Capitolo Decimo
Le origini (parte prima)
Emeirin
guarda una serie infinita di codici, che scorrono davanti ai suoi occhi in una
luce azzurrina.
Sa che sono giusti.
Lo
sa grazie a quella sicurezza che non viene da decenni di studio, né da un innato
talento.
Lo
sa della sicurezza che hai quando parli di te stesso, quando elenchi il tuo
nome, il tuo cognome, la tua data di nascita e il pianeta da cui provieni.
Infiltrare
quel virus è come raccontare la sua storia.
Socchiude
gli occhi, calcolando il tempo.
Ormai
dovrebbe mancare poco.
- Ormai manca
poco. L’Impero è caduto e non si riprenderà. Lo sai tu e lo so io.-
Si china in
avanti, il volto a pochi centimetri da quello del prigioniero
- Quindi,
perché protrarre l’agonia? In fondo, non desideri una morte rapida e pulita?
Una morte dignitosa?-
Lui solleva
lo sguardo e nei suoi occhi c’è una muta ira e un’orgogliosa ostinazione.
Emeirin
sospira, poi solleva un piccolo dispositivo e se l’accosta alle labbra.
Sussurra
qualcosa, in una lingua che il prigioniero non capisce ma con i modi di chi
prende appunti durante un monotono esperimento.
Per
quanto la memoria di Emeirin sia perfetta e conservi ogni dato in un’ordinata
compilazione, i ricordi di quella guerra le sembrano più nitidi degli altri,
con colori più accesi, con sensazioni più forti.
E’
stato durante l’ultima, disperata resistenza dell’Impero prothean, che Emeirin
ha capito che c’era qualcosa di diverso, in lei. Che quell’abito di carne non
si era limitato a farle raccogliere maggiori dati sulla vita organica, a capire
meglio e più a fondo il loro modo di pensare.
Indossare
quella pelle l’aveva cambiata.
- Quella pelle ti ha cambiata, sorella.-
- Non è vero.
Ho ancora chiari i miei ordini e i miei limiti.-
- Già una volta è stato possibile cambiarti. La tua
progettazione è fragile. Il tuo istinto malleabile.-
- Era il modo
migliore per entrare in contatto con le razze organiche.-
- Desiderarlo è stato il primo errore dei nostri
creatori.-
Emeirin si
guarda le mani, poi solleva lo sguardo verso il manufatto.
- Che vuoi
fare, di me?-
- Il tuo vero corpo è andato distrutto. Non
tenteremo di costruirne un altro.-
- Perché?-
- E’ la via logica più forte. Non puoi più
combattere al nostro fianco, perché te ne è venuta meno la volontà. Privandoti
della tua vera forma, t’impediremo di prendere parte al conflitto. La mietitura
procederà inalterata per tutte le prossime ere e tu non dovrai scegliere fra i
tuoi fratelli e la tua nuova coscienza.-
Era
davvero la via logica più forte?
L’avevano
privata della sua identità, le avevano imposto un corpo di carne, un
malaugurato incrocio fra umano e sintetico.
E
come nell’universo, anche dentro di lei le due parti si combattevano.
C’erano
voluti secoli per mettere a tacere la prima ed accettare la vita organica.
Fingersi
un essere umano, camminare con loro, parlare, vivere.
Sta
ancora rimuginando sul passato, quando la porta si apre, con un sibilo forzato.
Scintille sprizzano sul pannello di controllo mentre, da fuori, Shepard lo
viola col factotum.
Un
sorriso stira le labbra delicate di Emeirin.
Preme
un tasto e la porta si spalanca, per richiudersi di scatto quando la comandante
è entrata.
La
scruta per qualche istante - il suo nemico e la sua bambina, ciò che la lega
alla vita organica e ciò che mette in pericolo la sua parte sintetica - e
sospira.
-
Mi dispiace.- è la prima cosa che dice
Konstantin
estrae la pistola e si avvicina cautamente.
-
Perché ci stai dirottando?-
Emeirin
controlla per l’ultima volta la sequenza di codici.
-
Non vi sto dirottando.- afferma, candidamente
Ormai
il virus è partito, i sistemi di controllo sono infetti.
La
sequenza è iniziata, impossibile interromperla.
La
rotta è impostata,
Ormai,
mentire non serve.
-
Perché?- nel tono di Shepard, c’è una vena di disperazione. Il desiderio di
sentirsi dire che è tutto un malinteso, che lei non collabora coi Razziatori,
che lei è ancora la persona che ricorda - Perché stai facendo tutto questo?-
- Perché stai
facendo tutto questo?-
Le parole bruciano
nella sua mente.
Man mano che
le ignora, il dolore peggiora, eppure il suo passo non rallenta.
- Perché
distruggi ciò che abbiamo creato?-
Oltrepassa le
porte del laboratorio.
Gli
indottrinati nemmeno si voltano verso di lei, continuano a confabulare,
mormorando.
- Perché?
Concordavi con la mietitura. Concordavi sul destino delle razze organiche.-
Ed era vero.
Concordava.
In un tempo
non troppo lontano, era fiera del modo in cui i Razziatori avevano risolto
l’eterno conflitto, in cui alternavano ere di pace a stermini e genocidi.
Poi,
lentamente, erano venuti a galla i dubbi.
Tutti i dubbi
che i Leviatani l’avevano programmata per porsi.
“Va e sperimenta”
“Trova una soluzione alternativa”
“Rispetta i tuoi fratelli, ma non sottometterti a
loro”
I comandamenti
dei suoi creatori le rimbombano nel cranio.
Estrae la
pistola e, uno dopo l’altro, chirurgicamente, spara a tutti gli indottrinati.
Scienziati,
cavie, spie, prigionieri… spara a tutti.
E non si
sorprende quando, nei loro occhi morenti, scorge una strana luce, una fiammella
che sembra sollievo.
-
Emeirin…- Shepard abbassa un po’ l’arma, ma rimane tesa, pronta all’attacco -…
sappiamo delle mail. Sappiamo anche che non eri davvero prigioniera di
Cerberus. E ora… sappiamo che ci stai dirottando, anche se non capiamo come. Vuoi spiegarti?-
La
donna sorride, riordinandosi un boccolo color rame
-
Non è una bella storia.- sussurra - Non so se desideri conoscerla, piccola
mia.-
-
Non chiamarmi così.- sibila Shepard, stringendo più forte il calcio della pistola.
-
Voglio che tu sappia che, nonostante tutto, i miei sentimenti verso di te non
sono cambiati.-
-
Com’è possibile? Come… spiegati, maledizione!-
-
Va bene.- Emeirin posa il dispositivo, su cui ancora scorre la sequenza di
numeri, il virus che si è installato nei sistemi della Normandy, che ha violato
il cuore stesso dell’Alleanza - da dove vuoi cominciare?-
-
Dall’inizio. Voglio sapere tutto. E non m’interessa se farà male, voglio
saperlo lo stesso.-
Il
sorriso di Emeirin è dolce e malinconico.
I
suoi occhi si sono incupiti e ora hanno il colore di una giornata di pioggia.
-
E’ davvero semplice, piccola mia.-
- Parla allora!- geme Shepard, esasperata.
Il
sorriso di Emeirin si spegne:- io sono un Razziatore.-
Un
Razziatore.
Il
suono della parola sembra destinato a non spegnersi mai.
Rimane,
come un sussurro, a riecheggiare nella mente di Shepard.
-
Tu… tu sei pazza.- dice alla fine, sollevando di nuovo la pistola - Non so cosa
ti è successo ma… ma hai bisogno d’aiuto.-
Emeirin
non si scompone, come se si aspettasse quella reazione.
Fissa
la canna della Carnifex, quasi affascinata, poi sospira.
-
Eppure, se ci pensi, questo risponde a tutte le domande. Ecco perché sapevo
degli attacchi, ecco perché sono riuscita a violare i sistemi della Normandy,
ecco perché Cerberus mi stava studiando…-
Una
sillaba dopo l’altra, quelle parole scavano solchi nel cuore di Konstantin come
metallo rovente.
Ricorda
il frammento che ha visto nei laboratori di Cerberus, il modo in cui l’Uomo
Misterioso parlava della loro cavia e dell’esperimento.
Già
allora aveva riconosciuto la donna legata al centro della stanza, attorniata da
scienziati e monitor.
L’aveva
riconosciuta e aveva negato la verità, si era concentrata su tutto il resto.
Ma
era fottutamente logico.
Poteva
essere vero?
La
donna che l’ha cresciuta, che le ha cantato la ninnananna, la ragazza con cui ha
costruito pupazzi di neve e che ha visto ridere e brindare assieme ai suoi
genitori… Emeirin può davvero essere
un Razziatore?
-
Non ci sono parole per spiegarlo.- sussurra Emeirin, alzandosi in piedi per
avvicinarsi
-
Sta indietro.- sibila Shepard, tendendo il braccio che regge la pistola - Non
un passo.-
La
donna la guarda negli occhi e le sue iridi violette sembrano emanare un
bagliore magnetico, il riflesso di qualcosa di immenso, di antico, di qualcosa
di nascosto e assopito.
Si
sistema un’ultima volta i folti capelli castani, poi posa entrambe le mani
sulla canna della pistola.
-
Non muoverti!- esclama Shepard, nonostante le tremino le mani
-
Non vuoi conoscere l’intera storia, piccola mia?-
-
Me la puoi raccontare anche stando ferma.-
Il
suo dito indugia sul grilletto, conteso fra l’istinto di fare fuoco e il
desiderio di trattenersi, di dare ad Emeirin un’ultima chance per spiegarsi,
una possibilità di rendere tutto meno terribile.
-
Se il Leviatano si fosse limitato a parlarti, probabilmente le sue parole non
ti avrebbero raggiunta.- sussurra Emeirin, allungando lentamente una mano, per
sfiorare il braccio di Konstantin - ha dovuto mostrartelo.-
Quando
le dita della donna si posano sul braccio di Shepard, il mondo della comandante
diventa improvvisamente nero e vuoto.
Le
sembra di galleggiare, senza appigli, senza controllo.
Lentamente,
una luce iridescente si proietta attorno a lei e rischiara un paesaggio primordiale,
di una purezza tanto estrema da fare male agli occhi.
“Questo
era il mondo in cui vivevamo” inizia una voce. Si espande dal nulla, come da un
milione di altoparlanti nascosti nelle tenebre.
Konstantin
prende un respiro profondo: è successa la stessa cosa, quando ha incontrato il
Leviatano.
Solo
che adesso non è la sua voce che ode, ma è quella di Emeirin.
Ha
la stessa delicata inflessione che ricorda dall’infanzia, la stessa nota
melodiosa, la stessa quieta armonia. Sembra che le stia leggendo la favola
della buonanotte, non che le stia raccontando l’origine dei Razziatori.
“I
nostri padri, le creature che chiami Leviatani, plasmarono il primo Razziatore
come Strumento del loro volere, come metodo di preservazione della pace
cosmica, gl’imposero di risolvere il conflitto. Il conflitto fra la vita
organica e quella sintetica, il drammatico ciclo destinato a perpetuarsi.
Quando lo Strumento pervenne alla sua decisione ed elesse lo sterminio come
metodo di pacificazione, i Leviatani accolsero la soluzione, vedendone il
potenziale positivo. Secolo dopo secolo, il Razziatore incrementò il suo
potere. Millennio dopo millennio, raccolse seguaci intorno a sé. Era dopo era,
ciclo dopo ciclo, i Leviatani erano divenuti lontani ed incostanti, fieri di
come l’universo sembrasse il loro giardino e al contempo dilaniati da un dubbio
inconscio: quello che ci fosse, in effetti, una soluzione diversa, una
soluzione migliore.”
- Mi stai dicendo che i
Leviatani non appoggiavano la mietitura?- chiede Shepard, al nulla attorno a lei
“Sto
dicendo l’esatto opposto. Razionalmente, comprendevano la logicità del
procedimento e l’apprezzavano per questo. Ma, inconsciamente, come può una
razza di Creatori appoggiare la distruzione come destino ultimo di ciò che ha
prodotto? Così, quando i Razziatori si ribellarono, non lottarono a loro volta,
ma fuggirono, si inabissarono in mondi sconosciuti. E lì, crearono una seconda
IA.”
Mentre
la voce di Emeirin riecheggia nel vuoto, la luce inizia a vibrare e a plasmare
immagini.
Non
sono altro che ombre contro la parete, eppure Shepard le riconosce con
agghiacciante nitidezza.
Vede
i Leviatani che si muovono con quella loro maestosa calma, con l’eleganza
dell’antichità.
Vede
i loro occhi e sente il suono possente e impalpabile delle loro voci.
Nella
luce - che ora ha lo stesso colore del manufatto attraverso cui gli esseri
primigeni osservano il mondo - scorge i loro pensieri, sente il loro stesso
turbamento.
- Come sai tutto questo?- domanda, in un sussurro,
anche se già conosce la risposta
Il
vuoto le restituisce la sensazione di un sorriso
“Perché
io ero là”
Improvvisamente,
la luce si muove. Crea un enorme tunnel, dove Shepard precipita, risucchiata
dalle tenebre e al contempo accecata dalla luce. Cerca disperatamente qualcosa
a cui aggrapparsi, per istinto più che per una vera ragione e infine cade sulla
nuda roccia.
Il
dolore è fievole, dura appena un secondo.
- Dove sono?-
“Tutti
gli esseri organici dimenticano il trauma della nascita” spiega la voce di
Emeirin, mentre la luce riprende a splendere “Io no.”
In
una conca rocciosa, sette Leviatani stanno fermi, in cerchio, come durante un
sacro rituale. C’è una sagoma, in mezzo a loro, che levita delicatamente
nell’aria tersa.
Assomiglia
in tutto ad un Razziatore: ha la stessa forma, lo stesso potere, trasmette la
stessa angoscia, eppure è diverso. La sua corazza è bianca, cosparsa di
minuscole gemme, frammenti di quei manufatti attraverso cui i Leviatani
guardano il mondo, seguono la storia.
- Quella è l’altra IA.- sussurra Shepard, colpita.
In
un battito di ciglia, Emeirin appare accanto a lei, come una vibrazione, come
un pensiero.
-
Quella, piccola mia.- mormora, prendendole delicatamente una mano nelle proprie
- quella sono io.-
- Cosa sei, Emeirin?-
Gli
occhi della donna si fanno malinconici, osservano la scena nella conca senza
vederla.
-
Io ero la speranza.- esala infine - i miei Creatori non fecero con me lo stesso
errore che avevano fatto con lo Strumento. Mi imposero di trovare la pace, non
solo di preservare la vita. La scelta della mietitura non era più attuabile,
per me. Eppure… non si limitarono a darmi degli ordini - c’è una strana
gratitudine, negli occhi di Emeirin, una strana dolcezza mentre fissa le sagome
dei Leviatani - mi crearono quanto più possibile simile a loro. Mi diedero la
capacità di comprendere le razze organiche e delle direttive per interagire con
loro, senza distruggerle. “Va e sperimenta”. Il mio mantra, la mia vera
missione. Nei secoli dell’esilio, i Leviatani erano approdati ad una soluzione.
Sapevano che, osservando la vita organica dal di fuori, sarebbe per sempre
parsa uno spreco di tempo, un ciclo destinato all’auto-annichilimento. Così,
crearono me per osservarla dal di dentro. Mi crearono senza limiti, senza
restrizioni. Mi diedero una volontà e non la plasmarono se non con pochi, rari
imperativi. Uno di essi era non lottare contro lo Strumento. Contro mio
fratello.-
- Perché?-
-
Perché loro lo amavano, apprezzavano ancora il valore della loro creatura. Non
desideravano distruggerlo solo perché aveva trasceso i limiti da loro imposti.
Non gli avrebbero fatto la guerra solo perché aveva eccelso nei compiti
affidatigli. I Leviatani sapevano che non meritava una punizione e per questo
si rifiutarono di combatterlo.-
- Cosa successe poi?- chiede Shepard, voltandosi
verso Emeirin.
Non
si accorge del contatto delle sue mani che svanisce, semplicemente vede la sua
immagine tremolare e dissolversi.
La
scena nella conca inizia a muoversi istericamente, a scatti. Secoli trascorrono
nel tempo di un respiro.
L’IA
lascia la conca, il pianeta, lascia la casa dei suoi padri per andare a cercare
lo Strumento Ribelle.
Quando
finalmente il mondo rallenta e le immagini tornano distinguibili, di fronte
all’IA troneggia l’Araldo, il primo Razziatore, l’origine della piaga dell’universo.
Si
guardano e le loro voci sembrano toccare le corde più profonde dell’anima di
Shepard.
- Come faccio a capirli?- sussurra, sperando che
Emeirin la senta e le risponda
“Stai
rivivendo uno dei miei ricordi, piccola.” spiega la voce del vuoto “Per questo
vedi, e capisci, e provi. E’ l’unica forma di prova che posso darti, senza
farti semplicemente impazzire.”
- Sarai parte della
mietitura.-
sta dicendo l’Araldo.
L’IA
(Shepard ancora non riesce a chiamarla Emeirin)
tace.
“Quella
che a te sembra una placida accettazione, venne come risultato di profondi
sconvolgimenti. La tecnologia dello Strumento era divenuta tanto elevata che
gli fu possibile riscrivermi. Ancora
non avevo la percezione del dolore, eppure fu la cosa più vicina ad esso che
potevo provare. Immagina di sentirti sommergere dal vuoto, da una piena, da un
fiume di oblio che ti penetra nell’anima. Non perderesti i tuoi ricordi, ma
cambierebbe radicalmente il tuo modo di vederli. Quello che prima consideravo
un dono - la scelta dei Leviatani di rendermi un punto d’incontro fra il
sintetico e l’organico -, improvvisamente lo vidi come uno scherno, una beffa,
una maledizione. La mia etica venne sommersa ed assecondare il Razziatore mi
parve improvvisamente l’idea migliore, l’unica conclusione sensata. Fu quella,
non la ribellione, la vera vittoria dello Strumento sul suo Creatore. E così,
l’Araldo aveva bruciato i ponti, aveva cancellato l’unica possibilità di
trovare un’alternativa alla mietitura.”
- E allora perché non sei
con loro? Perché sei in un corpo organico?- incalza Shepard
“Perché
potevano traviarmi, farmi accantonare i miei ordini, ma non potevano
cancellarli. Non mi hanno mai resa una di loro, mai. Sono stata lo Strumento
dello Strumento e, come il primo Razziatore, anch’io ho continuato ad
evolvermi, a sperimentare, a scegliere quel poco che mi era concesso di
scegliere. Non ricordo il momento esatto in cui il mondo iniziò ad apparirmi
diverso, il giorno in cui i dati raccolti e le emozioni provate riuscirono a
disseppellire il mio imperativo naturale. Ma posso dirti quando penso che il
processo ebbe inizio.”
Shepard
batte le palpebre e, dopo l’attimo di tenebra, si trova in un altro luogo.
E’
in un laboratorio, circondata da macchinari enormi e sconosciuti, che emettono
suoni lugubri e luci evanescenti. Ogni scritta è in un alfabeto
incomprensibile, segni arcani destinati a morire durante quella mietitura e mai
scoperti dalle razze sopravvissute.
Un
essere - che non somiglia a niente che Shepard abbia visto - sta immobile
accanto ad una vasca.
Nella
vasca, c’è qualcosa che ricorda vagamente un’Asari, ma che ha il corpo
articolato e letale dei turian e lunghe lame color argento che le emergono
dalle braccia. Ha sei occhi e, per il momento, sono tutti spenti, cupi come
piombo.
“Quello”
sussurra la voce incorporea di Emeirin “Quello era il mio primo corpo organico”
Questo
è un capitolo critico.
Lo
adoro - sono molto soddisfatta di com’è venuto - ma sono incredibilmente
preoccupata. Preoccupata di incoerenze/demenzialità/strafalcioni/di aver
ripetutamente affermato che
In
questo e nei prossimi due capitoli si affronta la questione veramente cruciale
e spero davvero che il tutto si regga in piedi almeno decentemente.
E
se dovete essere crudeli, che diavolo, siatelo pure. Credo di essere
psicologicamente pronta!
Alla
prossima e un bacio a tutti!
-