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Autore: Kia85    19/09/2013    6 recensioni
Liverpool 1961. Quando John Lennon riceve in regalo cento sterline, non pensa molto prima di chiedere al suo amico Paul McCartney di unirsi a lui in un viaggio all’insegna dell’avventura, un viaggio che cambierà la loro vita, la loro amicizia e li preparerà a essere Beatles.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon , Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ticket to Paris

 

Capitolo 3: “Gelosia, folle gelosia

 

“Sai che ore sono, Paul?”

Paul gli sorrise, squadrando John da capo a piedi: aveva ancora indosso il pigiama, gli occhi assonnati, i capelli arruffati e un paio di occhiali sul naso. Gli stava rivolgendo lo sguardo più seccato che gli avesse mai visto, ma a Paul poco importava perché la notizia che doveva comunicargli lo avrebbe rallegrato.

“E’ l’ora giusta per dirti che partiamo.”

“Questo lo sapevo già, idiota.” esclamò John, alzando gli occhi al cielo.

“Ma no, John. Partiamo!” ribadì lui, scandendo bene le parole, “Ieri sera l’ho detto a papà e non ha fatto storie. Mi lascerà venire con te.”

John si lasciò scappare uno sbadiglio come se non gliene importasse poi molto della notizia sensazionale di Paul.

“Oh sì, fantastico, Paul. Ora, se vuoi scusarmi, devo andare a dormire un altro po’.”

E fece per chiudere la porta, ma Paul rise e la bloccò con una mano: non era uno stupido, sapeva che John lo stava prendendo in giro e che stava facendo finta di non condividere il suo stesso entusiasmo. La verità era nei suoi occhi, gli occhi di John brillavano del suo spirito avventuroso che pian piano si stava risvegliando con lui quella mattina.

“Andiamo, John, non puoi dormire. Dobbiamo preparare un sacco di cose, organizzare il viaggio, decidere l’itinerario…”

“E dobbiamo farlo adesso? Adesso adesso?!”

Paul scrollò le spalle: “Certo, perché indugiare? Non sai che chi dorme non piglia pesci?”

“Se mi avessero dato uno scellino per tutte le volte che mi sono sentito rivolgere questo detto, a quest’ora sarei ricco, fottutamente ricco!”

John sbuffò e lo lasciò entrare, chiedendosi perché avesse scelto proprio Paul “il pignolo” McCartney per quel viaggio.

“Sua Signoria vuole concedermi almeno il permesso di lavarmi prima?”

“Oh, naturalmente.”

“Allora, vieni di sopra.” gli disse facendogli strada su per le scale, “Aspettami in camera mia.”

“Posso usare la tua chit-” cominciò subito a chiedere Paul con un sorriso a trentadue denti stampato sul viso.

Ma non fece in tempo a finire la frase, in quanto John si voltò bruscamente e gli puntò un minaccioso indice a un soffio dal suo naso: “Toccala e sei un uomo morto!”

“D’accordo.” esclamò Paul, ridendo, “Allora posso sfogliare i tuoi disegni?”

“Non li hai già sfogliati l’ultima volta che sei venuto qui?”

“E allora? Mi piacciono!”

“Ma non li trovavi di, aspetta com’era…ah! Di dubbio gusto?” gli chiese John confuso.

“Beh, un uomo non può cambiare le proprie idee?” ribatté scrollando le spalle.

John sospirò, mentre arrivavano in cima alle scale e raggiungevano la sua camera da letto.

“Va bene, allora, ma guai a te se tocchi altro.” gli rammentò dandogli un pizzicotto sul fianco.

Paul si contorse ridendo e gli promise che sarebbe stato un bravo, obbediente ragazzo e subito dopo, John si sfilò la maglietta, la lanciò violentemente addosso all’amico e sparì nel bagno. Paul sorrise fra sé, stringendo la maglietta fra le mani ed entrò nella stanza. Si guardò un po’ intorno. Come al solito, era in disordine: il letto era ancora disfatto, la chitarra fuori dalla sua custodia, sulla scrivania vi erano numerosi fogli, su cui vi erano riportate poesie o forse canzoni e i vestiti del giorno prima erano abbandonati un po’ sul pavimento, un po’ sulla sedia, un po’ dovunque fosse passato John. Se era vero che la camera di un ragazzo rispecchiava il suo animo, allora nel caso di John si poteva tranquillamente affermare che la sua camera da letto fosse la sua anima. C’erano così tante cose, sempre in costante disordine. Eppure in quel disordine, John riusciva a orientarsi molto bene e trovare ciò che cercava. Una volta Paul aveva provato a ordinare la sua scrivania, solo per fargli un favore, disponendo i disegni con i disegni e le poesie con le poesie, ma John si era arrabbiato moltissimo, perché li aveva sistemati con un criterio ben preciso e raggruppati in quel modo non avevano più senso. Gli aveva detto: “Perché deve essere sempre tutto bianco o nero per te? Esiste anche il grigio, sai?”

Era vero, in fondo, pensò Paul. Per qualunque cosa il suo approccio era sempre  totalmente interessato o disinteressato. Non aveva vie di mezzo. Quando qualcosa gli piaceva, allora vi dedicava tutto il tempo del mondo e avrebbe potuto parlarne per ore e ore. Al contrario, nei confronti di argomenti scomodi lui si chiudeva, ignorandoli come se non esistessero. Era sempre stato così e se ora stava cambiando era anche grazie a John. John aveva portato le sfumature nella sua vita, perché per lui esistevano solo quelle e niente era completamente impossibile né completamente fattibile. Le vie di scampo, le grane erano sempre pronte, dietro l’angolo, e Paul aveva imparato a riconoscerle.

Sorridendo per i suoi pensieri, si sedette sul letto, sprofondando nel soffice materasso e poi allungò una mano sotto il letto, lì dove John nascondeva il suo album degli schizzi. Era un piccolo quaderno con la copertina bordeaux, un po’ logora agli angoli e con alcuni sbaffi di tempera gialla, arancione e verde. Paul si sdraiò sul letto, appoggiando la testa sul cuscino e cominciò a sfogliare l’album. Non aveva problemi a dire che la prima volta che aveva visto i disegni di John fosse rimasto piuttosto spiazzato, proprio come quando l’aveva conosciuto. Non capiva esattamente quale fosse l’ispirazione o l’intenzione dietro al disegno. Cosa aveva portato John a disegnare quel particolare soggetto in quella particolare posizione? Poi osservando i diversi disegni, che ritraevano piccoli omini completamente nudi, pelati con pance prominenti, quasi degli uomini a forma d’uovo, aveva ridacchiato. Paul aveva imparato ad apprezzare quegli schizzi, con quello stile semplice e diretto, con quell’ironia che traspariva anche dalla sua arte, non solo dal suo modo di fare musica. Gli piacevano perché non era necessario trovare sempre una spiegazione all’arte, ma soprattutto perché quei disegni non rappresentavano nient’altro che ogni minimo particolare che passava per la testa del loro autore. Quelle scene, surreali certo, erano perfettamente nitide dentro di lui, John le vedeva con gli occhi della mente e rapidamente le riportava su carta, senza esitazioni. Il suo tratto era deciso, quasi elegante… perfetto! E sì, Paul trovava l’arte di John assolutamente affascinante.

“Questo è nuovo?” chiese, quando John entrò in camera e cominciò a vestirsi con un paio di jeans e una maglietta.

“Sì, l’ho fatto ieri sera.”

Paul si mise a sedere, continuando a guardare il disegno: c’era uno di questi omini pelati simili a uova, che suonava la tromba per chiedere l’elemosina e in mano aveva un bastone e il guinzaglio di un cagnolino. (1)

“Senti, John, se non riusciremo a sfondare con la band, potresti provare a farlo con questi. Magari riesci a piazzarne qualcuno come ha fatto Stuart (2).”

John scoppiò a ridere, mentre si infilava gli stivali e quasi perse l’equilibrio: “Sì, certo. Come se qualcuno fosse interessato a comprare questa merda.”

“Perché no? Riesco già a vederla, la mostra delle opere del grande John Lennon. E le file per poter entrare per dare solo un rapido sguardo ai tuoi disegni.”

“Ragazzino, ti ho già proposto di partire con me, puoi anche smetterla di leccarmi il culo, anche perché l’ho appena lavato.”

“Ma dico sul serio, John.” protestò Paul sinceramente.

John gli si avvicinò e lo guardò per un lungo istante, con una sorta di tacita gratitudine negli occhi; poi sorrise, scompigliandogli affettuosamente i capelli con una mano e facendo comparire sul suo volto una smorfia infastidita.

“Piuttosto, che ne dici di cominciare a spendere un po’ di queste sterline?”

La domanda spazzò via in un battibaleno il fastidio che Paul stava provando dal momento che i suoi capelli non erano più ordinati come lui li aveva pettinati.

“Dico… grande!”

“Andiamo allora.”

John gli fece cenno di uscire e Paul sistemò l’album sotto il materasso, al proprio posto. Poi si alzò e seguì John fino al piano di sotto.

“Esattamente dove stiamo andando?” gli chiese mentre uscivano di casa.

“Pensavo che, considerato che dovremmo muoverci con l’autostop, ci conviene essere presentabili. L’aspetto da Teddy boy non è particolarmente raccomandabile, ti pare?” gli fece notare John e poi sbuffò terribilmente contrariato.

“Cosa proponi allora?”

“Ragiona, Paul, qual è l’inconfondibile segno di riconoscimento del classico gentiluomo inglese?”

Paul ci pensò un po’ su, portandosi un dito sulle labbra. Poi la risposta gli balenò nella testa, come un fulmine a ciel sereno.

“La bombetta!”

“Esattamente.” esclamò John e gli diede una sonora pacca sulla spalla, “Recuperiamone un paio, che ne dici?”

Paul scoppiò a ridere: “Mi sono sempre chiesto come sarei sembrato con una bombetta in testa!”

“Come un coglione, Paul. Ma ci serve.” gli disse John, afferrandogli la manica della giacca e tirandolo per affrettarsi.

Paul annuì e tenne il passo. Poi all’improvviso si ricordò di una sua grave mancanza nei confronti di John, una mancanza a cui doveva assolutamente porre rimedio. Come aveva potuto non rivolgergli quella parola dopo tutto quello che John stava facendo per lui?

“John?” lo chiamò Paul, fermandosi in mezzo alla strada.

“Mm?”

“Grazie.”

L’amico si voltò a guardarlo con un’espressione sorpresa e divertita nello stesso momento: “Per cosa?”

“Per aver scelto me.”

 “Chi altri avrei dovuto scegliere?” gli domandò lasciandosi scappare una risata, come se credesse che Paul non stesse parlando sul serio, che fossero ancora in modalità “burloni”.

Ma Paul arrossì e scosse il capo, evitando lo sguardo di John: “Nessuno, John. Nessuno.”

Ma John era riuscito a vederlo, il dubbio negli occhi di Paul, il dubbio reale che Paul stava goffamente cercando di nascondergli. E non era solo nei suoi occhi, era scritto su tutto il suo volto chi altri John avrebbe potuto scegliere.

Stupido ragazzo.

John sorrise lievemente.

“Paul, lo sai che, anche se ci fosse stato lui, avrei scelto sempre te?”

****

Eccolo lì. Stuart non-azzecco-una-nota-una Sutcliffe.

Più Paul lo guardava, più sentiva ribollire in lui il sangue. Stuart non era mai stato un grande bassista, anzi, poteva affermare benissimo che non fosse neanche un musicista. Era nella band perché era il migliore amico di John. E quella era decisamente una ragione molto valida, con tutta la storia che la band era di John e bla bla bla vari…

Peccato che l’unico vero contributo che Stuart stava dando al gruppo fosse il richiamo di un flusso costante di ragazze, perché lui era quello più bello, più elegante, più pacato. Era quello che dopo ore e ore di suonare e cantare, era ancora perfettamente asciutto, pulito e profumato, mentre tutti gli altri sembravano aver partecipato alla maratona delle Olimpiadi. Come faceva? Come-cazzo-faceva? Dopo ogni esibizione Paul puzzava come se non si fosse mai lavato in vita sua. Fortunatamente era una questione che sembrava non importare alle ragazze che rimorchiava ogni sera. Dopotutto, anche lui aveva un fascino niente male. Era un aspetto di se stesso che aveva cominciato a notare quando era entrato a far parte della band di John. Aveva cominciato a notarlo e soprattutto aveva cominciato a curarlo. Quando ti esibisci su un palco non basta il talento, conta molto anche l’aspetto esteriore e Stuart era l’esempio perfetto. E quando ti esibisci di fronte a ragazze in preda agli ormoni, il talento conta ancor meno.

Tuttavia Paul non si impegnava a suonare per questo genere di pubblico. O almeno non solo per loro.

Avevano da poco terminato di esibirsi per quella notte. Come al solito c’era un gruppo di pollastrelle tedesche in attesa di fiondarsi su di loro, e da come John e George ammiccavano fra loro, anche quei due sembravano impazienti di tuffarsi in quell’attività post-concerto. Paul non era da meno ovviamente, ma prima sentiva il bisogno impellente di far notare a tutto il gruppo una certa questione.

“Abbiamo fatto fottutamente schifo questa sera!” sbottò adirato, mentre ognuno riponeva il proprio strumento nella custodia.

“Cosa? No, non è vero.” ribatté John, sorridendo.

“Sì, invece, George era completamente scordato-”

“Ehi, vaffanculo, sono le corde nuove!” protestò accaldato il componente più piccolo della band.

Ma Paul lo ignorò e proseguì, rivolgendosi a John: “Tu hai dimenticato le parole di ‘Sweet little sixteen’ e non fammi parlare di Stuart, perché altrimenti restiamo qui per tutta la notte.”

“Paul-” cominciò John, con il tono di chi stava per affrontare una questione trita e ritrita, ma fu interrotto da Stuart che lo affiancò.

Sul suo bel viso vi era la più serena delle espressioni. Tutto l’opposto, invece, mostrava il viso di Paul.

“No, John, lascialo parlare. Sono curioso di ascoltare ciò che ha da dire il nostro piccolo amico.”

Paul corrugò la fronte ancor di più, se fosse stato effettivamente possibile, e le sue mani si strinsero immediatamente in pugni: “Lo sai che cazzo devo dire, che suoni di merda e che con te nel gruppo non riusciremo mai a sfondare, che a causa tua resteremo sempre bloccati in questi locali squallidi, a suonare per un piatto di fottuti fagioli. Non è questo il mio obiettivo e non starò a guardare mentre tu rovini le nostre vite e ci-”

“Finiscila ora!” lo interruppe bruscamente John, evidentemente turbato dalla situazione che stava degenerando.

Al suo fianco Stuart ridacchiava estremamente allegro: “Sei davvero uno spasso, Paul. Potrei farmi la ramanzina da solo ormai, dici sempre le stesse cose.”

“Almeno qualcuno lo dice in questo gruppo di merda. Nessuno ha il coraggio di farlo, a quanto pare, vero, John?”

“Oh, Paul, suvvia…non tirare in ballo il povero Johnny. Non è mica colpa sua se sono io a sbagliare.”

“Ma è colpa sua se sei nella band.”

“John mi sta dando una possibilità perché sono il suo migliore amico, Paul.” commentò Stuart, guardandolo con un’aria e un sorriso che agli occhi di Paul parvero di sfida.

E insieme alle parole che Stuart aveva pronunciato, ‘migliore amico’, quella sfida lo colpì in pieno petto con la lama infuocata della gelosia. Non era nient’altro che gelosia, folle, sconvolgente gelosia. La gelosia che lo rendeva cieco, la gelosia che Paul non aveva mai provato in quel modo morboso per qualcuno e che provava ora per John.

“Ma tu non la stai sfruttando e di certo non lo stai ripagando per la fiducia.”

Stuart rise nuovamente: “E chi sei tu? Il suo avvocato difensore?”

E con queste ultime parole, Stuart avvolse un braccio intorno al collo di John. Paul non ci vide più. Non era l’avvocato difensore di nessuno, anzi, forse lui avrebbe dovuto cercarne uno dopo quello che aveva intenzione di fare.

Si lanciò su Stuart ed entrambi caddero per terra con un tonfo sordo, tra gli sguardi sbigottiti degli altri componenti della band. Paul aveva cominciato a sfogare la sua rabbia sul ragazzo sotto di lui, con pugni ben piazzati sull’elegante mascella di Stuart. Il suo contendente non rimase a guardare, scalciava alla cieca, nella speranza di colpire il suo aggressore e con le mani cercò di afferrarlo per le spalle. Quando ci riuscì, ribaltò le loro posizioni e l’istante dopo, fu lui quello a riversare una scarica di pugni sul bel viso di Paul. I loro compagni cercarono di farli ragionare a parole, ma accorgendosi che nulla avrebbe potuto fermare i due folli rivali e notando che il sangue era magicamente apparso sul labbro dell’uno e dell’altro, decisero di intervenire fisicamente. George e Pete afferrarono Stuart, attirandolo lontano da Paul, mentre John agguantava il ragazzino che aveva scatenato per primo quella rissa e lo costringeva ad alzarsi. Poi lo spinse malamente  giù dal palco.

“Vai a farti un giro, Paul, e cerca di schiarirti le idee.” sbottò infastidito John.

Paul si asciugò il sangue sul labbro e lo guardò, come se fosse stato John a causargli quella ferita. E in un certo senso era proprio così. L’aveva appena fatto, prendendo le difese di Stuart prima, con le sue parole piene di rancore ora, con il suo spintone arrabbiato. L’aveva ferito. No, non sul labbro. L’aveva ferito più in profondità, molto in profondità, dentro di lui.

“Sì, certo, tanto lo sapevo.”

John guardò l’espressione afflitta sul volto dell’amico e sospirò esausto, passandosi una mano fra i capelli: “Cosa?”

“Che avresti scelto Stuart, John. Scegli sempre Stuart.”

****

Paul annuì timidamente sotto lo sguardo sincero e ardente di John.

Ma certo che avrebbe scelto Paul, era stato John a sceglierlo come suo compagno di band e l’avrebbe scelto per sempre. John l’aveva voluto al suo fianco. Con Stuart era completamente diverso. Stuart era capitato nella sua vita, come la maggior parte delle persone capitano nella vita di chiunque. John aveva fatto amicizia con lui a scuola e lo riteneva certamente uno dei suoi amici più cari, ma non l’aveva scelto lui per primo.

E chissà se Paul sarebbe mai riuscito a capire quella piccola, grande differenza, chissà se quella stupida, inutile gelosia che provava per lui sarebbe mai cessata. Una piccola parte di John si sentiva così incredibilmente lusingata dal fatto che Paul tenesse tanto a lui e che probabilmente avrebbe trascinato con sé quella gelosia per tutta la sua vita; ma tutto dentro di lui gli urlava che Paul fosse solo uno stupido ragazzino perché provava un sentimento del genere nei suoi confronti, che sprecasse tempo ed energie a ricercare così ossessivamente l’affetto e l’attenzione di John, perché in realtà non ne valeva la pena. John era solo uno stronzo epocale che non meritava neanche lontanamente di stare con Paul e si meravigliava che lui gli offrisse un’amicizia così pura e sincera, così fondamentale ormai per la sua vita, che sarebbe stato John a soffrire per primo nel non avere Paul sempre al suo fianco.

Per questo l’aveva scelto e avrebbe continuato a farlo per tutta la sua vita, anche quando Paul si fosse stancato di lui o quando avesse trovato una ragazza tutta per sé.

“Bene, allora proseguiamo e guai a te se rompi ancora con questa storia del cazzo. Chiaro?”

“Cristallino, John.” rispose Paul, con un sorriso decisamente più rincuorato.

Ripresero a camminare e John cominciò a illustrargli i suoi progetti per il viaggio. Avrebbero fatto l’autostop fino a Dover e poi preso il traghetto per Calais ( “Traghetto? Mi verrà di nuovo il mal di mare, John!”, “Preferisci farla a nuoto? È un bel pezzo fino a Calais.”, “Il traghetto andrà più che bene, John.”) e da lì di nuovo autostop. Paul era così eccitato mentre ascoltava John e fu grato di stare camminando, perché sentiva il bisogno di muoversi in qualche modo, con qualunque parte del suo corpo. Non era solo a causa del loro viaggio imminente, era anche dovuto a quello che gli aveva detto John.

John non era mai stato uno a cui piaceva parlare dei propri sentimenti e faceva fatica a mostrare quanto tenesse a una persona, Paul lo sapeva bene. Lo sapeva perché aveva lasciato che John lo prendesse in giro per quella sua folle gelosia e qualche volta John aveva usato anche parole forti da rivolgere contro di lui, parole che Paul non si aspettava, ma era arrivate e lui le aveva accolte pazientemente, senza rispondere, perché quello era solo il modo di rapportarsi di John. Così come sapeva essere il ragazzo allegro e dolce che si precipitava dal suo migliore amico per chiedergli di partire con lui, poteva anche diventare scorbutico, violento e pesante quando indirizzava a Paul appellativi poco cortesi e no, non in un modo scherzoso. Eppure Paul sopportava tutto, perché quando decidi di stare con qualcuno, devi accettare ogni parte di lui. E Paul aveva accettato il sole di John così come le sue tenebre.

Per questo motivo, sentirgli dire ora, che avrebbe scelto Paul su chiunque altro lo aveva letteralmente mandato in estasi. Avrebbe voluto mostrargli chiaramente come si sentisse, avrebbe voluto scrivergli una canzone per arrivare a lui, ma si trattenne, altrimenti poi John lo avrebbe preso in giro e non era una cosa su cui lui volesse essere preso in giro. Era il sentimento d’amicizia più caro che avesse e in quanto tale lo custodiva come il tesoro più prezioso, dentro di lui, al sicuro da chiunque avesse voluto distruggerlo senza pietà.

Così seguì John quando si infilò nel primo negozio di cappelli che incrociarono per strada, lo seguì per provare quelle bombette così tipicamente inglesi ( “Mi va piccola”, “Non dovresti sorprenderti, John, con il testone che ti ritrovi!”, "Stu, oh Stu, torna da me! Tu sì che eri un vero amico…"), lo seguì quando pagarono i due cappelli alla cassa. E poi il suo sguardo fu così attento, così preso da come il cappellaio stesse impacchettando le bombette che improvvisamente perse di vista John. Paul si guardò intorno nel locale e non lo vide: doveva essere uscito. Prese le due scatole, salutò e ringraziò l’uomo e uscì dal negozio. John non era da nessuna parte per strada, né nel negozio vicino.

Dove diavolo era finito?

Infine lo vide, in un vicolo che costeggiava il negozio di cappelli, fra le braccia di una ragazza con la gonna che arrivava alle ginocchia, un maglioncino di lana soffice e i capelli lunghi e biondi, John fra le braccia di Cynthia, sulla sua bocca, con le mani dovunque sulla sua schiena.

Paul indietreggiò subito, rendendosi conto che nonostante tutto, John non avrebbe potuto scegliere sempre lui, che qualunque cosa John gli avesse detto, Paul sarebbe stato solo il suo folle amico geloso e lo sarebbe stato per sempre.

 

 

(1)- Il disegno descritto lo trovate qui: http://articles.latimes.com/2010/oct/08/entertainment/la-et-lennon-20101008

(2)- Nel 1959 Stuart riuscì a vendere uno dei suoi quadri per la cifra di 65 sterline. Dopo essere stato convinto da John e Paul, Stuart utilizzò quei soldi per comprare un basso che gli permise di entrare nella band.

 

 

Note dell’autrice: e quindi siamo al tre e alla gelosia di Paul. Povero piccolo! Mi sembra di aver letto sull’Anthology che lui non è mai riuscito a superare questa gelosia. Urca! XD

Chiedo venia per il tipo di linguaggio usato, è il motivo principale per cui ho messo il rating arancione (insieme a qualche scena di risse, che tra l’altro non sono neanche brava a descrivere, ahi ahi!). Ma dopotutto, usare “perdindirindina” invece di un più esplicito “c***o” mi sembrava non onorare appieno i protagonisti.

Ok, ringrazio kiki che corregge i capitoli e mi incoraggia sempre. J E anche tutti quelli che recensiscono o leggono semplicemente.

Nel prossimo capitolo, “Pronti a tutto”, è ora di partire… un piccolo indizio sul flashback: le parole Nerk Twins vi dicono qualcosa? ;)

Buona giornata

Kia85

   
 
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