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Autore: Miyuki chan    19/09/2013    3 recensioni
Amore.
Non è nemmeno una bella parola.
“Oleandro”. “Variopinto”. “Orchidea”. Queste, sono belle parole.
Belle parole, rotonde, morbide e delicate quando le pronunci. Non amore, con quelle sue due consonanti ruvide come l’asfalto contro cui ti grattugiavi le ginocchia da bambino cadendo dalla bicicletta.
...
Perciò, quando quella sera Soul mi aveva guardata negli occhi e mi aveva detto «Ti amo», tutto il mio mondo si era frantumato e, con un clangore di vetri rotti, mi era crollato addosso.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maka Albarn, Soul Eater Evans | Coppie: Soul/Maka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Solo amici e poi uno dice un noi, tutto cambia già
E' una realtà che spaventa un po'

 

Poi, in realtà, vedersi non era stato così facile come ci era sembrato all’inizio. Un po’ perché Soul, appena tornato dopo aver trascorso tre interminabili mesi lontano da casa, aveva avuto un sacco di cose da fare. Un po’ perché noi altri dovevamo studiare per gli esami – i primi, sarebbero stati i primi esami che avremmo dato all’università –  e questo pensiero, soprattutto a me e Kid, metteva una certa ansia. Per non parlare delle feste: mancavano appena una manciata di giorni a Natale, il che costringeva tutti noi a correre costantemente da una parte all’altra della città per acquistare i regali dell’ultimo minuto.
 
Così tra le feste, i parenti, lo studio, gli esami, le cene ed i regali, le occasioni per vedere Soul non erano state poi tantissime. E, anche quando riuscivamo a vederci, c’era sempre un problema: non eravamo mai soli.
 
Lo so che mi sarebbe bastato prendere in mano il telefono, comporre il suo numero, e chiedergli semplicemente di uscire. Ma allora non lo feci, per il solito, stupido, vecchio motivo: avevo paura di sentirmi respingere, di sentirmi dire “no”. Continuavo a ripetermi “Se è destino, troverò comunque il momento giusto in cui parlargli”, per poi passare i successivi dieci minuti a darmi della stupida e della vigliacca, perché mi rendevo razionalmente conto che le occasioni andavano create, non bastava aspettare che ti si presentassero davanti, non sarebbe accaduto nulla finchè io fossi rimasta ferma immobile ad aspettare un’opportunità che forse – anzi, probabilmente, visto come si stavano mettendo le cose – non sarebbe mai arrivata. Stavo tergiversando. Forse – sicuramente – avevo paura che, una volta che gli avessi detto ciò che provavo per lui, lui mi avrebbe respinta, dicendomi “Mi dispiace Maka, ora è troppo tardi”. Mentre, se io non gli avessi parlato, lui non avrebbe potuto rifiutarmi, non avrebbe potuto dirmi quel “no” che avevo così paura di sentire. Mi rendo conto – così come lo sapevo perfettamente anche allora, del resto – che evitare lo scontro per paura della sconfitta sia di gran lunga peggio che perdere la battaglia. Eppure, sebbene a livello razionale io mi rendessi conto di tutte queste cose, non era ancora sufficiente a convincermi a prendere in mano il telefono e chiedergli di uscire, non era nemmeno lontanamente sufficiente a farmi vincere la mia paura.
 
Ormai mi conoscete bene, e forse a questo punto vi aspettereste qualcosa del tipo “così, alla fine, non gli parlai nemmeno quella volta, e di lì a due settimane lo vidi ripartire senza aver fatto assolutamente nulla per mostrargli i miei sentimenti ma, anzi, più decisa che mai a soffocarli”. E poi via a raccontarvi di altri tre mesi a chiacchierare tutti i giorni per telefono, e poi via un altro anno senza più sentirci o scriverci.
 
E invece no.
 
Sarà stato il destino – sebbene io, in tutta sincerità, non ci creda nemmeno un po’. Come si può credere in qualcosa di così arbitrario? Sono le cose concrete, quelle che si possono toccare, vedere e dimostrare, le uniche nelle quali vale la pena credere – il caso, la fortuna o non so che altro ma, nonostante la mia solita indolenza, le cose tra noi, incredibilmente, andarono in modo profondamente diverso.
 
Era il trentuno di dicembre, l’ultimo dell’anno, ed avevamo deciso di festeggiare nella solita casa in montagna di Kid. Black Star e Soul erano eccitatissimi all’idea dei fuochi d’artificio, ed era da giorni ormai che non facevano altro che parlare di petardi, fontane, e altri tipi di fuochi dai nomi preoccupanti. Patty non stava più nella pelle all’idea di tutto l’alcol che avrebbe potuto ingurgitare e rideva come una matta pensando a tutte le bravate che avrebbe combinato. Liz fremeva al solo pensiero di spianare il suo vestito nuovo e persino Tsubaki sembrava piuttosto eccitata all’idea di passare un paio di giorni tutti insieme come non facevamo più da diverso tempo. Il povero Kid era terribilmente preoccupato dello stato in cui avremmo ridotto la sua amata casa, ed io… anche io ero terribilmente preoccupata.
 
La mia preoccupazione, chiaramente, aveva un nome, ed anche un cognome: Soul Eater Evans.
 
Sapevo che quella sarebbe stata probabilmente la mia ultima occasione per parlargli prima che ripartisse e, se da una parte l’idea di parlargli e dirgli finalmente cosa provavo mi elettrizzava ed eccitava, dall’altra mi spaventava a morte. Per convincere me stessa a dichiararmi ero anche arrivata a pensare che, se lui mi avesse rifiutata, avrei avuto i tre mesi in cui lui era via per riprendermi dal colpo. Certo, se lui invece mi avesse abbracciata di slancio dicendomi “Maka ti amo anche io”, quei tre mesi sarebbero diventati qualcosa di molto simile ad un ingombrante ostacolo… ma se lui, realmente, di fronte alle mia parole avesse reagito a quel modo, sarebbe stata l’ultima della mie preoccupazioni dover aspettare qualche mese prima di poterlo riabbracciare. Del resto, avevo già aspettato tanto che qualche mese in più, a quel punto, non avrebbe certo fatto la differenza.
 
Nonostante tutte le mie riflessioni, comunque, quando quella sera arrivai a casa di Kid, ero tutt’altro che certa di possedere la forza necessaria per affrontare Soul e ciò che provavo per lui.
 
Ero arrivata per ultima: ad aprire la porta era accorsa Liz, bellissima e altissima sui suoi vertiginosi tacchi a spillo ed in un corto ed aderente tubino nero, con i capelli sciolti e perfettamente piastrati che le oscillavano elegantemente sulle spalle. Mentre la abbracciavo non avevo potuto fare a meno di pensare che lei, lei sembrava il tipo di ragazza che piaceva a Soul. Eppure, sebbene fossero molto amici, tra loro non c’era mai stato nulla, e dubitavo si sentissero anche solo minimamente attratti l’uno dall’altra. Ma questa magra consolazione non era servita a rincuorarmi.
Poi dietro Liz era comparso Soul, con un completo nero gessato abbinato ad una camicia di un intenso rosso cupo, su cui spiccava un’elegante cravatta, anch’essa nera. Mi aveva lanciato una lunga occhiata, prima di sogghignare e sussurrare qualche parola di benvenuto.
 
La serata era trascorsa in modo incredibilmente veloce, con Black Star che si abbuffava di pizzette ed altri salatini facendo a gara con Patty per vedere chi sarebbe riuscito a tenerne in bocca il maggior numero senza soffocare, con Tsubaki e Liz che cercavano inutilmente di farli desistere ed io e Soul che ridevamo a crepapelle, mentre Kid inferocito urlava a Black Star di scendere dal tavolo e di sedersi sulla sedia come tutte le persone normali. Poi Patty aveva accidentalmente fatto cadere a terra una delle bottiglie di champagne, ed allora era stato Soul ad andare su tutte le furie. Dopo la rocambolesca cena, Black Star era nuovamente salito sul tavolo e, un po’ brillo, aveva afferrato una bottiglia di vino rosso usandola come microfono, autoproclamandosi dio del rock ed iniziando a cantare una stonatissima quanto improbabile serenata ad un’imbarazzatissima quanto commossa Tsubaki, tra le risate generali.
Era arrivata la mezzanotte, e dopo il rituale conto alla rovescia, Kid aveva elegantemente stappato la prima bottiglia di champagne. Avevamo brindato, riso e scherzato per ore e ore, facendoci i dispetti a vicenda ed inventando giochi tanto stupidi quanto improbabili per buona parte della sera.
 
L’unico aspetto negativo di tutto ciò era stato che, dopo qualche ora, intorno alle tre, eravamo già tutti piuttosto stanchi, ed eravamo mollemente seduti su divani, poltrone e persino tappeti. Era stato allora, quando Liz era andata in bagno a rifarsi il trucco, che a Black Star era venuta un’idea. «Perché non facciamo uno scherzo a Liz?» aveva proposto, mentre uno smisurato quanto inquietante sorriso si faceva strada sul suo viso. Soul aveva immediatamente drizzato le orecchie. «Spara» aveva detto, con un ampio sogghigno e gli occhi scarlatti che brillavano. «Qualcuno la manda fuori in giardino con una scusa, tutta sola e al buio, io mi nascondo da qualche parte e quando lei mi passa vicino sbuco improvvisamente fuori spaventandola a morte!» aveva detto, in risposta, Black Star, esponendo fieramente il proprio piano. Patty aveva appoggiato subito i due ragazzi, ridendo a crepapelle al solo pensiero di spaventare la sua timorosa sorellona, ed a niente erano valse le lamentele della preoccupata Tsubaki e le osservazioni lapidarie di Kid, che continuava a ripetere  «Smettetela di fare i bambini, non siamo nemmeno ad Halloween.» Io non mi ero opposta: dovevo ammettere, che sembrava divertente.
 
Così Black Star e Patty erano corsi a nascondersi dietro un grande cespuglio e, nonostante la Luna piena illuminasse generosamente il giardino, erano riusciti a sparire completamente tra il fitto intreccio dei suoi rami e le sue grandi foglie. Quando Liz era uscita dal bagno, Soul le era trotterellato incontro. «Vai per favore a buttare i rifiuti?» aveva innocentemente chiesto, tendendole un grosso sacco nero. La ragazza aveva storto il naso ma, dopo qualche debole protesta, aveva accettato. Quindi si era avventurata in giardino, in precario equilibrio sui tacchi a spillo, cercando di destreggiarsi tra il ghiaietto, le foglie secche, il terreno irregolare ed i ciottoli, mentre io, Soul, Kid e Tsubaki sbirciavamo la scena da dietro la porta a vetri della cucina.
Inutile dire, che lo scherzo non era affatto riuscito: appena Liz si era incamminata verso il cassonetto dell’immondizia, che si trovava proprio di fianco al cespuglio dietro il quale erano nascosti i due ragazzi, Black Star aveva iniziato a ridacchiare, in un crescendo che si era infine trasformato in una fragorosa e tonante risata, e a niente era valso l’estremo tentativo di Patty, che era improvvisamente sbucata dalla vegetazione strepitando «Bu!». Liz aveva rivolto nella loro direzione uno sguardo di profondo compatimento e, lanciato il sacco della spazzatura a Black Star che continuava a ridere a più non posso – decisamente l’essere furtivo non era una qualità che gli apparteneva – era tornata in casa, scuotendo rassegnata la testa.
 
Forse vi starete chiedendo perché vi stia raccontando tutto ciò. Ma abbiate pazienza, ci siamo quasi, adesso arrivo al dunque.
 
Avevamo quindi passato un’altra oretta senza fare nulla di particolare: Patty aveva convinto Black Star, Liz e Soul a partecipare ad una partita del suo personalissimo gioco dell’oca alcolico, mentre Tsubaki assisteva – un po’ preoccupata, ma un po’ anche divertita – ed io e Kid sonnecchiavamo sul divano, guardando con poco interesse un film che era appena iniziato in tv e scambiandoci qualche pigra chiacchiera tra una scena e l’altra.
 
La vera svolta della serata era arrivata grazie ad un piccolo e all’apparenza insignificante gesto di Liz. Si era alzata in piedi, sbuffando, lamentandosi delle scarpe scomode e delle vesciche che le sarebbero sicuramente venute sui suoi poveri piedi. «Ho degli stivaletti in macchina, vado a prenderli» ci aveva quindi informato, mettendosi a frugare nella sua minuscola ma non per questo meno stracolma borsetta nera alla ricerca delle chiavi della macchina. Allora, mentre Liz era occupata a svuotare alla rinfusa sul divano il contenuto della borsa, Black Star aveva acchiappato Soul con un gesto repentino, sussurandogli qualcosa all’orecchio, con un ghigno sul viso che non prometteva nulla di buono. Soul aveva sogghignato a sua volta ed aveva annuito, mormorando qualcosa a Black Star di rimando, per poi alzarsi e venire nella mia direzione.
Mi aveva offerto la mano, facendomi alzare dal divano.
L’avevo guardato con aria interrogativa. «Ho dimenticato una cosa in macchina anche io» aveva detto, e senza aggiungere altro mi aveva trascinata fuori in giardino e dietro un altro dei grandi cespugli che adornavano il vialetto d’accesso alla casa di Kid, mentre Liz era ancora alla ricerca delle sue chiavi.
 
A qualcun’altra, al mio posto e nella mia stessa situazione, davanti ad una scena del genere sarebbero sicuramente venute le palpitazioni e, chiedendosi come mai il ragazzo di cui era innamorata la trascinava così improvvisamente dietro ad un cespuglio, avrebbe altrettanto sicuramente iniziato a vedere nella propria mente scene incredibilmente romantiche e sdolcinate, di quelle che si vedono solo nei film d’amore.
 
Ma non a me. Io conoscevo troppo bene Soul.
 
«Sei proprio deciso a spaventare Liz, eh?» gli avevo così chiesto, ridacchiando. «Shhhhh!» aveva sibilato lui in risposta, accucciandosi al mio fianco con uno smisurato ghigno a tendere le labbra, sbirciando cautamente verso casa per vedere se la ragazza avesse finalmente trovato le chiavi e stesse uscendo. Ero rimasta a guardarlo. L’avevo osservato in silenzio, sotto la luce della Luna, con gli occhi color rubino che splendevano e luccicavano, i capelli bianchi come la neve che gli ricadevano spettinati sulla fronte e sulla nuca e la camicia stropicciata, che per metà usciva dall’orlo dei pantaloni del completo nero. E mi ero resa conto che quella era la mia possibilità. Quasi non ero riuscita a crederci: non avevo fatto assolutamente nulla, eppure quell’occasione che non avevo avuto il coraggio di creare ora era lì, davanti a me, e io non avrei dovuto fare altro che allungare la mano ed afferrarla. Era sembrato facile.
 
«Soul…» avevo iniziato a dire. Ma non ero potuta andare oltre, perché lui, poggiandomi una mano sulla nuca, mi aveva stretta a sé, nel tentativo di zittirmi –  «Shhhhh!» Ero rimasta qualche secondo immobile, con il viso premuto contro la sua spalla. No. Sarei andata fino in fondo.
 
Avevo sollevato lo sguardo. Lui aveva il viso di profilo, gli occhi puntati ancora verso la casa. Poi si era voltato, e mi aveva fissata a sua volta.
 
Il sogghigno divertito che aveva sul viso era scomparso, e lui si era fatto serio. Avevo subito abbassato gli occhi, temendo che il suo sguardo mi avrebbe fatto perdere il coraggio che avevo tanto faticosamente racimolato.
 
Lui era lì, davanti a me, ad aspettare. Aspettava che io facessi qualcosa.
 
Io, che mi ero appena resa conto di non possedere la forza sufficiente per parlargli.
 
Allora avevo fatto una cosa molto poco da me, non certo il genere di cose che ci si aspettano da Maka Albarn. Ero stata impulsiva. Avevo inspirato, chiuso gli occhi e smesso di pensare.
 
L’avevo baciato.
 
 
Spazio autrice:
Ebbene sì, sono ancora viva, nonostante l'immenso ritardo accumulato. Scusatemi, davvero, mi rendo conto di essere ripetitiva, ma devo arrendermi all'evidenza che con questa storia proprio non riesco ad essere puntuale, davvero non ce la faccio ad aggiornare con una certa regolarità. Spero mi scuserete, e ci tengo comunque a ripetere che non abbandonerò in nessun caso questa storia, quindi, anche quando ritardo, non perdete le speranze :)
Detto questo..... beh, niente, non ho molto altro da aggiungere in realtà, spero solo che il capitolo sia valsa l'attesa, a presto! :*
  
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