“ Prim!!!”
esclamo. Sono
tutta sudata, nel mio letto. Seduta su una sedia, Sae la Zozza mi
guarda con un’espressione
pietosa. Sbuffo e affondo la testa nel cuscino, cercando di controllare
il
battito accellerato del mio cuore. Chiudo gli occhi, ma niente da fare.
Ogni
volta che abbasso le palpebre vedo quei congegni diabolici abbattersi
sulla mia
sorellina. Una calda lacrima mi esce dall’occhio sinistro.
Sae la Zozza deve
essersene accorta, quando mi chiede con voce sommessa:
“ Vuoi che vada a
chiamare
Peeta?
Peeta.
Lui sì. Aveva un dono, nel proteggermi dai miei incubi
notturni. Lui mi avrebbe
abbracciata. Mi avrebbe consolata. Un tempo. Devo ammettere
però che nell’ultimo
periodo, il suo miglioramento mi ha lasciata senza parole. Non cercava
più di
ammazzarmi, anzi, il suo atteggiamento sembrava quasi quello di prima:
preparava il pane, le focaccine che mi piacevano tanto, mi sorrideva,
qualche
volta riusciva a strapparmi una risata. Evitavamo il contatto fisico,
ma
sicuramente tra noi era ritornato quel feeling protettivo che ci ha
sempre
caratterizzati.
“ Che ore
sono?” chiedo
modulando la mia voce. Niente da fare, trema comne una foglia. Come il
mio
corpo.
“ Sono le due di notte.
Ma
non penso che Peeta farà obiezioni” si limita a
dire. Scouto la testa.
“ No, non lo chiamare.
Starà
dormendo.
“ Va bene. Ma domani,
vorrei che dormisse qui con te. E’ snervante vederti
così, Katniss. E se non
glielo chiedi tu, lo farò io” dice alzandosi quasi
sdegnata. Ma possibile che
non ci sia una sola persona che mi lasci in pace? Mi tiro le coperte
sopra la
testa. Mi metto a pancia in giù. E comincio a gridare dentro
il cuscino. Prim.
Finnick. Rue. Tutti. Sono ancora vivi, nella mia testa. E non hanno
intenzione
di andarsene.
La mattina dopo sono
svegliata dall’inconfondibile profumo del pane di Peeta.
Schiudo gli occhi,
lentamente. Eccolo lì, illuminato dalla debole luce che
passa dalla finestra
accanto al mio letto. Le sue sopracciglia bionde, ancora un
po’ bruciacchiate,
scintillanto rispondendo al raggio di sole. La sua espressione
è dura e quasi
timorosa, ma nonostante questo, mi alllunga la pagnotta gentilmente.
“ Che ore
sono?” chiedo. Afferro
la pagnotta e, mettendondomi seduta, comincio a mangiarla velocemente.
È ancora
calda, e mi dà conforto.
“ Le quattro del
pomeriggio, hai dormicchiato fino ad ora. Sae mi ha detto che oggi hai
avuto
degli incubi. È da tanto che hai questi incubi. Vero o
falso?” chiede. Annuisco
senza guardarlo in faccia.
“ Vero”
rispondo con la
bocca piena.
“ Mi infilavo nel tuo
letto per tranquillizzarti. Abbiamo dormito insieme, qualche volta.
Vero o
falso?
“ Verissimo. Non so cosa
avrei fatto senza…” mi trattengo. Mi limito a
mordere un altro pezzo di pane.
“ Tu vorresti che mi
fermassi qui, stanotte?” chiede seriamente.
“ Vero.
“ Questa era una domanda.
Non un’affermazione” mi dice quasi prendendomi in
giro.
Sollevo le spalle,
continuando a non guardarlo. Sospira.
“ Non so se lo posso
fare”
dichiara a bassa voce. Lo sospettavo. Anzi, lo sapevo.
“ Non
c’è problema, Peeta.
Lo capisco” sussurro prima di addentare un altro boccone.
“ No, non capisci. Io
vorrei, ma… io…
Peeta Mellark. L’unica
persona che cerca sempre di proteggermi. Anche da sé stesso.
“ Tu non mi farai del
male.
“ Ma se succedesse?
Io…
non so se riuscirei a… Mi dispiace” afferma.
Annuisco. Non si fermerà qui
stanotte. Sarò da sola. La consapevolezza di non poter
contare su Peeta per
questo mio problema, provoca una lacrima, che asciugo velocemente.
Peeta non
deve averla vista. Ma forse l’ha notata, perché
dopo una breve pausa, mi dice:
“ Senti… che
ne dici di
passare la giornata insieme? Ti faccio una torta. Una torta per te. Con
tanta
glassa. Ti va?
Sembro una bambina piccola
quando riesco ad emettere uno stridulo “
Sì”.
Sae è contenta quando mi
vede uscire di casa con Peeta. Non sa che non si femerà a
dormire con me,
stanotte. Arrivo a casa di Peeta. Malgrado tutto quello che
è successo, quella
casa profuma ancora di pane ancora sfornato, di dolci, di glassa e di
tutto ciò
che mi ricorda Peeta. Il Peeta di una volta, il ragazzo del pane.
Quello che
ogni volta che l’abbracciavo non voleva uccidermi. Un Peeta
forse chissà, non
troppo diverso da questo che mi sta davanti. Mi siedo accanto al
tavolo, mentre
Peeta prepara gli ingredienti e si mette all’opera. Immagino
che vederlo mentre
cucina sia come guardare me mentre vado a caccia: è
concentrato, ma al tempo
stesso, soddisfatto e appagato da quello che fa.
“ Tu mi hai mai amato,
Katniss?” chiede improvvisamente. Silenzio. È
questo quello che esce dalla mia
bocca socchiusa. Il silenzio.
“ Peeta, tra me e te
c’era
un amore speciale. Non so se è quello tradizionale,
ma… eravamo alleati. Io e
te ci difendavamo, c’eravamo sempre l’uno per
l’altra. È un tipo di amore…
diverso. Ma era amore, immagino” affermo.
“ Ho capito. E hai mai
amato Gale?
Gale. Quel nome. Bombe.
Prim. Non riesco a ricordare lui senza dover anche ricordare Prim. Il
ricordo
fa male. Malissimo. Vado verso il bagno della casa di Peeta. Sento che
lui urla
il mio nome. Ma non importa. Chiudo a chiave la porta e mi raggomitolo
per
terra, emettendo singhiozzi simili a quelli di un animale ferito. Sento
che
Peeta bussa insistentemente. Minaccia di buttare giù la
porta. Ma poi ci
rinuncia. Dopo quella che mi pare un’eternità,
ritorna.
“ Katnissi, la torta
è
pronta. L’ho fatta apposta per te. Vieni, ti prego”
mi supplica. Con tutta la
forza che ho, mi costringo a mettermi in piedi e ad aprire la porta. Mi
attendeva una bellissima torta, tutta decorata con la glassa azzurra.
“ Oh, Peeta, è
bellissima!”
esclamo quasi in uno stato di trance.
“ Bhe, quando mi hanno
fatto il lavaggio del cervello, sono contento che non si siano portati
via il
mio talento nel fare le torte!” afferma con una mezza risata.
Mi volto verso di
lui, intento ad osservare la sua creazione. Voglio baciarlo. Ora. In
questo
momento. Un bacio vero, stavolta. MI avvicino a lui, con fare un
po’ esitante.
Peeta si allontana, quasi terrorizzato.
“ Che vuoi
fare?” mi
chiede.
“ Ti prego”
sussurro. Ne
ho bisogno. Ne ho bisogno come l’aria. Un bacio di Peeta
Mellark. Uno di
quelli che ti fanno dimenticare le paure, le ansie, le incertezze.
“ Katniss…
no…” mi dice
combattendo con sé stesso. Ma è troppo tardi.
Premo le mie labbra sulle sue,
delicatamente. Cerca di divincolarsi, ma l’ho messo contro il
muro. Mi stacco
da lui. Vede le iridi dei suoi occhi allargarsi. I suoi occhi azzurri
vengono
invasi da quelle pozze nere senza luce.
“
Allontanati…” mi dice.
“ No” decreto
io.
“ Ti prego,
Katniss… fammi
un favore…” mi supplica. Faccio qualche passo
indietro. Lui si appoggia a una
mensola, respirando affannosamente. Niente, Peeta Mellark se ne
è andato. Il
mio Peeta non c’è più. È
morto anche lui, insieme a tutti quelli a cui volevo
bene. Mi metto a piangere, stavolta neanche preoccupandomi del fatto
che lui mi
possa vedere. Le mie lacrime sembra che lo facciano uscire
dall’agonia. Si
avvicina a me, pallido in viso e mi abbraccia fortissimo. È
la prima volta che
mi abbraccia lui, dopo tanto tempo. Affondo il mio viso nel suo petto.
Forse
Peeta non è morto. Forse è solo nascosto da
qualche parte, perché le sue
braccia sono calde, forti, sicure e protettive come me le ricordavo.
“ Stasera
dormirò con te”
mi dice.
Scuoto la testa
selvaggiamente. Non voglio fargli pena. E quando glielo dico, lui si
mette a
ridere.
“ Non lo faccio per
te. Lo
faccio per me. Devo capire se posso ancora… voglio tornare
ad essere me stesso,
Katniss. Ma mi serve il tuo aiuto” mi sussurra. Annuisco. Lo
voglio. Lo voglia
accanto a me. Come sempre.