da un momento all’altro. Infine prese un pezzo di saponetta e una maglia dal mucchietto di panni sporchi.

“Ti aiuto” mormorò infine, facendo ben attenzione a non svegliare la sorellina. Immerse la stoffa nel catino e incominciò a strofinare. Hazelle scosse prontamente il capo, sfilandogliela di mano.

“È tardi, Rory” ricalcò, alzando appena il tono di voce. Il bambino avvolse le proprie dita attorno a quelle della madre e rabbrividì.

“Hai le mani freddissime, mamma. E sono tutte rosse” osservò, fissandola con insistenza. In quel momento, guardando suo figlio negli occhi, Hazelle rimase stupita da ciò che vi trovò. Rory non sembrava più il bambino di otto anni che per un istante aveva sperato di veder comparire suo padre sulla soglia. Con quello sguardo fiero e determinato ricordava più un piccolo uomo, un soldatino ligio al bene della propria famiglia, deciso ad aiutare ben oltre i limiti che di norma porrebbero mani piccole come le sue. “Voglio aiutarti. Non ho poi così freddo” aggiunse il ragazzino, facendo spallucce. Il senso di colpa incominciò a erodere quel poco di determinazione che ancora risiedeva nel cuore di Hazelle. Gli ultimi due mesi avevano costretto Gale a crescere all’improvviso per condividere con la madre la responsabilità di cinque bocche da sfamare. Solo in quel momento la donna si accorse che anche il suo secondogenito stava incominciando a diventare grande troppo presto.

“Hai detto qualcosa, mamma?”

Una seconda voce, più matura di quella di Rory, si intrufolò nella stanza. Gale assottigliò lo sguardo e mise a fuoco le due figure sedute a tavola, soffermandosi poi sulla pila di biancheria sporca come aveva fatto suo fratello poco prima. Hazelle si sorprese a trasalire. Alla luce tenue della candela il profilo poco nitido del suo primogenito ricordava quello corpulento e ben disegnato del signor Hawthorne. Fino a poco tempo prima capitava spesso che la sagoma di suo marito si delineasse all'improvviso nel buio, le volte in cui Hazelle restava alzata ad attendere che facesse ritorno dalle miniere. Una parte di lei non riusciva a rassegnarsi al pensiero che non l’avrebbe fatto mai più. Doveva ancora abituarsi a veder sostituita quell’immagine dalle figure più minute dei suoi figli.

“Come mai non stai dormendo?” domandò in quel momento Gale, rivolgendosi al fratello minore. Rory fece nuovamente spallucce.

“Aiuto la mamma” dichiarò in un sussurro, riappropriandosi di un pezzo di saponetta. “Così finisce prima.”

L’espressione afflitta e il senso di colpa che quelle parole disegnarono sul volto di Gale erano evidenti anche alla luce fioca delle candele. Lo sguardo smarrito dell’adolescente passò in rassegna il tremito incontrollabile del corpo di Rory, i suoi occhi impastati di sonno e le sue dita esili da bambino di otto anni impegnate a sporcarsi di sapone a notte fonda. Scosse il capo, dapprima debolmente e poi con una fermezza sempre più crescente.

Sembrava deluso, deluso da sé stesso. E stanco; stanco di quel rossore da sfregamento che stava rovinando le mani gonfie di sua madre. Stanco dei volti scavati dalla fame di Vick e Rory e dei pianti isterici di una neonata infreddolita. Stanco di quei picconi abbandonati alla parete, lasciati lì a ricordargli, giorno dopo giorno, che le sue spalle non erano ancora sufficientemente larghe per reggere il peso di una famiglia intera. Stanco di sé stesso, perché, per quanto ci provasse, non riusciva a essere come suo padre.

Gale sospirò. Il suo era un sospiro lento, estenuato. Un sospiro da uomo adulto. Si sfilò la giacca e la sistemò a circondare le spalle tremanti di Rory.

“Torna a dormire” mormorò poi al fratellino, appoggiandogli una mano sulla schiena. “Aiuto io la mamma.”

“Gale.”
L’ammonimento fermo di Hazelle non tardò ad arrivare.

Il giovane prese posto di fianco alla madre e raccolse uno dei lenzuoli più grandi dalla cesta di biancheria.

“Andate entrambi” ribadì in tono di voce più alto la donna, assumendo un’espressione insolitamente severa.

Forse il silenzio stava incominciando a diventare troppo carico di parole, perché la piccola Posy incominciò a piangere. Hazelle si affrettò ad asciugarsi le mani nel grembiule per sollevarla. Se la portò al petto e prese a cullarla, mentre Gale, alla sua sinistra, proseguiva il lavoro della donna, sciacquando il lenzuolo che stava lavando. La neonata continuò a piangere, agitando i piccoli pugni arrossati.

“Ha fame” osservò Rory con una sicurezza fuori luogo per un ragazzino così piccolo. Hazelle rivolse un’occhiata rassegnata a Gale che si alzò, allontanandosi per qualche minuto. Tornò poco dopo con un biberon in mano. Hazelle non aveva latte a sufficienza per poter sfamare la bimba e ne era rimasto solo qualche bicchiere di quello comprato. Il mattino successivo Gale avrebbe barattato la biancheria pulita con qualche soldo e abbastanza latte per nutrire Posy e i suoi fratelli ancora un altro paio di giorni.

L’adolescente avvolse bene la piccola nella coperta e la tirò su con movimenti un po’ incerti. Avvicinò la tettarella del biberon alle labbra di Posy e la osservò mangiare con avidità. Rassegnata, Hazelle riprese a occuparsi dei panni da lavare e Rory la imitò, afferrando un paio di calze arrotolate dal mucchio. Terminato il latte la neonata si tranquillizzò. Agitò i pugni e chiuse gli occhi, stretta con premura dalle braccia del fratello maggiore. Gale rivolse l’ennesima occhiata contrariata a Rory, che ancora si ostinava a sfregare con insistenza un calzino insaponato sull’asse. Tornò poi a focalizzare la propria attenzione sulla piccola. Sistemò meglio la coperta attorno al suo corpo e cercò di addormentarla, muovendosi in maniera un po’ maldestra. Hazelle rimase ad osservarli per qualche minuto, sorridendo di quel ragazzino appena quattordicenne che si stringeva una neonata al petto. Se avessero avuto più tempo a loro disposizione a Hazelle sarebbe piaciuto raccontargli di quando suo padre faceva lo stesso con lui, cullandolo fino a notte fonda, nonostante lo attendesse imminente una giornata di lavoro alle miniere. Gli avrebbe raccontato di quando se lo sistemava sulle ginocchia per fargli indossare il suo elmetto da lavoro. Di come ridevano entrambi quando gli occhi del piccolo Gale sparivano sotto il casco lasciando visibile solo il suo sorriso orgoglioso. Gli avrebbe raccontato di quanto suo padre fosse uguale a lui. Di quanto fosse forte e determinato, e di quanto amasse la sua famiglia. Glielo avrebbe raccontato per evitare che la fame e le ingiustizie finissero per indurire il cuore del figlio, cosi come stava accadendo con i palmi delle sue mani.


Un rumore lieve, di piccoli passi affrettati, si unì a quello dell’acqua insaponata e dello sfregare dei panni sull'asse. Vick si intrufolò in cucina stringendo  un lembo del maglione che portava e che gli arrivava alle ginocchia.

Attraversò la stanza con andatura incerta e raggiunse la madre, stringendosi poi a lei.

“Fa tanto freddo” mormorò, stropicciandosi un occhio con la mano libera. La donna si concesse un secondo di pausa per dargli un bacio sui capelli.

“Ti ha svegliato Posy?” chiese Hazelle con gentilezza, mentre il bambino le si accoccolava in grembo. Era talmente stanca che a stento riusciva a sostenere il peso dell’asse, ma lo lasciò fare ugualmente. Il piccolo annuì, spostando lo sguardo verso la sorellina addormentata che era appena stata adagiata nella culla. Gale si alzò, prese Vick e se lo sistemò sulle ginocchia, cercando di arrotolargli le maniche troppo lunghe. Aveva addosso un maglione vecchio di suo padre, il preferito del signor Hawthorne: Vick non se ne separava mai. Gli piaceva scomparirci sotto come se fosse una coperta e premere il naso contro il tessuto morbido dell’indumento, cercando di riconoscere l’odore pungente del padre. Non voleva nemmeno che Hazelle lo lavasse.

 

Rory e Gale ripresero a lavorare assieme alla madre, sotto lo sguardo insonnolito di Vick. Solo in quel momento il bambino sembrò accorgersi dei panni da lavare ammonticchiati in mezzo a loro.

 

“Voglio aiutare anch’io, mamma” mormorò a quel punto, allungandosi sul tavolino per recuperare l’ultimo mozzicone di saponetta rimasto. Hazelle scosse il capo, sfinita, osservando le mani già impiastricciate di sapone del figlioletto guizzare verso un lenzuolo molto più grande di lui. Lo esaminò con espressione stanca, mentre tenerezza e senso di colpa si mescolavano a contendersi il suo sguardo. Vick aveva gli occhi segnati dal sonno e dalle lacrime mai scese che ricacciava indietro ormai da diversi giorni, sfinito dalla fame e dal freddo. Lo osservò ridacchiare nel momento in cui Gale prese a spruzzargli un po’ d’acqua sul volto, facendo poi lo stesso con Rory. Il mezzano dei tre fratelli si mise a ridere a sua volta, immergendo le mani nell’acqua e schizzando il maggiore. I fratelli si zittirono in fretta, per paura di svegliare la piccola Posy. Ma il sorriso che per un istante aveva fatto capolino sul volto dei tre ragazzi bastò a Hazelle per racimolare le forze necessarie a lavorare ancora una mezzora. Li guardò a lungo, uno alla volta. Perfino Vick, che aveva solo sei anni, stava incominciando a sembrarle tutto a un tratto troppo cresciuto. Vick che sedeva di fronte a casa ogni giorno, stringendosi nel maglione del suo papà e aspettando con pazienza il suo ritorno. Vick che aveva suo padre negli occhi, proprio come i suoi fratelli, e che si sforzava di non piangere per essere più simile a lui, a loro, ignorando la timidezza e il suo essere così mingherlino e cagionevole.

 

“Sto lavando benissimo, vero, mamma?” domandò in quel momento il più piccolo dei tre ragazzini, rivolgendo alla madre un sorriso tremolante. Le parole gli uscirono fuori un po’ sfasate per quanto batteva i denti e Gale gli sistemò meglio il vecchio maglione sulla schiena. “Forse, quando torna dal lavoro, papà mi porta un regalo!”

 

Vick che aveva ancora il dono di saper credere nell’impossibile, ma che sembrava già pronto a sacrificare un po’ dei suoi sogni nati al tepore delle coperte per accorrere in aiuto della sua famiglia.

 

Per la prima volta dalla morte del marito, Hazelle Hawthorne si sentì tutto a un tratto al sicuro. Si sentì protetta, rassicurata dalla presenza dei suoi figli e dal loro animo volenteroso. Le mani di tre piccoli uomini lavoravano rapide, sfoltendo la pila di panni ammonticchiata al centro del tavolino, e il cuore della donna non poté fare altro che riempirsi di gratitudine. Hazelle si sforzò di scacciare via il senso di colpa, rincuorata dal pensiero che forse, l’indomani, sarebbe finalmente riuscita a comprare un po’ di sciroppo di mais per la tosse di Vick.

Quando il cumulo di vestiti sporchi terminò, le prime luci dell’alba stavano incominciando a schiarire il cielo.

Prima di mettersi a letto Hazelle si avviò in cucina un’ultima volta, per assicurarsi di non aver dimenticato qualche panno da lavare. Si accorse che le voci dei suoi tre figli echeggiavano ancora dalla stanza adiacente e l’ultimo sorriso della giornata corse ad arricciare gli angoli delle sue labbra.

Lo sguardo della donna ricadde sui due picconi appoggiati di fianco all’ingresso e i suoi occhi vennero istantaneamente attraversati da un velo di malinconia. Percorse la stanza, stringendosi nel golfino per difendersi dal freddo pungente del mattino appena sorto. Quando tese una mano per sfiorare il manico di uno dei due arnesi stava ancora sorridendo.

“Guarda i tuoi figli, Joel” mormorò infine fra sé, accarezzandone il legno con il dorso del pollice. “Guarda i tuoi piccoli uomini. E sii fiero di loro.”

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La copertina della storia è stata fatta da ϟ Badwolf.

 

Nota dell’autrice.

Intanto ringrazio Katgale97, perché il suo commento a Torna a Casa mi ha spinto a decidere di scrivere qualcosa su Hazelle. La famiglia Hawthorne è quella che al momento più mi incuriosisce all’interno della saga e ci tenevo molto a scrivere qualcosa su tutti loro, visto che nell’ultima one-shot che ho scritto facevano comparsa solo Gale, Rory e la piccola Posy. Ho cercato di non menzionare mai il nome del signor Hawthorne fino all’ultimo, ma nelle frasi di chiusura non sono riuscita a farne a meno. Ho scelto di chiamato Joel, perché è un nome che mi piace molto ed è corto come quello dei quattro piccoli Hawthorne. In questa storia ho scelto di rappresentare Rory come un bambino molto maturo per l’età che ha, specialmente se messo a confronto con Vick che è più piccolo di lui di appena due anni. L’ho sempre visto molto sveglio e decisamente responsabile, mentre immagino Vick molto più timido e insicuro, essendo cresciuto sotto l’ala protettiva dei due fratelli più grandi.

Credo che questa storia sia uscita fuori fin troppo lunga, ma mi capita spesso di dilungarmi troppo, e alla fine l’ho fatto anche qui >.<

Un grazie di cuore alle persone che hanno letto questa storia <3

Un abbraccio!

Laura

   
 
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