Illustrazione di presa da Google.
Grafica dell'immagine a cura di Honey Essentials.
10. Julia Moore
Non avevo nemmeno tredici anni quando, sui gradini di legno del campo sportivo, lui si sedette per la prima volta accanto a me. Il resto della classe giocava a baseball e quello che non poteva che essere il suo migliore amico, con i capelli cortissimi e gli occhi vispi, lo chiamava ad alta voce.
«No,» rispose lui,
scuotendo la testa, i ricci castano scuro a sfiorargli di poco la fronte.
«Resto qui.»
E
mi guardò.
Aveva
occhi così chiari da sembrare quelle pozze che si creano nei paesi lontani dopo
il disgelo e mi dicevano va tutto bene. Io stringevo fra le mani
un foglio con tanti numeri, le espressioni di matematica che avevo fatto una e
più volte quasi fino ad impararle a memoria, per non pensare, per non sentirmi.
Va
tutto bene, mi diceva lui in silenzio.
E per
un momento la mia inquietudine costante vacillò, ed io cominciai a credergli.
Cancello il pensiero di lui, di nuovo dopo tante volte, perché è come togliere un cerotto da una ferita che non guarirà mai.
Non voglio vedere che sanguina ancora.
Stringo il foglio fra le dita, ci affondo con le unghie troppo corte; credevo di aver perso il vizio di mordicchiarmele, credevo di averlo eliminato dagli appigli disperati a cui mi aggrappavo per sentire qualcosa. Ma non è stato così. Sentire il dolore nella carne è stato un diversivo inutile per smettere di pensare a questo momento. È viva, è questo l’importante. Guardo di nuovo l’indirizzo: Kennedy’s street, 53, e mi tremano le mani. È viva, è questo l’importante. Mi tremano le mani e non ce la farò mai. È viva, è questo l’importante. Mi tremano le mani e non riuscirò a guardarla negli occhi.
Che io le abbia fatto del male
quanto è importante?
«Sar, sta' calma.»
Quanto le ho fatto del male?
Chiudo
gli occhi, un altro respiro. Forse così va un po’ meglio.
È come se il mio
corpo lo ascoltasse ancora prima che lo ascolti io, e questa è
una delle cose
di cui non so se avere paura o meno perché sa, ancora prima di
me, che quel che fa e dice è per il mio bene. Lo guardo: guardo
la sua mano grande che
si avvicina al mio viso a scostarmi una ciocca di capelli; guardo i
suoi occhi
vividi e chiari, verdi e pieni di una luce che mi brucia gli occhi, ma
che non
è abbastanza per farmi smettere di guardarlo.
Scuoto
la testa.
«Io… Non lo so, non...»
Non so se posso farcela. Il
suo viso è attraversato da una smorfia. Come se avesse sentito quello che, se
avessi cercato di parlare, avrei detto. Sento il suo dolore, la mia incertezza,
la mia paura, la sua. Sospiro.
«Ci
sarò io con te.» Mi prende il volto fra le mani. «Non ti lascerò mai, mai, mai
un solo minuto o secondo da sola. Mai.» Mi mordo la lingua, voglio sentire il
sangue, voglio sentire qualunque cosa ma non la paura. Non la paura. «Io resto
sempre vicino a te. »
Cerco
di trovare un po’ di coraggio. Non tutti gli esseri umani ce l’hanno.
Ma
io ne ho bisogno.
Annuisco.
«Ok.»
«Qualunque cosa accada, io sono vicino a te. » Vicino a me, come nessuno lo è mai stato con lui.
Ieri aveva la porta di casa socchiusa, l’ho trovato seduto sul divano con la
testa fra le mani. E' solo, ho pensato, e quando mi ha guardato è
stato come se io stesse l’avessi salvato.
Mi
prende la mano ed io, in un istinto inspiegabile, gliela stringo forte;
mi
sento così al sicuro che è come se stessi comandando un
sogno. Nel sogno Julia
è viva, e frequenta la struttura sportiva imponente e grande che
ci è di fronte. Ho scelto di venire qui e non a casa sua
perché mi sembrava... più sicuro, e meno spaventoso.
Attraversiamo il vialetto e ce ne stiamo un po’ così, sotto il portico, davanti alla porta a vetri. All'interno si vedono sedie di plastica, un banco alto con un telefono e una specie di registro e tante fotografie incorniciate. Non c'è nessuno, forse siamo arrivati tardi. E se fosse davvero tardi?
Martin aspetta con
me, aspetta che io gli dica adesso, aspetta che io gli faccia sapere che sto per
cadere. Un
respiro, un altro respiro, un altro ancora. E poi un passo, un altro
passo
ancora, e il mio braccio che si alza e la mia mano che si chiude a far
venir
fuori il dito indice che preme qui, sul campanello della palestra che mi separa e
protegge e nasconde da…
«Julia
starebbe rinchiusa qui per ore... hai ragione.» La porta si apre,
sussulto, stringo ancora di più la mano di Martin, lo
guardo solo per un attimo. E poi si affaccia il
volto di una signora dai capelli rossi e raccolti, rughe a segnarle gli
occhi e
un sorriso stanco. «Oh… scusate, sto aspettando mia
figlia, si sta allenando per la gare di atletica.»
Sua
madre.
Si sente il rumore di qualcosa che sbatte a terra ma sembra tornare subito su. Mi
si secca la gola, la lingua mi si appiccica al palato, le gambe mi tremano. Scarpe da ginnastica che saltano su un pavimento antiscivolo, ecco cos'è. Dal corridoio si vede che una porta è lasciata aperta.
«Sì,
siamo suoi amici.»
La
voce di Martin è la corda che mi stringe la vita, mi tiene qui, sostiene il mio
coraggio.
«Oh,
ma non state lì, entrate pure. Non credo che per qualche non
iscritto se ne faccia una tragedia, e comunque ora la proprietaria è impegnata.» La signora apre ancora di
più la porta, una
volta superata la soglia mi sento invadere da un freddo che sembra
congelarmi
il sangue, ma la presa salda di Martin è l’unica certezza
che mi garantisce che
non morirò nel ghiaccio del buio che c’è dentro di
me. «Torno da lei in direzione per i dettagli, il premio della settimana scorsa deve ancora arrivare dall'Alaska!»
Martin
fa un sorriso, di quelli un po' tirati che si fanno davanti ai genitori
degli altri. Non l'ho mai visto così sicuro. Non ho mai sentito
la presa delle sue mani così
salda.
I muri del corridoio si alternano al colore candido del bianco a quello scuro della plastica delle sedie, mi
siedo e Martin riprende la mia mano, si siede accanto a me, mi tocca il ginocchio, i suoi
occhi cercano il mio viso. Tàn, fanno ancora delle sparpe da ginnastica che saltano sul pavimento. Un sorriso senza pesi né dolori mi scalda, mi ripete
che lui è qui con me. Si avvicina leggermente ma non so cosa dire, non so cosa
dire se non che sono felice che lui mi abbia guardato, lì su quel bus; se non
che risponderei subito che sto bene, se lui me lo chiedesse, come quel giorno
al cinema; se non che lui con i suoi occhi e la sua risata e la sua vita ha fatto
qualcosa che ancora non riesco a spiegare.
Il tintinnio di una campanella. «Ho finito il tempo!» Una voce raschiata mi arriva alle orecchie e rimbalza contro i vetri della porta. Rumore di piedi che strisciano sul tappeto, una chiave che entra nella serratura, il cigolio di una porta. «Mamma, non puoi immaginare cosa sono riuscita a fare oggi!»
La porta del corridoio si apre.
«Sono esausta, però penso che potrei...»
«Ci
sono dei tuoi amici ad aspettarti, Ju.»
«Davvero?
» Se la felicità avesse una voce, questa sarebbe la sua.
«Naomi? Dai vieni! Finalmente ti sei decisa a venire!»
Mi
alzo in piedi, d’istinto.
Passi.
Corro verso la voce.
I
suoi passi.
La prima cosa che vedo è l'ombra di una sagoma che si espande sul muro verde
dal centro dell'enorme palestra.
E poi guardo da dove nasce l'ombra.
Ha
i capelli rossi, lunghi e ricci, come li ha sempre avuti, come quel giorno, non mi guarda e
sorride, sorride, sorride e sento la sua anima mentre alza il viso al cielo
anche se c’è il soffitto a separarla, un viso fine e sano e con gli zigomi
alti, gli occhi marroni e lucidi. Alza le braccia, un completo blu e
aderente, e poi fa un salto così alto... così alto, di quelli che devono essere capriole per poi fermarsi
su un solo piede e il respiro affannato. Julia. È viva.
Non
l’ho uccisa.
«Naomi?» Ride, i capelli le coprono il volto e non può vedermi.
Ma poi se li sposta dal viso ed ecco che lei fissa gli occhi su di me.
Mi
sento gelare. Mi dispiace. Ho le vene di ghiaccio. Mi dispiace. Il ghiaccio si
spezza, il ghiaccio mi buca la gola.
«Non
c’è problema,» dice Martin. Solo ora mi accorgo che
mi ha seguita. «Non c’è problema, voleva…
cioè, volevamo solo farti qualche domanda.»
«Oh
mio Dio.» Alza la voce. «Sei tu il tipo dell’intervista? »
«No.» Martin si gratta la testa, io resto immobile nella convinzione più assurda
che tutto questo non stia succedendo per davvero. Eppure deve succedere. Eppure
sono stata io a volerlo. Perché devo dirglielo, e forse così potrò porre fine
alla solitudine che mi ha oppresso per tutto questo tempo.
«Julia…» riesco a dire, piano. Posso farcela, devo solo
respirare. Devo parlare. «Tu frequentavi la Starbright. La scuola dell'infanzia...»
Si
mette a braccia conserte, sembra nervosa, come se non volesse ricordare
qualcosa, come se la mia presenza la irritasse. «Non capisco cosa c'entra.»
Respira. «Ci andavo anch’io. »
«Un
bel caso. » Lascia ricadere le braccia magre sui fianchi ed io mi sorprendo di
come un movimento del genere possa essere elegante e distaccato. «Solo che è un
po’ strano parlare di quello che facevo da piccola. »
«Sono
Sarah.» Non smettere di respirare o cadrai nel buio. «Sarah Pierce.»
Julia
diventa pietra: immobile davanti a me, i suoi occhi si spalancano e le sue spalle
si irrigidiscono. Se fosse possibile, anche i suoi capelli potrebbero diventare
tanto duri da potersi spezzare. E poi scoppia in una risata che sembra l’inizio
di un pianto.
«Molto
divertente.» Si passa una mano fra i capelli, sembra un gesto meccanico ma si
morde le labbra, mentre lo fa. La bocca le trema. «Di… vertente. Kevin quanto
vi ha pagato per fare tutto questo? Idiota, idiota che non è altro. »
«Io…
»
«Bello
scherzo, davvero. Un ragazzo... tu che parte fai? E tu… con gli occhi
azzurri e i capelli… so-sono uguali...» La sua voce si fa flebile. «Bello scherzo. E dite a Kevin
che dovrà chiedermi scusa in ginocchio… tanto lo perdono.» Il suo sguardo si
perde nel vuoto. «Alla fine lo perdono sempre. »
Non
so che cosa ha pensato Martin di me, la prima volta in cui mi ha visto. Ma
spero che non veda mai quello che io sto guardando adesso, una ragazza dalla
vita che scorre nel sangue che può spezzarsi da un momento all’altro stando
ferma. Così, mentre le sue parole si diradano in accenni normali di una vita
normale in cui lei è il ritratto di una fragile felicità.
«Non
è uno scherzo. » La mia voce è ferma, e non so come questo sia possibile. «Non
so di cosa parli.»
Julia
esce a grandi passi dalla sala in cui si stava allenando, i capelli rossi e ricci ondeggiano
sulla sua schiena, la sua mano trema quando si posa sulla maniglia della porta da cui sono entrata. La stringe
così forte che la sua mano diventa di quel bianco senza sangue che fa paura
quando si guardano i morti. «Non vi voglio qui.»
«Non
ti prendo in giro,» le dico, e questa volta la mia voce è quasi un sussurro.
«Per favore, solo… »
«Via
da qui.» Ha le lacrime agli occhi, e la mano che non è
ferma sulla maniglia continua a tremarle, lei trema tutta. «Odio le bugie, odio
le prese in giro di Kevin, odio che voi che avete fatto questo. Sarah non sei
tu. Tu non sai niente.»
Mi
spinge fuori, sul portico, e Martin mi segue. Non ti lascerò, qualunque cosa
accada, lo sento mentre mi sfiora la mano con la sua. Eppure so che non ho
bisogno di lui, per parlare. Perché Julia è ancora vulnerabile, Julia non ha
mai dimenticato quel giorno di marzo, Julia è ancora in quella stanza bianca e
piena di sole dove è cominciato il dolore. Il dolore pulsa ancora nelle ossa,
nella carne, negli occhi, sulla lingua. Nelle lacrime che
stanno per cadere sulle mie guance, perché sono ancora debole. Entrambe lo
siamo.
«Il
cielo è stellato, il gorgoglio incantato. Fiumi, acque stillanti , di
gigli canuti e respiri soffusi. Tenere luci di grande calore, danno al tuo
cuore il tuo piccolo amore. Piccole stelle nel cielo dormienti,
piccoli bimbi lì sorridenti, balli, canti, disegni e monete... » La mia memoria
non è abbastanza. Dimentico. Ancora una volta. E ora che la guardo di nuovo,
sento la lacrima che mi scende sulla guancia e parla con me. Mi dispiace.Da
piccola mi dimenticavo sempre la fine di questa filastrozza e lei la
continuava per me. Lascio che muoia lungo tutto il suo percorso, come
me, come in ogni incubo,
come in ogni giorno in cui ho visto la mia luce spegnersi.
Julia sbatte gli occhi. Sembra
essersi improvvisamente svegliata, come se fosse una sonnambula che si accorge solo adesso di chi le sta davanti. Ha
gli occhi marroni e liquidi, come l’impasto di un biscotto che ha bisogno di
più burro, qualcosa di dolce e triste, incompleto. La sua bocca si dischiude
leggermente.
«Non cercarmi più. » La sua voce
sembra provenire da lontano, lontano, lontano.
«Quanto ti ha fatto male? Cosa hai
sentito? Per favore, Julia, per favore… »
«Mai più. »
«Voglio solo che finisca, voglio solo
che non accada più, voglio solo essere normale, ma come posso… »
«Mai più, » lo ripete come se fosse
un robot.
«Per favore, aiutami.»
Ma l’unica cosa che vedo è lei che
distoglie lo sguardo e chiude la porta con un tonfo. Respira. Non cadere nel
buio. Respiro. Non cado nel buio.
Ma il buio è dentro di me.
***
Ci sono delle volte in cui devi
essere forte anche se non lo sei. Perché chi è importante per te ha bisogno
della tua forza. Ed io ho cercato di darle tutto quello che avevo. Camminiamo
per le strade senza una meta predefinita, abbiamo lasciato i quartieri
residenziali alle spalle e ci avviciniamo alla periferia, la parte della città
che collega poi all’autostrada, l’esatto opposto della mia abitazione e della
sua.
Per
favore, aiutami. Sarah ne sta in silenzio, accanto a me. Per favore, aiutami. Cerca qualcosa che io non posso darle nemmeno
se scavassi all’interno di tutto me stesso.
Perché era di quello che aveva bisogno. Perché non so come è potuto succedere
tutto quello che, effettivamente, è accaduto. Non so nemmeno come faccio a non
considerare minimamente vicina la possibilità che quello che ha pietrificato
Julia al solo ricordo possa succedere anche a me. Ma non lo trovo possibile.
«Sarah vuoi che… »
«Non… »
«Ti accompagno a casa oppure… »
Lascio che la mia mano raggiunga il suo fianco, in modo da poterla sentire
attraverso la pelle. Camminiamo lenti. Le accarezzo il viso con l’altra mano e
incontro due occhi d’acqua, lacrime intrappolate nei suoi occhi azzurri.
Deglutisco, così, nella strana sensazione di non saper più come si respira.
«Oppure possiamo… »
«Non voglio andare a casa. »
«Ok. » Le sposto una ciocca di
capelli dal viso.
«Voglio stare un altro po’ con te. »
Le sorrido. Lei guarda per terra,
come per vergogna. Ma quello che forse ancora non sa, è che oggi è stata
coraggiosa: ha ripercorso quel giorno con le sue forze, con le sue parole, ha
lasciato che Julia la guardasse incredula, poi immobile nel ricordo e in quella
che mi è sembrata paura. Ma l’ha affrontato.
Volta il viso dall’altra parte.
«Solo un altro po’? »
«Fino a quando non avrai anche tu
paura di me.»
Sento qualcosa di freddo: mi
attanaglia le viscere, è qualcosa di viscido e acido. Mi fa solo desiderare di prenderle il viso fra le mani e guardarla
ancora negli occhi e... E così lo
faccio. Poso la mano sotto il suo mento e le faccio girare la testa, piano,
perché ogni volta che la tocco è strano come riesca a percepire che sia
leggera, pronta a volarmi via dalle mani.
«Io non avrò mai paura di te, Sarah
Pierce. »
Le sue labbra carnose si muovono in
quello che sembra un sorriso pieno di colpe, pesi che le impediscono di
sorridere ora che il passato è così vicino. Ma io le tocco le labbra con le dita, lascio
che il suo viso si avvicini, lascio scorrere le mani sul suo collo e poi sulla
vita, resto a respirarla così vicino alla sua bocca, come se questo fosse il
tempo che si aspetta per morire.
Il suo sguardo mi parla, affranto. Fino a quando non farò del male anche a te.
Un sussurro contro la mia bocca.
Mi sfugge un ghigno e le prendo le mani, lascio che le posi alla
mia nuca, le sue dita mi solleticano.
Mi hai
già fatto del male. Avvicino la bocca alla sua. Mi sono innamorato di te.
E come se il tempo in cui si aspetta la morte fosse passato, le mie labbra toccano le sue.
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Ciao a tutti!
Innanzitutto vi ringrazio per come avete accolto il mio "ritorno". Siete stati davvero meravigliosi, ed io vi ringrazio infinitamente. Siete fantastici <3 <3 <3
Questo capitolo - visto da me, povera mortale che scribacchia - mi piace xD spero che piaccia anche a voi e spero, soprattutto, che piaccia alla mia carissima amica Noemi perché questo è il mio regalo di compleanno! <3 Tanti auguri a te, tesoro mio <3 <3 <3 E ti auguro con tutto il cuore dei giorni bellissimi e di trovare... il tuo James Carstairs <3 (So che lui ti piace tanto u.u )
Se avete consigli e/o perplessità, sarebbe davvero fantastico "parlarne" con voi :)
Ci risentiamo fra due settimane :) In particolare ringrazio Mia che ha gentilmente realizzato il bellissimo banner che avete visto all'inizio. Se vi va di leggere un'originale urban fantasy, passate dalla sua Underworld :)
E' incredibile come quest'immagine sia perfetta anche per questo capitolo. Grazie a tutti voi, davvero *-*
Un bacio
Ania <3