Ticket to Paris
Capitolo 3: “Gelosia, folle gelosia”
“Sai che ore sono, Paul?”
Paul gli sorrise, squadrando John da capo a piedi: aveva
ancora indosso il pigiama, gli occhi assonnati, i capelli arruffati e un paio
di occhiali sul naso. Gli stava rivolgendo lo sguardo più seccato che gli
avesse mai visto, ma a Paul poco importava perché la notizia che doveva
comunicargli lo avrebbe rallegrato.
“E’ l’ora giusta per dirti che partiamo.”
“Questo lo sapevo già, idiota.” esclamò John, alzando gli
occhi al cielo.
“Ma no, John. Partiamo!” ribadì lui, scandendo
bene le parole, “Ieri sera l’ho detto a papà e non ha fatto storie. Mi lascerà
venire con te.”
John si lasciò scappare uno sbadiglio come se non gliene
importasse poi molto della notizia sensazionale di Paul.
“Oh sì, fantastico, Paul. Ora, se vuoi scusarmi, devo
andare a dormire un altro po’.”
E fece per chiudere la porta, ma Paul rise e la bloccò
con una mano: non era uno stupido, sapeva che John lo stava prendendo in giro e
che stava facendo finta di non condividere il suo stesso entusiasmo. La verità
era nei suoi occhi, gli occhi di John brillavano del suo spirito avventuroso
che pian piano si stava risvegliando con lui quella mattina.
“Andiamo, John, non puoi dormire. Dobbiamo preparare un
sacco di cose, organizzare il viaggio, decidere l’itinerario…”
“E dobbiamo farlo adesso? Adesso adesso?!”
Paul scrollò le spalle: “Certo, perché indugiare? Non sai
che chi dorme non piglia pesci?”
“Se mi avessero dato uno scellino per tutte le volte che
mi sono sentito rivolgere questo detto, a quest’ora sarei ricco, fottutamente
ricco!”
John sbuffò e lo lasciò entrare, chiedendosi perché
avesse scelto proprio Paul “il pignolo” McCartney per quel viaggio.
“Sua Signoria vuole concedermi almeno il permesso di lavarmi
prima?”
“Oh, naturalmente.”
“Allora, vieni di sopra.” gli disse facendogli strada su
per le scale, “Aspettami in camera mia.”
“Posso usare la tua chit-”
cominciò subito a chiedere Paul con un sorriso a trentadue denti stampato sul
viso.
Ma non fece in tempo a finire la frase, in quanto John si
voltò bruscamente e gli puntò un minaccioso indice a un soffio dal suo naso:
“Toccala e sei un uomo morto!”
“D’accordo.” esclamò Paul, ridendo, “Allora posso
sfogliare i tuoi disegni?”
“Non li hai già sfogliati l’ultima volta che sei venuto
qui?”
“E allora? Mi piacciono!”
“Ma non li trovavi di, aspetta com’era…ah! Di dubbio
gusto?” gli chiese John confuso.
“Beh, un uomo non può cambiare le proprie idee?” ribatté scrollando
le spalle.
John sospirò, mentre arrivavano in cima alle scale e
raggiungevano la sua camera da letto.
“Va bene, allora, ma guai a te se tocchi altro.” gli
rammentò dandogli un pizzicotto sul fianco.
Paul si contorse ridendo e gli promise che sarebbe stato
un bravo, obbediente ragazzo e subito dopo, John si sfilò la maglietta, la
lanciò violentemente addosso all’amico e sparì nel bagno. Paul sorrise fra sé,
stringendo la maglietta fra le mani ed entrò nella stanza. Si guardò un po’
intorno. Come al solito, era in disordine: il letto era ancora disfatto, la
chitarra fuori dalla sua custodia, sulla scrivania vi erano numerosi fogli, su
cui vi erano riportate poesie o forse canzoni e i vestiti del giorno prima erano
abbandonati un po’ sul pavimento, un po’ sulla sedia, un po’ dovunque fosse
passato John. Se era vero che la camera di un ragazzo rispecchiava il suo
animo, allora nel caso di John si poteva tranquillamente affermare che la sua
camera da letto fosse la sua anima. C’erano così tante cose, sempre in
costante disordine. Eppure in quel disordine, John riusciva a orientarsi molto
bene e trovare ciò che cercava. Una volta Paul aveva provato a ordinare la sua
scrivania, solo per fargli un favore, disponendo i disegni con i disegni e le
poesie con le poesie, ma John si era arrabbiato moltissimo, perché li aveva
sistemati con un criterio ben preciso e raggruppati in quel modo non avevano
più senso. Gli aveva detto: “Perché deve essere sempre tutto bianco o nero per
te? Esiste anche il grigio, sai?”
Era vero, in fondo, pensò Paul. Per qualunque cosa il suo
approccio era sempre totalmente interessato
o disinteressato. Non aveva vie di mezzo. Quando qualcosa gli piaceva, allora
vi dedicava tutto il tempo del mondo e avrebbe potuto parlarne per ore e ore.
Al contrario, nei confronti di argomenti scomodi lui si chiudeva, ignorandoli
come se non esistessero. Era sempre stato così e se ora stava cambiando era
anche grazie a John. John aveva portato le sfumature nella sua vita, perché per
lui esistevano solo quelle e niente era completamente impossibile né
completamente fattibile. Le vie di scampo, le grane erano sempre pronte, dietro
l’angolo, e Paul aveva imparato a riconoscerle.
Sorridendo per i suoi pensieri, si sedette sul letto,
sprofondando nel soffice materasso e poi allungò una mano sotto il letto, lì
dove John nascondeva il suo album degli schizzi. Era un piccolo quaderno con la
copertina bordeaux, un po’ logora agli angoli e con alcuni sbaffi di tempera
gialla, arancione e verde. Paul si sdraiò sul letto, appoggiando la testa sul
cuscino e cominciò a sfogliare l’album. Non aveva problemi a dire che la prima
volta che aveva visto i disegni di John fosse rimasto piuttosto spiazzato,
proprio come quando l’aveva conosciuto. Non capiva esattamente quale fosse
l’ispirazione o l’intenzione dietro al disegno. Cosa aveva portato John a
disegnare quel particolare soggetto in quella particolare posizione? Poi
osservando i diversi disegni, che ritraevano piccoli omini completamente nudi,
pelati con pance prominenti, quasi degli uomini a forma d’uovo, aveva
ridacchiato. Paul aveva imparato ad apprezzare quegli schizzi, con quello stile
semplice e diretto, con quell’ironia che traspariva anche dalla sua arte, non
solo dal suo modo di fare musica. Gli piacevano perché non era necessario
trovare sempre una spiegazione all’arte, ma soprattutto perché quei disegni non
rappresentavano nient’altro che ogni minimo particolare che passava per la
testa del loro autore. Quelle scene, surreali certo, erano perfettamente nitide
dentro di lui, John le vedeva con gli occhi della mente e rapidamente le
riportava su carta, senza esitazioni. Il suo tratto era deciso, quasi elegante…
perfetto! E sì, Paul trovava l’arte di John assolutamente affascinante.
“Questo è nuovo?” chiese, quando John entrò in camera e
cominciò a vestirsi con un paio di jeans e una maglietta.
“Sì, l’ho fatto ieri sera.”
Paul si mise a sedere, continuando a guardare il disegno:
c’era uno di questi omini pelati simili a uova, che suonava la tromba per
chiedere l’elemosina e in mano aveva un bastone e il guinzaglio di un
cagnolino. (1)
“Senti, John, se non riusciremo a sfondare con la band,
potresti provare a farlo con questi. Magari riesci a piazzarne qualcuno come ha
fatto Stuart (2).”
John scoppiò a ridere, mentre si infilava gli stivali e
quasi perse l’equilibrio: “Sì, certo. Come se qualcuno fosse interessato a
comprare questa merda.”
“Perché no? Riesco già a vederla, la mostra delle opere
del grande John Lennon. E le file per poter entrare per dare solo un rapido
sguardo ai tuoi disegni.”
“Ragazzino, ti ho già proposto di partire con me, puoi
anche smetterla di leccarmi il culo, anche perché l’ho appena lavato.”
“Ma dico sul serio, John.” protestò Paul sinceramente.
John gli si avvicinò e lo guardò per un lungo istante,
con una sorta di tacita gratitudine negli occhi; poi sorrise, scompigliandogli
affettuosamente i capelli con una mano e facendo comparire sul suo volto una
smorfia infastidita.
“Piuttosto, che ne dici di cominciare a spendere un po’
di queste sterline?”
La domanda spazzò via in un battibaleno il fastidio che
Paul stava provando dal momento che i suoi capelli non erano più ordinati come
lui li aveva pettinati.
“Dico… grande!”
“Andiamo allora.”
John gli fece cenno di uscire e Paul sistemò l’album
sotto il materasso, al proprio posto. Poi si alzò e seguì John fino al piano di
sotto.
“Esattamente dove stiamo andando?” gli chiese mentre
uscivano di casa.
“Pensavo che, considerato che dovremmo muoverci con
l’autostop, ci conviene essere presentabili. L’aspetto da Teddy
boy non è particolarmente raccomandabile, ti pare?” gli fece notare John e poi
sbuffò terribilmente contrariato.
“Cosa proponi allora?”
“Ragiona, Paul, qual è l’inconfondibile segno di
riconoscimento del classico gentiluomo inglese?”
Paul ci pensò un po’ su, portandosi un dito sulle labbra.
Poi la risposta gli balenò nella testa, come un fulmine a ciel sereno.
“La bombetta!”
“Esattamente.” esclamò John e gli diede una sonora pacca
sulla spalla, “Recuperiamone un paio, che ne dici?”
Paul scoppiò a ridere: “Mi sono sempre chiesto come sarei
sembrato con una bombetta in testa!”
“Come un coglione, Paul. Ma ci serve.” gli disse John,
afferrandogli la manica della giacca e tirandolo per affrettarsi.
Paul annuì e tenne il passo. Poi all’improvviso si
ricordò di una sua grave mancanza nei confronti di John, una mancanza a cui
doveva assolutamente porre rimedio. Come aveva potuto non rivolgergli quella
parola dopo tutto quello che John stava facendo per lui?
“John?” lo chiamò Paul, fermandosi in mezzo alla strada.
“Mm?”
“Grazie.”
L’amico si voltò a guardarlo con un’espressione sorpresa
e divertita nello stesso momento: “Per cosa?”
“Per aver scelto me.”
“Chi altri avrei
dovuto scegliere?” gli domandò lasciandosi scappare una risata, come se
credesse che Paul non stesse parlando sul serio, che fossero ancora in modalità
“burloni”.
Ma Paul arrossì e scosse il capo, evitando lo sguardo di
John: “Nessuno, John. Nessuno.”
Ma John era riuscito a vederlo, il dubbio negli occhi di
Paul, il dubbio reale che Paul stava goffamente cercando di nascondergli. E non
era solo nei suoi occhi, era scritto su tutto il suo volto chi altri John avrebbe
potuto scegliere.
Stupido ragazzo.
John sorrise lievemente.
“Paul, lo sai che, anche se ci fosse stato lui,
avrei scelto sempre te?”
****
Eccolo lì. Stuart non-azzecco-una-nota-una Sutcliffe.
Più Paul lo guardava, più sentiva ribollire
in lui il sangue. Stuart non era mai stato un grande bassista, anzi, poteva
affermare benissimo che non fosse neanche un musicista. Era nella band perché
era il migliore amico di John. E quella era decisamente una ragione molto
valida, con tutta la storia che la band era di John e bla bla bla vari…
Peccato che l’unico vero contributo che
Stuart stava dando al gruppo fosse il richiamo di un flusso costante di
ragazze, perché lui era quello più bello, più elegante, più pacato. Era quello
che dopo ore e ore di suonare e cantare, era ancora perfettamente asciutto,
pulito e profumato, mentre tutti gli altri sembravano aver partecipato alla
maratona delle Olimpiadi. Come faceva? Come-cazzo-faceva? Dopo ogni esibizione
Paul puzzava come se non si fosse mai lavato in vita sua. Fortunatamente era
una questione che sembrava non importare alle ragazze che rimorchiava ogni
sera. Dopotutto, anche lui aveva un fascino niente male. Era un aspetto di se
stesso che aveva cominciato a notare quando era entrato a far parte della band
di John. Aveva cominciato a notarlo e soprattutto aveva cominciato a curarlo.
Quando ti esibisci su un palco non basta il talento, conta molto anche
l’aspetto esteriore e Stuart era l’esempio perfetto. E quando ti esibisci di
fronte a ragazze in preda agli ormoni, il talento conta ancor meno.
Tuttavia Paul non si impegnava a suonare per
questo genere di pubblico. O almeno non solo per loro.
Avevano da poco terminato di esibirsi per
quella notte. Come al solito c’era un gruppo di pollastrelle tedesche in attesa
di fiondarsi su di loro, e da come John e George ammiccavano fra loro, anche
quei due sembravano impazienti di tuffarsi in quell’attività post-concerto.
Paul non era da meno ovviamente, ma prima sentiva il bisogno impellente di far
notare a tutto il gruppo una certa questione.
“Abbiamo fatto fottutamente schifo questa
sera!” sbottò adirato, mentre ognuno riponeva il proprio strumento nella
custodia.
“Cosa? No, non è vero.” ribatté John,
sorridendo.
“Sì, invece, George era completamente
scordato-”
“Ehi, vaffanculo, sono le corde nuove!”
protestò accaldato il componente più piccolo della band.
Ma Paul lo ignorò e proseguì, rivolgendosi a
John: “Tu hai dimenticato le parole di ‘Sweet little sixteen’ e non fammi
parlare di Stuart, perché altrimenti restiamo qui per tutta la notte.”
“Paul-” cominciò John, con il tono di chi
stava per affrontare una questione trita e ritrita, ma fu interrotto da Stuart
che lo affiancò.
Sul suo bel viso vi era la più serena delle
espressioni. Tutto l’opposto, invece, mostrava il viso di Paul.
“No, John, lascialo parlare. Sono curioso di ascoltare
ciò che ha da dire il nostro piccolo amico.”
Paul corrugò la fronte ancor di più, se fosse
stato effettivamente possibile, e le sue mani si strinsero immediatamente in
pugni: “Lo sai che cazzo devo dire, che suoni di merda e che con te nel gruppo
non riusciremo mai a sfondare, che a causa tua resteremo sempre bloccati in
questi locali squallidi, a suonare per un piatto di fottuti fagioli. Non è
questo il mio obiettivo e non starò a guardare mentre tu rovini le nostre vite
e ci-”
“Finiscila ora!” lo interruppe bruscamente
John, evidentemente turbato dalla situazione che stava degenerando.
Al suo fianco Stuart ridacchiava estremamente
allegro: “Sei davvero uno spasso, Paul. Potrei farmi la ramanzina da solo
ormai, dici sempre le stesse cose.”
“Almeno qualcuno lo dice in questo gruppo di
merda. Nessuno ha il coraggio di farlo, a quanto pare, vero, John?”
“Oh, Paul, suvvia…non tirare in ballo il
povero Johnny. Non è mica colpa sua se sono io a sbagliare.”
“Ma è colpa sua se sei nella band.”
“John mi sta dando una possibilità perché
sono il suo migliore amico, Paul.” commentò Stuart, guardandolo con un’aria e
un sorriso che agli occhi di Paul parvero di sfida.
E insieme alle parole che Stuart aveva
pronunciato, ‘migliore amico’, quella sfida lo colpì
in pieno petto con la lama infuocata della gelosia. Non era nient’altro che
gelosia, folle, sconvolgente gelosia. La gelosia che lo rendeva cieco, la
gelosia che Paul non aveva mai provato in quel modo morboso per qualcuno e che
provava ora per John.
“Ma tu non la stai sfruttando e di certo non
lo stai ripagando per la fiducia.”
Stuart rise nuovamente: “E chi sei tu? Il suo
avvocato difensore?”
E con queste ultime parole, Stuart avvolse un
braccio intorno al collo di John. Paul non ci vide più. Non era l’avvocato
difensore di nessuno, anzi, forse lui avrebbe dovuto cercarne uno dopo quello
che aveva intenzione di fare.
Si lanciò su Stuart ed entrambi caddero per
terra con un tonfo sordo, tra gli sguardi sbigottiti degli altri componenti
della band. Paul aveva cominciato a sfogare la sua rabbia sul ragazzo sotto di
lui, con pugni ben piazzati sull’elegante mascella di Stuart. Il suo
contendente non rimase a guardare, scalciava alla cieca, nella speranza di
colpire il suo aggressore e con le mani cercò di afferrarlo per le spalle.
Quando ci riuscì, ribaltò le loro posizioni e l’istante dopo, fu lui quello a
riversare una scarica di pugni sul bel viso di Paul. I loro compagni cercarono
di farli ragionare a parole, ma accorgendosi che nulla avrebbe potuto fermare i
due folli rivali e notando che il sangue era magicamente apparso sul labbro
dell’uno e dell’altro, decisero di intervenire fisicamente. George e Pete
afferrarono Stuart, attirandolo lontano da Paul, mentre John agguantava il
ragazzino che aveva scatenato per primo quella rissa e lo costringeva ad
alzarsi. Poi lo spinse malamente giù dal
palco.
“Vai a farti un giro, Paul, e cerca di
schiarirti le idee.” sbottò infastidito John.
Paul si asciugò il sangue sul labbro e lo
guardò, come se fosse stato John a causargli quella ferita. E in un certo senso
era proprio così. L’aveva appena fatto, prendendo le difese di Stuart prima,
con le sue parole piene di rancore ora, con il suo spintone arrabbiato. L’aveva
ferito. No, non sul labbro. L’aveva ferito più in profondità, molto in
profondità, dentro di lui.
“Sì, certo, tanto lo sapevo.”
John guardò l’espressione afflitta sul volto
dell’amico e sospirò esausto, passandosi una mano fra i capelli: “Cosa?”
“Che avresti scelto Stuart, John. Scegli
sempre Stuart.”
****
Paul annuì timidamente sotto lo sguardo sincero e ardente
di John.
Ma certo che avrebbe scelto Paul, era stato John a
sceglierlo come suo compagno di band e l’avrebbe scelto per sempre. John
l’aveva voluto al suo fianco. Con Stuart era completamente diverso. Stuart era
capitato nella sua vita, come la maggior parte delle persone capitano nella
vita di chiunque. John aveva fatto amicizia con lui a scuola e lo riteneva
certamente uno dei suoi amici più cari, ma non l’aveva scelto lui per primo.
E chissà se Paul sarebbe mai riuscito a capire quella
piccola, grande differenza, chissà se quella stupida, inutile gelosia che
provava per lui sarebbe mai cessata. Una piccola parte di John si sentiva così
incredibilmente lusingata dal fatto che Paul tenesse tanto a lui e che
probabilmente avrebbe trascinato con sé quella gelosia per tutta la sua vita;
ma tutto dentro di lui gli urlava che Paul fosse solo uno stupido ragazzino perché
provava un sentimento del genere nei suoi confronti, che sprecasse tempo ed
energie a ricercare così ossessivamente l’affetto e l’attenzione di John,
perché in realtà non ne valeva la pena. John era solo uno stronzo epocale che
non meritava neanche lontanamente di stare con Paul e si meravigliava che lui
gli offrisse un’amicizia così pura e sincera, così fondamentale ormai per la
sua vita, che sarebbe stato John a soffrire per primo nel non avere Paul sempre
al suo fianco.
Per questo l’aveva scelto e avrebbe continuato a farlo
per tutta la sua vita, anche quando Paul si fosse stancato di lui o quando
avesse trovato una ragazza tutta per sé.
“Bene, allora proseguiamo e guai a te se rompi ancora con
questa storia del cazzo. Chiaro?”
“Cristallino, John.” rispose Paul, con un sorriso
decisamente più rincuorato.
Ripresero a camminare e John cominciò a illustrargli i
suoi progetti per il viaggio. Avrebbero fatto l’autostop fino a Dover e poi
preso il traghetto per Calais ( “Traghetto? Mi verrà di nuovo il mal di mare,
John!”, “Preferisci farla a nuoto? È un bel pezzo fino a Calais.”, “Il
traghetto andrà più che bene, John.”) e da lì di nuovo autostop. Paul era così
eccitato mentre ascoltava John e fu grato di stare camminando, perché sentiva
il bisogno di muoversi in qualche modo, con qualunque parte del suo corpo. Non
era solo a causa del loro viaggio imminente, era anche dovuto a quello che gli
aveva detto John.
John non era mai stato uno a cui piaceva parlare dei
propri sentimenti e faceva fatica a mostrare quanto tenesse a una persona, Paul
lo sapeva bene. Lo sapeva perché aveva lasciato che John lo prendesse in giro
per quella sua folle gelosia e qualche volta John aveva usato anche parole
forti da rivolgere contro di lui, parole che Paul non si aspettava, ma era
arrivate e lui le aveva accolte pazientemente, senza rispondere, perché quello
era solo il modo di rapportarsi di John. Così come sapeva essere il ragazzo
allegro e dolce che si precipitava dal suo migliore amico per chiedergli di
partire con lui, poteva anche diventare scorbutico, violento e pesante quando
indirizzava a Paul appellativi poco cortesi e no, non in un modo scherzoso. Eppure
Paul sopportava tutto, perché quando decidi di stare con qualcuno, devi accettare
ogni parte di lui. E Paul aveva accettato il sole di John così come le sue
tenebre.
Per questo motivo, sentirgli dire ora, che avrebbe scelto
Paul su chiunque altro lo aveva letteralmente mandato in estasi. Avrebbe voluto
mostrargli chiaramente come si sentisse, avrebbe voluto scrivergli una canzone
per arrivare a lui, ma si trattenne, altrimenti poi John lo avrebbe preso in
giro e non era una cosa su cui lui volesse essere preso in giro. Era il
sentimento d’amicizia più caro che avesse e in quanto tale lo custodiva come il
tesoro più prezioso, dentro di lui, al sicuro da chiunque avesse voluto
distruggerlo senza pietà.
Così seguì John quando si infilò nel primo negozio di
cappelli che incrociarono per strada, lo seguì per provare quelle bombette così
tipicamente inglesi ( “Mi va piccola”, “Non dovresti sorprenderti, John, con il
testone che ti ritrovi!”, "Stu, oh Stu, torna da me! Tu sì che eri un vero amico…"), lo
seguì quando pagarono i due cappelli alla cassa. E poi il suo sguardo fu così
attento, così preso da come il cappellaio stesse impacchettando le bombette che
improvvisamente perse di vista John. Paul si guardò intorno nel locale e non lo
vide: doveva essere uscito. Prese le due scatole, salutò e ringraziò l’uomo e
uscì dal negozio. John non era da nessuna parte per strada, né nel negozio
vicino.
Dove diavolo era finito?
Infine lo vide, in un vicolo che costeggiava il negozio
di cappelli, fra le braccia di una ragazza con la gonna che arrivava alle
ginocchia, un maglioncino di lana soffice e i capelli lunghi e biondi, John fra
le braccia di Cynthia, sulla sua bocca, con le mani dovunque sulla sua schiena.
Paul indietreggiò subito, rendendosi conto che nonostante
tutto, John non avrebbe potuto scegliere sempre lui, che qualunque cosa
John gli avesse detto, Paul sarebbe stato solo il suo folle amico geloso e lo
sarebbe stato per sempre.
(1)-
Il disegno descritto lo trovate qui: http://articles.latimes.com/2010/oct/08/entertainment/la-et-lennon-20101008
(2)-
Nel 1959 Stuart riuscì a vendere uno dei suoi quadri per la cifra di 65
sterline. Dopo essere stato convinto da John e Paul, Stuart utilizzò quei soldi
per comprare un basso che gli permise di entrare nella band.
Note dell’autrice: e quindi siamo al tre e alla gelosia di Paul. Povero
piccolo! Mi sembra di aver letto sull’Anthology che lui non è mai riuscito a
superare questa gelosia. Urca! XD
Chiedo venia per il tipo di
linguaggio usato, è il motivo principale per cui ho messo il rating arancione
(insieme a qualche scena di risse, che tra l’altro non sono neanche brava a
descrivere, ahi ahi!). Ma dopotutto, usare “perdindirindina”
invece di un più esplicito “c***o” mi sembrava non onorare appieno i
protagonisti.
Ok, ringrazio kiki che corregge i capitoli e mi incoraggia sempre. J E anche tutti quelli che recensiscono o leggono
semplicemente.
Nel prossimo capitolo, “Pronti
a tutto”, è ora di partire… un piccolo indizio sul flashback: le parole Nerk Twins vi dicono qualcosa? ;)
Buona giornata
Kia85