Once Upon A Time In Neverland
Lacrime Dolci
Il volo non mi
era mai parso così bello. La prima volta
era stato così emozionante che avevo usato gli occhi soltanto per non andare a
sbattere contro qualcosa, non essendo abituata a volare. Ma questa volta era
diverso; ero abituata a volare -o meglio- mi ricordavo come si faceva. Era come
andare in bicicletta.
E Peter non
smise un attimo di sorridermi. Il mio cuore era un tripudio di emozioni tutte
così forti da farmi sentire in paradiso, anche se in qualche modo, era lì che
stavo andando.
Strinsi la mano
di Peter con tale forza che avevo paura di fargli male, ma lui non si lamentò
mai.
«Ci siamo quasi»
mi disse guardandomi negli occhi
«È proprio come
lo ricordavo...» mormorai al ragazzo, ricambiando il suo sguardo.
«Tieni forte la
mia mano.» mi ordinò. Mi ricordavo cosa stava per succedere: Peter avrebbe
acquisito velocità e saremmo entrati nella dimensione dell'Isola Che Non C'è.
Chiusi gli occhi
mentre sentivo Peter tirarmi forte e quando li riaprii, vidi davanti a me il
meraviglioso ed enorme profilo del luogo che avevo sognato tutte le notti, che
avevo disegnato i pomeriggi solitari e che non avevo mai dimenticato.
«Wow... è
magnifico» esclamai.
«Lo è.» rispose
Peter lasciando delicatamente la mia mano. Doveva essere davvero felice in quel
momento, perché il sole illuminava l'Isola come non mai. Era così splendente da
rendere persino le nuvole dorate. Ci sedemmo su una nuvola che dava lo sguardo
sulla parte degli Indiani e mi ricordai di Giglio Tigrato.
Chissà se tra
lei e Peter c'era stato qualcosa in quel tempo...
«Ben tornata
Wendy...» mi disse Peter mostrandomi con le braccia tutto ciò che avevo davanti
agli occhi.
«Sono felice di
essere qui.» gli confessai. Il suo sorriso svanì e il suo viso si rabbuiò, era
arrossito. Arrossito?! Peter Pan?!
L'unica volta
che era arrossito c'era stata un'enorme esplosione! Automaticamente mi coprii
gli occhi con le mani e aspettai.
Non successe
niente.
Anzi. Lo sentii
ridere.
«Perché ridi?»
gli domandai confusa.
«Perché sei
buffa.» arrossii io. «Non esplodo più... credo...» aggrottò le sopracciglia
confuso «E comunque, non c'è più qualcuno da combattere!»
Capitano Giacomo
Uncino, comandante della Jolly Roger, era stato inghiottito da un coccodrillo
dopo aver sfidato Peter ad un duello all'ultimo volo. E proprio quando le cose
per il ragazzo si stavano mettendo male, io... beh, gli ho regalato il mio
Bacio.
«Vuoi dire che i
Pirati sono innocui?» chiesi esaltata e lui annuì.
«Stanno
tranquilli nel loro territorio.» rispose Peter svolazzandomi attorno
«Devi esserti
sentito solo in questo tempo, senza Bimbi Sperduti, senza nessuno da
combattere...» constatai amareggiata. Era un po' colpa mia se era rimasto da
solo, noi avevamo portato via tutti i suoi amici.
«Beh, c'era
Trilli. E gli Indiani! Non ero sempre solo» voleva essere allegro ma un lampo
triste attraversò i suoi occhi verdi e mi fece intuire il contrario.
«A proposito,
dov'è Trilli?» non che mi interessasse proprio saperlo, ma già una volta quella
fatina mi aveva quasi uccisa, perciò iniziai a guardarmi intorno per non cadere
in qualche sua trappola.
«È alla Tana, ci
aspetta.» mi prese per la vita e mi fece scendere dalla nuvola.
«Cioè lei sa che
sono tornata?» sentire le sue mani sui fianchi era una forte emozione ma mi
costrinsi a rimanere calma. Peter annuì alla mia domanda e sorrise beffardo.
«Immagino come
sarà contenta!» gli dissi aggrappandomi al suo collo. Era morbido e più grande
di come era all'epoca. Non potevo credere che fosse realmente cresciuto.
Era un mistero
alquanto segreto.
«In effetti era
un po' arrabbiata quando le ho detto che sarei venuto a trovarti, ma poi le ho
fatto cambiare idea ricordandole che anche tu le hai salvato la vita...» era
vero.
Trilli aveva
rischiato di morire bevendo il veleno che Capitano Uncino aveva destinato a
Peter. E lui dalla Tana e noi dalla barca, le avevamo salvato la vita.
«Speriamo che se
lo ricordi ancora.» borbottai
«Lo ricorderò io
per lei...» si fece improvvisamente serio e mi fissò incantato. Il sole stava
calando e la sola luce della luna corse a rischiarare i nostri volti, mentre le
stelle ci spiavano curiose.
Ricambiai il suo
sguardo con eguale ardore. I suoi occhi così magnetici, le sue labbra
morbide... spingere il mio viso verso il suo fu un attimo.
Chiusi gli occhi
e mi avvicinai. Lui chiuse i suoi e si avvicinò. Mi accarezzò la schiena con
una mano mentre io mi strinsi maggiormente sul suo collo. Sentivo il suo
respiro affannato e corto. Sentivo il suo tremito. Così, spinta dalla
curiosità, aprii gli occhi nello stesso istante in cui lui aprì i suoi.
Mi sorrise. Gli
sorrisi.
Era un momento
perfetto. Volevo assaggiare di nuovo quelle labbra, ricordare cosa si provava.
Senza Pirati a spiarci, senza Bimbi Sperduti schifati. Senza prigionieri, senza
cattivi. Solo la luna e le stelle a farci da sfondo sulla volta celeste tinta
di blu e screziata di viola.
«Peter...»
sussurrai a pochi centimetri dalle sue labbra.
Lui, che
guardava le mie, volse lo sguardo verso i miei occhi e poi mi sorrise, prima di
staccarsi e di afferrare la mia mano e portarmi via.
Sapevo non ci
saremmo baciati, perciò non rimasi molto delusa; ma quella parte -quella
piccola parte- che lo aveva sperato, iniziò a piangere. Lacrime dolci per un
doloroso tormento.
Cercai di non
pensarci e in un attimo arrivammo alla Tana.
Era proprio come
la ricordavo, nulla aveva subìto l'insolente forza del tempo, rendendo quel
posto -oltre che magico- immortale.
Mi fece fare un
giro senza mai lasciarmi la mano e mi mostrò il mio letto. Quello dell'ultima
volta.
«È sempre stato
tuo.» mi sussurrò all'orecchio destro «E non sarà mai di nessun altro» continuò
verso l'orecchio sinistro.
Il mio cuore
fece un'immensa capriola e mi voltai lentamente verso di lui, trovandomelo ad
una distanza molto ravvicinata.
«Non sai quanto
io sia felice.» gli confessai abbracciandolo, incastrando la mia testa
nell'incavo del suo collo. Sembrava si fosse creato un buco proprio per me. Sul
suo cuore.
«Ti ho pensata
tanto...» mormorò sui miei capelli «Mi sei mancata»
«Pensavo mi
avessi dimenticato» sussurrai con gli occhi brucianti
«Non potrei mai!
Mai!» mi strinse anche lui con le sue braccia tornite e forti.
«Con tutte le
avventure che avrai vissuto, gli ostacoli che avrai affrontato, come potevi
ricordarti di me?»
«La vita può
essere una grande avventura» aveva sempre pensato alla morte come ad
un'avventura, ma quando le si era ritrovato accanto, aveva capito che era la
vita a meritarsi le sue attenzioni. Mi aspettavo quella risposta, ma
decisamente non mi aspettavo quella che seguì «Tu sei stata una grande
avventura.» alzai il viso verso di lui e gli comunicai tutto il mio amore con
gli occhi. Sperai che capisse ciò che volevo così disperatamente dirgli ma
venimmo interrotti da un forte luccichio dispettoso.
Trilli.
Svolazzò tra i
nostri volti cercando di attirare l'attenzione di Peter. Lui rise e mi lasciò
andare, dedicandosi alla fatina, che intanto mi guardava con aria pericolosa.
Cercai di
sorriderle per essere gentile e iniziare subito col piede giusto. Lei
inizialmente sorrise, ma poi mi fece una rumorosa pernacchia a pochi centimetri
dal viso.
Peter
sghignazzava alle sue spalle, cercando di coprirsi la bocca con la mano.
«Trilli è
davvero felice di vederti» mi disse. Lo sguardo che, sia io sia Campanellino,
gli rivolgemmo fu più che eloquente; tanto da fargli spalancare gli occhi dalla
paura.
«Volevo essere
gentile!» disse a mo' di scusa. Io risi di cuore e guardai Trilli volare via
con grazia.
«Magari un
giorno le piacerò.» decretai con falsa convinzione.
«Un giorno, ma
non oggi. Si è fatto tardi e voglio che tu sia riposata per quello che faremo
domani!» mi spinse delicatamente verso il letto.
«Cosa faremo
domani?» gli chiesi mentre si voltava per andarsene.
«Visiteremo
l'Isola ovviamente!» rispose gioendo come un bambino.
Cercavo di
ricordarmi come fosse prima; il bambino che prendeva tutto uno scherzo e che
voleva sempre e solo divertirsi, che era ingenuo ma tremendamente dolce.
Ma più cercavo
nella mia mente, più lui mi sfuggiva.
Ora mi sembrava
lo stesso bambino ma irrimediabilmente diverso; il suo modo di parlare era più
maturo, i suoi occhi non erano più solo le finestre dell'immorale verità, erano
anche specchi coperti di condensa su quei sentimenti che aveva così
disperatamente cercato di negare e che l'avevano portato alla solitudine.
Sentimenti che non avevo mai smesso di provare e per i quali avevo pregato per
quattro anni affinché lui non li dimenticasse.
Tutto in
quell'albero casa - la Tana- mi sembrava famigliare eppure così sconosciuto.
Confortevole e spaventoso. Allegro e triste.
Non sentivo più
gli schiamazzi dei Bimbi Sperdute e le loro risate con Peter. Non sentivo John
e Michael giocare agli indiani con loro. Non li sentivo più.
Immaginai i miei
fratelli nei loro letti, a Londra, e mi venne un profondo senso di tristezza e
di egoismo.
Come mai ero la
sola ad aver desiderato ardentemente di tornare in quel posto? Perché i miei
fratelli non avevano voluto venire?
La risposta
apparve nitida nella mia mente, ma non sapevo se mi piaceva come rivelazione:
desideravo tornare perché ero innamorata di Peter e non potevo dimenticarlo.
Loro non si
erano innamorati; erano ancora troppo piccoli per capire davvero che fortuna
avevamo avuto andando lì.
E tutto perché
Peter voleva il lieto fine. Voleva le favole. Voleva qualcuno che gliele
raccontasse.
Senza pensarci
mi alzai dal letto e lo cercai per la Tana.
Se ne stava
seduto su uno dei rami più alti dell'albero ad ammirare le stelle. Il nasino
impertinente rivolto verso la volta celeste e un braccio penzoloni.
«Non avevi detto
che dovevamo essere riposati per domani?» gli domandai facendolo spaventare,
tanto che cadde dal ramo e atterrò davanti a me planando dolcemente.
«In teoria sì.»
mi sorrise e mi soffiò in viso la polvere di fata. Mi sollevai insieme a lui e
non persi un attimo il contatto con i suoi occhi.
«Perché sei
tornato proprio ora?» gli domandai con una punta di amarezza nella voce
«Sentivo il
bisogno di tornare. Mi mancavate...» mi ritrovai a sperare che quel plurale
servisse a nascondere il vero intento, cioè che gli mancavo, io. E solo io.
Mi avvicinai
lentamente annuendo e gli accarezzai una guancia «Sei cresciuto Peter, dico sul
serio.»
«Non voglio
essere cresciuto!» rispose stizzito.
«So che l'idea
non ti piace, ma non è poi tanto male...» cercai di rassicurarlo.
«Lo dici tu.
Cosa farò quando sarò diventato grande e invecchierò e morirò?»
«Tu non morirai
Peter, mai. Anzi, penso che tu non diventerai mai grande.» lui parve
riacquistare felicità e mi prese le mani.
«Vuoi ancora
vedere le sirene?» sussurrò avvicinandosi al mio orecchio. Sentivo il tremito
nella sua voce.
«Sì.» risposi.
Lui cambiò orecchio e sorrise «E gli Indiani?»
«Sì.» sentivo il
controllo venir meno e desiderai che si staccasse. Poi mi pentii di averlo
pensato perché non era affatto quello che volevo.
«Vorrai volare
con me?» la sua voce si incrinò un poco ma ero troppo distratta per notarlo.
Annuì contro la
sua guancia e poi, presa dall'istinto, gli afferrai il viso e lo avvicinai al
mio.
Le nostre labbra
si incrociarono e si scontrarono. Lui parve sorpreso e rigido, così cercai di
infondergli dolcezza e lui riprese a respirare.
Non avevo più
baciato nessuno oltre a lui, ma in quel momento sentii di non avere bisogno
della pratica. I miei sensi mi dicevano cosa fare e lui rispondeva
perfettamente, forse anche troppo.
Le sue labbra
morbide arcuate in sorriso mi baciarono con così tanto affetto che sentivo
avrei potuto affogarci dentro. Gli occhi chiusi, intenti a nascondere un
segreto profondo e... segreto che era lui.
Sentivo il suo
corpo accalorarsi, le sue mani sui miei fianchi farsi bollenti e capii che era
alquanto su di giri. Ma non mi spostai. Non ne volevo proprio sapere.
E lui neanche...
Così com'era
venuto, il calore scomparve e optai di continuare a baciarlo senza soffermarmi
più di quel tanto che, in realtà, non mi interessava.
Si staccò un
attimo da me e con ancora gli occhi sussurrò il mio nome come una dolce litania
capace di salvarlo in qualunque occasione «Wendy...» mi costrinsi ad aprire gli
occhi e quel ce vidi non potei più dimenticarlo.
I suoi occhi
erano accessi da una luce così abbagliante che per un poco mi spaventò. Ma poi
lui sorrise e allora capii che era felice.
«Le tue
labbra...» iniziò disegnandone il contorno con il pollice. Era concentrato nel
guardarle e io nel guardare lui che non mi resi conto dello scorrere -si fa per
dire- del tempo.
«Continua...» lo
incitai.
«Il tuo
Bacio...» continuò infatti lui; e sopracciglia aggrottate e una ruga di
concentrazione sulla fronte «... mi ha salvato.» concluse tornando ai miei
occhi.
«Il tuo l'ha
fatto per primo.» ricordavo perfettamente quella ghianda che mi aveva donato e
che mi aveva salvato dalla freccia di uno dei Bimbi su ordine di Trilli. Era
stato il suo regalo più grande.
«Grazie» Peter
Pan che ringraziava?! Le cose erano davvero cambiate. Ma arrossii violentemente
come una bambina e abbassai lo sguardo.
Avrei voluto
baciarlo ancora.
Ma lo fece lui,
sorprendendomi. Un bacio a fior di labbra, ma intriso di tutta la dolcezza che
quel ragazzo era capace di provare.
«Buona notte Wendy»
mi disse e io mi accorsi che eravamo a terra.
Lo salutai e mi
diressi al mio letto volteggiando per la stanza.