Non è vero che tutti sono bravi a
parlare. Alcuni sì, però.
Boa
era stata sul punto di vomitare più volte, sia per gli sballottamenti cui il
suo corpo era sottoposto dalla frenetica corsa di Naruto,
sia per le immagini che i suoi begli occhi notarono in alcuni punti della
foresta: corpi spiaccicati come formiche tappezzavano le cortecce secche di
vari alberi.
Ma
Boa non si sentiva male per l’ atrocità della scena, tanto meno provava
tristezza o paura, la principessa serpente era solo disgustata. Si chiedeva se
non fosse possibile morire con un viso meno deformato. Lei, del resto, che era
bellissima e tutto quanto, non pensava mai alla sua morte, perché non pensava
mai alla vecchiaia e a quelle terribili schifezze chiamate rughe. Non sarebbe successo
a lei, avrebbe pietrificato la Natura stessa, se fosse stato necessario.
No,
Boa Hancock non era il tipo di donna che provava compassione per gli altri;
infatti, dopo un po’ si addormentò. Si sarebbe risvegliata solo poi, per colpa
delle urla di Naruto: se non gli avesse ricordato di
quel poco Rufy, Boa lo avrebbe fatto a pezzi
all’istante.
“Ci
sono delle mura, delle mura!” proruppe trionfante Naruto,
dando per scontato che a tutti gli altri fosse sfuggita una simile evidenza.
Light
si sforzava di guardare solo i piedi della donna che lo trasportava, ma anche
nel caso avesse visto altro, non avrebbe fatto molta differenza, tanto lui era
moralista, corretto, giusto e Dio del Nuovo Mondo, e come ogni divinità moderna
che si rispetti, un po’ asessuato.
Nel
mondo dei sogni per adulti, Gintoki era ancora preso
da spasimi: anche per uno come lui, c’erano cose
più emozionanti di Jump. Già, e che cose.
Yourouichi se ne fregava
di tutto e continuava a correre con la naturalezza di qualcuno che è vestito. O
di Adamo ed Eva prima che mangiassero la mela.
“Sadaharu… non preoccupare, tra poco arriviamo ed io dare
acqua.”
Il
cane abbaiò in risposta. In realtà, voleva solo morsicare un po’ il cranio di Gintoki, ma per quanto si affannasse nel raggiungerlo,
quella testa argentata si allontanava con velocità. Era davvero un uomo
frivolo, se giocava così con i sentimenti di un cane.
“Oh!
Ma sono altissime!” esclamò Kagura sorpresa.
I
titani, qualche metro più in là, li inseguivano ancora, correndo in maniera scoordinata:
ricordavano vagamente un gruppo di adolescenti impazzite per i saldi estivi.
“Già,
troppo…” Light doveva –era un bisogno fisiologico per
lui- dire la sua e descrivere qualche stupendo piano che avrebbe sorpreso tutti
e salvato l’umanità intera. “Le pareti sono lisce, quindi scalarle a mani nude
è fuori questione.”
“Io
ho un’idea!” esclamò all’improvviso Naruto. Light ne
fu sorpreso, perché -a parte la ragazzina- sembrava il più stupido di tutti.
“Fidatevi di me!” e la cosa messe inquietudine a tutti, perché detta da un tipo che non sapeva nemmeno dove si
trovasse il cuore.
Erano
ormai a ridosso delle mura.
Naruto lasciò andare
Boa che lo fissava stizzita.
Ichigo, in posizione da
combattimento, teneva d’occhio i giganti: non credeva che sarebbe mai stato
possibile, ma quegli esseri facevano più impressione degli hollow.
Yourouichi fu estremamente
veloce: lasciò andare Light e adagiò Gintoki a terra;
in meno di mezzo secondo era di nuovo un gatto nero.
“Tecnica
della moltiplicazione del corpo!” comparvero altri dieci Naruto.
Light
si chiese se non fosse diventato schizofrenico all’improvviso o se, in caso, i
funghi del pranzo non fossero allucinogeni. Le droghe pesanti non fanno bene a
nessuno, questo è bene ricordarlo.
“Si
parte!” Ogni Naruto caricò una persona a caso e prese
a correre sulla parete.
Ma
la realtà che gli attendeva oltre quelle mura sarebbe stata devastante.
~~~
L’umore
di tutti i soldati della legione esplorativa era piuttosto depresso, il che non
aiuta certamente la narrazione, ma non poteva essere altrimenti, dato l’ingente
numero di caduti quella mattina, nel giro di poche ore. Benché Erwin e Levi
occupassero, senza dubbi di sorta, i primi posti nella classifica delle anime
tristi, erano anche i più bravi a nasconderlo: il comandante, con l’espressione
seria del suo volto, mentre Levi sembrava uno in piena crisi di diarrea, in
assenza di un bagno disponibile. Non solo gli era morta l’intera squadra, ma
aveva pure dovuto salvare la amica di Eren -che aveva
il tatto di un elefante- ed Eren stesso, facendosi male,
ma soprattutto sporcandosi di bava di titano. Levi era in uno stato d’animo
tale, che avrebbe fatto a pezzi chiunque, persino il re in persona, se si fosse
avvicinato di quel tanto, anche solo per dirgli “ciao”.
Per
di più, la popolazione intera sembrava essere imparentata con Mikasa Ackermann e avere la sua
stessa sensibilità: vendendo tornare poveri, piccoli e traumatizzati soldati,
non avevano perso occasione per lamentarsi delle tasse e farsi beffe della
legione. Levi era troppo abbattuto e non ci aveva fatto caso sul momento, ma
ora che ci ripensava, lo assalì una cieca voglia assassina: desiderò che quelle
fottute mura precipitassero e morissero tutti quanti. Almeno dentro lo stomaco
dei giganti non avrebbero pagato tasse.
Ah!
E poi quella Mikasa! Le avrebbe strappato la lingua a
morsi, col senno di poi.
“Chiariamo una
cosa, se lei avesse svolto il suo compito correttamente, ora non ci troveremo
in una situazione come questa!”
Ricordò
quelle parole e si lasciò invadere nuovamente dalla rabbia.
Ma
Levi lo sapeva che non era quello, non erano i cittadini, né le frasi di Mikasa, tanto meno lo sporco sul suo corpo o la polvere che
vedeva sul pavimento della sala d’attesa dell’ambulatorio. Non era affatto
niente di tutto ciò. E quei corpi, quegli occhi vuoti, quelle bocche spalancate
tornarono alla sua mente e tutto gli fu chiaro. Nel suo profondo, ad una
profondità che superava gli abissi del mare, Levi era distrutto.
Ma
non poteva ammetterlo, perché se lo avesse fatto, sarebbe diventato ancora più
reale, più annientante, e la distruzione nuoce alla fermezza. Esitare significa
morire e Levi non aveva intenzione alcuna di lasciare quella vita, non ancora.
“Erwin…” ringhiò. “avresti almeno potuto lasciarmi fare la
doccia, prima di trascinarmi qui.”
“Voglio
sapere esattamente quanto è grave la ferita e quando guarirà.”
“Ti
stai cagando addosso, eh, Erwin? Ti faranno il culo, quegli stronzi.”
L’espressione
del comandante divenne più aspra, ma Levi non riuscì a contenersi.
“Se
ne fotteranno le palle di tutti i tuoi ragionamenti, si prenderanno Eren e lo squarteranno come se fosse un topo albino.” Ci
godeva, sì, quanto ci godeva. Dopotutto, forse pure lui era un cugino di
settimo grado dell’amica di Eren.
“Caporale
Levi? Prego, è il suo turno.”
“Tsk, pure questo mi tocca.” Mormorò, mentre si alzava,
seguito da Erwin.
Sperava
che non gli iniettassero niente. Levi odiava gli aghi, le pastiglie, le erbe e
i medicinali in genere. Anche i dottori e le infermiere.
~~~
Kagura aveva
incrociato lo sguardo di una guardia, quando erano atterrati sulle mura. Aveva
comunque ignorato la cosa: l’idea di saltare giù da cinquanta metri di altezza
l’entusiasmava molto più che il viso smagrito, pallido e terrorizzato
dell’omiciattolo che l’aveva osservata per qualche secondo.
Naruto si strofinò,
con l’indice, la pelle sotto il naso, sorridendo.
“Ce
l’abbiamo fatta!”
Light,
che stava per vomitare il pranzo, annuì. Sport estremo? Poteva depennare una
delle esperienze umane da esperimentare prima di diventare divinità.
Ma
i sette eroici protagonisti –più un cane alieno e uno shinigami
invisibile- non ebbero il tempo di perdersi in festeggiamenti, perché una
mandria di spaventati, quanto adirati soldati si parò davanti a loro, sfoderando
spade e cannoni. Si erano lasciati titani alle spalle, ma ora si trovavano
dinanzi alla specie più nefasta del mondo, l’homo
sapiens sapiens.
“CHI
SIETE?! CO-COSA CI FATE QUI?! SIETE AMICI DEI
TITATI?!” urlò un signore con la faccia più sfigurata degli altri e l’aspetto
del più inetto del gruppo: insomma, non c’erano dubbi che fosse il capo
dell’allegra brigata di feroci uomini.
Light
capì che bisognava agire subito. Intanto le coppie di Naruto
si dissolsero, liberando del fumo che sembrò allarmare ancora di più i
simpatici soldati. Light –da impareggiabile genio- si ricordò che durante la
rigenerazione degli arti, era fuoriuscito del vapore dal corpo del titano.
“Bella merda” pensò, prima di cercare di risolvere la situazione. Dietro di
lui, Ryuk seguiva con enorme interesse l’evolversi
dei fatti.
“VENIAMO
IN PACEEE!” urlò, senza rendersi conto di quanto ridicola fosse la sua affermazione.
“NON
VI CREDO! VOI SIETE AMICI DEI TITANI, TUTTI QUANTI!”
sentenziò l’altro. “VI UCCIDERO’ PER IL BENE DELLA
RAZZA UMANA!”
Ichigo si guardò
intorno in cerca di una via di fuga, che non c’era: da ogni parte, i soldati li
accerchiavano e perfino dalle finestre delle abitazioni vicine, spuntavano
teste di persone curiose, che avrebbero certamente indicato da che parte
stavano andando. Erano fregati. Dovevano affidare tutto alle loro capacità
oratorie e persuasive… Decisamente, non avevano
speranze.
“Mi
avete stancata, voi e tutte le vostre sciocchezze!” Boa Hanckoc
agitò la sua lunga chioma e si fece avanti.
“Aspetti… può essere pericoloso…”
balbettò Light, quando venne superato dalla principessa serpente.
Lei
si mise a ridere, una risata che sembrava solleticare in maniera libidinosa le
orecchie di chi ascoltava.
“Pericoloso?
Pensi veramente che sparerebbero su di me?” Boa parlava al signorino Yagami, rivolgendosi in realtà all’intera platea, che
adorante, osservava in ogni sua parte l’avvenenza insolita della donna. “Non
importa chi io sia, né cosa faccia… questi uomini,
tutti gli uomini non mi farebbero mai del male. E sai perché? Perché io sono… BELLISSIMA!”
L’eco
delle sue parole si propagò in tutte le direzioni.
“Ma
cosa dire quella? Chi importare se è bellissima? A me sembrare solo brutta
troia, vero Gin-chan?”
“Sìsì, sei proprio bellissima!” balbettava il samurai,
unendosi ai coretti che partivano da ogni dove.
Boa
sorrise soddisfatta.
“Che
i vostri turpi desideri vi incatenino alla freddezza della roccia…
MERO MERO MELLOW!”
All’istante,
quasi un centinaio di soldati fu pietrificata.
“Io
me ne vado” annunciò, incamminandosi tra gli spazi vuoti delle malcapitate
statue umane.
“As-aspetta!” Naruto le corse
dietro. “Non puoi semplicemente lasciarli così!” come al solito, l’eroe in
tenuta arancione doveva annoiare i suoi compagni con il suo grottesco e inutile
senso morale. Più che allenare il corpo, sembrava che Naruto
levigasse sempre di più la sua lingua e la sua capacità di argomentare teorie
banalissime, come “i legami di amicizia non muoiono mai” o cose simili, che, ad
esempio, Light Yagami aveva solo usato come esercizio
per la sua calligrafia.
Un
calcio fortissimo raggiunse il viso del ninja, che diventò per metà di pietra e
volò fino ad atterrate sulle braccia di Kagura. In
tempi recenti si usa dire, “dalla padella alla brace”, allora si coniò –nel
piccolo gruppetto dei sette coraggiosi- “Dal serpente al toro” o molto più
direttamente “dalla Boa alla Kagura”.
“Provate
a seguirmi e vi pietrifico tutti!” così dicendo, la donna più bella del mondo
si dileguò tra le statue.
Come
ebeti senza più la mamma da seguire, i restanti impavidi salvatori del pianeta
restarono a bocca aperta, senza muoversi, benché ora avessero una possibilità
di scappare. E quando si risvegliarono dal torpore, con la giusta convinzione
di muoversi da lì e nascondersi da una qualsiasi parte, era ormai troppo tardi.
Come al solito.
Altri
rinforzi piovvero letteralmente dal cielo, strappando in un batter d’occhio, il
gatto dalle braccia di Kurosaki, Kagura
dal fianco di Gintoki, Naruto
dalle braccia di Kagura –liberandolo in realtà,
perché la sua stretta lo stritolava-, e sbattendo il bel corpo di Light sul
pavimento. Nessuno badò a Gintoki, perché aveva una
spada di legno e un cane sulla sua testa.
“WAAAAAAA!
ERWIN… VIENI UN PO’ A VEDERE QUIIII!” una donna dai
capelli rossi saltellava dall’uno all’altro dei nostri protagonisti, tastando,
annusando e facendo un insieme di cose del tutto prive di senso.
“Lasciami
andareeeee!” Kagura si
mosse, incurante della lama che aveva puntata alla gola. “GIIIIN-CHAAAN” ululò quando essa penetrò di
un poco nel suo candido collo.
“As-aspettami Kagura, arrivo.” I
suoi passi erano lenti per via del peso di Sadaharu,
che, però, vedendo la sua adorata padrona in pericolo, lasciò andare il cranio
di Gintoki e corse in direzione della bambina.
Purtroppo, in direzione del cane correva anche Hanji,
e Sadaharu non poté trattenere il suo istinto.
“AHHHH
COMANDANTE ERWIN! QUEL CANE SI STA MANGIANDO IL CAPITANO HANJI!”
Una
risata dal suono cavernoso li raggiunse.
“Niente
panico… niente panico, ragazzi, sto esaminando la sua
dentatura!”
“Capitano
Hanji…” fu il rassegnato sussurro generale.
Gintoki vibrò un
potente colpo contro l’uomo che tratteneva Kagura.
“Gin-chan… fa maleeeeeeeee!” disse
indicando il collo. “IO SPACCARE CULO DI TUTTI!”
“Su
su…” la consolava il samurai con i capelli da nonna.
“Siete
arrivati qui oltrepassando queste mura… e quello è
territorio dei giganti, mi domando, Come?” era la voce di un uomo biondo e
alto. Erwin Smith.
Light
rispose subito.
“Non
lo sappiamo nemmeno noi… signore. Non ci conosciamo
nemmeno, solo… ci siamo ritrovati in mezzo ad una
foresta, inseguiti da giganti, e quando abbiamo visto queste mura… abbiamo pensato di essere salvi.”
“Come
avete fatto?”
Light
arrossì un po’, imbarazzato dall’assurdità che doveva dire.
“Quel
ragazzo biondo… sembra essere un ninja…
e… si è moltiplicato, pare essere in grado di
camminare su superfici verticali e così… ci ha
portati qui. E’ la verità, ci deve credere.”
Erwin
lo fissò come se fosse un cretino e Light non ebbe il coraggio di dargli torto:
era tutto una situazione ai limiti del possibile.
“Io
sono Erwin Smith, comandante della legione esplorativa…”
disse rivolto a tutti. “Se siete umani, non avete nulla da temere. Seguiteci
senza opporre resistenza… e liberate i nostri
compagni.” Aggiunse indicando le statue.
“Quello
signore… non siamo stati noi a farlo…
ma una donna che era con noi, ed ora è andata via.”
Erwin
aggrottò le sue anomale sopraciglia. Che diavolo stava succedendo?
“Uhm,
comandante, credevo che Levi sarebbe venuto con lei. È davvero così grave il
braccio?” chiese Hanji, liberandosi dalla morsa del
cane.
“Abbastanza.
Ha detto che sarebbe stato solo d’impiccio e così, è andato a casa.”
Hanji restò in
silenzio per un po’, pensierosa.
“Andrò
a dargli un’occhiata più tardi…” diede dei colpetti
sul muso di Sadaharu, scatenando la furia aggressiva
di Kagura, che Gintoki
cercava di trattenere con tutto se stesso: ci mancava solo picchiare qualcuno
di importante, e gli avrebbero lanciati giù dalle mura, cibo pronto per titani.
“Speriamo che non accada quella cosa.”
Erwin
deglutì.
“Hai
ragione, dobbiamo evitare che accada di nuovo quella cosa.”
“Sarebbe
terribile, il braccio e quella cosa.”
“QUALE
COSA?!” ringhiò Kagura. “IO ESSERE CURIOSA ORA,
SOPRACIGLIONE!”
Hanji si voltò subito
e si avvicinò correndo alla bambina. “Nono, non dirlo più, ci sono cose che non
si devono dire… e una di quelle è sopraciglia!”
“E
allora raccontami quella cosa!”
“Sìsì, raccontaci quella
cosa!”
“SMETTETELA
DI DIRE QUELLA
COSA, DEMENTIIII!” ringhiò Ichigo
“ANCHE
TU ORA DIRE QUELLA COSA!”
“AHHHHH
VOI MI TIRATE MATTO! HO DETTO QUELLA COSA SOLO PERCHE’ VOI LA SMETTESTE DI
DIRE QUELLA COSA!”
“MA
TU AVERE DETTO UGUALE QUELLA COSA!”
“HO
DETTO QUELLA COSA CON UNO SCOPO
DIVERSO!”
“BASTAAAAAAA!”
il gatto, per l’esasperazione, conficcò le sue graziose unghie nel braccio del
malcapitato che la teneva.
A
Hanji si illuminarono gli occhi.
“Non
ti distrarre, ci devi raccontare quella
cosa!” sentenziò Gintoki, serio.
“Già
già, altrimenti io dire di nuovo ‘sopraciglione’”
“Ma
lo hai già detto stupidaaa!” Ichigo
non la smetteva di fare il pignolo, forse perché aveva l’orgoglio ferito, dato
che si era fatto prendere così in fretta.
“Giusto,
giusto!”
Mike,
che tratteneva Naruto –ancora nel mondo delle stelle-
, annusò l’aria e sogghignò.
“Dunque… quella cos-“
“Hanji… stavi parlando di quella cosa?” era la voce minacciosa di Levi, dietro le sue spalle.
Puntava una pistola alla testa del capitano.“Eh? Quella cosa… cosa, Hanji?”
“Ma
niente, niente…”
“Ti
faccio saltare il cervello, troia…”
“Levi… credevo avessi detto che restavi a casa, questa
volta.” Disse Erwin, per evitare la strage, dopo essersi ripreso dal
“sopraciglione” di prima. Per fortuna non aveva sentito il secondo.
“Infatti… ma con tutto il baccano che avete fatto, i tre
gemelli dei miei vicini si sono svegliati ed è impossibile da sopportare quel piagnisteo…”
“Capisco,
beh, puoi darci una mano, già che sei qui.”
“Neanche
per sogno. Ho cose da fare.” Rimise la pistola al suo posto ed iniziò ad
allontanarsi. La sua allegra presenza portava sempre un silenzio tombale,
dovunque.
“Levi… se devi fare quella
cosa, usa le dovute precauzioni!” urlò Hanji,
agitando la mano in segno di saluto.
Un
proiettile le sfiorò il viso, all’altezza delle tempie. E il vento portò un
“puttana” nella sua direzione.
Qilqax, the returner
Ahem, chiedo scusa per l’immane ritardo. Ho tecnicamente saltato
una settimana di aggiornamento e lo farò nuovamente, perdonatemi. La verità è
che ho poco tempo –son sempre in giro- e sto facendo le valigie per Tolosa ù.ù vado a sentire
il concerto dei GazettE. Quindi sono impegnata. Poi,
sono indietro con il prossimo capitolo –neanche la metà- e la cosa mi rattrista un sacco.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, comunque!
Per il prossimo… ci risentiamo a ottobre, non
odiatemi troppo, per favore!
Grazie mille a tutti quelli che stanno seguendo questa storia, la prossima
volta vi ringrazierò come si deve… solo che ora devo
cucinare! Scusate la fretta, davvero.
Alla prossima!
Qilqax.