Io son partito poi
così d'improvviso
che non ho avuto il tempo di salutare…
Con armi e bagagli,
passeggero ancora sul binario di un treno che fischia aspettando.
Io son
partito poi così d'improvviso
che non ho avuto il tempo di salutare -
- istante breve ma ancora più breve
se c'è una luce che trafigge il tuo cuore…
I
bagagli, il rilucere d’un oro già pronto al suo destino – rilucere nell’ultima
esplosione di stelle, per poi consegnarsi ad un lungo silenzio – e la speranza del mondo. Le armi, il
suo unico cuore coraggioso. Ugualmente pronto, ugualmente
conscio. Superiore.
Nessuna
rassegnazione. Stolida fermezza. Partenza. Armi e bagagli. Null’altro.
Null’altro.
Nulla…
Maledizione, Aioros.
Passo fermo tra
piogge di frecce e sguardo puro e serio scudo alle lame. Non. Un. Tremore.
Maledizione.
Ti odio, Aioros,
perché il tuo cuore saldo tanto superiore ha ignorato la mia sofferenza. Perché i tuoi pensieri tanto alti e nobili naturalmente ti hanno
strappato dalle mie braccia per condurti in un luogo dove noi bassi mortali non
abbiamo accesso. E tu eri uno di loro. Noi no. Il paradiso ti attende, e tu
lo sai. Noi no. Tu parti, di fretta, perché doveri più alti ti chiamano. E te ne vai senza salutare.
Maledizione, Aioros.
Solo…
Lasciarmi senza guardarmi negli occhi.
Un…
Canto, nella sera.
Nessun addio.
Talmente
impercettibile da sembrare irreale.
IO NON SENTO NESSUN ADDIO.
Irreale, ma che
penetra dolcemente nelle orecchie e nelle tempie, carezzandoti.
Lo ignori perché
devi. Aioros è partito. Non tornerà. Non ha salutato. Quel canto non esiste
davvero. Non esiste davvero. Non esiste davvero. Nessuno sta cantando per te.
L'arcobaleno è il mio
messaggio d'amore
può darsi un
giorno ti riesca a toccare
con i colori si può cancellare
il più avvilente e desolante squallore…
Aioria non avrebbe
più creduto alle favole.
Specialmente non a
quelle in cui l’eroe è senza macchia e senza paura.
Aioria avrebbe
scartato le favole e digerito tremori e sofferenze in un’espiazione senza nome,
nessun indizio a cui aggrapparsi per sopravvivere: un’inversione obbligata a
senso unico verso una strada di pugni allo stomaco che era il surrogato di un
risarcimento destinato ad un agglomerato di volti anonimi.
Un canto era il
biglietto d’addio non scritto del fratello,
fratello partito e più tornato,
fratello luce delle sere,
fratello che cantava nel vento senza che lui lo
potesse sentire…
Un canto troppo
dolce per potervisi lasciare andare. Come quello
delle sirene. Più difficile da credervi perché meno
ammaliatore. Ma si sa, le illusioni…
Son diventato sai il tramonto di sera…
Le illusioni
germogliano con la più piccola goccia d’acqua.
Biglietto d’addio
mai scritto dell’amato fratello, esso…
…e parlo come le foglie d'aprile…
…poteva benissimo
essere un’illusione.
…e vivrò dentro ad ogni voce sincera
e con gli uccelli vivo il canto sottile…
Illusione
morta negli occhi di un giovane che aveva levato la mano ancora con la speranza
incisa in ogni più piccola fibra del suo essere. Ma Aioros aveva
sorriso, ed aveva subito il colpo. Vano martirio. Alle lacrime di Shura egli si
dichiarava colpevole. Senza volere. Povera innocenza tristemente fraintesa
dalle lacrime che velavano tremule gli occhi altrettanto innocenti del
ragazzino che una spada troppo pesante portava, inscindibile dal suo corpo – che
forse avrebbe voluto abbracciare…
Era questo il tuo addio, Aioros?
Il triste, divino
sorriso dell’eroe martirizzato?
Morto. E ora?
Dove sono le tue parole?
…e il mio discorso più bello e più denso
esprime con il silenzio il suo senso…
Il sofferente giace sfinito da un’opera incompiuta, e il mondo gli crolla addosso.
Niente in lui prova gioia, né soddisfazione, né appagamento.
Una parte di lui piange, l’altro la tormenta, inquieta, spasimante.
Un canto, si leva, muto, compresso tra le costole, preme sullo sterno, struggente, un canto d’addio, e due mani crudeli che sono le sue stesse lo stringono come tenaglie. Piange senza sosta. Senza aver visto gli occhi di Aioros prima che partisse. Solo un lampo sconvolto, membra scattanti, parole lanciate, e la sua schiena, la fuga.
Irrazionalmente. Ciecamente. Lui anelava le sue ultime parole per sé.
Morto. Aioros. E il suo addio? Nulla dalle sue labbra. Quanto avrebbe pagato per tornare indietro, afferrarlo per il polso, cadendo, anche, incespicando, che importanza aveva?, solo per guardarlo un’ultima volta nei limpidi occhi più verdi di boschi e mare e dirgli non abbandonarmi.
Non abbandonarmi a me stesso, ed Aioros avrebbe detto sì.
Perché di tutti quegli anni passati al suo fianco, Aioros non aveva scavato sin nel profondo dell’amico più caro, nell’amore e nell’odio che rimescolandosi l’avevano consumato come una cancrena. L’unica cura, gli occhi di Aioros, ridenti e lucenti nel riflettere monti e vallate ma troppo – ingenuamente – fiduciosi nell’immergersi dei bui laghi di Saga.
Io quante cose non avevo capito
che sono
chiare come stelle cadenti -
- e devo dirti che è un
piacere infinito
portare queste mie valige pesanti…
E quel canto mutilato tentava di librarsi al ritmo di uno sconosciuto, che nemmeno Saga sapeva starsi levando già tra le fronde degli ulivi e soffiare dolce tra le colonne del tempio profanato.
Tormentato, ansante, non sapeva che qualcuno d’ora in poi avrebbe vegliato.
Su tutti loro. Nessuno escluso.
Un abbraccio discreto ed invisibile.
E tutto sarebbe rinato dalle sue ceneri…
Mi manchi tanto amico caro davvero
e
tante cose son rimaste da dire
ascolta sempre e solo musica vera
e
cerca sempre se puoi di capire.
Era troppo tardi perché le mani di Aioros potessero sorreggerlo e curarlo.
Ma uno spirito leggero permeava l’aria dolce di Atene…
Son diventato
sai il tramonto di sera…
E parlo come le foglie d'aprile
e vivrò dentro ad ogni voce sincera
e con gli uccelli vivo il canto sottile
e il mio discorso più bello e più denso
esprime con il silenzio il suo senso…
Cantava.
Cantava per Aioria che rimaneva orfano e solo.
Cantava per Shura che aveva spento le sue lacrime con la sua anima che se ne andava.
Cantava per i bambini dai capelli d’oro e di fuoco e di ebano e di perla che avrebbe lasciato a loro stessi, in balìa del Fato. Cantava per i loro anni a venire, perché nonostante i venti maligni e i graffi sul volto che avrebbero dovuto cancellare dai loro ricordi restasse un addio che cantasse la verità tra gli alberi e gli scogli, promettendo la rinascita dalle ceneri…
Vegliava e ricamava il suo addio dolcissimo in ogni respiro e in ogni folata.
Commiato senza voce per chi era dovuto fuggire. Commiato impercettibile. Commiato segreto. Commiato respinto. Scambiato per illusione, vaneggio, invenzione fantasiosa del cocente disincanto.
Ma persisteva, come residui di profumo nell’aria, e cantava dolcemente il suo addio mancato.
Mi manchi tanto amico caro davvero
e
tante cose son rimaste da dire
ascolta sempre e solo musica vera
e
cerca sempre se puoi di capire.
Ascolta sempre e solo musica vera
e
cerca sempre se puoi di capire.
Cantava per Saga in preda ai demoni, cullandolo a scacciare le ombre che lo tormentavano nel sonno, spirando fresca brezza che gli recasse sollievo. Cantava per l’amato amico perduto che si struggeva d’amore incancrenito e di guerra senza fine, e tra i suoi capelli e sopra le palpebre dalle belle ciglia soffiava l’addio che non poteva sentire, e i loro respiri s’intrecciavano senza fine e senza posa, palpitando allo stesso tempo.
Era morto, Aioros, e il suo spirito attendeva radioso là dove gli altri cavalieri sarebbero giunti, riunendosi in luce dorata. Sereno. Imperturbabile. Ormai spirato.
Non aveva più nulla a che fare con loro. Amato od odiato, un’icona sarebbe rimasta. Come sempre aveva vissuto, splendente, nella sua corsa più nobile delle altre, senza spiegazioni, voluta dagli dèi e non dai mortali. Di lui nulla era rimasto.
Le sue braccia non avrebbero più stretto Saga.
Solo quel canto nascosto, rimaneva, che
insisteva tra le lacrime sfuggenti
e le rabbie e i rancori,
e di natura vana, per i cuori forti ma umani,
che erano stati privati del loro addio -
tuttavia seguitava a cantare, misero ritardo, ormai ombra:
ma non li abbandonava.
Son diventato
sai il tramonto di sera…
E parlo
come le foglie d'aprile
e vivrò dentro ad ogni voce sincera
e con gli uccelli vivo il canto sottile
e
il mio discorso più bello e più denso
esprime con il silenzio il suo senso.
La
canzone è di Adriano Celentano, e s'intitola "L'Arcobaleno".
Il testo è di Mogol. Sì. Vabè. Comunque me l'ha fatta
notare questa creatura
qua.
Dedico la mia prima e ultima, zOMFG, songfic, a costei, augurandole
solennemente tutto il male possibile.
LEI SA PERCHE'. [comunque sto mentendo. Non so se sarà l'ultima songfic.
Comunque lo spero vivamente]