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Autore: aniasolary    12/09/2013    9 recensioni
(Storia da revisionare)
Young Adult con elementi sovrannaturali e di Mistero.
In un pomeriggio assolato, le urla di una bambina oscurano il cielo; lei è un'arma, lei non potrà mai vivere, lei non può fare altro che nascondersi.
Anni dopo, un ragazzo trova la sua fotografia fra i documenti di suo padre. Un padre assente, troppo lontano da tutto e da tutti, così preso dai documenti fra cui c'è quella fotografia.
Sei appena venuto a conoscenza della presenza di un burrone. Vai a vederlo. Non ti aspetti che ci cadrai dentro.
Quella ragazza.
Quell'arma.
Quel ragazzo.
Il suo mondo.
Sogni spezzati.
L'amore difficile.
Vite in sospeso.
Amicizie distanti.
Vite rimaste indietro.
Vite in pericolo.
Buio.
Speranza.
Ed un uomo nell'ombra.
Genere: Mistero, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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until 10

Until

Illustrazione di presa da Google.

Grafica dell'immagine a cura di Honey Essentials.

Ne è vietato il riutilizzo. Tutti i diritti riservati.

10. Julia Moore 

Non avevo nemmeno tredici anni quando, sui gradini di legno del campo sportivo, lui si sedette per la prima volta accanto a me. Il resto della classe giocava a baseball e quello che non poteva che essere il suo migliore amico, con i capelli cortissimi e gli occhi vispi, lo chiamava ad alta voce. 

«No,» rispose lui, scuotendo la testa, i ricci castano scuro a sfiorargli di poco la fronte. «Resto qui.»

E mi guardò.

Aveva occhi così chiari da sembrare quelle pozze che si creano nei paesi lontani dopo il disgelo e mi dicevano va tutto bene. Io stringevo fra le mani un foglio con tanti numeri, le espressioni di matematica che avevo fatto una e più volte quasi fino ad impararle a memoria, per non pensare, per non sentirmi.

Va tutto bene, mi diceva lui in silenzio.

E per un momento la mia inquietudine costante vacillò, ed io cominciai a credergli.

 

Cancello il pensiero di lui, di nuovo dopo tante volte, perché è come togliere un cerotto da una ferita che non guarirà mai. 

Non voglio vedere che sanguina ancora.

 

 

Stringo il foglio fra le dita, ci affondo con le unghie troppo corte; credevo di aver perso il vizio di mordicchiarmele, credevo di averlo eliminato dagli appigli disperati a cui mi aggrappavo per sentire qualcosa. Ma non è stato così. Sentire il dolore nella carne è stato un diversivo inutile per smettere di pensare a questo momento. È viva, è questo l’importante. Guardo di nuovo l’indirizzo: Kennedy’s street, 53, e mi tremano le mani. È viva, è questo l’importante. Mi tremano le mani e non ce la farò mai. È viva, è questo l’importante. Mi tremano le mani e non riuscirò a guardarla negli occhi. 

Che io le abbia fatto del male quanto è importante?

«Sar, sta' calma.»

Quanto le ho fatto del male?

Chiudo gli occhi, un altro respiro. Forse così va un po’ meglio. È come se il mio corpo lo ascoltasse ancora prima che lo ascolti io, e questa è una delle cose di cui non so se avere paura o meno perché sa, ancora prima di me, che quel che fa e dice è per il mio bene. Lo guardo: guardo la sua mano grande che si avvicina al mio viso a scostarmi una ciocca di capelli; guardo i suoi occhi vividi e chiari, verdi e pieni di una luce che mi brucia gli occhi, ma che non è abbastanza per farmi smettere di guardarlo.

Scuoto la testa. 

«Io… Non lo so, non...»

Non so se posso farcela. Il suo viso è attraversato da una smorfia. Come se avesse sentito quello che, se avessi cercato di parlare, avrei detto. Sento il suo dolore, la mia incertezza, la mia paura, la sua. Sospiro.

«Ci sarò io con te.» Mi prende il volto fra le mani. «Non ti lascerò mai, mai, mai un solo minuto o secondo da sola. Mai.» Mi mordo la lingua, voglio sentire il sangue, voglio sentire qualunque cosa ma non la paura. Non la paura. «Io resto sempre vicino a te. »

Cerco di trovare un po’ di coraggio. Non tutti gli esseri umani ce l’hanno.

Ma io ne ho bisogno.

Annuisco. «Ok.»

«Qualunque cosa accada, io sono vicino a te. » Vicino a me, come nessuno lo è mai stato con lui.

Ieri aveva la porta di casa socchiusa, l’ho trovato seduto sul divano con la testa fra le mani. E' solo, ho pensato, e quando mi ha guardato è stato come se io stesse l’avessi salvato.

Mi prende la mano ed io, in un istinto inspiegabile, gliela stringo forte; mi sento così al sicuro che è come se stessi comandando un sogno. Nel sogno Julia è viva, e frequenta la struttura sportiva imponente e grande che ci è di fronte. Ho scelto di venire qui e non a casa sua perché mi sembrava... più sicuro, e meno spaventoso.

Attraversiamo il vialetto e ce ne stiamo un po’ così, sotto il portico, davanti alla porta a vetri. All'interno si vedono sedie di plastica, un banco alto con un telefono e una specie di registro e tante fotografie incorniciate. Non c'è nessuno, forse siamo arrivati tardi. E se fosse davvero tardi?

Martin aspetta con me, aspetta che io gli dica adesso, aspetta che io gli faccia sapere che sto per cadere. Un respiro, un altro respiro, un altro ancora. E poi un passo, un altro passo ancora, e il mio braccio che si alza e la mia mano che si chiude a far venir fuori il dito indice che preme qui, sul campanello della palestra che mi separa e protegge e nasconde da…

«Julia starebbe rinchiusa qui per ore... hai ragione.» La porta si apre, sussulto, stringo ancora di più la mano di Martin, lo guardo solo per un attimo. E poi si affaccia il volto di una signora dai capelli rossi e raccolti, rughe a segnarle gli occhi e un sorriso stanco. «Oh… scusate, sto aspettando mia figlia, si sta allenando per la gare di atletica.»

Sua madre.

Si sente il rumore di qualcosa che sbatte a terra ma sembra tornare subito su. Mi si secca la gola, la lingua mi si appiccica al palato, le gambe mi tremano. Scarpe da ginnastica che saltano su un pavimento antiscivolo, ecco cos'è. Dal corridoio si vede che una porta è lasciata aperta.

«Sì, siamo suoi amici.»

La voce di Martin è la corda che mi stringe la vita, mi tiene qui, sostiene il mio coraggio.

«Oh, ma non state lì, entrate pure. Non credo che per qualche non iscritto se ne faccia una tragedia, e comunque ora la proprietaria è impegnata.» La signora apre ancora di più la porta, una volta superata la soglia mi sento invadere da un freddo che sembra congelarmi il sangue, ma la presa salda di Martin è l’unica certezza che mi garantisce che non morirò nel ghiaccio del buio che c’è dentro di me. «Torno da lei in direzione per i dettagli, il premio della settimana scorsa deve ancora arrivare dall'Alaska!»

Martin fa un sorriso, di quelli un po' tirati che si fanno davanti ai genitori degli altri. Non l'ho mai visto così sicuro. Non ho mai sentito la presa delle sue mani così salda.  

I muri del corridoio si alternano al colore candido del bianco a quello scuro della plastica delle sedie, mi siedo e Martin riprende la mia mano, si siede accanto a me, mi tocca il ginocchio, i suoi occhi cercano il mio viso. Tàn, fanno ancora delle sparpe da ginnastica che saltano sul pavimento. Un sorriso senza pesi né dolori mi scalda, mi ripete che lui è qui con me. Si avvicina leggermente ma non so cosa dire, non so cosa dire se non che sono felice che lui mi abbia guardato, lì su quel bus; se non che risponderei subito che sto bene, se lui me lo chiedesse, come quel giorno al cinema; se non che lui con i suoi occhi e la sua risata e la sua vita ha fatto qualcosa che ancora non riesco a spiegare.  

Il tintinnio di una campanella. «Ho finito il tempo!» Una voce raschiata mi arriva alle orecchie e rimbalza contro i vetri della porta. Rumore di piedi che strisciano sul tappeto, una chiave che entra nella serratura, il cigolio di una porta. «Mamma, non puoi immaginare cosa sono riuscita a fare oggi!» 

La porta del corridoio si apre. «So che sei bravissima, tesoro.» Fruscii di vestiti, un giubbino che cade a terra.

«Sono esausta, però penso che potrei...»

«Ci sono dei tuoi amici ad aspettarti, Ju.»

«Davvero? » Se la felicità avesse una voce, questa sarebbe la sua. «Naomi? Dai vieni! Finalmente ti sei decisa a venire!»

Mi alzo in piedi, d’istinto.

Passi. 

Corro verso la voce.

I suoi passi.

La prima cosa che vedo è l'ombra di una sagoma che si espande sul muro verde dal centro dell'enorme palestra.

E poi guardo da dove nasce l'ombra.

Ha i capelli rossi, lunghi e ricci, come li ha sempre avuti, come quel giorno, non mi guarda e sorride, sorride, sorride e sento la sua anima mentre alza il viso al cielo anche se c’è il soffitto a separarla, un viso fine e sano e con gli zigomi alti, gli occhi marroni e lucidi. Alza le braccia, un completo blu e aderente, e poi fa un salto così alto... così alto, di quelli che devono essere capriole per poi fermarsi su un solo piede e il respiro affannato. Julia. È viva.

Non l’ho uccisa.

«Naomi?» Ride, i capelli le coprono il volto e non può vedermi.

Ma poi se li sposta dal viso ed ecco che lei fissa gli occhi su di me.

«Ehm…» Si alza in piedi, la tuta ginnica aderisce al suo corpo come se fosse bagnata, lucida. E forse ancora non credo alla persona che mi è davanti, la Julia acrobata che con una capriola torna la Julia piccola e con la voce stridula che era mia amica. «Tu non sei Naomi. O Quinn. O Pippy. O Danielle. O Lily.» Mi guarda, ma non smette di sorridere. Poi guarda Martin. «Tu non sei Frank. O Joffrey. O Paul. O Isaac.» Si dondola sui talloni. «E Kevin, il mio ragazzo, torna dalla Florida domani. Mia madre scambia sempre la gente dai diciassette anni ai venticinque come miei amici.» Parla come se quella palestra fosse la sua casa. Come avrà fatto con il diabete? Come avrà fatto a vincere quei premi? Come ha fatto a vivere?

Mi sento gelare. Mi dispiace. Ho le vene di ghiaccio. Mi dispiace. Il ghiaccio si spezza, il ghiaccio mi buca la gola.

«Non c’è problema,» dice Martin. Solo ora mi accorgo che mi ha seguita. «Non c’è problema, voleva… cioè, volevamo solo farti qualche domanda.»

«Oh mio Dio.» Alza la voce. «Sei tu il tipo dell’intervista? »

«No.» Martin si gratta la testa, io resto immobile nella convinzione più assurda che tutto questo non stia succedendo per davvero. Eppure deve succedere. Eppure sono stata io a volerlo. Perché devo dirglielo, e forse così potrò porre fine alla solitudine che mi ha oppresso per tutto questo tempo.

«Julia…» riesco a dire, piano. Posso farcela, devo solo respirare. Devo parlare. «Tu frequentavi la Starbright. La scuola dell'infanzia...»

Si mette a braccia conserte, sembra nervosa, come se non volesse ricordare qualcosa, come se la mia presenza la irritasse. «Non capisco cosa c'entra.»

Respira. «Ci andavo anch’io. »

«Un bel caso. » Lascia ricadere le braccia magre sui fianchi ed io mi sorprendo di come un movimento del genere possa essere elegante e distaccato. «Solo che è un po’ strano parlare di quello che facevo da piccola. »

«Sono Sarah.» Non smettere di respirare o cadrai nel buio. «Sarah Pierce.»

Julia diventa pietra: immobile davanti a me, i suoi occhi si spalancano e le sue spalle si irrigidiscono. Se fosse possibile, anche i suoi capelli potrebbero diventare tanto duri da potersi spezzare. E poi scoppia in una risata che sembra l’inizio di un pianto.

«Molto divertente.» Si passa una mano fra i capelli, sembra un gesto meccanico ma si morde le labbra, mentre lo fa. La bocca le trema. «Di… vertente. Kevin quanto vi ha pagato per fare tutto questo? Idiota, idiota che non è altro. »

«Io… » 

«Bello scherzo, davvero. Un ragazzo... tu che parte fai? E tu… con gli occhi azzurri e i capelli… so-sono uguali...» La sua voce si fa flebile. «Bello scherzo. E dite a Kevin che dovrà chiedermi scusa in ginocchio… tanto lo perdono.» Il suo sguardo si perde nel vuoto. «Alla fine lo perdono sempre. »

Non so che cosa ha pensato Martin di me, la prima volta in cui mi ha visto. Ma spero che non veda mai quello che io sto guardando adesso, una ragazza dalla vita che scorre nel sangue che può spezzarsi da un momento all’altro stando ferma. Così, mentre le sue parole si diradano in accenni normali di una vita normale in cui lei è il ritratto di una fragile felicità.

«Non è uno scherzo. » La mia voce è ferma, e non so come questo sia possibile. «Non so di cosa parli.»

Julia esce a grandi passi dalla sala in cui si stava allenando, i capelli rossi e ricci ondeggiano sulla sua schiena, la sua mano trema quando si posa sulla maniglia della porta da cui sono entrata. La stringe così forte che la sua mano diventa di quel bianco senza sangue che fa paura quando si guardano i morti. «Non vi voglio qui.»

«Non ti prendo in giro,» le dico, e questa volta la mia voce è quasi un sussurro. «Per favore, solo… »

«Via da qui.» Ha le lacrime agli occhi, e la mano che non è ferma sulla maniglia continua a tremarle, lei trema tutta. «Odio le bugie, odio le prese in giro di Kevin, odio che voi che avete fatto questo. Sarah non sei tu. Tu non sai niente.»

Mi spinge fuori, sul portico, e Martin mi segue. Non ti lascerò, qualunque cosa accada, lo sento mentre mi sfiora la mano con la sua. Eppure so che non ho bisogno di lui, per parlare. Perché Julia è ancora vulnerabile, Julia non ha mai dimenticato quel giorno di marzo, Julia è ancora in quella stanza bianca e piena di sole dove è cominciato il dolore. Il dolore pulsa ancora nelle ossa, nella carne, negli occhi, sulla lingua. Nelle lacrime che stanno per cadere sulle mie guance, perché sono ancora debole. Entrambe lo siamo.

«Il cielo è stellato, il gorgoglio incantato. Fiumi, acque stillanti , di gigli canuti e respiri soffusi. Tenere luci di grande calore, danno al tuo cuore il tuo piccolo amore. Piccole stelle nel cielo dormienti, piccoli bimbi lì sorridenti, balli, canti, disegni e monete... » La mia memoria non è abbastanza. Dimentico. Ancora una volta. E ora che la guardo di nuovo, sento la lacrima che mi scende sulla guancia e parla con me. Mi dispiace.Da piccola mi dimenticavo sempre la fine di questa filastrozza e lei la continuava per me. Lascio che muoia lungo tutto il suo percorso, come me, come in ogni incubo, come in ogni giorno in cui ho visto la mia luce spegnersi. 

Julia sbatte gli occhi. Sembra essersi improvvisamente svegliata, come se fosse una sonnambula che si accorge solo adesso di chi le sta davanti. Ha gli occhi marroni e liquidi, come l’impasto di un biscotto che ha bisogno di più burro, qualcosa di dolce e triste, incompleto. La sua bocca si dischiude leggermente.

«Non cercarmi più. » La sua voce sembra provenire da lontano, lontano, lontano.

«Quanto ti ha fatto male? Cosa hai sentito? Per favore, Julia, per favore… »

«Mai più. »

«Voglio solo che finisca, voglio solo che non accada più, voglio solo essere normale, ma come posso… »

«Mai più, » lo ripete come se fosse un robot.

«Per favore, aiutami.» 


Ma l’unica cosa che vedo è lei che distoglie lo sguardo e chiude la porta con un tonfo. Respira. Non cadere nel buio. Respiro. Non cado nel buio.

Ma il buio è dentro di me.

***

Ci sono delle volte in cui devi essere forte anche se non lo sei. Perché chi è importante per te ha bisogno della tua forza. Ed io ho cercato di darle tutto quello che avevo. Camminiamo per le strade senza una meta predefinita, abbiamo lasciato i quartieri residenziali alle spalle e ci avviciniamo alla periferia, la parte della città che collega poi all’autostrada, l’esatto opposto della mia abitazione e della sua.

Per favore, aiutami. Sarah ne sta in silenzio, accanto a me. Per favore, aiutami. Cerca qualcosa che io non posso darle nemmeno se scavassi all’interno di tutto me stesso. Perché era di quello che aveva bisogno. Perché non so come è potuto succedere tutto quello che, effettivamente, è accaduto. Non so nemmeno come faccio a non considerare minimamente vicina la possibilità che quello che ha pietrificato Julia al solo ricordo possa succedere anche a me. Ma non lo trovo possibile.

«Sarah vuoi che… »

«Non… »

«Ti accompagno a casa oppure… » Lascio che la mia mano raggiunga il suo fianco, in modo da poterla sentire attraverso la pelle. Camminiamo lenti. Le accarezzo il viso con l’altra mano e incontro due occhi d’acqua, lacrime intrappolate nei suoi occhi azzurri. Deglutisco, così, nella strana sensazione di non saper più come si respira. «Oppure possiamo… »

«Non voglio andare a casa. »

«Ok. » Le sposto una ciocca di capelli dal viso.

«Voglio stare un altro po’ con te. »

Le sorrido. Lei guarda per terra, come per vergogna. Ma quello che forse ancora non sa, è che oggi è stata coraggiosa: ha ripercorso quel giorno con le sue forze, con le sue parole, ha lasciato che Julia la guardasse incredula, poi immobile nel ricordo e in quella che mi è sembrata paura. Ma l’ha affrontato.

Volta il viso dall’altra parte.

«Solo un altro po’? »

«Fino a quando non avrai anche tu paura di me.»

Sento qualcosa di freddo: mi attanaglia le viscere, è qualcosa di viscido e acido. Mi fa solo desiderare di prenderle il viso fra le mani e guardarla ancora negli occhi e... E così lo faccio. Poso la mano sotto il suo mento e le faccio girare la testa, piano, perché ogni volta che la tocco è strano come riesca a percepire che sia leggera, pronta a volarmi via dalle mani.

«Io non avrò mai paura di te, Sarah Pierce. »

Le sue labbra carnose si muovono in quello che sembra un sorriso pieno di colpe, pesi che le impediscono di sorridere ora che il passato è così vicino. Ma io le tocco le labbra con le dita, lascio che il suo viso si avvicini, lascio scorrere le mani sul suo collo e poi sulla vita, resto a respirarla così vicino alla sua bocca, come se questo fosse il tempo che si aspetta per morire.

Il suo sguardo mi parla, affranto. Fino a quando non farò del male anche a te. Un sussurro contro la mia bocca.

Mi sfugge un ghigno e le prendo le mani, lascio che le posi alla mia nuca, le sue dita mi solleticano.

Mi hai già fatto del male. Avvicino la bocca alla sua. Mi sono innamorato di te.

E come se il tempo in cui si aspetta la morte fosse passato, le mie labbra toccano le sue.

*

*

*

*

Ciao a tutti!

Innanzitutto vi ringrazio per come avete accolto il mio "ritorno". Siete stati davvero meravigliosi, ed io vi ringrazio infinitamente. Siete fantastici <3 <3 <3

Questo capitolo - visto da me, povera mortale che scribacchia - mi piace xD spero che piaccia anche a voi e spero, soprattutto, che piaccia alla mia carissima amica Noemi perché questo è il mio regalo di compleanno! <3 Tanti auguri a te, tesoro mio <3 <3 <3 E ti auguro con tutto il cuore dei giorni bellissimi e di trovare... il tuo James Carstairs <3 (So che lui ti piace tanto u.u )

Se avete consigli e/o perplessità, sarebbe davvero fantastico "parlarne" con voi :) 

Ci risentiamo fra due settimane :) In particolare ringrazio Mia che ha gentilmente realizzato il bellissimo banner che avete visto all'inizio. Se vi va di leggere un'originale urban fantasy, passate dalla sua Underworld :) 

E' incredibile come quest'immagine sia perfetta anche per questo capitolo. Grazie a tutti voi, davvero *-*

Un bacio

Ania <3

   
 
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