Il Palpito di Casa
Usher
Capitolo1:
La Tenuta.
Ho
sempre avuto un’alta considerazione di mio figlio Francis. È sempre stato un
ragazzo intelligente, dotato di acuto spirito di osservazione, diligente e
serio.
Sapendolo
così straordinariamente dotato, ho fatto in modo che ricevesse la migliore
istruzione che l’Inghilterra poteva offrirgli, sicuro che i miei sacrifici non
sarebbero stati vani.
Terminati
gli studi, è entrato a far parte della compagnia di famiglia, mostrando subito
un buon senso degli affari.
Frequentando
le scuole delle migliori aveva compagni che provenivano da ottime famiglie ed
il buon carattere di mio figlio gli ha permesso di instaurare buone relazioni
con molti dei suoi compagni, con cui intratteneva una fitta corrispondenza.
Talvolta qualcuno di loro ci onorava della sua presenza a cena, o invitava
Francis a passare il tempo libero in compagnia.
Di
tutti loro quello a cui Francis era più legato era il suo caro amico Roderick
Usher, che, stranamente, era anche l’unico che non avevo
Un
giorno, a colazione, mio figlio ricevette una lettera dal suo amico con cui gli
comunicava la perdita della sua amata madre, malata da tempo. Francis se ne
dispiacque molto: “Povero Roderick!” sospirò, con una costernazione tale che
travolse anche me e il resto della famiglia “E povera Madeline!” aggiunse poi,
riferendosi alla sorella.
Fu
triste e pensieroso per tutto il giorno e quello seguente, e solo a cena che
espresse un suo desiderio: “Vorrei tanto, padre, andare a trovarlo e porgli le
mie condoglianze. Dev’essere un tale brutto periodo per lui! Non oso pensare
come potrei essere, nei suoi panni, privato dei propri cari genitori e con
l’angoscia di una tenuta a cui badare, insieme alla propria sorella. Anche
nell’ultima lettera scritta trapela tutta la tristezza in cui è sprofondato,
Vorrei davvero aiutarlo.”
Non
avevo motivo per proibirglielo: lo trovai davvero accorato: Gli diedi il mio
permesso e mi ringraziò riconoscente.
Mi
stupì il giorno dopo, quando mi propose di accompagnarlo: il suo spostamento
poteva trasformarsi in un viaggio d’affari, approfittanrne per gettare le basi
del nostro commercio a Leicester, che distava a poche ore dalla Casa degli
Usher.
Fui
piacevolmente colpito da questa sua proposta, oltre che pienamente d’accordo.
La
risposta di Roderick non tardò ad arrivare: era lieto ed impaziente di poterci
ospitare presso la sua magione, ospiti graditi che avrebbero portato un po’ di
luce nella sua casa.
Impiegammo
un giorno intero per arrivare a Leicester. Esauriti i nostri incontri d’affari,
organizzati egregiamente da mio figlio, ci dirigemmo verso la tenuta degli
Usher.
Il
viaggio da Leicester durò quasi quattro ore, in cui attraversammo la brughiera
pregna dei mille colori autunnali; Francis ne era estasiato:“Oh, sì, Roderick
me ne ha parlato tanto, e aveva ragione! Questo posto è così pittoresco!”
Tuttavia
il paesaggio cambiò quasi quando al crepuscolo attraversammo il cancello di
ferro battuto della tenuta Usher.
La
stradina passava in mezzo ad una galleria di alberi talmente fitti ed alti da
non lasciare trapelare
Anche
il clima sembrava più freddo che sulla strada che avevamo appena percorso, e
una leggera foschia si alzava tra gli alberi e i rami bianchi abbandonati a
terra. Venni pervaso da un insistente stato d’angoscia, un senso di squallore e
abbandono. Non sembrava esserci nulla di vivo, pittoresco o colorato in quel
giardino e la quiete ovattata era la stessa di un cimitero.
L’ampia
ed oscura dimora era preceduta da uno stagno artificiale, una pozza d'acqua
nera e che emanava un forte odore putrescente, circondata da giunchi secchi e
spezzati e cespugli informi e privi di foglie.
Mentre
la carrozza si fermava per farci scendere, un giovane varcò la soglia
dell’ingresso vendendoci incontro.
Era
alto e pallido, la sua magrezza sottolineata dagli abiti scuri del lutto. I
capelli castani, striati di grigio, incorniciavano un volto pallido e stanco
dai grandi occhi, liquidi e luminosi, e le guance glabre si increspavano in un
lieve sorriso delle sottili labbra incolori.
Povero
ragazzo! Pensai, guardando quel bel volto già così provato, mentre Francis
si avvicinava salutandolo calorosamente. “Roderick! Mio buon amico! Quanto
tempo…”
Lord
Usher sembrava pervaso da un’agitazione quasi fuori luogo. Stringeva
freneticamente la mano di Francis, sgranando gli occhi bruni sino quasi a farli
uscire dalle orbite. “Mio caro, carissimo amico! La gioia che provo a vederti
non la riesco a descrivere!” Si rivolse
dunque verso di me, senza calmare la sua agitazione: “Voi dovete essere il Signor Anderson. Suo
figlio mi ha parlato tanto spesso di voi, sono davvero onorato di conoscervi.
Permettetevi di presentarvi mia sorella Madeline.”
Lady
Madeline Usher era comparsa sulla porta senza che nessuno di noi se ne fosse
accorto. Assomigliava al fratello nei lineamenti così pallidi e affilati, e
nella sua altezza e magrezza; avanzò verso di noi in un modo così leggero che
pareva trasportata dalla stessa brezza che aveva fatto alzare la nebbia.
"È
un piacere conoscere un amico così caro a mio fratello, e suo padre” disse con
voce bassa, mentre le presentavamo i nostri convenevoli e le nostre più sentite
condoglianze.
“Accomodatevi
pure, ho dato disposizioni alla governante di preparare il the.” Francis le
sorrise e la ringraziò con quasi troppa vivacità per il suo carattere.
La
malinconia di Roderick per i tempi passati ci fece compagnia nel thè. Mentre
mio figlio si premurava di ricordare all’amico episodi piacevoli dei loro
trascorsi accademici, lui sospirava, volgendo gli argomenti verso il loro lato
più tetro. Una cosa insopportabilmente incomprensibile: le ultimi tristi
vicende, unite all’abitare in quella casa così opprimente non potevano che
logorare un fisico e una mente già corrosi da una salute cagionevole.
Imbarazzato
dal silenzio in cui mi ero immerso, cercai di trovare un argomento di
conversazione guardandomi attorno: Il
mobilio del salotto era così sfarzoso ed eccessivo da risultare quasi stonato:
Non vi era angolo disadorno da un’armatura, né una superficie chiara e priva di
numerosi soprammobili di diversa fattura – vasi di ceramica, argenteria,
cristalleria- posti in ordine quasi maniacale.
Il
tutto era illuminato da un ampio camino, che gettava ombre guizzanti sulle
pareti tapezzate e coperte di quadri e stemmi di famiglia.
Lady
Usher osservava il fratello in silenzio, sorseggiando il suo thé; forse erano
le ombre del camino, ma mi pareva molto stanca: “Milady, permettete una
domanda?”
“Certamente,
Signor Anderson” mi rispose con un tenue sorriso.
“Vivete
in questa casa per i mesi estivi o è anche la vostra dimora invernale?”
Lei
appoggiò la tazza sul tavolino di cristallo tra il canapè dove sedeva e la mia
poltrona: “Da qualche anno a questa parte è diventata anche la nostra residenza
fissa. Sia mia madre che mio fratello preferiscono la quiete di questa tenuta
che la casa che abbiamo in città.” Spiegò.
Roderick
asserì: “Questa casa ha un’anima” mormorò guardandosi attorno, un sorrisetto
nervoso ad attraversargli il volto ed un lampo quasi folle gli occhi. “Ogni
oggetto, ogni quadro, ogni mobile possiede un alito di vita che solo pochi
possono percepire.”
Sia
io che Francis rimanemmo per qualche istante interdetti a quella frase. Non
riuscii –o non volli- coglierne il senso.
Tuttavia,
dopo questa strana uscita, l’umore di Roderick parve migliorare di un colpo,
tanto che invitò mio figlio ad una partita a biliardo.
Preferii
ritirarmi nella stanza a me concessa, per prepararmi alla cena. Anche Lady Usher
si ritirò nelle sue stanze. Mi soffermai a guardare di sottecchi la sua figura
scura attraversare il corridoio silenziosamente. Senza apparente motivo,
rabbrividii.
Scesi
a cena rinfrancato dal lungo viaggio, per scoprire Lord Usher e Francis parlare
seduti sul divano. Roderick sembrava sprofondato nuovamente nella più bigia
malinconia, il volto tra le dita lunghe, mentre mio figlio tentava di
rincuorarlo. Lo vidi molto preoccupato, ma non indagai oltre.
Lady
Madeline mangiò poco o nulla, partecipando poco alla conversazione. Notai che
era sempre Francis a tentare di coinvolgerla, cosa che la giovane donna pareva
timidamente apprezzare e di cui sembrava esserne riconoscente. Mi sembrò
improvvisamente una farfalla tenuta prigioniera, e non feci in tempo a
formulare questo pensiero che posò i suoi occhi neri su di me, rivolgendomi
anche un debole sorriso.
Come
quando la vidi nel corridoio da sola, venni pervaso da un brivido
sconosciuto. Poco dopo si accomiatò,
ritirandosi nelle sue stanze. Rimasi anche io per poco in compagnia di Roderick
e Francis: ora il primo sembrava di nuovo pervaso dalla frenesia, raccontava di
battute di caccia memorabili in compagnia di suo padre, mentre Francis lo
ascoltava, annuendo con veemenza, quasi lo volesse incoraggiare a continuare a
dimostrare il rinnovato buonumore.
Tornato
nella mia camera mi ritrovai intorpidito, assonnato. Feci appena in tempo a
sistemarmi nel letto che mi addormentai.
E
successe una cosa per me impensabile.
Sognai
Lady Madeline Usher.
Cavalcava
a pelo nella brughiera colorata che avevamo attraversato, spronando al galoppo
un destriero nero. La semplice veste bianca ed i lunghi capelli sciolti la
facevano assomigliare ad una libera amazzone, o una baccante in preda alla
mistica frenesia della sua fede appena uscita da un dipinto d'arte classica. Mi
passò vicina ridendo e mi gettò uno sguardo gioioso.
La
guardavo estatico incitare il cavallo, farlo voltare, disegnare salti e
movimenti eleganti, le gambe bianche e nude che spuntavano dall'orlo della
gonna strette al ventre dell'animale. E poi, improvvisamente, eravamo sulla
sponda dello stagno nero della tenuta, che era però un grande lago d'acqua
marcia.
Inizialmente
lady Madeline ne parve impaurita, facendo retrocedere l'animale. Poi mi gettò
uno sguardo determinato e lo spronò nuovamente, facendolo correre verso il lago
e tuffarsi dentro.
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Questa
Fanfiction ha una storia un po' particolare. I primi due capitoli erano già
stati pubblicati ed abbandonati, sotto al titolo 'The Ushers', un po' di tempo
fa. Riprendendoli in mano li avevo trovati scritti in modo molto pesante e poco
coinvolgente, così li avevo eliminati.
E
poi li ho ripresi in mano. Perché? Perché ho fatto un sogno in cui leggevo Poe
e lo commentavo ad alta voce davanti ad un gruppo di persone. Cosa strana, che
anche se comunque i racconti di Edgar Allan Poe mi siano sempre piaciuti non è
di certo il mio autore preferito. E svegliandomi mi sono ricordata che anche
questa fic era nata da un sogno: un sogno generato probabilmente dalla visione
di 'Profumo' in cui recitava Alan Rickman, e che appunto alla sua figura mi
sono ispirata per il narrante Signor Anderson.
Quindi
l'ho ripresa in mano e l'ho sistemata e finita, ed ora che ho tutti e quattro i
capitoli nero su bianco ho deciso di riprovare a pubblicarla.
Spero
che possa suscitare un qualche interesse.
Vi
ringrazio in anticipo se vorrete passare di qui leggere e commentare, ma vi
ringrazio comunque per aver solo aperto questa pagina ed essere arrivati alle
note.
Alla
prossima,
EC.