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Autore: hernoa everdeen    18/09/2013    9 recensioni
Plutarch ci si rivolge: “Siete pronti?”
Noi annuiamo in silenzio, troppo tesi per dire qualsiasi cosa.
Un istante dopo il televisore si accende e delle grida strazianti invadono la sala.
(...)Io sono sconcertata e furiosa. Sono consapevole che queste immagini sono destinate a me, con il solo scopo di ferirmi e spingermi a rinunciare a qualsiasi atto di ribellione verso Capitol City. Vogliono che mi arrenda, ma non sanno che adesso sono ancora più determinata ad agire.
Una nuova storia. Una storia diversa. Un seguito alternativo al secondo libro. Spero che vi piaccia!
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti,
questa è la mia prima fanfic, spero che vi piaccia!
L'idea è nata mentre leggevo il terzo libro degli Hunger Games. Immaginavo un diverso svolgimento, e quindi eccomi qui a raccontarvelo!
Ovviamente questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Suzanne Collins e questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 
Non mi resta che augurarvi una buona lettura!
Hernoa Everdeen





Capitolo I - Un brusco risveglio


Lui non c’è. Questo è il primo pensiero non appena mi risveglio a bordo dell’hovercraft che mi ha portata via dall’arena. Peeta non è con me. Non sono riusciti a salvarlo.
Apro gli occhi e trovo il familiare volto di Gale ad aspettarmi. Sorride, ma solo con le labbra. I suoi occhi sono tristi. Mi sussurra: “Katniss, siamo diretti al Distretto 13, ricordi? Là cureranno le tue ferite.” Il suo sguardo mostra la sua preoccupazione per me, ma io non riesco a pensare ad altri che a Peeta.
Cosa gli staranno facendo in questo momento? La mia unica speranza è che non gli facciano del male per causa mia. Devo assolutamente trovare un modo per salvarlo e strapparlo a Capitol City. E a Snow. Lo farò, costi quel che costi.
E, forte di questa speranza, sprofondo di nuovo nell’oblio.
                                                                                                            *
Quando riprendo i sensi mi ritrovo in una sala completamente bianca, distesa su un lettino. Socchiudo gli occhi, abbagliata da tanto biancore. Quando riesco a tenerli aperti senza lacrimare, mi guardo intorno. Sono in una piccola camera senza finestre, con un tavolo alla sinistra del mio letto e una serie di strani macchinari dall’altro lato. Le pareti sono bianche e spoglie, come tutto qui dentro. Non c’è nulla che spezzi la monotonia candida delle pareti, delle lenzuola, dello stesso letto. Non c’è nulla alle pareti, nulla nella stanza, solo delle flebo attaccate alle mie braccia.
Accanto ai macchinari vedo una donna dal volto stanco; avrà circa 50 anni, indossa un camice pulito, una cuffietta di cotone sui capelli e dei guanti per maneggiare le flebo. Quando si accorge che sono sveglia sorride debolmente e cerca di rincuorarmi dicendo che le mie ferite vanno meglio. A quanto pare sono stata incosciente per giorni e tutti qui si sono presi cura di me, lei compresa. Dal canto mio, comincio a sentirmi meglio, almeno fisicamente. Le ferite dell’anima, invece, sono dure a guarire.
Ho bisogno di vedere Gale, devo sapere cosa ne è stato del nostro Distretto e, soprattutto, di mia madre e Prim. Con voce bassa e spezzata mi rivolgo all’infermiera: “P-Potrei vedere Gale?”. Lei annuisce ed esce per andare a cercare il mio amico. Conoscendolo, sarà rimasto fuori dalla mia camera per tutto questo tempo.
Il buon vecchio Gale. Da quando mi ha dichiarato il suo amore prima dell’Edizione della Memoria devo ammettere con me stessa che il nostro rapporto è cambiato. Non riesco ad aprirmi e scherzare con lui come facevo prima, ma in fondo so di poter sempre contare su di lui.
Quando lo vedo entrare incrocia il mio sguardo e capisce immediatamente cosa ho bisogno di sapere.
“Stanno bene, Katniss. Prim e tua madre sono al sicuro qui nel Distretto 13”. Sento un senso di sollievo invadermi. Stanno bene, ripeto a me stessa. Sono salve.
                                                                                                             *
Gale mi racconta ciò che è successo dopo la mia uscita dall’arena: Capitol City ha bombardato il nostro Distretto, radendo al suolo ogni cosa. I superstiti si sono rifugiati qui ed ora il nostro scopo è quello di organizzare una rivolta. Una rivolta che metta fine al mondo perverso e corrotto di Panem e al regno del Presidente Snow.
“Non so se tu sia già abbastanza in forze per questo, ma tutti ti acclamano come simbolo della nostra rivoluzione. Sei diventata la Ghiandaia Imitatrice, Katniss. Ti senti pronta per affrontare ciò che questo comporta?”.
“Sì” rispondo, apparentemente senza esitazione. È ciò che tutti si aspettano da me, non posso deluderli. Lo devo fare.
“Quando si comincia?”
                                                                                                              *
La sala dove si terrà la riunione per decidere il da farsi si trova diversi livelli sopra il reparto per le cure dei feriti, ma ho ancora parecchio tempo prima di dovermici recare. Gale è tornato alle sue occupazioni ed io, nel frattempo, sono libera di girovagare per il Distretto.
Ho modo di vedere che è interamente situato sotto il suolo. Si sviluppa in vari livelli, ognuno adibito ad una precisa funzione. I piani superiori, quelli più vicini all’esterno, sono gli unici a non contenere nulla; vennero costruiti con materiali appositamente più resistenti per fare da barriera nell’eventualità di un attacco aereo da parte delle forze armate di Capitol City. Al di sotto di trovano i livelli contenenti serre ed allevamenti per la produzione dei nostri viveri, intere stanze per l’elaborazione e la conservazione di una svariata quantità di armi, gli alloggi dei sopravvissuti e le postazioni degli strateghi, coloro che hanno lo specifico compito di elaborare un piano per prendere possesso della città e mettere finalmente fine a tutto questo.
Ed ora anche io sono parte di questo piano non ancora definito. Cerco di raccogliere le idee e di pensare alle priorità. Peeta. Voglio salvare Peeta. Non riesco a tollerare di essere al sicuro mentre lui sta subendo chissà quali torture. Quando siamo entrati nell’arena per l’Edizione della Memoria mi ero ripromessa di portarlo fuori di lì, anche a costo della mia vita. Le mie intenzioni non sono cambiate. Lui merita di essere salvato. Devo parlarne con gli strateghi, magari loro hanno delle informazioni sul luogo in cui è rinchiuso.
Mi sto dirigendo verso la sala del Comando, quando sento provenire dalle mie spalle una voce ben conosciuta:
“Katniss!”
Mi volto e accenno un sorriso.
“Finnick, sei tu! Vedo che ti sei completamente rimesso dopo la forte scossa nell’arena.”
“Già, fortunatamente qui sono bravi a prendersi cura della gente.”
Tuttavia, non ha una gran bella cera. Il ragazzo che ho di fronte è solo l’ombra di quello che ho conosciuto. I suoi occhi, sempre così vivaci, ora sono spenti, come se da lui fosse scomparsa ogni traccia di felicità.
“Come ti senti?”
“Io sto bene, Katniss. Me la cavo, ma..” la sua voce si spezza con un singhiozzo “hanno preso Annie. Devono tenerla rinchiusa da qualche parte nelle segrete del palazzo di Snow. Io devo trovarla.”
“Li troveremo, Finnick. Di questo puoi star certo. Ora siamo in due.”
Si asciuga le lacrime e ci dirigiamo insieme verso la sala riunioni, facendoci silenziosamente forza a vicenda. Nutriamo le stesse speranze, lo stesso odio nei confronti di Capitol City. Eppure siamo così diversi: lui, il sex symbol del suo distretto, colui che è riuscito a conquistare il pubblico di Panem con il suo fascino ed il suo carisma; ed io, la cosiddetta Ghiandaia Imitatrice,simbolo della rivoluzione, ma tuttavia così insicura circa il mio ruolo. Sarò all’altezza delle aspettative che tutti hanno nei miei confronti? Riusciremo nel nostro intento? E in che modo?
Non ho il tempo di cercare una risposta alle domande che mi tormentano perchè siamo ormai giunti sulla soglia della porta del Comando. Entro, e la prima persona che scorgo è l’ultima che avrei voluto vedere. Il solito bicchiere in mano, l’aria di averne già consumati alcuni di troppo, Haymitch mi sta guardando con un sorriso arrogante e presuntuoso, e questo basta a farmi infuriare di nuovo. In un attimo sono su di lui e inizio a colpirlo con tutte le forze che mi sono rimaste.
“TU! Maledetto traditore! Come hai potuto abbandonarlo? Non erano questi gli accordi! E come diavolo puoi stare qui a tracannare alcool mentre Peeta è in mano loro??”
“Calmati, dolcezza.” Dice, afferrandomi per i polsi. “Abbiamo qualcosa da mostrarvi.”
Fa un cenno verso un vecchio televisore posizionato sopra il tavolo in mogano a qualche metro da me.
“Non appena ci avranno raggiunti tutti dovremo mostrarti alcune immagini. Non sarà facile per te, ma sappiamo entrambi che il tuo cuore di ghiaccio potrà sopportare anche questo, non è vero Katniss?” aggiunge, buttando giù un altro sorso e vuotando l’ennesimo bicchiere. Porta ancora sul viso i segni del nostro ultimo scontro. Deve essere questo il motivo del suo risentimento nei miei confronti. Ho lasciato un segno che gli ricorda la sua colpa, così non può guardarsi allo specchio senza pensare a Peeta e al suo fallimento. Ed io sono decisa a fare di tutto affinché lo ricordi per tutta la vita.
Dopo una breve pausa mi sento rispondere: “Ti credevo un amico, e invece ti sei rivelato per quello che veramente sei: una delusione. Non mi sarei mai dovuta fidare di te.”
Mi volto, sopraffatta dall’odio che provo nei suoi confronti e, in parte, anche nei miei. Non riesco a non pensare che sia anche mia la responsabilità della cattura di Peeta. Avevo giurato a me stessa di proteggerlo a qualunque costo. Ma ho fallito. Proprio come Haymitch.
Mi sto dirigendo verso l’uscita, per fuggire da lui, da me, da tutti, quando mi si para davanti Plutarch Heavensbee, il Capo Stratega dell’Edizione della Memoria. Con il tono pacato e rassicurante che lo contraddistingue mi invita a rientrare e ad accomodarmi. Dietro di lui fanno la loro comparsa anche Gale e una donna che non conosco, che mi viene presentata come Alma Coin, la Presidentessa del Distretto 13. Sono colpita dal suo sguardo, così penetrante e intenso che sembra possa leggere nel mio cuore ogni singolo pensiero. Mi inquieta, a dir la verità e istintivamente non mi fido di lei, così seria, austera e distaccata.
Sediamo tutti dallo stesso lato del tavolo su cui è posto il televisore che in questo momento mi spaventa per le immagini che mostrerà. Suppongo che gli altri abbiano già visto il filmato in questione, devono aver richiesto la presenza mia e di Finnick per mostrare qualcosa anche a noi. Qualcosa che sicuramente riguarderà Peeta ed Annie! Il mio cuore sobbalza al pensiero di ciò che vedremo e il senso di impotenza mi attanaglia. Senza rendermene conto ho avvicinato la mia sedia a quella di Finnick e siamo entrambi in prima fila per assistere allo spettacolo.
Plutarch ci si rivolge: “Siete pronti?”
Noi annuiamo in silenzio, troppo tesi per dire qualsiasi cosa.
Un istante dopo il televisore si accende e delle grida strazianti invadono la sala.
                                                                                                            *
Ciò che vedo mi gela il sangue nelle vene. Stanno mostrando le immagini dei bombardamenti sul Distretto 12.
C’è gente che urla terrorizzata e scappa, senza una vera destinazione, con la sola speranza di non morire. Gli edifici cadono, sbriciolati dalla forza delle bombe rilasciate senza pietà dagli aerei di Capitol City; le macerie in caduta travolgono tutto, senza ritegno. Una famiglia sta fuggendo proprio nei pressi di un edificio che viene colpito. Il tetto crolla, seguito dagli spessi muri di cemento. Il sadico cameraman indugia sulla scena. Nessuno esce da sotto le macerie. Una famiglia intera si è spenta.
Vorrei distogliere lo sguardo e mettere fine a questa tortura, ma i miei occhi sono incollati allo schermo, sono preda della devastazione e del panico, come se mi trovassi in mezzo a quelle strade. Chiudo li occhi per un solo istante e quando li riapro i bombardamenti sono finiti, gli aerei militari stanno facendo ritorno alla base, lasciandosi alle spalle morte e distruzione.
L’immagine cambia e ci mostra il momento in cui Peeta e Johanna sono stati prelevati dall’arena. Due hovercraft in volo calano una squadra di uomini ciascuno. Questi, senza esitazione, caricano brutalmente i nostri compagni sui carrelli elevatori collegati al primo hovercraft e li fanno risalire lentamente, per permettere a noi ribelli sopravvissuti di vedere i volti dei nostri amici feriti. Rossi di sangue, con gli occhi chiusi, immobili, apparentemente privi di vita. La telecamera zooma sui loro volti, offrendoci dei primi piani agghiaccianti. Poi, gli elevatori raggiungono i portelli, che si richiudono alle loro spalle e permettono ai velivoli di riprendere il volo. Quello contenente Peeta e Johanna apre la strada e, per qualche secondo, volano in fila, poi il secondo hovercraft devia, diretto verso un’altra meta.
Le riprese ora mostrano le immagini di un Distretto parzialmente circondato dalle acque e Finnick sussulta, riconoscendo quelle strade a lui ben note. Si tratta del Distretto della pesca. Dei soldati in uniforme bianca scendono dall’aeromobile e si dirigono verso una piccola casa dalle pareti rosa non distante dal luogo dell’atterraggio. Percorrono il vialetto alberato, cosparso di fiori dai mille colori. Sfondano la porta e una ragazza grida, spaventata da questa improvvisa irruzione. Finnick emette un gemito nel vedere il volto della sua Annie, così minuta e indifesa in confronto a quegli uomini così alti e imponenti. Senza il minimo ritegno la afferrano per i polsi in malo modo,costringendola verso l’ingresso. Lei urla, si dimena e li supplica di lasciarla andare, ma i soldati non si fermano,la portano via di peso, incuranti delle lacrime nei suoi occhi, amare come quelle che anche Finnick sta versando nel vedere la sua amata trattata così brutalmente.
La scena cambia di nuovo e mostra un corridoio buio, sul quale si aprono tre stanze, ognuna occupata da un prigioniero, come dimostrano le targhette nominative sulle grandi porte di ferro sprangate. Il silenzio regna sovrano e le telecamere si spengono.
In sala nessuno ha il coraggio di interrompere il dolore straziante che si è impossessato di me e Finnick. Lui si è spezzato, singhiozza con il volto chino sul tavolo pregando che il silenzio proveniente dalla cella di Annie non significhi che è morta. Io sono sconcertata e furiosa. Sono consapevole che queste immagini sono destinate a me, con il solo scopo di ferirmi e spingermi a rinunciare a qualsiasi atto di ribellione verso Capitol City. Vogliono che mi arrenda, ma non sanno che adesso sono ancora più determinata ad agire. Voglio salvare i miei amici e vendicarmi di tutto il dolore che hanno dovuto sopportare. Voglio che Snow soffra le pene dell’inferno, voglio sentirlo chiedere pietà come la povera Annie,voglio che il suo viso sia macchiato di sangue come i volti di Peeta e Johanna. Ora so di essere davvero la Ghiandaia Imitatrice.
Con un enorme sforzo di volontà sposto lo sguardo verso Gale, verso la Coin e Plutarch. È proprio quest’ultimo che rompe il silenzio, guardandomi dritto negli occhi: “Ho un piano” dice. E il mio cuore riprende a battere.
                                                                                                              *
Ora ci troviamo in una sala adiacente alla prima. Gli spazi sono più ampi, riempiti da tavoli colmi di cartine che raffigurano ogni angolo del territorio di Panem. Plutarch proviene da Capitol City, conosce la città, i meccanismi di difesa e le strade che, dalla nostra postazione,ci condurranno attraverso i boschi sino alla capitale. Il metodo più semplice e veloce per giungere a destinazione sarebbe volare a bordo di un hovercraft fino all’esterno delle mura, ma purtroppo ci è impossibile farlo. Come ci spiega l’ex capo degli strateghi, le torrette di controllo poste sul perimetro cittadino sono in grado, tramite potenti radar, di individuare anche a grandi distanze ogni possibile minaccia aerea. La nostra unica possibilità è di giungere sino ai distretti più vicini a bordo di un piccolo velivolo e, da lì, continuare a piedi cercando poi alcuni accessi sotterranei in disuso ormai da tempo. Lungo la strada nei boschi e nella zona intorno alle mura dobbiamo, inoltre, posizionare qualche decina di micro-telecamere. Potrebbero risultare utili per monitorare le zone circostanti. Le immagini verranno trasmesse qui al Distretto 13 e, in caso di pericolo, saremo avvisati tramite una piccola radio in dotazione a Plutarch.
In questo modo dovremmo riuscire ad evitare di essere scoperti ed entrare in città. Ma è qui che la faccenda si complica: frequenti turni di guardia composti da soldati armati si alternano per salvaguardare la sicurezza per le strade cittadine. Sono accompagnati da ibridi sottoforma di animali rabbiosi addestrati ad attaccare chiunque venga loro segnalato come un intruso. Inoltre, la città è strutturata in quartieri concentrici: ve ne sono tre prima di arrivare al cuore della capitale, ed il passaggio attraverso ognuno di essi è sorvegliato da guardie che richiedono appositi documenti prima di concedere il permesso di entrare.
Qui entra in gioco Plutarch. Usando il suo passepartout vuole farci accedere al cerchio più interno senza destare sospetti. Mentre lui distrae le guardie noi dovremo intrufolarci nella residenza presidenziale e dirigerci alle segrete, dove sono custoditi i nostri amici. Dopodiché, avendo recuperato tre membri in più, ci dirigeremo alle stanze private di Snow per catturarlo e costringerlo a dichiarare i distretti liberi dalla tirannia di Panem.
“Dobbiamo agire in fretta.” dice con sicurezza Gale “Scommetto che anche quelli di Capitol City si stanno già organizzando per attaccare.”
“Senza alcun dubbio” risponde la Coin, “ho avuto modo di conoscere il presidente Snow anni fa, e non è certo il tipo da aspettare che sia l’avversario ad attaccare per primo. Dobbiamo muoverci alla svelta e sperare nel fattore sorpresa.” Ci passa in rassegna con la sguardo uno ad uno.
“Avete 24 ore. Poi si parte.”
                                                                                                            *
Terminati di discutere gli ultimi dettagli, ognuno si dirige ai propri alloggi. Gale si offre di condurmi ai miei, dove finalmente rivedrò mia madre e Prim.
Quando entro nella stanza 507 le trovo entrambe sedute sul comodo letto matrimoniale che occupa metà stanza. Prim si alza e corre ad abbracciarmi, io la stringo forte, non vorrei doverla lasciare andare mai più. Sento le sue lacrime di gioia e le minuscole mani avvinghiarsi a me. Si aggrappa a me ed io a lei.
Quando ci stacchiamo ho modo di guardarla bene in viso: è cresciuta parecchio dall’ultima volta che ci siamo viste, e non intendo solo fisicamente. Ha uno sguardo adulto ormai, le esperienze di queste ultime settimane devono averla toccata profondamente, facendola crescere in fretta, troppo per una ragazzina della sua età. Mi volto verso mia madre, lei sorride, ma non si alza. Con lo sguardo mi sta già dicendo tutto, è il nostro modo di comunicare: poche parole, pochi abbracci. Ci bastano gli sguardi. E dai suoi occhi velati di commozione capisco che è felice di vedermi.
“Sono tornata.” Sussurro, rivolta anche a me stessa.

 



Nota dell'autrice:

Ecco finito il primo capitolo! Spero vi sia piaciuto.
Aspetto i vostri commenti.. Che ansia!!!!! Per favore, siate clementi, ma vi prego di commentare, sia in positivo che in negativo! è importante avere il parere di qualcuno che la legge per la prima volta.. Io credo di sapere ogni riga a memoria ormai!!! =)
Aggiornerò presto con il secondo capitolo, ho già una bella sorpresa in serbo per voi!!
Baci
  
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