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Autore: Mokona_    10/09/2013    5 recensioni
Buonsalve!
Questa è una shottina jerza AU scolastica, giusto per fare il pieno di feelings e augurarvi un buon inizio.
Jellal, dopo aver assalito alcuni ragazzi per ragioni sconosciute, si rifugia sul tetto della scuola, nella speranza di calmarsi.
Non riuscirà nel suo intento, purtroppo, perchè una sua certa amica d'infanzia dai capelli scarlatti lo raggiungerà per avere spiegazioni; Jellal, però, non ha alcuna intenzione di collaborare.
Riuscirà Erza a scoprire il motivo del comportamento di Jellal? E riuscirà Jellal a mantenere la calma e il silenzio, senza farsi scappare nessuna parola di troppo?
Enjoy your read!
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erza, Scarlet, Gerard
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Because I love you
 
 

 


 
Un pugno, un altro, e un altro ancora.
Jellal ignorava il dolore sordo al petto e alla guancia, le urla dei compagni, il sapore metallico del sangue sulla lingua, e continuava a colpire.
E non si sarebbe fermato, avrebbe fatto capire a quegli stronzi che non avrebbero mai più dovuto giocare con il fuoco, se non fosse stato per quella voce: ”Jellal!”
Una ragazza dai capelli rossi correva verso di lui, un’espressione arrabbiata e al contempo preoccupata dipinta sul volto.
“Jellal, che diavolo ti è saltato in mente?”
Lui non rispose, ma lasciò andare la sua vittima; quando arrivò l’insegnante si alzò, incurante delle ferite, senza pronunciare una parola. Rimase in silenzio anche quando lo condussero dal dirigente, sotto lo sguardo preoccupato della ragazza. Non rispose a nessuna delle domande che gli erano state poste, e l’unica reazione che ebbe quando gli comunicarono che era stato sospeso fu un cenno della testa.
Non andò in infermeria a farsi curare la guancia e la costola probabilmente incrinata, no, la sua rabbia non era ancora sbollita del tutto, e aveva bisogno di calmarsi.
Preferì invece salire la rampa di scale che portava sul tetto, per poi scivolare contro il muro e iniziare a guardare le nuvole grigie che coprivano il cielo. Di lì a poco probabilmente sarebbe iniziato a piovere, ma non gli importava.
Gli era sempre piaciuto guardare le nuvole, avevano lo speciale potere di svuotargli la mente; proprio quello di cui aveva bisogno, in quel momento.
Perché era ancora arrabbiato, Jellal. Arrabbiato con quegli schifosi pezzi di merda che avevano osato…
Chiuse gli occhi, sperando di aver solo immaginato di aver sentito la porta della terrazza aprirsi.
Ma non era mai stato un ragazzo fortunato.
Sentì qualcuno sedersi vicino a lui, e non gli servì sentire il leggero profumo di fragole nell’aria per capire di chi si trattava.
Erza.
Jellal continuò a tenere gli occhi chiusi, forse spaventato da quello che avrebbe potuto vedere se li avesse aperti. Sentiva lo sguardo dell’altra su di lui, e non era sicuro di quanto avrebbe saputo resistere senza cadere succube di quelle iridi color cioccolato, se le avesse incontrate.
Stesso dicasi per la voce.
“Jellal.”
Appunto.
“Jellal, perché hai dato il via a quella rissa?” Dal tono della voce non sembrava che fosse arrabbiata, né che volesse rimproverarlo. Non per il momento.
Lo conosceva, sapeva che non avrebbe mai fatto qualcosa del genere senza una valida ragione. Ragione che però lui non era intenzionato a rivelare. O almeno, ci avrebbe provato.
“Come hanno reagito i professori?”
“Due settimane di sospensione.” Rispose lui lapidario, stupendosi nel sentire la sua voce roca e la gola secca, ma senza darsi il disturbo di schiarirla con un colpo di tosse. “Era il minimo…a quanto dicono, ho mandato in ospedale tutti, incrinato qualche costola, e persino rotto qualche osso.”.
Il minimo, aggiunse fra sé e sé.
Sentì Erza irrigidirsi affianco a lui, ma non se ne curò. Così come non si diede neanche pena di aprire gli occhi per guardarla, mentre lei, finalmente, lo rimproverava: ”Due settimane?!
Ti rendi conto che in questo modo hai praticamente rovinato la tua carriera scolastica?? Sei risultato quasi sempre primo in tutti i test, e adesso sarà tutto lavoro sprecato! Per non parlare del fatto che sarai sicuramente espulso anche dal consiglio studentesco, a vita! Hai sempre svolto il tuo lavoro di vicepresidente alla perfezione, cosa ti è preso, che hai iniziato a picchiare quei ragazzi? Non è da te!”
Jellal sentiva che Erza stava iniziando ad arrabbiarsi, ma ancora la ignorava, continuando a tenere gli occhi chiusi e le mani dietro la testa.
Perché in verità non gli interessava neanche una delle cose prima elencate dalla ragazza.
Si impegnava nello studio solo per essere all’altezza di Erza, ed era diventato vicepresidente solo per poter stare vicino a lei, il presidente del consiglio studentesco, il più possibile.
Forse avrebbe solamente continuato a rimanere in silenzio, se la ragazza non avesse detto:
“Mi sono scusata con quei ragazzi…Anche da parte tua.”.
Improvvisamente la rabbia che aveva spinto Jellal ad assalire quei luridi vermi gli si riaccese nel petto, e subito aprì gli occhi, incatenandoli a quelli di Erza, mettendosi a sedere di scatto e afferrandola per un braccio.
“Che cosa hai detto?”
La ragazza, seppur stupita da quel movimento improvviso e leggermente spaventata dalla furia e dall’odio mai visto prima negli occhi dell’altro, non esitò a rispondere: ”Ho detto che mi sono scusata con i ragazzi che hai aggredito. Da Presidente del Consiglio Studentesco, e anche a nome tuo.”.
Erza sentì un basso ringhio provenire da Jellal, mentre questo di alzava e iniziava a camminare avanti e indietro per il tetto, stringendo i pugni. Faceva sempre così, quando era arrabbiato e voleva trattenersi dal fare qualcosa, o quando voleva reprimere ciò che provava.
Ma Erza voleva delle risposte, e le avrebbe avute. Andò da lui, lo fece voltare, prendendogli le mani, lo costrinse a guardarla negli occhi: ”Dimmi cos’è successo.”.
Jellal provò a evitare il suo sguardo, a biascicare un “niente” e a non cadere in quegli occhi in cui amava così tanto perdersi.
Ma, semplicemente, non ci riuscì. Rimase incatenato a quelle iridi marroni, e quasi senza pensare rispose con semplicità: ”Ti avevano insultato.”. Si schiaffeggiò mentalmente, non perché ciò che aveva detto era falso, ma perché aveva il presentimento che quel discorso avrebbe portato a fargli dire (o fare) qualcosa che forse avrebbe potuto rimpiangere.
Avrebbe preferito non aggiungere altro, ma non potè tacere di fronte allo sguardo arrabbiato, confuso e interrogativo di Erza, che sembrava ordinargli: ”Dimmi di preciso cosa hanno detto, o sarà peggio per te.”.
Jellal riuscì ad allontanarsi quel tanto che bastava per volgere nuovamente lo sguardo al cielo; e mentre constatava che si stava riempiendo di nuvole grigie e minacciose, i suoi occhi si riempirono nuovamente d’odio, di disprezzo e disgusto. “Hanno detto che sei una puttana, che hai i voti alti e che sei Presidente del Consiglio solo perché te la fai con i professori.”. Non era solo quello, Erza lo sapeva, ma Jellal sembrava essersi rinchiuso di nuovo nel suo guscio di rabbia e silenzio. Ma, volente, o nolente, sarebbe riuscita ad estorcergli delle risposte, avesse dovuto costringerlo con la forza. Per ora si limitava a sbuffare impaziente, e ad incrociare le braccia, dando il tempo al suo amico d’infanzia di prendere il suo tempo per parlare.
Finalmente stava iniziando a far luce quel mistero che era il ragazzo di fronte a lei, anche se non riusciva ancora a capire bene cosa gli fosse passato per la testa.
Certo, era stato un gesto quantomeno cavalleresco da parte sua, ma quello scatto di rabbia era più tipico di tipi come Natsu o Gajeel, non di qualcuno calmo e riflessivo come Jellal.
Il Jellal che conosceva Erza li avrebbe ignorati, o al massimo si sarebbe limitato ad ammonirli, a minacciarli; era pacifico, non avrebbe mai alzato le mani su qualcuno per un’unica, per quanto pesante, provocazione. E, infatti, non erano stati quegli insulti a mandare fuori di testa Jellal. Li aveva sentiti, li aveva ammoniti, non era stato certo quello a scatenare la sua rabbia. Ma non era riuscito (e forse non aveva neanche provato) a ignorare quello che avevano detto dopo.
“Jellal, guardami.” Il tono autoritario di Erza non ammetteva repliche, e lui non poté fare a meno di obbedire.
“Dimmi cosa hanno detto.
Tutto quello che hanno detto.”.
“Non voglio.”.
Non era questa la risposta che Erza si aspettava. Corrugò le sopracciglia, cercando di leggere gli occhi dell’altro, com’era solita fare da sempre, ma fallendo miseramente. Decise quindi di tentare un approccio diverso: ”Sto perdendo la pazienza.” Asserì, guardando l’altro in cagnesco.
“Io invece l’ho già persa, e ricordare quello che quei bastardi hanno detto non mi aiuterà a ritrovarla.”. Erza sbuffò nuovamente, scocciata dal comportamento evasivo dell’altro; ne aveva abbastanza.
“Allora andrò da quei gentili bastardi a chiedergli cos’abbiano mai detto di tanto grave da farti perdere il controllo, visto che sembra che tu non voglia aprire bocca, Fernandes. ”. Calcò il tono su quel cognome, che usava per rivolgersi a lui solo quando scherzavano, o quando faceva lo stupido, come in quel caso.
Ma lui non la lasciò andare. Prima che lei potesse raggiungere la porta l’afferrò per un braccio, facendola voltare, spostando poi le mani per poggiarle sulle spalle, iniziando a fissarla con malcelata rabbia, e uno sguardo che non avrebbe potuto essere definito in altro modo se non estremamente possessivo. Questa volta fu il turno di Erza di perdersi nei pozzi scuri che erano gli occhi dell’altro; quasi non sentì le parole ringhiate da Jellal:”Tu non ti avvicinerai a loro.”.
Non era un ordine, né una richiesta: era un dato di fatto.
Lui non l’avrebbe permesso, non finché avrebbe avuto fiato nei polmoni. No, lui l’avrebbe protetta, avrebbe allontanato da lei chiunque fosse stato intenzionato di farle del male, anche se gli sarebbe costato un mese di sospensione.
Non ci fu bisogno che Erza gli facesse di nuovo una domanda, ormai la già pericolante barriera che Jellal aveva cercato di erigere per nascondere la verità e i propri sentimenti era già crollata.
L’aveva saputo fin dall’inizio, che quel discorso l’avrebbe portato a dire ciò che, in verità, voleva confessare da fin troppo tempo. Due piccole parole che lo spaventavano, perché pronunciarle voleva dire correre il rischio di allontanarsi da Erza.
E lui non voleva.
Mentre stringeva sempre più possessivo la presa sulle spalle di Erza iniziò, finalmente, a spiegare:”Loro…Hanno detto che comunque eri un bel bocconcino. Hanno detto che avevi delle tette enormi, e che morivano dalla voglia di incularti.” Le sopracciglia di Erza si corrugarono ancora di più, mentre sentiva la voce di Jellal iniziare a tremare di rabbia.
“Quegli stronzi hanno detto che sarebbe stato un piacere sentirti urlare quando ti avrebbero stuprata, una volta che ti avrebbero trovato sola. Avevano detto che avrebbero messo il video su You Tube, così da sputtanarti e ricattarti. Sai anche tu dei casi di stupro che si sono fatti più frequenti, ultimamente, ma non hanno lasciato prove dietro di loro, e se le vittime non se la sentono di fare nomi non posso accusarli di niente, per ora.
Non mi importa se sono stato sospeso, non mi importa se adesso la gente penserà che io sia un pazzo che va in giro aggredendo la gente.
Non me ne frega n cazzo di tutto quello che penseranno gli altri, gli insegnanti, i nostri amici.
L’unica cosa che conta –concluse, prendendo il volto di Erza fra le mani, sfiorandolo con gentilezza come se fosse la cosa più preziosa al mondo- è che tu sia al sicuro, e che quei vermi non provino neanche più a pensare di sfiorarti.”.
Erza rabbrividì a quelle parole; per le vere intenzioni di quelli che poco prima aveva definito “gentili bastardi”, e soprattutto per la reazione di Jellal. Davvero teneva così tanto a lei? Se sì, da quando?
Ma soprattutto, perché?
Erza pronunciò quell’ultimo interrogativo ad alta voce, senza neanche accorgersene.
In risposta ricevette un sorriso.
Un sorriso dolce, carico di passione, di amore, un sorriso quasi colpevole.
E fu proprio in tono quasi colpevole che Jellal disse:”Perché ti amo.”.
Poi, il suo volto che si faceva sempre più vicino a quello di Erza, le labbra calde e morbide di lui poggiate sulle sue.
Da quanto era che Erza aspettava quelle parole, quel bacio? Da sempre, probabilmente, dalla prima volta in cui l’aveva incontrato, quando era arrivata all’orfanotrofio ed era caduta, ed aveva trovato la mano di Jellal e il suo sorriso sicuro pronti ad aiutarla a rialzarsi.
Eppure non aveva mai avuto il coraggio di aprirsi del tutto, di svelargli quel sentimento che avrebbe potuto incrinare la loro amicizia. Era sempre stata una codarda, Erza, quando si trattava di affrontare i propri sentimenti. Aveva sempre negato, aveva sempre rimandato ogni occasione per confessarsi; era sempre scappata.
E così aveva fatto lui, che, con la sua visione pessimista delle cose, aveva interpretato ogni segnale come un “non mi piaci, siamo e saremo sempre solo amici”. Aveva paura che lei l’avrebbe rifiutato, che si sarebbe allontanata, lasciandolo così da solo.
Ma Erza, in quel momento, non stava scappando; anzi, aveva afferrato l’altro per la cravatta, si era avvicinata a lui con l’intenzione di approfondire quel bacio tanto agognato.
E, quando dischiuse le labbra, scoprì che il sapore di Jellal era…strano. Era fresco, alla menta, ma al contempo sporcato da un retrogusto metallico che Erza identificò come sangue; quel sangue che poco prima aveva versato per lei, per proteggerla.
Jellal affondò le mani in quei capelli scarlatti che tanto amava, completamente perso in quel bacio dolce ma passionale, pieno di parole non dette, di tutte quelle che avrebbero voluto dire, ma avevano avuto troppa paura di esternare.
Anche quando l’aria venne a mancare, e furono costretti a separarsi, rimasero comunque abbracciati, poggiando la fronte contro quella dell’altro, ansimando leggermente, perdendosi negli occhi dell’altro.
Non si accorsero che il cielo si era rannuvolato, e che erano iniziate a scendere alcune gocce.
Iniziò a piovere, ma ciò non impedì a Jellal di sentire quelle parole che aveva sempre desiderato essere pronunciate dalla persona amata:”Anche io ti amo, Jellal.”.
E il ragazzo non poté fare a meno di rispondere con un altro bacio, forse anche più focoso del precedente, incurante delle gocce che gli bagnavano i capelli, e che facevano aderire le camice ai loro corpi.
Importava solo che fossero lì, insieme, stringendosi l'uno all'altra, ad esprimere il loro amore, a dirsi tutto ciò che fino ad allora avevano tenuto dentro di sé.
Importava che ognungo si fosse finalmente reso conto dei veri sentimenti dell'altro, e che in ognuno si facesse largo la consapevolezza che, a dispetto di tutti gli ostacoli che avrebbero potuto e che sicuravemente avrebbero incontrato lungo la vita, sarebbero rimasti insieme.
Sempre.
Importava che ognuno si appropriasse delle labbra dell’altro, che le facesse sue, in una battaglia di lingua e denti che avrebbe potuto non avere mai fine.
Che attraverso quel contatto riuscissero finalmente ad unirsi come volevano, mettendo finalmente a nudo quel legame che c’era sempre stato, ma che non era mai stato scoperto.
Quel giorno si scambiarono tanti baci quante furono le gocce di pioggia che caddero dal cielo.
 








Angolino di Mokona_
Come va? Tutto a posto, là dove vivete? E' stato bello finchè è durato, ma dopodomani mi rificcheranno in carcere, e chissà quando e se ne uscirò. Non è vero, i miei jerza feelings aumentano ogni giorno di più, quindi volenti o nolenti mi ritroverete ancora qui, a infangare il fandom con queste schifezze. Comunque, la fic vi è piaciuta? La volevo pubblicare perchè mi sono accorta che non avevo ancora pubblicato un'AU, e...volevo riempirvi di feelings, sì. E' una delle primissime fic che ho scritto (la terza? forse la terza), quindi come minimo è stata a marcire nel computer da un anno...non mi piace, ogni volta che inizio a scrivere qualcosa di più serioso e non fluffoso penso sia una schifezza. Ho una decina di shot non pubblicate lasciate a prendere ragnatele, 10 capitoli di una long da 13 di cui gli ultimi 3 capitoli proprio non mi vengono, e quaderni pieni di appunti su fic che dovrei scrivere ma non ho tempo di fare. E ora rinizia la scuola. Uccidetemi.
Anzi, no, insegnatemi la tecnica della moltiplicazione del corpo, così magari riesco a finire quelle millemila fanart jerzose che prendono polvere (fanno compagnia alle fanfiction) (?)
Scusate se sto straparlando, ma ieri notte sono andata a dormire alle 4 per finire un disegno e "ma chi te lo fa fare" annesso,  e...boh, niente, il mio cervello non funziona come dovrebbe.
Quello che in verità vorrei chiedervi è: secondo voi quali sarebbero i nomi dei genitori di Erza? E avete qualche proposta per qualche nome di qualche jerza baby?
Bravo a chi è riuscito ad arrivare fin qui! Chi recensirà e mi suggerirà dei nomi avrà biscottini di Jellal in regalo! (?) Anche se...l'ultima frase l'ho presa dal capitolo 79 di Hana Kimi, serie tv diventata manga dai disegni bellissimi (fino agli ultimi due volumi), che quindi ho letto con immenso piacere...in inglese in verità le parole sono diverse, ma vabbè. Ad essere sincera solo dopo aver riletto mi sono accorta di aver rubato le parole. Vale ugualmente come plagio?
Un'ultima cosa e poi me ne vado: magari non ve ne frega un piffero, ma mi farebbe piacere aggiungervi su faccialibro...mandate la richiesta qui, se vi va!
Va bene, la smetto, mi sono dilungata decisamente troppo.
Ci vediamo giovedì, per chi vuole.
Kiss
Mokona_
   
 
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