Benvenuti
a
questo nuovo capitolo. Ringrazio tutti coloro che hanno letto sinora e
spero
che la storia continui a piacere. Buona lettura.
XXXVIII
Cedric
osservava
vacuo la propria immagine, senza riuscire a riconoscersi.
Quel
giovane
uomo, con l'aria da condannato di fronte al plotone d'esecuzione non
poteva
essere lui. "Buon Dio, come ho potuto ridurmi a questo punto! Nemmeno
quando ero apprendista nella segheria dei Winfort ero così!
" si ritrovò a
pensare.
-Siete
vestito
ottimamente, caro figlio-commentò la vedova, guardandolo con
orgoglio- ogni
giorno che passa, mi ricordate vostro padre.-
Il
giovane
Gillford le lanciò un'occhiata stizzita, non gradendo
affatto il complimento.
Non gli interessava affatto sembrare un adone. Lui voleva semplicemente
andarsene in America, lontano da quella gabbia di regole, imposizioni
che lo
faceva sembrare sempre di più un orrendo damerino
impomatato.
-Mi
auguro che
vi comporterete bene-commentò lei, osservandolo.
Nemmeno
allora
il figlio rispose. Era stato nuovamente trascinato a casa dello zio ed
aveva
saputo della lieta novella...per la precisione, della scampagnata
inglese
presso una dama che non aveva mai conosciuto. Malgrado questo viaggetto
comportasse il tutt'altro sgradito allontanamento dal collegio, era
comunque
seccato.
Aveva
saputo che
avrebbe accompagnato la vedova Mc Stone e, per proprietà
transitiva, ritrovare
nuovamente quell'irritante ragazzina che questa ospitava. -La vedova Mc
Stone è
una gentildonna d'indiscussa generosità. Ha preso con
sé la sua sorellastra non
appena ha saputo delle miserevoli condizioni in cui la sua matrigna si
trovava.
Ora ne è tutrice e pare avere molto a cuore la sua sorte,
non badando in faccia
a nessuno. - disse, prima di sorridere- Ha anche predisposto una dote
degna di
una principessa, molto più sostanziosa della precedente.-
Cedric
grugnì
infastidito.
Odiava
quel lato
veniale in sua madre...ma non poteva comunque biasimarla. Avendo dovuto
in
passato far fronte alle ristrettezze che la morte di suo padre aveva
trascinato
con sé, era più che comprensibile la sua smania
di far di conto. Tuttora
continuava a vigilare sulle finanze domestiche, con gran dispiacere
dello zio
che mal sopportava la sua invadenza. Margareth, comunque, agiva anche
nel suo
interesse. Mai per avidità. Se sembrava tanto attaccata alle
spese, la colpa
era solo della vita di stenti che avevano fatto.
-Non
guardatemi
in questo modo- fece lei, accorgendosi del suo sguardo- io non voglio
che voi
siate forzato a fare alcunché...vi chiedo solo di
considerare i pro e i contro
di tutto questo, prima di fare la vostra decisione. Ogni scelta
comporta delle
conseguenze, non dimenticatelo mai.-
Lui non
disse
una parola. Non avrebbe mai mancato di rispetto a sua madre. In qualche
modo,
crescendo, si era sentito responsabile per la sua sorte, anche
perché aveva
visto con i propri occhi la fatica con cui si era accanita con la sorte
per
garantire loro tutto il sostentamento possibile. Margareth era una
donna di
polso e conosceva meglio di chiunque altro questa amara lezione.
-Vorrei
davvero- fece, prendendogli il polso- che comprendeste che non voglio
negarvi
la felicità che potrebbe scaturire da un matrimonio
d'amore...come è accaduto a
me e vostro padre. Penso sempre a voi, in ogni istante del giorno...e
noto con
dispiacere che né Ann, né voi, figlio mio, vi
siete degnati di guardare questa
terra, la stessa che ha visto i vostri genitori nascere. Vi auguro con
tutto il
cuore di avere un'unione serena...ma come potrebbe accadere, se voi
continuate
a rimanere rintanati nei ricordi?-
Queste
parole accompagnarono il giovane americano per tutto il viaggio. La
carrozza
scorreva avanti, lasciando dietro di sé le case e gli
edifici londinesi.
-Voi
pensate che farò una buona figura?- domandò Ann,
rigirandosi nervosamente il
ventaglio tra le mani- Mi hanno istruito sull'etichetta ma, finora, non
ho
avuto molte occasioni di sfoggiare quanto imparato...mi promettete di
correggermi, nel caso in cui...-
-Sorella
mia- disse questi, prendendole uno dei palmi guantati- vi
seguirò come un'ombra
e voi sarete la più nobile di tutte le dame. Vi divertirete
a giocare a cricket
e farete molte piacevoli conversazioni.-
Lei
rise nervosamente.
-Non
ci credo.-continuò, scuotendo la testa.
-Certo
che dovrete crederci. Sarete radiosa e avrete molte amiche...ed io
sarò
gelosissimo perché mia sorella parla meno con me.-concluse,
con un tono
melodrammatico che scatenò l'ilarità della
giovane. Cedric la guardò, non
potendo fare a meno di provare tenerezza. Ogni giorno che passava,
diventava
sempre più bella e non si sarebbe stupito se la sua
previsione si fosse avverata.
L'unica cosa che lo angosciava erano i problemi dati dalle loro origini
che,
malgrado non pesassero a nessuno dei due, erano comunque un fattore da
non
sottovalutare. Bhé, se
c'è qualche
scocciatore, lo sistemerò io, a suon di pugni.
concluse, sorridendo
deliziato dall'idea.
Ignara
di queste riflessioni, Ann Gillford guardava quegli angoli di Londra
che, fino
a quel momento, le erano noti solo per sentito dire. I suoi occhi
castani
seguivano con interesse tutto il susseguirsi dei contorni urbani, dai
giardini
agli edifici in solida muratura. Sperò di non scontentare la
madre, anche
perché non aveva idea di chi fosse la giovane che avrebbe
sposato suo fratello.
Si
augurò che fosse una persona simpatica e piacevole, con cui
poter trascorrere
il tempo. -Fratello-disse improvvisamente- cosa è successo,
quando siete
sparito dal collegio?-
L'americano
si rabbuiò.
-Niente
di particolare. Ho partecipato ad un incontro di boxe clandestino e,
come
sempre, ho vinto. Non hanno però accettato la mia
superiorità e, dopo la
vittoria, mi hanno tramortito, lasciandomi dove mi trovavo...e sono
stato
soccorso da Lady Mc Stone.-rispose sinteticamente.
La
sorella sgranò gli occhi.
-E'lei
la giovane che sposerete?-domandò.
Cedric
rise. -No, vuole impormi la sua sorellastra
però.-ribatté.
Ann
non commentò.
L'atteggiamento
altalenante di suo fratello era assai bizzarro. Non aveva mostrato un
grande
entusiasmo per questa imposizione e si chiese se tale rimostranza fosse
dovuta
all'ennesimo ordine, oppure all'antipatia verso la fidanzata. Chissà com'è si
disse, mentre le ultime
case lasciavano il posto alla campagna. Suo fratello non aveva molta
stima
delle inglesi. Li trovava leziosi, immorali e gretti come le peggiori
mezzane
di un bordello, con la differenza che erano pure ipocriti. In cuor suo,
sperò
di non fargli fare una pessima figura, dal momento che non era molto
convinta
delle sue capacità. -Credete che la
conoscerò?-chiese con titubanza.
-Chi?-domandò
l'americano, prima di sospirare esasperato- Non temere. Ci
sarà.-
Ann
sgranò gli occhi, disorientata dalla rassegnazione di
Cedric. Non sapeva come
confortarlo, dal momento che tutto lasciava intendere che quella
fantomatica
fidanzata fosse assai spiacevole. Le faceva male sapere che tutte le
responsabilità della sicurezza della loro famiglia
dipendessero da lui. La
madre aveva espresso tutto il suo appoggio per quell'unione, vedendone
gli
evidenti vantaggi economici.
Anche
lei ne avrebbe beneficiato, grazie alla solidità del posto
che il fratello
avrebbe conquistato una volta terminati gli studi, eppure si chiese se
tutto
questo valesse davvero un simile sacrificio. Ricordava i disagi
sofferti quando
vivevano in America e comprendeva le preoccupazioni materne, ma non del
tutto.
Per sfuggire alla miseria, Margareth aveva finito per imporre una
soluzione
conforme alle convenzioni ed aveva finito con il rinnegare in parte il
suo
passato. Lei si era sposata per amore ed aveva vissuto miseramente.
Loro, i
suoi figli, avrebbero vissuto con decoro un matrimonio senza
sentimenti...e
questo, non poteva proprio perdonarglielo.
-Che
avete?-chiese la voce del suo compagno di viaggio, facendola sussultare.
Ann
lo guardò spaurita, con quegli occhi grandi e immensi.
-Nulla,
fratello.-mentì.
Cedric
la osservò incerto. Detestava i momenti in cui si chiudeva
nei suoi attimi di
mutismo. Lo facevano sentire impotente e debole, una sensazione che
odiava
cordialmente. Con un gesto stizzito si tolse i guanti, maledicendo
quell'usanza
snob e fastidiosa. Vedendolo così buio, Ann decise di non
dire più una parola.
Era meglio così, o almeno era il quel modo che la pensava.
-Siamo
arrivati-disse infine, facendo cadere dalle nuvole la ragazza. Non si
aspettava
che il viaggio fosse terminato tanto velocemente...ma non se ne
dispiacque.
Rimanere accanto ad un Cedric di pessimo umore era qualcosa di assai
fastidioso.
Ester
sgranò gli occhi.
L'edificio
dove si trovavano era di età georgiana, dai colori caldi e
piacevoli. Intorno
era disposto un giardino all'italiana, decorato da statue e cimeli di
vario
tipo. Provengono dall'Italia. Il marito
della padrona di casa è appassionato di questo Paese
le aveva detto, con la
sua consueta pacatezza e lei era arrossita, come spesso le succedeva
quando gli
slanci affettuosi di Soledad la raggiungevano in modo del tutto
inaspettato.
Trotterellò per qualche metro, percorrendo incuriosita i
giardini della dimora.
L'aria
profumava di fiori e, sia pure in modo assai impacciato, si ripromise
di
ritrarre quel luogo nella maniera più fedele possibile.
Occhieggiava
con curiosità le varie sculture, da sotto l'ombrellino che
le serviva per
attenuare i raggi del sole. Un lieve sorrise le decorava il volto,
pensando ai
futuri disegni che avrebbe fatto nel corso di quella visita.
-A
cosa state pensando?-domandò la ragazzina accanto a lei.
Ester
sussultò.
-Perdonatemi,
Miss Pertignac.-disse dispiaciuta- Non volevo ignorarvi di proposito.-
Viola
le rivolse un sorriso di accondiscendenza. -Non ne avete ragione.
Capita anche
a me di avere la testa tra le nuvole e di non curarmi troppo di
ciò che ho
attorno. Malgrado le persone guardino con fastidio questa mia tendenza,
non
posso fare diversamente.-rispose, alzando piano le spalle.
-Avete
portato il violoncello?-domandò la bionda.
L'altra
annuì, con un cenno della testa.
-Difficilmente potrei separarmene.-rispose, con leggero
impaccio.
Ester
non commentò.
-Vi
confesso che vorrei potervi fare un ritratto, un giorno-ammise,
sentendosi una
sciocca.
Viola
si fermò un momento.
L'abito
color lavanda le accarezzava morbido i fianchi slanciandola
leggermente. Gli
occhi scuri si piegarono in una smorfia, come se dovesse pensarci un
momento.
-Ne siete convinta?-domandò, non molto sicura di questo tipo
di reazione.
Ester
annuì.
-Non
vedo dove sia il problema.-rispose, sorridendole.
Camminarono
per qualche tempo. Le piante le circondavano, in un morbido abbraccio
verde.
Poco distante, in una posizione defilata, c'era una casa dai tratti
gotici,
grigia e scura. Ester la occhieggiava con curiosità,
chiedendovi chi vi
abitasse dentro. -Voi sapete chi sia la persona che abita in quella
splendida
dimora?-chiese.
Viola
scosse il capo.
Non
aveva risposta ma doveva ammettere che quell'ignoranza la lasciava
stranamente
insoddisfatta.
Mrs.
Chambers possedeva quella palazzina in stile georgiano, fin dai tempi
del suo
bisnonno che comprò la dimora nella speranza di alleviare la
melanconia della
sua sposa.
Un
edificio antico e piacevolmente antiquato, dove erano contenuti diversi
quadri
di Watteu.
-Lady
Mc Stone- disse questa, accogliendo le tre presenti con un sorriso.
L'interessata
si avvicinò.
-Vi
ringrazio per l'invito.-fece- Temevo che i vostri impegni vi avrebbero
impedito
di accettare una nostra visita. L'umidità di Londra
è assai fastidiosa, in
questo periodo ed ho pensato che una piccola permanenza in campagna
potesse...-
-Naturalmente-disse
l'altra, senza mutare espressione- per quanto possa essere impegnata,
la mia
casa sarà sempre aperta a voi.-
Soledad
inclinò la testa.
-Posso
sapere chi sono le gentili fanciulle che vedo?-chiese, con un garbo che
fece
sciogliere le ginocchia a Ester.
-Naturalmente-rispose
la dama spagnola- loro sono la signorina Ester Flore Escobar e la sua
amica,
Miss Viola Pertignac.-
Entrambe
fecero un inchino. Viola indugiò leggermente nell'eseguirlo
e, nervosa, osservò
la padrona di casa. -E'un immenso piacere conoscervi. Ho fatto
predisporre
delle stanze per voi ma mi duole informarvi che dovrete condividere la
camera.
Ho infatti altri ospiti oltre a voi.- rispose, lanciando un'occhiata a
Lady Mc
Stone. Questa le rivolse un sorriso arcaico che non piacque a Ester...e
quando
questa le indicò gentilmente di andare in giardino per poter
beneficiare della
fioritura delle rose nel retro della casa, l'animo della signorina
Escobar
venne colto da un brutto presentimento. Cosa aveva intenzione di fare
sua
sorella?
Ugualmente
obbedì.
-Mi
dispiace dover ricorrere a simili stratagemmi, Mrs. Chambers ma vorrei
preservare la signorina Escobar dalle delusioni. Ne ha avute a
sufficienza e
non si merita di vedersi il sangue avvelenato.-rispose, perdendo
improvvisamente il sorriso, non appena rimasero sole.
La
dama annuì.
-Naturalmente-
disse- che ne pensate di venire a prendere un té nella
veranda? Vi tirerà su di
morale, senza contare che avrete modo di ristorarvi un po'. Non voglio
più
vedervi preda dello sconforto, come sei anni fa. Vi confesso che,
allora, ho
seriamente temuto per la vostra vita.-
Soledad
strinse le labbra. -Non mi piace rivangare quei ricordi- rispose- la
vita è già
sufficientemente amara per consentirmi il lusso d'indulgerci troppo.
Accetto
con piacere il vostro invito.-
Mrs.
Chambers annuì e, con garbo la condusse nel salottino del
piano superiore.
-Devo ammettere che le vostre protette sono assai
graziose.-commentò.
-Ester
è la mia sorellastra, mentre Viola è figlia di
una carissima amica di mio
marito...in verità, mia cara, sono venuta per lei.-disse
Lady Mc Stone,
chinando pudicamente il capo.
La
padrona di casa si fermò.
Una
ruga d'espressione si formò sulla fronte, come una lieve
increspatura...poi
riprese ad avanzare, conducendo la sua ospite nella stanza che aveva
scelto. Un
luogo defilato, lontano da occhi e orecchie indiscrete. -Sapevo che me
lo
avreste chiesto.- fece lei seria.
-Come
lo avete saputo?-domandò a sua volta la dama spagnola.
Mrs.
Chambers sospirò. -Il vostro legame con vostro marito
è una risposta più che
sufficiente, non credete? In ogni caso, ho trovato molte
difficoltà a
introdurre la questione con la signora. Non pare assolutamente ben
disposta.-commentò, con un filo di dispiacere.
Soledad
scosse il capo. -L'orgoglio è un difetto che può
essere assai ingiusto...ma non
la biasimo. Ha riavuto suo marito ma è stata comunque una
sconfitta agli occhi
del Ton.- ammise, senza alcuna traccia di comprensione.
-Avrei
agito anche io in questo modo, soprattutto se fossi stata nei panni di
Mrs.
Price. All'epoca dei fatti, stava tentando di avere un figlio e questo
stress è
stato assai fastidioso.- ribatté Mrs. Chambers.
-E'
vero-convenne Soledad- ma ora ha due eredi maschi. E'in una posizione
oltremodo
sicura. Non ci sarebbero rischi di disperdere il patrimonio. Le
richieste della
mia amica non sono neppure tanto invadenti. Credo che l'orgoglio di
Mrs. Price
farà un'altra vittima. Madeleine non pare intenzionata a
rivedere suo marito e
ad avere dei vantaggi per sé stessa. Chiede soltanto che la
figlia abbia una
dote minima per potersi sistemare.-
-Ne
deduco che voi parteggiate per la cantante, dico bene?-celiò
la padrona di
casa.
Soledad
socchiuse gli occhi.
-Errare
humanum, perseverare diabolicum est -rispose,
citando un proverbio- La sua reputazione come moglie, dopo la fuga del
marito,
era già compromessa. Poteva trovare un modo per evitare
questi imbarazzanti
inconvenienti, uscendone con stile e dignità. Ma non lo ha
fatto...anche se non
credo che ne possa mai essere capace. Non potendo avere il marito come
desiderava, ha fatto del suo meglio per aumentare la presa sul suo
matrimonio.-
Mrs.
Chambers rise. Lady Mc Stone era capace di esprimere giudizi taglienti
e
vagamente arroganti ma pregni di una schiettezza che era assai poco
usata nel
suo ambiente. -Per ottenere qualcosa- disse questa- ho deciso di
chiedere
ufficialmente un incontro con la vecchia Jane, nella speranza che possa
far
cedere la nuora.-
Soledad
annuì. -Ve ne sono immensamente riconoscente, mia buona
amica.- disse.
Ester
si guardò attorno, con emozione.
-Sono
così felice, Viola!-esclamò, con un sorriso ampio
e largo.
I
fiori e le minuscole fontane di pietra ornavano tutto.
-Perché?-domandò
questa.
La
signorina Escobar rise, con quella voce limpida e cristallina che la
contraddistingueva. -Era molto tempo che non uscivo e questa
è la prima volta
che mi trovo in campagna. Non vedo l'ora di poter disegnare tutto
quello che
vedo, di fare i miei bozzetti e provare ad sperimentare l'acquarello.
Siete
certa che mia sorella apprezzerà?-disse, guardando la mora
con uno sguardo
curioso e facendola sorridere di conseguenza.
-Sono
convinta che tutto quello che farete la renderebbe
felice-commentò la
violoncellista- davvero non vi siete accorta che stravede per voi?-
Ester
si fermò.
Certo
che lo aveva notato. Era impossibile non vederlo...ma non sapeva come
affrontare tutto questo. -Ne siete convinta?-chiese.
Viola
rimase sorpresa. -Cosa vi blocca?-domandò lei, non riuscendo
a comprendere le
sue ragioni. L'altra non rispose, limitandosi a scrutare il cielo.
-Sapete come
sono nata?-domandò, attirando nuovamente l'attenzione della
bionda.
Ester
scosse il capo.
-Sono
la figlia naturale di Madame Pertignac-rispose questa, senza mutare
d'espressione- Mio padre si invaghì di mia madre e della sua
splendida voce,
abbandonando sua moglie per qualche tempo. Poi ritornò da
quest'ultima, quando
questa lo ricattò di privarlo di ogni avere e mia madre lo
informò che stava
per avere un figlio.- Mosse qualche passo, giocherellando con la stoffa
dei
guanti. -Onestamente, non so come sia...ma mi piacerebbe vederlo,
almeno una
volta. Mia madre però ne soffrirebbe e lei ha fatto tanto
per me. So che il mio
isolamento è colpa della sua leggerezza...ma, in fondo, non
mi ha mai lasciato
sola. Le devo almeno questo, non credete?-
La
bionda non disse niente, non sapendo come rispondere. Non aveva mai
avuto un
vero rapporto con sua madre. Renée si era sposata
giovanissima ed aveva
dimostrato fin da subito una scarsissima attitudine per i bambini. Era
stata
Soledad a prenderla con sé anche allora, occupandosi di lei
in ogni momento.
-Cosa
ne pensate di andare uno di questi giorni a giocare fuori a
cricket?-propose,
come per allontanarsi di dosso simili pensieri.
Viola
annuì, sinceramente curiosa di poter sperimentare
quell'attività. Non aveva mai
fatto un simile sport in uno spazio tanto aperto, anche
perché non era mai
uscita dai confini della propria villa, se non in occasioni
particolari, come
il suo compleanno. In quei momenti, passeggiava insieme alla madre nei
giardini
di Kensington, godendo della bellezza della vegetazione ma non le era
mai
capitato di dedicarsi a simili passatempi. -Non ci ho mai
giocato-confessò,
calando leggermente gli occhi.
Ester
scosse il capo. -Non è difficile- rispose, prima di
avvicinarsi in modo
circospetto- a patto di evitare le finestre!-
Viola
sgranò gli occhi...prima di scoppiare in una risata
cristallina, non appena
comprese la ragione di quella frase.
Suor
Lucia camminava perplessa lungo i grandi viali londinesi, non senza
sentirsi a
disagio. Non era bello che una monaca passeggiasse da sola per quelle
strade
tanto trafficate, soprattutto in una città piena di eretici
come Londra. In
cuor suo, non avrebbe mai voluto obbedire alla richiesta di Lady Mc
Stone e si
chiese cosa le avesse impedito di rifiutarsi in maniera tanto sciocca.
A
quel pensiero si fermò un momento, per poi riprendere la
passeggiata a passo
più spedito. In cuor suo, sapeva cosa l'avesse spinta ad
accettare quella
richiesta.
Guardava
apatica
i propri bagagli, alla ricerca delle cose di cui aveva ancora bisogno.
La
stanza era
illuminata da quel caldo sole mattutino, come spesso succedeva a
Siviglia.
Istintivamente, si chiese cosa la trattenesse ancora in quel luogo.
Forse era
la consapevolezza che presto avrebbe lasciato per sempre quella dimora,
perdendo il suo nome ed abbracciando i voti. Non avrebbe saputo dirlo.
Aveva
tenuto duro per tutta la settimana, quando aveva deciso di salutare
tutti
coloro che le avevano voluto bene...tranne due persone.
Una di
queste
era seduta sul suo letto, con una posa rigida e seria.
-Pilar,
andrai
davvero così lontano?-domandò la bambina,
fissandola con i suoi grandi occhi
verdi.
La
maggiore alzò
la testa, sentendosi male alla vista di quelle iridi. Le sarebbe
piaciuto
averle simili. Erano quelle degli Escobar, che suo padre Don Ignatio
possedeva.
Invece aveva ereditato gli occhi della nonna Donna Rossignol, color
nocciola e
privi di luce. -Sì, Soledad-rispose- ma ti prometto che ti
scriverò tutti i
mesi, tempo permettendo.-
La
piccola non
disse niente...e quel silenzio fece scattare qualcosa nella maggiore.
La
sorellina era
diversa dalle bambine.
Schiva
e
paurosa, non alzava mai la voce, tanto che spesso e volentieri la sua
presenza
passava inosservata. -Anche Blanca aveva detto che mi avrebbe scritto
ma non lo
ha fatto. E'nella sua nuova casa da diversi mesi ma non mi ha scritto
mai...-fece la bambina mesta-prometti che lo farai almeno tu?-
Pilar
rimase
zitta un momento...per poi annuire, con gli occhi lucidi. Avrebbe
mantenuto la
promessa, facendo in modo da farle avere una lettera ogni settimana,
convinta
che avrebbe vissuto il resto dei suoi giorni nel convento vicino a
Cordoba...ma
questa convinzione venne bruscamente smentita da suo padre che,
all'ultimo
momento, aveva deciso per un convento nella Normandia. Questa notizia
la lasciò
devastata, tanto da farle quasi dimenticare il rispetto per il suo
genitore.
Dopo averlo salutato sbrigativamente, uscì nel corridoio.
Percorse
alcuni
metri, prima di fermarsi per l'ultima volta.
-Spero
che siate
soddisfatta-disse, con tono greve.
Lei
rimase muta,
con gli occhi persi nel vuoto e questa assenza di reazione spinse Pilar
a
proseguire. -Voi sapevate che era mia intenzione prendere i
voti...sapevate a
cosa ho rinunciato...-continuò severa.
-Figlia
mia...-provò a dire questa.
-Non
chiamatemi
così! - la freddò la primogenita, con voce piena
di gelo- Voi non siete più
degna di questo titolo. Ho accettato la monacazione solo per restituire
la
serenità a mio padre. Ho fatto tutto questo
perché desidero il bene di mia
sorella Soledad, che avrà il peso delle vostre colpe...ma so
che tutto questo
non sarà sufficiente.-
Gli
occhi di
Donna Honor si spalancarono.
-Voi
sapevate
che amavo Pedro-continuò la giovane- ma ci sono delle scelte
che necessitano
dei sacrifici...ed io ho scelto gli Escobar, pensando unicamente al
loro bene.
Non come voi.- Mosse qualche passo, superandola. -Da questo momento,
voi siete
solo la moglie di Don Escobar ai miei occhi.- concluse, proseguendo per
la sua
strada, accompagnata dal silenzio assordante che proveniva dal corpo di
quella
donna.
Un
velo di malinconia attraversò il viso di Suor Lucia. Nemmeno
l'accettazione del
velo che lei non aveva mai amato completamente, come invece aveva fatto
credere, era bastata. Fu in quel momento, mentre era assorta in simili
pensieri, che vide la chiesa cattolica nei pressi del quartiere
irlandese.
Fuori da essa, se ne stava una donna vecchia e grassa.
-Siete
giunta infine-fece questa- Prego, il parroco vi sta aspettando.-
La
suora obbedì, entrando dentro l'edificio e venne subito
accolta dal religioso.
-Padre Paul, dico bene?-domandò lei, con un filo
d'incertezza. Il sacerdote
annuì. -In persona-rispose-Voi siete Suor Lucia?-
La
monaca rispose affermativamente. -Ho saputo che
avete notizie di Don Miguel-mormorò, con fare
sommesso- vengo per conto
di una terza persona che desidera mantenere l'anonimato.-
-Capisco-rispose
il prete, increspando la fronte -mi segua nel chiostro per favore.-
Uscirono
dall'ambiente della minuscola chiesa ed entrarono nell'angusto spazio
aperto
dell'interno dell'edificio. Un luogo brullo e spoglio, dove non
cresceva
nemmeno un filo d'erba. Una minuscola madonna, vagamente abbozzata, era
l'unico
decoro di quel posto. -Don Miguel al momento non si trova a Londra.-le
comunicò
il sacerdote.
Suor
Lucia rimase immobile.
-Ne
siete certo?-domandò.
Padre
Paul sospirò. -E'partito alcuni mesi fa per l'Australia, per
convertire le
anime degli indigeni di quella terra di miscredenti.-rispose- Pareva
avere una
certa fretta e, onestamente, non so nemmeno se tornerà. Sarebbe assai scomodo per
lui.-
-Capisco-disse
la monaca affranta.
-No,
disse, temo che non possiate farlo-rispose questi, con un sorriso pieno
d'imbarazzo.
Pilar
alzò la testa.
-Parlate
per enigmi-continuò- ditemi tutto con chiarezza.-
Nell'aria
risuonava un silenzio carico e pesante, come le nubi gonfie di pioggia.
Il
religioso pareva come vergognarsi delle sue stesse parole, lasciando
sgomenta
la monaca, del tutto all'oscuro delle cause del suo turbamento. -Temo
che Don
Miguel non farà ritorno in Inghilterra, anche
perché molte sono le ombre sulla
sua condotta...ma immagino che, con un simile commercio, difficilmente
si
potesse fare in altra maniera.-commentò, storcendo la bocca
in una smorfia
piena di disgusto.
Pilar
lo guardava senza capire.
-A
cosa alludete, in nome del cielo?-domandò, non riuscendo
più a frenarsi.
Il
religioso sospirò, come preso da uno strano pensiero che non
desiderava
condividere con quella monaca. -Riferite alla persona che cercate che
non deve
più venire a farmi simili richieste. Io non mi immischio in
questo genere di
affari e non voglio entrarci.- fece, dandole le spalle- Credetemi, meno
sapete
di tutto questo e meglio sarà per voi, anche se sono
sorpreso che vi abbiano
tenuto nell'ignoranza.-
Poi
mosse nuovamente i propri passi e, senza aggiungere altro,
tornò nei propri
alloggi, lasciando la suora sempre più confusa.
Oceane
guardò la lettera, con esitazione.
A
lungo aveva tentennato, incerta se aprire o meno quella busta.
Proveniva dalla
Francia...ed un brivido scese lungo la schiena. Mille pensieri si
affastellarono nella sua mente. Cosa volevano ancora? Perché
dovevano accanirsi
sulla sua vita? Non avevano già provocato dei danni, minando
ogni sua sicurezza
e sogno? Una mano calò impietosa sulla sua fronte, come se
tentasse
disperatamente di frenare l'angoscia. Il passato sembrava voler tornare
a
bussare alla sua porta.
-Tutto
bene?-domandò una voce bassa.
L'istitutrice
si girò.
Rashid
era alle sue spalle e la fissava con aria indecifrabile. -Oh,
scusatemi-fece-
stavo pensando e non mi ero accorta di non essere sola.-
L'indiano
non si mosse. -Se volete aprire quella lettera-disse, alludendo alla
busta che
la francese teneva tra le mani- vi conviene andare nello studiolo della
signora. Dovrebbe esserci un coltello da carta sulla scrivania.
E'solita
tenerli lì.-
Oceane
annuì e, ringraziatolo frettolosamente, si
incamminò verso la stanza che gli
aveva indicato.
Era
una cameretta di medio piccole dimensioni, dai colori pastello ed un
arredo
vagamente orientaleggiante. Gli occhi della francese si spalancarono,
preda
dello stupore. Tende pesanti offuscavano leggermente i timidi raggi di
sole.
Incerta, fissò quel posto. Alle pareti erano affissi dei
quadri di Watteu ed
alcuni disegni a carboncino. Un sorriso nacque spontaneo nel viso della
francese. Lady Mc Stone aveva dimostrato un grande interesse per
l'arte, in
ogni sua forma. Riconobbe alcuni bozzetti della signorina Escobar ed un
filo di
tenerezza scese nel cuore di Mademoiselle Treville, mentre prendeva il
coltello
da carta.
Per
quanto potesse sembrare strano, nella sua lunga esperienza
nell'insegnamento,
non aveva mai conosciuto una tale profondità di sentimenti
albergare nel cuore
di una dama. Per molto tempo si era convinta che fosse una naturale
conseguenza
della forma, vedere famiglie fredde, fondate sulla gretta trattativa,
quasi mercantile,
che matrimoni di conseguenza avevano generato, con il freddo raziocinio
di
un'immaginaria catena di montaggio. Incerta socchiuse gli occhi, come
per scacciare
una spiacevole sensazione...e fu allora che accadde.
Vide
un bozzetto, malamente nascosto dietro agli altri, come abbandonato.
L'occhio
della francese si assottigliò e, certa di non essere vista,
prese quel pezzo di
carta. Erano tre persone, una donna e due uomini, per quello che poteva
vedere.
Oceane
inclinò il capo e, senza pensarci troppo, staccò
il foglio.
La
donna aveva un'espressione fintamente arrabbiata e guardava i due che,
con
espressione serena e vagamente strafottente, ridacchiavano. Tutto il
disegno
trasudava una cura che rasentava la perfezione.
Questa
non è la
mano della signorina Escobar concluse infine la donna, non
riuscendo
a notare alcuna somiglianza tra il disegno e lo stile della sua
allieva, che
aveva imparato a riconoscere. Girò il foglio e, in un
angolo, dalla forma assai
più grossolana, faceva capolino il calco di un semicerchio.
L'istitutrice provò
a guardarlo meglio ma il bussare sommesso di Rashid la convinse
ritornare con i
piedi per terra. Si guardò attorno ma, non riuscendo a
trovare il punto dove se
ne stava attaccato il disegno, decise di metterselo in tasca.
-Perdonatemi-
disse questa, spalancando la porta.
Rashid
non commentò. -Vedo che avete trovato il coltello-disse
apatico.
Oceane
annuì.
-Ora
non devo fare altro che aprire la lettera.-mormorò, con fare
frettoloso. Lesta
aggirò l'indiano, pronta a raggiungere la propria camera.
-Signorina
Treville- disse di nuovo l'indiano, facendola bloccare di scatto.
-Assicuratevi
di riportare tutto alla padrona. Non ama che si prendano le cose senza
il suo
permesso.-disse, fissandola dritta negli occhi.
-Sicuro!-esclamò
la francese, accellerando il passo. Nel farlo, comunque, ebbe la
sgradevole
sensazione che quel foglio in tasca fosse diventato improvvisamente
scottante...senza che riuscisse a capire perché.
Questo
aggiornamento è improvviso, lo so. Il fatto è che
ho dato un esame oggi e sono
ormai vicina alla laurea della specialistica. Volevo assolutamente
pubblicare
qualcosa, visto che mi sento di buon umore. Intanto, diciamo che le
cose stanno
prendendo una certa direzione e, vi avviso, alcune cose cominceranno a
prendere
delle direzioni forse poco piacevoli. Al momento giusto, credo, si
capiranno
meglio i sentimenti di Soledad ed il suo animo.
Pilar
ha una
certa immagine della sorella e della propria famiglia...e vi informo
che ci
saranno dei passaggi in cui la odierete. Ester e Viola intanto si
godono un po'
di quiete, con questa scampagnata. I problemi non mancheranno...ma
vedremo come
si metteranno le cose. Victoria per ora è in visita fuori
dalla dimora del
fratello defunto, insieme alla sua famiglia...ecco perché
non ci sono.
Attenzione, con l'andar della storia ci saranno delle pieghe molto
tristi...per
cui occhio.