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Autore: kenjina    13/09/2013    3 recensioni
- Betulla sequel -
«Vedo che anche oggi ti sei dato da fare. Trascorri più tempo rinchiuso lì dentro, piuttosto che nella Sala del Trono, mio Re.»
Thorin fece una smorfia ironica. «Sai bene quanto non mi piaccia stare con le mani in mano.»
«Ebbene, non sarò certo io a trascinarti lontano dalla fucina tirandoti per un orecchio!» Balin strizzò un occhio, porgendogli una pergamena. «Ma forse c’è qualcuno, là fuori, che avrà il potere di osare ben oltre.»
L’altro si voltò per guardare l’anziano Nano, che aveva ora tutta la sua attenzione. Prese il rotolo di carta ancora chiuso ed osservò con interesse la cera che lo sigillava: era un albero incorniciato da sette stelle, con una corona alata in alto.
Era lo stemma di Gondor.

(tratto dal secondo capitolo)
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Boromir, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Foreste di Betulle; giardini di Pietra.'
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Ehilà, lettori e lettrici!

Sono reduce da una settimana sfiancante, ma è quasi finita. *_*

Ho anche trovato il tempo di finire di scrivere il quindicesimo capitolo (oh, se solo sapeste...) e mi sono resa conto che questo racconto sarà un po’ più lungo di Betulla.

Forse arriverò ad una ventina di capitoli... credo. :P

Intanto vi lascio all’ottavo! Finalmente si giunge a Minas Tirith... altri ed interessanti incontri sulla via! :)

Grazie mille a tutti coloro che leggono e seguono questa cosa - e siete tanti!

Vi adoro.

Marta.

 

 

Pietra

-  sequel di Betulla -

 

 

 

08.

14 Settembre 3019 T. E.

 

Richiuse la porta alle sue spalle con un tonfo, così forte che fece tremare i cardini e la sua dama di compagnia Rainiel, che l’attendeva in camera. Era l’unica ragazza che le era stata accanto, da quando era giunta a Minas Tirith, tanti mesi addietro. Ricordava ancora il suo viso chino mentre la petulante Ioreth le blaterava ordini per darle una sistemata e farla sentire a suo agio.

«Mia signora Brethil, sei di cattivo umore. Anche oggi.» constatò la giovanetta, che prese la spada che la donna le porgeva e la riponeva con cura sulla cassapanca. Non aveva ancora perso l’abitudine di aggiungere quella scomoda formalità davanti al suo nome.

La Prima Guardia del Re si massaggiò le tempie con i polpastrelli, stanca. Si lasciò cadere sulla poltrona e piegò il capo all’indietro, osservando la volta a crociera in pietra. «No, sono di pessimo umore.»

«Me ne vuoi parlare mentre mi preoccupo di farti rilassare?»

L’altra scosse il capo. «Non sarà un bagno a farmi calmare, amica mia. Ma ti ringrazio.»

«Vuoi che me ne vada?»

«No!»

Rainiel sobbalzò per quella risposta improvvisa e più alta di un’ottava.

Brethil si passò una mano sulla fronte, abbassando il tono di voce. «No, ti prego, rimani. Sei l’unica persona che mi tenga realmente compagnia, da quando tutti sono partiti.»

La domestica si sedette sul bordo del letto, intrecciando le mani sul grembo. «Anche a me mancano i Mezzuomini. Sai, uno di loro veniva spesso a trovarmi. Meriadoc, si chiama. Mi raccontava tante di quelle storie sulla sua bella Conta!»

Si ritrovò ad annuire, senza però condividere appieno i suoi pensieri. Non erano solo gli Hobbit ad aver lasciato un vuoto nel suo cuore; certo, Pipino era diventato un grande amico e le mancava ascoltarlo ridere e scherzare, nonostante la Guerra fosse alle porte. Ma quel buco nero lo avevano lasciato anche i gemelli di Elrond, che avevano l’incredibile capacità di rischiararle la giornata peggiore, come quella; le avevano promesso di tornare, ma l’ora della loro decisione stava giungendo e avrebbero capito presto se avrebbero seguito la loro stirpe fino alle Terre Immortali, o se rimanere lì, con gli Uomini.

Le mancavano i Raminghi, la loro vita avventurosa, il profumo della foresta, i suoi suoni.

E lui.

Le mancava Halbarad.

Non si sarebbe mai abituata all’idea che se ne fosse andato per sempre; così come non si sarebbe mai perdonata il fatto di non aver capito che l’uomo del suo ultimo, terribile sogno premonitore fosse lui.

Avrebbe potuto salvarlo.

Avrebbe potuto tirargli un calcio per scostarlo da quell’ascia mortale.

Avrebbe preferito ritrovarsela lei conficcata sul petto, almeno non avrebbe dovuto patire tutte quelle pene per la sua perdita; almeno lui sarebbe stato al suo posto, il giusto posto per la sua amicizia e la sua devozione nei confronti di Aragorn.

Lui avrebbe dovuto indossare la divisa della Prima Guardia del Re, non lei.

E poi c’era quella opprimente sensazione che la stava torturando, che continuava a stringere la presa impedendole di respirare liberamente. Ma era una sensazione che doveva scacciare al più presto, per prendere coscienza di ciò che era diventata. Perché se avesse dato libero sfogo alle sue paure, a ciò che desiderava realmente, allora avrebbe ferito il cuore di molti – il suo in primo luogo.

«Il Sovrintendente non passerà per una visita, quando i Nani verranno qui, oggi?»

Brethil si risvegliò dai suoi pensieri al solo suono di quell’appellativo, e sentì chiaramente le guance diventare rosse, nonostante se lo fosse impedita. «No, i suoi impegni gli impongono di tornare ad Osgiliath. Non tornerà tanto presto.»

«Vorresti raggiungerlo, ma non puoi.»

Scosse la testa, sospirando. «No, non posso. E devo farmene una ragione. Mi annoierei comunque, lì; non ci sarebbe niente da fare se non guardare un gruppo di Nani che ricostruisce una città.»

«Sembra entusiasmante, invece!»

Brethil rise. «Credo che ne avrai abbastanza di Nani per i prossimi mesi, amica mia.»

Le campane di mezzodì rintoccarono in quel momento, interrompendo la pausa delle due donne e riportandole alla vita reale. Rainiel avrebbe dovuto raggiungere le cucine per l’imminente pranzo, mentre l’altra avrebbe dovuto dare il benvenuto ai nuovi arrivati. Si preparò velocemente, assicurandosi la cintura con la spada sulla vita, stringendo la spilla al mantello e prendendo un bel respiro prima di raggiungere il Palazzo Reale. Lanciò un’occhiata dal parapetto del Sesto Cerchio e riuscì a scorgere il gruppo di ospiti giungere dal Cancello Sud, ormai a metà strada dalla città.

Se Boromir avesse potuto vedere Minas Tirith quel giorno ne sarebbe andato orgoglioso: bandiere a festa, fiori profumati e musica si spandevano per tutti i livelli, e l’aria di rilassatezza e gaiezza per l’arrivo dei Nani era palpabile anche chiudendo gli occhi. Del resto, quella comitiva giunta dal lontano Nord aveva il compito di riportare le loro case agli splendori iniziali; per non parlare del loro lavoro più grande che avrebbero dovuto compiere e che consisteva nel nuovo cancello d’ingresso alla città, abbattuto dall’enorme ariete degli Orchi e ora sostituito da uno momentaneo in legno.

«E dobbiamo accogliere non uno, bensì due Re.» stava dicendo Aragorn, una volta che lo raggiunse nella Sala del Trono, dove attendeva la moglie.

«Tre galli in un pollaio, dunque.»

Il Dúnadan rise di cuore. «Fintanto che ognuno governa il proprio regno, non vi è nulla da temere.»

«Temo per il collo di Legolas, invece. Sempre che abbia superato questi giorni.» fece Brethil. «Fortuna che Elladan ed Elrohir non saranno presenti, altrimenti la carneficina sarebbe stata assicurata.»

«E per quanto concerne il mio collo?» domandò la Regina, apparendo silenziosamente, con un bellissimo sorriso divertito sulle labbra. Indossava un abito verde, tempestato di piccole gemme bianche e brillanti come i suoi occhi, così come di gemme erano intrecciati i lunghi capelli neri. Prese sotto braccio il marito e si sorrisero.

Brethil si chinò. «Mia signora. Il mio lavoro è quello di proteggerti; puoi star certa che stanotte e quelle successive dormirai con il capo ancora attaccato al corpo, mia Regina.»

Le due donne si scambiarono un sorriso, sebbene la figlia di Aeglos fosse ancora riluttante a parlare confidenzialmente con Arwen, che era così bella e così eterea da darle l’impressione di non avere il diritto neppure di guardarla in viso. Aragorn si era innamorato, ed aveva spostato, certamente la creatura più bella che la Terra di Mezzo avesse mai partorito.

Le trombe di benvenuto suonarono e Brethil si mosse verso l’ingresso, seguita a poca distanza dai regnanti e da una piccola scorta di soldati. Aggirarono un grande tavolo rotondo, su cui Rainiel e altre domestiche erano intente a curare gli ultimi dettagli, e si diressero verso l’ingresso della Sala del Trono.

 

 

Thorin, Dáin e i loro compagni più stretti erano senza parole, nel camminare per le vie di Minas Tirith. Quando si erano trovati all’ingresso della città si erano dovuti fermare qualche minuto, il naso rivolto all’insù per capacitarsi della magnificenza e della grandezza di quella capitale – e la vertiginosa Torre di Ecthelion, che si stagliava contro il cielo limpido.

E ora Gimli e Legolas li stavano conducendo su, sempre più su, attraverso quelle strade lastricate e ripide. Uomini e donne si fermavano sull’uscio di casa, interrompendo i loro compiti per salutare i nuovi arrivati con fiori e lodi. Per i Nani quella città era uno spettacolo di bellezza; sebbene non fosse una miniera e la luce del sole la facesse risplendere di bianco, quella era un’opera in pietra mastodontica – e ciò li sorprese molto, poiché mani di Uomini, e non di Nani, l’avevano costruita. Gli edifici abilmente progettati e realizzati si arrampicavano lungo il fianco del Mindolluin con grazia, in uno stile elegante e tipicamente Umano, ma che suggeriva la forza che quella stessa città aveva dovuto mostrare per sopravvivere alle guerre più sanguinose.

Durante il viaggio di ritorno dagli Emyn Arnen, Boromir aveva raccontato loro parte della storia della Città di Pietra, e loro lo avevano ascoltato affascinati – non solo per il racconto in sé, ma anche per le sue parole intrise di amore e fierezza.

«In principio fu Minas Anor, Torre del Sole Calante,» aveva detto, ricordando ciò che aveva imparato sui libri e i racconti del defunto padre, durante la sua gioventù. «... e venne edificata dai Númenóreani esiliati nella Seconda Era, nell’anno 3320 per proteggere la Capitale di allora, Osgiliath. Era bella e potente, sfacciatamente rivolta verso il male di Mordor, che tanto ha tentato di debilitarla. Il Nimloth, l’Albero Bianco giunto dal Reame di Númenor, crebbe qui, simbolo della Stirpe dei Re; appassì quando questa si estinse; eppure un figlio germogliò dopo il ritorno del Re, e ora cresce rigoglioso nella corte della Cittadella. Minas Anor divenne Minas Tirith, Torre di Guardia, e venne trasformata nella Capitale di Gondor solo quando il sovrano Tarondor, nel 1690, spostò la residenza dei Re da Osgiliath, che scarnita di molte difese fu soggetta a numerosi attacchi – e da allora, purtroppo, cadde in rovina, come avete avuto la possibilità di vedere.»

E aveva continuato con epici racconti di battaglie che l’avevano insanguinata, ma mai fatta cadere in ginocchio. Thorin riconobbe se stesso in quell’Uomo orgoglioso del suo popolo e del suo operato, e non poté evitarsi di sorridere e chiudere gli occhi, immaginando la grandezza della città nei suoi periodi di gloria e di dolore, proprio come la sua tanto amata Erebor.

Fecero una breve tappa al Sesto Cerchio, dove i nobili tra i Nani avrebbero alloggiato, e raggiunsero finalmente la Cittadella; alcuni di loro fischiarono nel trovarsi ai piedi della Torre Bianca.

«Ho l’orribile sensazione di essere basso.» fece Kili.

«Fratello, tu sei basso. Sei un Nano, lo hai dimenticato o sei in crisi d’identità?»

«È troppo alta anche per un Elfo, giovani Nani.» fu il commento di Legolas. I due, nonostante tutto, si sentirono sollevati. «E quello che vedete è l’Albero Bianco, di cui Boromir vi ha raccontato, e che Re Elessar trovò qualche tempo fa in germoglio.»

I Nani si avvicinarono alla pianta, profumata e rigogliosa. Non avevano mai visto un albero come quello, bianco come le pietre della città, da cui sembrava nascere, apparentemente esile ma emanante una forza incredibile. La forza del Re.

La loro attenzione fu catturata poco dopo dal cigolio di un pesante portone che si apriva.

Quando la porta della Sala del Trono si spalancò e comparve la Prima Guardia del Re, seguita da un gruppo di soldati che si schierò a formare un corridoio umano, i Nani rimasero immobili e interdetti per una bella manciata di secondi. Non solo il cavaliere che si fece avanti non era un uomo, nonostante avesse corti capelli neri e delle orribili cicatrici sul viso; era vestita con la ricca divisa blu e argentata di Gondor, la stella dei Raminghi del Nord in bella vista sulla spalla sinistra, eppure possedeva una spada di evidenti fatture elfiche sul fianco. Ciò che quella donna rappresentava era un miscuglio di storie e popoli che li lasciò sinceramente stupiti.

«Benvenuti a Minas Tirith. Il mio nome è Brethil, figlia di Aeglos, Dúnadan del Nord, e sono la Prima Guardia del Re. Egli vi attende con la Regina.»

Dwalin fu il primo ad esprimere il pensiero di tutti ad alta voce. «Una femmina? Il Capitano della Guardia Reale è una femmina? È per caso uno scherzo?»

«Mai stata più seria di così, mastro Nano. E posso assicurarti che questa è vera quanto le vostre.» disse Brethil, indicando con gli occhi grigi prima la sua spada e poi le loro armi. «Di cui, a proposito, farete a meno per oggi.»

Thorin lanciò un’occhiata alle spalle di Legolas e notò i due lunghi pugnali e l’arco con la faretra piena. «Perché io dovrei privarmi della mia ascia e della mia spada, quando lui è armato? Il Re si fida più degli Elfi piuttosto che dei suoi ospiti?»

Brethil, che aveva già rivolto le spalle ai Nani, tornò sui suoi passi, fermandosi di fronte a colui che aveva parlato. Nonostante la donna fosse più esile anche se più alta del Nano, parve crescere in fierezza e regalità. «A meno che tu non voglia usare la tua ascia come forchetta, ti consiglio di lasciare l’armamentario sull’ingresso; così come farà anche l’Elfo.» Il suo volto poi si distese. «Non è per sicurezza, né per una questione di fiducia. Sia io che lui sappiamo bene che nessuno di voi tenterebbe di fare qualcosa di azzardato. Semplicemente, il pranzo è pronto.»

Thorin girò lo sguardo su Kili, che gli aveva tirato una manica per attirare l’attenzione. «Sai, zio? Sto seriamente iniziando ad amare gli Uomini e i loro banchetti.»

«E anche le Prime Guardie del Re, se sono tutte così.» replicò Fili, ridacchiando.

Legolas gli si affiancò, ignorando il grugnito contrariato di Thorin. «Misura le tue parole con lei, mastro Nano; ho visto Uomini umiliati per molto meno.»

L’altro non sembrò preoccuparsi. «Ah, mi piacciono battagliere!»

«Ti piace perdere, dunque?» domandò Brethil. Nonostante il tono serio, le sue labbra si piegarono in un sorriso.

Quello non si scoraggiò, alzando il mento. «Affatto, poiché sono un buon guerriero e gentiluomo, e difficilmente vengo sconfitto. Ma se giovasse al tuo umore, allora sarei pronto a cederti la vittoria.»

«Non essere così generoso, perché io non lo sarò.» replicò lei. «Uno di questi giorni ci incontreremo nell’arena di allenamento, e allora vedremo se le battagliere ti piaceranno ancora.»

«Sembri molto sicura di te, mia signora.» commentò Thorin. «Ho allenato personalmente mio nipote, ma se la tua spada affonda e taglia come la tua lingua, allora rischia seriamente l’umiliazione.» Era profondamente colpito dal temperamento della donna. Non aveva mai sentito, nella sua lunga vita, di una femmina che facesse parte dell’esercito – e addirittura fosse la Guardia del Re in persona! – tranne l’Elfo Tauriel, di cui ricordava bene il suono dei pugnali e il sibilo delle frecce. Ma le voci sull’Elessar parlavano di un Uomo giusto e ponderato, il ché gli faceva pensare che la sua bizzarra scelta fosse più che imparziale.

«Sembra interessante... qualcuno vuole scommettere sul Capitano?» chiese Kili, che si beccò un amorevole scappellotto dal fratello.

Brethil interruppe i loro discorsi poco dopo, quando si ritrovarono nell’imponente Sala del Trono, in cui i sovrani sedevano in loro attesa. «Signori, il Re Elessar e la Regina Arwen Undómiel.» disse, inchinandosi su un ginocchio al loro cospetto e imitata dagli altri.

Nessuno di loro, neppure i più giovani, osarono parlare di fronte alla bellezza dei due – e della Regina in particolare. Poiché, sebbene la Stella del Vespro appartenesse a quella razza che tanto odiavano, non potevano negare la sua grazia e il suo splendore.

Nonostante Aragorn non indossasse il completo migliore e avesse preferito lasciare la corona nei suoi alloggi, Thorin riconobbe in lui i Re di un tempo, altero e regale nella sua grande saggezza. Anche lui, come quell’Uomo, aveva preferito evitare di indossare l’ornamento che lo indicava come regnante; e capì che entrambi non ne avessero bisogno. Erano stati Re prima ancora dell’ufficializzazione, guidando il loro popolo da parecchi anni prima. Lo guardò mentre gli veniva incontro, sereno e sorridente.

«Benvenuti nella mia casa, amici miei, che ora è anche la vostra. Possano i vostri giorni qui essere ricordati lietamente.»

Thorin annuì, rialzandosi. «E lo saranno, mio signore, perché quel poco che ho avuto la possibilità di vedere, mi fa anche ben sperare.»

Aragorn sorrise e chinò il capo ogni qualvolta uno di loro si presentava. Quando anche l’ultimo dei Nani terminò con il consueto “al tuo servizio” , indicò loro il pranzo. «Prego, accomodatevi a tavola e discorriamo un po’ del vostro lungo viaggio e della Montagna Solitaria, se vi aggrada. Sono curioso di sentire la vostra storia, piuttosto che leggerla tra le pagine di un libro.»

La scelta del tavolo rotondo non passò inosservata ai due sovrani Nanici: non vi era un seggio più grande dell’altro, né la possibilità di sentirsi più o meno importanti a seconda del posto che si sceglieva. Chiunque, al cospetto del Re di Gondor, era considerato un suo pari; lui stesso chiese loro di chiamarlo semplicemente Aragorn, poiché quello era il nome che gli avevano dato alla nascita e le formalità non erano ben accette tra i suoi amici.

Thorin prese posto accanto a Dáin e Dwalin, stando ben lontano dall’Elfo, che invece si sedette al fianco di Gimli e della donna con le cicatrici in viso. Osservò i commensali e quasi si stupì nel rendersi conto che la mezza Nana e i suoi fratelli, che avevano gironzolato tra i suoi piedi per così tanto tempo nelle ultime settimane, non fossero presenti.

Il pranzo fu ovviamente ricco di prelibatezze, e per parecchi minuti nessuno parlò, troppo occupati a masticare e ingoiare carni arrosto e patate.

«Non mangiavo un maiale così saporito da quando il mio cuoco morì, dieci anni fa.» commentò Dáin, dopo aver svuotato la coppa di vino in pochi sorsi.

«Neppure Bombur saprebbe fare di meglio.» continuò Fili, annuendo.

Kili rise. «Beh, saprebbe come finirlo.»

«Non sfidarmi, ci riesco benissimo anche io!»

Brethil osservò i due e le parve di vedere Merry e Pipino che cianciavano allegramente di cibo e birra. Si ritrovò a sorridere senza quasi rendersene conto, mentre il senso di nostalgia sembrava alleviarsi lievemente.

«Il Sovrintendente ci ha informati che ci sono ancora problemi con gli Esterling. Noi stessi abbiamo subito un paio di attacchi, durante il viaggio.» disse Thorin, riportando l’attenzione su lidi ben più seri. «Credevo che si fossero arresi e dichiarati neutrali.»

«Purtroppo non tutti hanno deciso di sottostare al mio volere. Alcuni di loro stanno insorgendo, e sebbene la guerra abbia indebolito anche loro, temo che possano ricreare un esercito velocemente e attaccarci nel prossimo futuro. Presto giungeranno Imrahil di Dol Amroth, Dervorin della Valle del Ringló e Duinhir di Morthond, per discutere di un possibile viaggio verso la terra di Rhûn. E anche Re Éomer di Rohan si unirà nuovamente a noi, appena potrà permettersi di allontanarsi dal suo regno.»

Brethil, nell’udire quei nomi e le riunioni che ne sarebbero conseguite, sentì lo stomaco stringersi, ma evitò accuratamente di farne parola con Aragorn.

«Beh.» fece Gimli, rilassandosi sulla sua sedia. «Se sono Uomini saggi, decideranno di stare entro i loro confini. Altrimenti, se hanno dimenticato quando tagliente sia la mia ascia, sono pronto a rinfrescargli la memoria.»

«E se dovessero portare con sé un olifante, sarò felice di lasciarlo a te per pareggiare i conti.» aggiunse Legolas.

«Ah! Poco ma sicuro, Elfo. Riuscirei ad abbatterlo da solo con la forza delle mie sole mani, non come facesti tu, che ti prendesti i meriti sulle fatiche degli altri!»

Il resto dei Nani apparve stupito dall’amichevole scambio di battute tra i due, anche se Thorin, più che sorpreso, sembrava inorridito. Eppure Gimli e Legolas parevano legati da una sincera amicizia, e non riuscì a capacitarsi di come potesse essere accaduto. Il figlio di Glóin, che si agitava accanto a lui con disappunto, sapeva bene cosa la sua gente avesse dovuto vivere negli anni passati, senza l’aiuto che gli Elfi gli avevano negato; così come sapeva che suo padre era stato catturato e reso prigioniero proprio dall’Elfo che aveva accanto; tuttavia eccolo lì, a scherzare e a discorrere come è abitudine fare con un vecchio amico. Avrebbe dovuto parlare con il Nano a quattrocchi, per comprendere appieno le sue motivazioni; ma non era tanto sicuro di volerlo fare, né di capirlo.

Prima dell’ennesima portata di carne, che stava rallegrando gli stomaci di tutti, la conversazione volse velocemente sul lavoro che i Nani avrebbero dovuto compiere nelle settimane seguenti. Aragorn aveva messo a loro disposizione numerosi edifici da utilizzare come officine, fucine e botteghe, oltre un considerevole numero di alloggi, sparsi sui i vari cerchi, per il resto dei lavoratori – che tuttavia erano di gran lunga inferiori di numero rispetto a coloro che stavano già lavorando ad Osgiliath. Thorin si appuntò mentalmente che, dopo aver dato le direttive, si sarebbe recato subito alla forgia, la sua seconda casa.

«Sentitevi liberi di usare qualsiasi cosa come più vi aggrada, per lavorare meglio e sentirvi a vostro agio. Siete miei ospiti, ora, e come tali vi considero anche miei cittadini.» stava dicendo Aragorn.

«Pessima mossa, mio signore.» commentò Dwalin, con un lieve accenno di sorriso. «Mai dire ad un Nano di fare come se fosse a casa sua; siamo fin troppo in grado di prendere le tue parole alla lettera.»

L’Uomo rise. «Ebbene, fintanto che lavorerete per me, fate pure!»

Il pranzo si concluse qualche tempo dopo, con le chiacchiere che scemavano e la voglia di iniziare a lavorare che li pervase. Con un inchino, i Nani si congedarono. Dáin e Glóin si diressero insieme verso le stalle, per sellare i loro pony e tornare ad Osgiliath, dove avrebbero principalmente prestato il loro aiuto e la loro guida, e Gimli si offrì di accompagnarli; Thorin, Dwalin e Balin, seguiti dai fratelli Fili e Kili, andarono con loro, poiché avevano intenzione di dare un’occhiata al maestoso ingresso della città, per capire cosa e come avrebbero dovuto progettare. Brethil fu congedata per il pomeriggio, e si ritrovò in compagnia di Legolas; rimasero seduti all’ombra di un albero, in uno dei tanti giardini curati e profumati della città, al Quinto Cerchio.

Guardò l’Elfo con la coda dell’occhio, che osservava impensierito ed immobile il cielo tra le fronde dell’albero. Si chiese se stesse dormendo, poiché sapeva che coloro della sua razza non abbassavano le palpebre durante il sonno. E si domandò quanto ancora lui e il Nano si sarebbero fermati a Gondor.

Ma il Principe di Bosco Atro era decisamente sveglio e si voltò. «Il Male ha lasciato queste terre. Boromir è vivo, seppur lontano da casa. Aragorn ti ha onorato di un posto al suo fianco. Eppure il tuo animo è ancora colmo di cattivi pensieri. Dimmi, Brethil, se c’è qualcosa che posso fare per alleviare il peso che porti sulle spalle.»

Lei scosse il capo. «Ti ringrazio, amico mio, ma non c’è modo di aiutarmi, perché ciò che voglio non potrà tornare; e, in realtà, non so esattamente cosa voglio.»

Legolas la osservò profondamente e le parve che i suoi occhi azzurri divenissero più luminosi mentre le scrutava lo spirito. L’Elfo capì dove fosse il suo problema, ma non glielo disse; lei avrebbe dovuto fare chiarezza con se stessa e con le persone che amava. «Vorrei presentarti un’amica.» le disse, invece. Notò il guizzo di curiosità attraversarle gli occhi grigi, ma anche la perplessità incresparle la fronte e le cicatrici.

Brethil accettò una mano che lui le porse, per alzarsi e seguirlo. Non parlarono per il resto della passeggiata, mentre attraversavano con calma i vari livelli della città. Minas Tirith non ricordava l’ultima volta in cui i Nani l’avevano presa d’assalto, ed era quasi comico vederli girare e scansare gli alti Uomini di Gondor tra una strada e l’altra, imprecando in Khuzdul contro le loro gambe lunghe. Giunsero al Secondo Cerchio e si diressero alla bottega del fabbro. Brethil notò subito testa rossa sbucare dall’edificio, e Legolas la richiamò.

Un Nano, eppure tremendamente alto per i loro standard, si voltò al nome di Káel e rimase sorpreso nel vedere l’Elfo accompagnato da una donna in divisa. «Legolas, buon pomeriggio! Qual buon vento ti porta qui?»

«Sto cercando tua sorella. Sapresti dirmi dove posso trovarla?»

L’altro annuì, distogliendo lo sguardo dalle cicatrici della donna non appena si accorse di un paio di occhi grigi che lo stavano incenerendo. «Ma certo; è con Trión, terza porta a destra come entri.»

Legolas le fece strada e lei lo seguì, senza una parola. L’aria dentro quell’edificio si era fatta improvvisamente afosa. Dal corridoio che scendeva vertiginosamente proveniva un calore infernale, segno che le fucine fossero già al lavoro. Fortunatamente la stanza dove trovarono la sorella di Káel era provvista di un oculo sul soffitto, che faceva scorrere una piacevole corrente d’aria, e Brethil tornò a respirare. Seduta ad un grande tavolo, colmo di attrezzi per lavorare il ferro, stava una Nana – o quello che Brethil credette fosse – intenta ad intagliare dei minuscoli dettagli decorativi sulla superficie di un pugnale. Un’incudine e un martello, con un secchio colmo d’acqua, erano posizionati accanto al suo tavolo, e Brethil si stupì all’idea che quell’arma potesse essere stata forgiata da lei. Un Nano più piccolo, ma con la statura di un giovane Hobbit, sedeva in silenzio dall’altra parte del tavolo, intento ad osservare il minuzioso lavoro della sorella.

«Trán, perdona il disturbo.» fece Legolas, catturando l’attenzione della Nana.

«Nessun problema, entra e accomodati.» rispose lei, lanciando una veloce occhiata all’estranea. «Come posso aiutarti?»

L’Elfo sorrise e le indicò la donna. «Permettimi di presentarti il Capitano della Guardia Reale.»

La Dúnadan si fece avanti, non capendo ancora il motivo di quella visita. «Brethil figlia di Aeglos, al tuo servizio.»

«Trán figlia di Rulin al tuo, mia signora.» replicò la Nana, alzandosi e chinandosi.

Quando Brethil si voltò per chiedere spiegazioni a Legolas, l’Elfo era già sparito. Sospirò profondamente, tornando ad osservare la Nana, in piedi e in attesa che lei parlasse. Come se sapesse cosa dire, poi. Posò gli occhi sulla lama, momentaneamente dimenticata, e decise salvare quel silenzio imbarazzante con un banale “È opera tua?”.

«Sì, ho terminato di forgiarlo prima di pranzo.»

Brethil credette che continuasse a parlare, conoscendo la fierezza dei Nani riguardo le loro opere; ma la giovanetta non sembrava molto loquace. «Posso vederlo?»

«Ti fanno male? Come le hai fatte?» domandò il più piccolo, prima che la sorella rispondesse; nel frattempo si era avvicinato alla donna e, tirandole la manica della divisa, l’aveva costretta ad abbassarsi, per sfiorarle una cicatrice.

«Trión!» esclamò la sorella, portandolo via. «Non si chiedono queste cose.»

Brethil scosse il capo. «No, non mi fanno male. Almeno, non fisicamente.» disse, sorridendo al bambino. «Mi portano solo brutti ricordi.»

«Anche io ho una cicatrice!» esclamò lui, pieno di orgoglio nel mostrarle un lungo taglio sulla gamba sinistra. «Sono caduto tra gli attrezzi di lavoro di mio padre, ma sono sopravvissuto!»

«Oh, allora sei un ometto forte.»

Trán si rilassò, vedendo la gentilezza comparire in quel viso duro e deturpato.

Il fratello, d’altro canto, già l’adorava, e sorrise allegramente quando la donna gli scompigliò i capelli già lunghi. «Hai ucciso molti Orchi cattivi?» le domandò.

«Non ci sono Orchi buoni. Ma sì, la mia spada ne ha incontrati parecchi. Più di quanti ne volessi.»

«Un giorno anche io combatterò, come te e i miei fratelli!»

Brethil sorrise, scuotendo la testa. «Mi auguro per te che nel futuro non ci sia bisogno di soldati a difendere le città dagli Orchi. Ma sei coraggioso, questo è onorevole.» Alzò lo sguardo sull’altra ragazza, che era ancora in piedi intenta a guardarli. «Erebor o Colli Ferrosi?»

«La seconda.»

La Dúnadan strinse le labbra, sinceramente impacciata. Non riusciva a comprendere il motivo di quella visita inaspettata, e stava per togliere il disturbo. Ma fu fermata dalla Nana chiamata Trán.

«Puoi rimanere, se vuoi. Trión sembra gradire la tua compagnia.» le disse, le dita intrecciate nervosamente tra loro. «E una presenza femminile, qui, farebbe piacere anche a me, in realtà.»

Brethil ci pensò un poco, ma capitolò subito. Anche lei aveva bisogno di qualcuno con cui parlare, qualcuno che le facesse dimenticare per qualche istante i brutti pensieri e i doveri che aveva. Così si avvicinò al tavolo di lavoro, osservando da vicino l’operato della ragazza.

«È... è un regalo.» mormorò la Nana. «Per un paio di amici che ho incontrato lungo la strada. Probabilmente li hai conosciuti. Sono i nipoti del Re di Erebor.»

«Certo, li ho incontrati.» Brethil sorrise, prendendo posto sull’unica sedia libera da attrezzi. «Ho promesso a messer Fili che gli avrei mostrato quanto affilata sia la mia spada. Quindi, per favore, fai un buon lavoro con la sua. Ne avrà bisogno.»

Le due si scambiarono un’occhiata divertita e, prima che potesse rendersene conto, Trán era scoppiata a ridere. Non le riusciva difficile immaginare la sfacciataggine del maggiore dei fratelli, né l’eventuale umiliazione che avrebbe potuto subire da quella determinata e altera combattente.

Trán esaminò incuriosita la spada della donna. «Ho due pugnali di simile fattura. Me li inviò una mia lontana ava, da Rivendell. Ma non ho mai imparato ad usarli nella maniera corretta. Se vuoi... se vuoi, dopo, posso mostrarteli.»

«Ne sarei felice. E potresti chiedere a Legolas di allenarti. Gli Elfi Silvani non combattono solo con l’arco, ma i pugnali sono proseguimento naturale delle loro mani. Sarebbe un ottimo insegnante.»

L’idea che Legolas potesse spendere il suo tempo insegnandole a combattere la fece fremere di entusiasmo. Crescendo in un ambiente prettamente maschile aveva imparato a difendersi e ad attaccare con l’ascia e la spada, ma né l’uno e né l’altra arma erano di suo gradimento – e il suo orgoglio attribuiva le sue scarse doti proprio a questo motivo. Ma quei pugnali che la lontana parente le aveva regalato, tanti anni addietro, le erano sempre piaciuti.

«Lo farò, ti ringrazio. Tu come sei riuscita a diventare... beh, a diventare quello che sei? La Guardia del Re, per Mahal!»

Brethil non rispose subito, tornando indietro nel tempo di parecchi anni, quando ancora era una ragazzetta e il padre l’aveva portata al cospetto di Aragorn, per farle pronunciare il giuramento e ricevere la tanto amata spilla argentata a forma di stella.

 

Se con la vita o con la morte

posso servire te e la Stella di Arnor, allora io,

Brethil figlia di Aeglos, Dúnadan del Nord, lo farò.

Offro la mia spada, il mio arco e la mia vita

al servizio del perduto Númenor,

per difendere le terre che ci appartengono

e gli amici che richiedono il mio sostegno;

e giuro su ciò che di più caro ho al mondo

di servire i miei compagni con lealtà, devozione e fiducia,

da questo momento fino al giorno della mia morte.”

 

Con lealtà e fiducia, ripeté mentalmente.

Quasi le scappò da ridere, beffeggiandosi per ciò che aveva commesso liberando Gollum, calpestando i suoi doveri e la stima dei suoi compagni, mentendo, scappando come una codarda e nascondendosi sotto un cappuccio grigio. Quando aveva pronunciato quelle frasi era più che convinta che mai, e poi mai, in nome del suo onore sarebbe venuta a meno della sua parola, perché credeva ciecamente in ciò che stava diventando.

Invece, era riuscita a sorprendere anche se stessa.

«Mia signora Brethil?»

Sbatté le palpebre velocemente, riprendendosi dai suoi pensieri e tornando alla realtà. «Servo il mio Re da quando ho memoria. Facevo... e faccio ancora parte dei Raminghi del Nord.»

Trán strabuzzò gli occhi. «Sei una discendente di Númenor?»

L’altra annuì, e improvvisamente la Nana capì da dove provenisse l’aura di alterigia e regalità che aveva subito notato. Era più che sicura che persino con degli stracci vecchi non avrebbe perso la fierezza del suo sguardo. Poi si ricordò della tomba che avevano incontrato nel cammino per gli Emyn Arnen e delle parole di Legolas. «Conoscevi un certo Halbarad?» Si pentì immediatamente di aver posto quella domanda, perché gli occhi della donna saettarono su di lei con un dolore talmente intenso che la lasciò senza fiato. «Scusa, sono stata una sciocca.»

Brethil si alzò, muovendo distrattamente qualche passo e osservandosi intorno, senza realmente vedere. «Fu il mio mentore e un secondo padre. Non sarei qui se non fosse stato per lui.»

Trán non capì se si riferisse al suo posto accanto al Re, o se invece volesse intendere qualcos’altro di più concreto. Il Ramingo Elegost aveva detto che Halbarad fosse caduto per salvare la vita di una cara persona; che si trattasse di lei? Non ebbe il cuore di chiederglielo.

Fu quando il Capitano si voltò per rassicurarla con un lieve sorriso, che capì quanto stesse ancora soffrendo, nonostante riuscisse a nascondere il dolore con maestria. E la voglia, la tremenda voglia di darle sostegno si impossessò di lei, come mai le era accaduto, poiché meglio di chiunque altro conosceva e capiva quella sensazione asfissiante che stringeva il cuore. Il lutto era il nemico peggiore da sconfiggere, e non era neanche sicura che esistesse un metodo per farlo. Non aveva mai stretto amicizia con una femmina, poiché le poche che aveva incontrato ai Colli Ferrosi vedevano bene di girare il più possibile lontano da lei e dalla sua famiglia. Ma quella donna... Brethil poteva meritarsi la sua fiducia e la sua amicizia, lo sentiva.

Così si alzò, senza pensarci troppo, e fece la prima cosa che le venne in mente.

L’abbracciò.

 

 

*

Ebbene, finalmente gli incontri che più attendevo: Brethil e i Nani, e Brethil e La Nana; entrambi avvenimenti parecchio importanti, soprattutto per le due donzelle.

Ho voluto dedicare un capitolo intero alla memoria di Halbarad, che come sapete (e in caso contrario, ora vi sarà chiaro) amo profondamente.

Nel prossimo capitolo ci sarà un punto di svolta nel rapporto tra Trán e Thorin, che in questo non hanno interagito.

E tenetevi forte, perché le cose, per Gondor, precipiteranno presto. Oh, yeah. ;)

Alla settimana prossima!

E un grazie in anticipo a chiunque leggerà, commenterà – insomma, a voi. :)

Marta.

   
 
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