CAPITOLO 3: “And if they get
me...”
Quella notte Gerard non chiuse occhio.
Non sapeva per quanto tempo fosse rimasto abbracciato a Frank la sera
prima.
Sapeva solo che erano trasaliti entrambi quando l’orologio a
pendolo aveva
iniziato improvvisamente a rintoccare, segnalando la mezzanotte.
Non sapeva nemmeno con quale sovrumana forza di volontà
aveva trovato il modo
di sciogliere l’abbraccio e di salutare Frank per poi
dirigersi verso la
propria camera. L’aveva salutato sottovoce, come se temesse
che anche il più
piccolo sussurro potesse metterli in pericolo.
Ma l’inquietudine e la sensazione istintiva di essere
osservato non l’avevano
mai abbandonato. E poi c’era quel silenzio. Completo.
Pesante. Quasi tangibile.
Lo detestava.
Doveva assolutamente colmarlo con qualcosa. Colmare quel vuoto sonoro
che tanto
lo spaventava.
Non appena si chiuse la porta della
camera alle spalle,
ansimando per la corsa e la paura, si cambiò ed
indossò il suo adorato pigiama
dei Misfits il più in fretta possibile, come se ogni secondo
perso fosse un
secondo in meno di vita.
Una volta sotto le coperte, tentò di rilassarsi e di
scacciare il silenzio
ascoltando un po’ di musica attraverso gli auricolari
dell’iPod, in modo da
calmare i nervi ed assopire la mente, scacciandone tutti i pensieri
negativi...
Ma anche dopo un’ora ininterrotta di musica, Morfeo sembrava
ben lontano
dall’essere disposto a scendere a fargli visita.
Decise dunque di levarsi le cuffie per lasciarle sul comodino accanto
al letto
e tentare di addormentarsi nel silenzio che regnava incontrastato sulla
casa di
notte.
Ma era il silenzio stesso a spaventarlo.
Temeva di udire un rumore, anche piccolissimo, da un momento
all’altro, a tradire la presenza di quella
‘cosa’ nelle vicinanze. Quando sei
immerso in un completo ed innaturale silenzio, speri con tutto il cuore
che quella
situazione finisca. Ma allo stesso tempo sei terrorizzato
all’idea di un
qualsiasi rumore che potrebbe infrangere quella stasi.
Gerard rabbrividiva persino per i lievi fruscii che la
stoffa produceva ogniqualvolta si rigirava nel letto, incapace di
trovare una
posizione comoda.
E temeva che quella creatura misteriosa, qualsiasi cosa essa
fosse, si nascondesse nelle tenebre proprio di fronte a lui. Si sentiva
come
osservato e non era
in grado di
comprendere se lo fosse stato realmente o se si trattasse solamente di
una sua
sensazione sgradevole.
Aveva passato l’intera
notte così, con l’inquietudine che
possedeva il suo animo e gli incatenava i pensieri, senza lasciarlo
dormire.
E non era preoccupato esclusivamente per se stesso e la
propria salute mentale. Ammesso che lui stesso non fosse uscito di
testa
completamente, era comunque evidente il fatto che fosse
l’unico in grado di
vedere quella ‘cosa’. Se mai avesse deciso di
attaccare gli altri, loro non se
ne sarebbero nemmeno accorti...
Se lui era davvero l’unico in grado di vederla doveva
proteggerli. Doveva essere lui a farlo, perchè gli altri,
ignorandone
l’esistenza, non sarebbero mai stati in grado di difendersi
dal soli.
Ma, davvero, come affrontare un essere che non sai
cos’è e
non puoi nemmeno fottutamente vedere?
Tormentato da questa domanda, Gerard continuava a rigirarsi nel letto,
le
lenzuola che gli sembravano pesare addosso come una cotta di maglia
anzichè del
morbido tessuto.
‘Ma...’
riflettè tra sè e sè, in preda ad una improvvisa
illuminazione ‘Sono
davvero l’unico in grado di vedere quella cosa...?
Non l’aveva mai vista prima di allora. Non prima di aver
messo piede nella
casa, ormai due giorni prima...
Ciò poteva significare che forse
quell’entità si trovasse esclusivamente in
quella villa coloniale...
...e che, molto probabilmente, vagava lì dentro fin da prima
dell’arrivo della band.
Se davvero quella cosa era lì da tanto era impossibile che
lui fosse l’unica
persona in grado di vederla.
Forse la casa era davvero stregata come dicevano...
E, se c’era una cosa che Gerard aveva imparato dalle
innumerevoli
nottate passate sul divano di casa a guardare film horror con Mikey (e
a volte
anche con Frank, che si autoinvitava sfacciatamente a casa Way non
appena
sentiva la parola horror fuoriuscire dalle labbra di uno dei due
fratelli)
quando una casa è infestata, sicuramente
c’è più di una persona in grado di
vedere i fantasmi o comunque gli esseri sovrannaturali che vi dimorano.
E,
soprattutto, se una casa è infestata, il motivo è
da ricercare nella storia
della casa stessa. Il che a volte, permette anche di indagare la natura
e
l’origine delle presenze che la infestano.
Quindi la cosa migliore da fare era scoprire qualcosa di più
su quella casa...
Gerard raccolse tutto il coraggio di
cui disponeva ed estrasse il braccio
destro dalle coperte per poi estenderlo nel buio pesto verso il muro
per
cercare a tentoni l’interruttore.
Gli ci volle qualche secondo, ma infine il tasto scattò con
un sonoro schiocco e la luce improvvisa gli trafisse dolorosamente le
cornee.
”Ggggh...” si lasciò sfuggire, parandosi
inizialmente il viso con la mano, per
poi ammutolire immediatamente e portarsi il palmo davanti alla bocca,
timoroso
che anche quel minimo gemito potesse aver portato la misteriosa
creatura fin da
lui.
Passò qualche secondo ad osservare febbrilmente ogni piccolo
angolo della
stanza, le pupille che dardeggiavano in tutte le direzioni, ma non vide
nulla
che potesse tradire la possibile presenza della
‘cosa’ e si tranquillizzò
leggermente.
Si sporse verso il comodino al fianco del letto. L’antina di
legno si aprì con
un cigolio sinistro quando ne afferrò la maniglia, ma Gerard
ingoiò un respiro
e decise di non badarci. Tirò fuori con cautela la custodia
del computer
portatile e se la posò sulle gambe.
Decise comunque di non richiudere l’antina: meno rumore
faceva e meglio era, o
almeno così pensava.
Il pc si accese con un ronzio basso, il piccolo schermo che gli
inondava il
viso di luce, conferendogli un malsano pallore verdognolo.
Aprì immediatamente la homepage di Intenet, impostata su
Google e posò le dita
sulla tastiera, digitando lieve, in modo da non fare troppo rumore:
Paramour Mansion
...e non trovò un gran che, a dir la verità.
Giusto un paio di informazioni su Wikipedia: Paramour Mansion non era
il nome
originario della villa coloniale, bensì Canfield-Moreno
Estate, appartenuta ad
un certo Antonio Moreno, e sua moglie Diasy Canfiled. Ma la pagina
parlava
anche della morte di Daisy nel
Quando però cercò delucidazioni si questo fatto
non trovò
altro e la cosa lo insospettì.
Tornò a studiare la storia della casa sulla pagina di
Wikipedia: apparentemente aveva passato diversi proprietari. Prima era
divenuta
proprietà dell’erede di Daisy, una certa miss
Chloe P. Canfeild, che l’aveva
trasformata in un istituto per ragazze per bene.
Gerard sbuffò.
Ecco! Se la cosa si fosse venuta a sapere chissà quanti
altri epiteti femminili saprebbero piovuti su di lui e sulla sua band!
Come se
già non ne avessero ricevuti abbastanza...
Tirò un lungo sospiro, pensando al fatto che effettivamente
nessuno di loro era
propriamente uno stereotipo di virilità, e tornò
a piantare gli occhi sullo
schermo del pc.
Dopo essere diventata un collegio per Signorine, la villa
era stata venduta alle suore e trasformata in convento.
Di male in peggio! Per un momento Gerard ebbe una fugace visione di
tutti i
componenti della band vestiti da suore, con tanto di abito nero ampio e
velo
bianco.
Inorridito, scacciò l’immagine dalla mente e
riprese a leggere: nel 1987 un
violento terremoto si era abbattuto sulla California ed aveva
danneggiato
seriamente la casa, costringendo le suore a venderla e poi...
Nulla.
Assolutamente nulla!
Undici anni di vuoto totale.
Il cantante si stropicciò
gli occhi per la stanchezza dovuta alla mancanza di
sonno e gettò uno sguardo alla finestra, dalla quale
cominciavano a fare
capolino i primi bagliori dell’alba, mentre il cielo aveva
assunto una morbida
sfumatura rosata. Tornò a concentrarsi sullo schermo del pc,
sapendo che tra
non molto avrebbe dovuto alzarsi comunque e che quindi a questo punto
tanto
valeva tirare avanti fino a quel momento.
Le notizie sulla villa riprendevano dal 1998, quando era stata
acquistata da
una certa Ms. Dana Hollister, che aveva ristrutturato la
proprietà e ne aveva
fatto uno studio di registrazione.
Ma che cosa diamine era successo in quegli undici anni?
Gerard provò a setacciare Google, alla ricerca di
informazioni, lessandosi gli occhi a furia di fissare lo schermo del
computer,
ma non trovò assolutamente niente.
Era come se la casa fosse letteralmente sparita per undici anni...
***
‘Certo che sono diventato proprio qualcosa di
deprimente.’
Riflettè amaramente. ‘Non che prima non fossi di
certo più allegro: il nero è
sempre stato il mio colore. Però almeno qualche elemento di
rosso lo indossavo.
Ultimamente ho iniziato a vestire esclusivamente di nero, quasi senza
accorgermene...’
Scelse un paio di jeans attillati e una maglietta senza
porvi troppa attenzione e poi
aprì il
cassetto della biancheria per estrarne un paio di boxer e uno di
calzini. La
visione che gli si presentò
aprendo il
cassetto fu nuovamente completamente nera.
‘Sono depresso persino nei paesi bassi!’
ridacchiò tra sè e
si domandò se anche il resto della band fosse stata
influenzata da The Black
Parade ad un livello così profondo. ‘Questa
faccenda della Parata Nera ci è
seriamente sfuggita di mano. Chissà se anche gli altri
indossano solo
biancheria nera...”
L’improvvisa visione di Frank che vagava per la camera con
addosso esclusivamente un paio di boxer neri aderenti gli invase
completamente e
repentinamente la scatola cranica, scacciando qualsiasi altro pensiero.
Si sentì avvampare e cercò invano di scacciare
quell’immagine dalla mente, mentre si dirigeva verso il letto
e cominciava a
vestirsi stancamente.
Beh, quella volta Frank indossava sicuramente dei boxer
neri, ma solitamente il chitarrista portava i jeans moooolto bassi e,
beh...
Effettivamente lo aveva visto portare anche boxer bianchi o grigi,
forse blu
una volta. Non che gli guardasse il culo ogni due per tre, eh! No, non
era
così! Davvero!
E’ che l’occhio cade su certe cose, capite...
Scosse la testa rendendosi conto di quanto sembrasse un cacchio di
vecchio
pervertito in quel momento. Quando gli sembrò di essersi
ricomposto abbastanza,
indossò una leggera felpa col cappuccio –
ovviamente nera – lasciando la zip
aperta, perchè non faceva poi così fresco per
essere ottobre, ed uscì dalla
propria camera.
‘Come prima cosa ci vuole
un caffè.’ Stabilì, avviandosi con
decisione verso la cucina, per prepararsene una caffettiera intera. Il
che non
era molto diverso dal primo pensiero che gli si affacciava alla mente
ogni
mattina, di solito.
Quando si fu finalmente colmato una grande tazza di ceramica
dell’amaro liquido scuro e d averlo allungato generosamente
con del latte,
decise che non aveva intenzione di starsene in cucina, ma che sarebbe
stata
un’ottima idea andare a sorseggiarlo fuori, nel patio,
lasciandosi carezzare il
volto dai primi raggi del sole e godendo del fresco mattutino.
Fu mentre apriva la porta a vetri ed usciva in cortile,
accolto immediatamente da una folata di vento gelido – okay,
non faceva poi
così fresco, ma non faceva nemmeno caldo, dopo tutto - e da
qualche foglia
secca, che vide il custode.
Si trovava all’angolo opposto del cortile, oltre la piscina,
e stava
raccattando pigramente le foglie cadute con una scopa di saggina. Non
sembrava
essersi accorto dell’inusuale presenza di Gerard
così presto la mattina.
Il cantante appoggiò la tazza fumante su un tavolino di
metallo verniciato di nero vicino all’ingresso e si
allacciò la felpa fino al
collo per proteggersi dall’aria frigida, poi riprese la tazza
ed iniziò a
sorseggiarne il caldo contenuto, continuando ad osservare il custode e
riflettendo tra sè.
Quell’uomo...
Sembrava saperla lunga.
Indubbiamente non era per niente giovane, o almeno portava
male la sua età. Inoltre sembrava essere in quella villa da
molto molto
tempo...
Quindi se c’era qualcuno che poteva sapere qualcosa in
più su quella casa,
qualcosa che non si trovava su internet, era indubbiamente lui.
Gerard finì di bere il
caffelatte e, dopo un momento di
esitazione, decise di abbandonare semplicemente la tazza sul tavolino,
poi si
avvicinò cautamente all’uomo, che stava ancora
spazzando stancamente le foglie
secche, ammucchiandole in tanti piccoli cumuli.
“Ehm... Mi scusi...” tentò di
approcciarlo timidamente
Gerard.
”Cosa c’è!?!”
sbottò secco il custode, sollevando la testa di scatto con
aria
ostile. Poi, sembrò come mettere a fuoco la figura di Gerard
e cambiò
atteggiamento.
”Ah, è lei.” Disse, cercando di
mascherare con un sorriso cordiale
un’espressione di sincero disappunto. “Come mai
già in giro a quest’ora del
mattino?”
”Uh, io... Non riuscivo a dormire e mi sono alzato per farmi
un caffè.” Tentò
di giustificarsi Gerard, un po’ a disagio, sentendosi
squadrato da capo a piedi
da quell’uomo.
“Ehm... Ecco io avrei una domanda da farle, se non la
disturbo.”
“Affatto.” Rispose il guardiano, posando a terra la
scopa ed
osservandolo in attesa. “Domandi pure.”
”Dunque, io mi chiedevo se lei saprebbe dirmi qualcosa in
più su questa
casa...” chiese Gerard, sperando con tutto il cuore che il
custode fosse
disponibile a fugare i suoi dubbi.
”In che senso?” domandò
l’uomo, evidentemente colto alla sprovvista da una
richiesta del genere “C’è qualche sala
in particolare che vorrebbe visitare o
ha qualche dubbio sulle condizioni di affitto poste agli artisti per
quanto
riguarda lo studio?”
”No. No. Non intendevo in quel senso!” si
affrettò a precisare gerard, agitando
le mani davanti a sè e dando più enfasi al
diniego “Io mi chiedevo se lei
potesse raccontarmi qualcosa proprio su questa villa... Che so... Sulla
sua
storia, sui proprietari del passato...”
”E’ la prima volta che qualcuno mi chiede una cosa
del genere! Come mai questo
interesse per il passato della villa?” gli chiese il custode,
osservandolo con
sospetto.
”C’è... C’è una
cosa che vorrei capire. E forse saperne di più su questo
luogo
potrebbe aiutarmi...”
”Quanto sa lei già della storia di questa casa?
C’è qualcosa in particolare che
vorrebbe sapere?”
“Veramente ho già fatto qualche ricerca. Ma non ho
trovato
molto... Cosa sa dirmi dei primi proprietari? Intendo
dire...” e qui prese un
profondo respiro “...Daisy Canfileld.”
“Mi sta chiedendo... della sua morte?”
“Si.” Rispose Gerard, in un soffio.
“Ebbene, immagino lei sappia com’è
venuta a mancare la
signora Canfield.”
”So che è stato un incidente d’auto. Ma
c’è dell’altro vero? Le informazioni
sono poche e confuse...”
”Infatti è sicuramente successo qualcosa. Deve
sapere che quella sera del 1933,
Daisy non era in macchina da sola, ma stava tornando verso questa casa
dopo
essere stata ed un party insieme ad un’amica, una certa Rene
Dussac. Quella
donna è sopravvissuta all’incidente che ha ucciso
la signora Canfield, ma i
suoi racconti dell’accaduto sono sempre stati piuttosto
confusi, sa...”
Gerard trattenne il respiro e tenne gli occhi incollati
sull’uomo, aspettando
che continuasse a raccontare.
”Secondo Rene, comunque, pare che quella tarda sera di
febbraio ci fosse una
fitta nebbia, che rendeva molto difficile vedere la strada e pericoloso
mettersi alla guida. Ma Daisy aveva insistito molto per tornare verso
casa,
perchè diceva di non sentirsi bene, quindi, nonostante le
continue proteste
dell’amica, si era messa alla guida...
Ma, mentre stavano percorrendo Mulholland Drive, la povera Daisy ha
perso il
controllo della macchina e il veicolo è volato per un
centinaio di metri giù
dalla curva panoramica...
L’amica si è miracolosamente salvata, anche se
è rimasta gravemente ferita. Per
la povera donna invece non ci fu nulla da fare: aveva il petto
schiacciato ed i
polmoni spappolati dalle lamiere dell’auto.”
L’uomo fece una pausa drammatica e si lasciò
andare ad un sorrisetto
compiaciuto nel vedere l’espressione sconvolta dipinta sul
viso di Gerard, che
si era fatto, se possibile, ancora più pallido del suo
naturale biancore
malaticcio.
”Secondo l’autopsia non aveva contusioni in testa.
E’ molto probabile che la
donna sia morta dopo una lenta agonia, per soffocamento, dato dallo
schiacciamento
dei polmoni.”
”Oddio...” gemette Gerard, portandosi una mano alla
bocca, sconvolto al solo
pensiero di una morte tanto orribile. Sentiva la nausea nascere dalla
profondità delle viscere e crescere lentamente fino ad
arrivargli alla gola.
“Ma non è finita
qui!!” esclamò il custode senza preavviso,
facendo prendere letteralmente un colpo a Gerard, che per poco non fece
un
salto all’indietro dallo spavento, il che lo avrebbe portato
a ruzzolare dritto
nella piscina che si trovava alle sue spalle.
“C-c’è
dell’altro...?” domandò il cantante, una
volta
ripreso l’equilibrio, per quanto in cuor suo sapesse
già che la risposta
sarebbe stata affermativa.
”Certamente.” Riprese l’uomo, con
un’espressione estremamente seria in volto.
“Come ho detto prima l’amica di Daisy si
è salvata. Ma
quando finalmente riuscirono ad estrarla dalla carcassa
dell’auto era in un
profondo stato confusionale. Dai pochi brandelli di frasi comprensibili
che
sono riusciti a cavarle di bocca, si è scoperto che la donna
avesse cercato di
aumentare la luminosità dei fari, per vedere meglio
attraverso la fitta
nebbia... Ma quando la polizia analizzò l’auto,
scoprì che al momento
dell’incidente i fari erano spenti.
Mentre, invece, l’interruttore era posto sui
fendinebbia...”
”Oh!” si lasciò sfuggire Gerard, con
un’esclamazione acuta che stentò a
riconoscere come la propria voce.
“E’ per questo che c’è chi
dice che non si sia trattato di
un semplice incidente, ma di un omicidio.
Alcune persone insinuarono che potesse essere stato lo stesso marito do
Daisy,
l’attore Antonio Moreno, a sabotare l’auto. Anche
perchè la morte avvenne
giusto un paio di settimane dopo la fine del loro matrimonio.
Ma,ovviamente, la
cosa non fu mai provata.”
“E l’amica? Rene...? Che fine ha fatto?”
”Non si è più ripresa. Anche se le sue
ferite sono guarite lentamente nel corso
degli anni successivi, è rimasta in uno stato mentale
confusionario molto a
lungo...”
”E ora dove si trova?”
”E morta nel
***
Continuava a ripensarci, il che lo portava ad essere sempre distratto o
assente, con conseguenze disastrose sulle registrazioni, visto che non
riusciva
a cantare come avrebbe dovuto, mancando di concentrazione. Tutte le
parti
vocali registrate quel giorno, vennero cancellate, perchè
non ritenute
sufficientemente valide nemmeno per delle B-sides.
A nessun componente della band sfuggì il suo comportamento
insolito, ma ogni
volta che qualcuno gli si avvicinava per chiedere spiegazioni, Gerard
lo
scacciava in malo modo. Scacciò involontariamente anche
Frank, allo stesso modo
e l’espressione ferita che gli restituirono gli occhioni del
chitarrista bastò
a farlo sentire tremendamente in colpa per tutto il resto della
giornata.
S’era fatta ormai sera
inoltrata quando stava andando in
cucina per prepararsi una tazzona di tisana. La carenza di sonno si
faceva
sentire con tutti i suoi fastidiosi effetti collaterali. Stanotte
doveva
assolutamente riuscire a dormire o sarebbe sicuramente collassato il
giorno
successivo. E forse una buona tazza di camomilla lo avrebbe aiutato a
calmare i
nervi e a prendere sonno.
Stava nuovamente percorrendo il largo corridoio al
pianterreno della villa quando adocchiò il grande specchio
dove aveva visto
comparire la cosa per la prima
volta.
Aveva una fottuta paura a passarci nuovamente davanti, ma era
l’unico modo per
raggiungere la cucina. Per un momento, soppesò mentalmente
l’idea di rinunciare
alla tisana e ritornare sui propri passi, ma infine si decise a muovere
qualche
passo avanti.
E quando gettò un’occhiata timorosa nello
specchio...
...la cosa era di nuovo lì!
Fluttuava nell’aria proprio
alle sue spalle, senza agire,
senza toccarlo in alcun modo, ma era lì. Era fottutamente
lì, vicinissima a
lui, riflessa nel grande specchio.
A Gerard si mozzò letteralmente il respiro e
passò quella che credette essere
un’eternità, pietrificato, ad osservare il proprio
riflesso pallido come un
cencio nello specchio e la cosa che continuava a fluttuare direttamente
alle
sue spalle. E sembrava nuovamente osservarlo con quelle sottospecie di
punti
luminosi, al centro della massa di fumosa oscurità...
“Gee?”
La voce di Frank gli giunse dal fondo del corridoio, liberandolo dalla
paralisi.
Bastò la frazione di secondo in cui aveva spostato lo
sguardo sul proprio chitarrista, che stava giungendo tranquillamente
dal fondo
del corridoio, e poi nuovamente sullo specchio, a far sparire la cosa dalla sua vista.
Di nuovo. Come l’altra volta, non appena aveva chiamato
Frank, la cosa era sparita.
Cosa significava?
”Gee, che succede?” domandò il ragazzo,
ormai ad una decina di passi da lui.
Senza nemmeno avere il tempo di
pensarci razionalmente,
Gerard si era fiondato tra le sue braccia. Lui stesso se ne rese conto
ad
azione avvenuta, quando avvertì il calore del piccolo corpo
di Frank contro il
proprio ed il profumo dello shampoo che aveva utilizzato emanare dai
capelli
morbidi, che ora gli stavano solleticando il volto.
Ma era così spaventato... Troppo per lasciare andare quel
piccoletto, che aveva l’incredibile potere di
tranquillizzarlo con la sua
semplice presenza.
Sentì Frank irrigidirsi inizialmente in
quell’abbraccio inaspettato, ma dopo
qualche istante le mani del chitarrista scivolarono sulla sua schiena e
ricambiò la stretta.
“Gerard...?” pronunciò nuovamente il suo
nome, quasi in un
sussurro.
Per tutta risposta il cantante lo strinse un po’ di
più a sè.
"Gee, che cos'hai..?" chiese di nuovo Frank, questa volta con un tono
molto preoccupato.
"Io... Io non lo so." riuscì finalmente a trovare la voce
Gerars, continuando a tenersi stretto a Frank. "Non capisco
più niente. Forse sto davvero impazzendo..." gemette, ormai
sullìorlo di una crisi di panico. Non riusciva a calmarsi,
nonostante stesse stringendo Frank tra le braccia. Non appena si rese
conto che nemmeno quella che pensava essere la sua unica speranza
sembrava funzionare in alcun modo, si agitò ancora di
più. Cosa cacchio stava succedendo?
"Gee... Gee... Gerard!" Esclamò infine il piccoletto,
facendo forza dulle braccia per allontanarlo a fatica da sè,
giusto quanto bastava per poterlo scrutare in viso. E quello che vide
non gli piacque: era pallico come un cencio e gocce di sudore freddo
gli imperlavano la fronte. Gli occhi erano spalancati elucidi, tanto
che pareva potesse scoppiare a piangere da un momento all'altro.
Fu questa la patetica immagine che Gerard vide specchiarsi negli occhi
di Frank. Patetico. Era patetico. Non poteva mostrarsi in quello stato
pietoso. Non così. Non da lui.
Si strofinò una mano sul viso, tentando di ricomporsi un
minimo e dischiuse le labbra per cercare di mettere in fila due parole,
in modo da formare almeno una frase di senso compiuto.
"Frank, io... I-io ho visto di nuovo quella cosa. Nello specchio e-
Oddio, non so cosa fare... Che cos'è? Perchè la
vedo soltanto io?"
Frank aggrottò le sopracciglia, in un'sepressione
preoccupatissima, che Gerard giurava di non avergli mai visto in viso,
come se ci fosse dell'altro dietro. Come se non fosse preoccupato
esclusivamente per le sue condizioni pietose, ma ci fosse qualcosa di
più grande, che a lui ancora sfuggiva.
Sentì il chitarrista
stringere un po' di più le mani sulle sue spalle, come a
volergli dare un segno tangibile della propria presenza, del fatto che
fosse lì con lui, in quell'esatto momento.
"Gerard... Gerard, calmati." Mormorò, scuotendolo
leggermente e cercando di farsi guardare in faccia "Gerard, guardami,
ehi! Va tutto bene, ma devi calmarti adesso. Ci sono io con te, quindi
calmati..."
"Non ci riesco... Non ci riesco!" sbottò Gerard
all'improvviso, spaventando Frank che fece un piccolo passo indietro
"Sono così confuso... Non capisco più niente... E
quella cosa mi preoccupa." si lamentò, prendendosi la testa
tra le mani, tirando ciocche di capelli neri, che stavano finalmente
ricominciando a crescere.
Frank cercò nuovamente di
rassicurarlo ”Secondo me sei solo molto stanco. In
queste notti non stai dormendo quasi per niente, vero? Come quando sei
venuto da me l'altroieri...Sei sicuramente molto stanco. E forse i vari
impegni della band ti stanno stressando. Stiamo facendo davvero un
sacco di
cose ultimamente. E tu stai anche lavorando ad un fumetto. E’
più che
comprensibile che tu sia stanco.
Hai solo bisogno di distrarti un po’.” Concluse
sorridendogli dolcemente.
”E se vuoi... Posso fare io qualcosa per distrarti.”
Sussurrò Frank al suo orecchio con voce sottile,
sottolineando l’ultima parola
e facendo scorrere una mano dal petto di Gerard lungo la sua pancia
fino a
fermarsi a giocare col bottone dei suoi jeans.
Al cantante qusi prese un colpo. Frank non s'era mai comportato
così da sobrio. ”F-Frankie... Veramente non mi
sembra il momento. Davvero
non capisci? Ho troppa paura. Ho paura che quella cosa
ritorni.”
Frank sospirò, evidentemente deluso dalla non-reazione di
Gerard, anche se poi gli dedicò un'occhiata se possibile
ancora più preoccupata delle precedenti. Solo che questa
volta c'era qualcosa in più dentro. Sembrava... tristezza?
”Ehi... Ma non eri tu quello che adorava i vampiri ed i
mostri? Li disegni
sempre, praticamente ovunque! Com’è che adesso sei
così spaventato, Gee?” provò a
riprendere, con tono
scherzoso, aggiungendo una delle sue tipiche risatine acute alla fine
della
frase. Solo che questa volta la sua risata, solitamente coì
cristallina e spontanea, sembrava fredda e forzata in mezzo a
quell'atmosfera pesante.
”L-lo so, ma.... Ah! Aaaaaaaah!” Gerard si
allontanò di scatto, lasciandosi
sfuggire un urlo strozzato, gli occhi spalancati dal terrore. Quella
cosa.
Quella cosa era visibile ad occhio nudo ed era alle spalle del suo
amico. Così
vicina a lui, che alcune sue propaggini quasi lo avvolgevano,
ondeggiando
leggere nell’aria come fanno i capelli lunghi
sott’acqua.
”E-ehi? Cosa... Cosa succede, Gee...?” chiese,
raggelando.
Ma il cantante non riusciva a parlare, schiuse le labbra, boccheggiando
senza
emettere suono. Alzò lentamente un braccio, puntando un dito
tremante verso la creatura.
”Ge-Gerard...? S-se mi stai prendendo in giro non
è divertente, smettila subito...”
Adesso la sentiva anche lui la paura. Oh sì che la sentiva,
ghermirgli il cuore
in una morsa con i suoi freddi artigli.
”C-c-c’è qualcosa dietro di
me?” chiese, aspettando una risposta che non
arrivò.
Si voltò lentamente per
guardarsi alle spalle e Gerard lo
vide chiaramente fare un salto all’indietro per lo spavento,
alla vista della
fumosa creatura fluttuante.
“C-cosa... Cosa sei? Cosa vuoi da me?”
domandò in uno
squittio terrorizzato il chitarrista, muovendo un piccolo passo cauto
all’indietro, verso Gerard.
Bastarono quelle poche parole a colpire Gerard come una
frustata: Frank stava parlando con quella cosa! Frank la vedeva!
Com’era possibile? Per tutto quel tempo aveva sempre pensato
di essere l’unico a vedere e percepire la sua presenza. Ma
allora...
”N-non avvicinarti... Vattene via!”
intimò arretrando ancora di un paio di
passi, quando la creatura si avvicinò fluttuando a lui.
Gerard si trovava ancora a quattro o cinque passi da lui, senza poter
fare
altro che osservare la scena, pietrificato dalla paura.
Perchè la cosa era
visibile, adesso? E soprattutto perchè se la stava prendendo
con Frank?
“Aaaah! No! Vattene!” quasi urlò il
ragazzo quando l’essere
si avvicinò nuovamente a lui, allungando una propaggine di
foschia oscura verso
il suo viso.
Gerard visse gli attimi successivi in
maniera molto confusa.
Avvertì il proprio braccio scattare in avanti, anche se non
ricordava di aver
pensato in alcun modo di farlo e spiccò una specie di salto
verso Frank.
Afferrò il polso del suo compagno e con uno strattone
improvviso se lo tirò
addosso, allontanandolo da quella cosa, e lo
abbracciò strettissimo. Lo strinse a sè con
tutta la forza che aveva, come se fosse stato il tesoro più
prezioso al mondo,
come se ne andasse della sua stessa vita.
Probabilmente lo stava stringendo così forte da fargli male
o impedirgli di
respirare, ma lui stesso non si rendeva quasi conto di cosa stesse
facendo.
Sapeva solo che quella cosa stava per fargli qualcosa e lui doveva
proteggerlo.
O almeno provarci.
Ma la cosa era ancora lì di fronte a loro, lui lo sapeva. Lo
percepiva, anche
se non aveva il coraggio di guardare, perchè aveva serrato
strettamente le
palpebre non appena si era ritrovato Frank contro il petto e tra le
braccia.
Era letteralmente terrorizzato da ciò che sarebbe potuto
succedere di lì a
poco, anche se non ne aveva davvero la più pallida idea.
Riusciva solamente a
immaginare che sarebbe stato qualcosa di orribile e tutto
ciò che riusciva a
fare era respirare a fatica e tenersi stretto il piccolo chitarrista.
Non l’avrebbe lasciato andare per nulla al mondo.
Non sapeva se la cosa era
interessata
ad entrambi o esclusivamente a lui, ma qualsiasi cosa fosse successa,
l’avrebbero
affrontata insieme.
Strinse le palpebre così forte da veder spuntare tante
piccole stelline all’interno delle orbite ed attese...
Attese per quella che gli parve
un’eternità, ma non successe
proprio nulla.
Udì un piccolo gemito soffocato provenire da qualche parte
all’altezza del proprio petto, dove stava ancora premuto il
viso di Frank ed
iniziò a schiudere cautamente gli occhi, ancora molto
timoroso di qualsiasi
scena gli si sarebbe potuta presentare davanti...
...invece trovò solamente il largo corridoio deserto e
scarsamente illuminato ad accoglierlo.
La cosa era sparita nuovamente. Misteriosamente come era
comparsa.
Quasi trasalì quando una
sottospecie di rantolo gli giunse
alle orecchie ed abbassò lo sguardo su Frank.
”Gee... Gee, non respiro...”
“Wah! S-scusa!” esclamò il cantante,
allentando la presa. Ma
solo un po’, quel tanto che bastava per lasciar emergere il
viso di Frank dal
proprio petto. Non si sentiva per niente al sicuro, quindi non aveva
ancora
intenzione di lasciarlo andare.
Il piccoletto emerse dal suo abbraccio, inalando avidamente
l’aria che gli era mancata fino a quel momento.
“Frankie? Stai... Stai bene?”
E si sentì stringere il cuore in una morsa quando finalmente
incontrò gli occhi
del chitarrista: erano enormi e spaventati...
Ma fu lo sguardo ciò che lo colpì di
più. C’era una muta richiesta di aiuto in
quegli occhi così grandi, nei quali si stava specchiando e
per un attimo
temette di annegarci letteralmente dentro.
“Gerard... Io...” disse Frank in un gemito appena udibile, abbassando lo sguardo, “C’è una cosa che devo raccontarti...”
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Buonsalve, lettori! =D
Speravo davvero di riuscire a pubblicarvi questo capitolo entro la settimana scorsa, ma per una serie di contrattempi e incasinamenti ho dovuto rimandare di una settimana, sigh...
Comunque la cosa è ricomparsa, visto?!?
Questo è un capitolo molto molto denso, ed importante per la storia. Anche la prima parte, per quanto magari possa sembrare un po' lenta (e temo sia anche un po' pesante, scusate! ^^'), in realtà sarà molto importante e più avanti scoprirete il perchè.
Una cosa: tutte le informazioni sulla storia della Paramour Mansion che trovate in questo capitolo sono VERE.
Sono tutte vere, dalla prima all'ultima. Mi sono documentata e ho fatto ricerche prima di scrivere questo capitolo... Anche la vicenda della misteriosa morte di Daisy Canfield. L'unica informazione inventata è quella sulla fine di Rene, sulla quale non ho trovato nessuna informazione in giro. Ma anche questa sarà funzionale alla storia, come vedrete...
Comunque TAN-TAN-TAAAN!!! Colpo di scena, visto??? =)
Il FrankoH sa più di quanto paresse, uh!
Quanti se l'aspettavano?
E secondo voi che cosa dirà Frankie a Gee nel prossimo capitolo?
Ci saranno grandi rivelazioni!
E, forse, ci avvicineremo un po' di più alla risoluzione di questo mistero...
Vi ringrazio per la vostra pazienza se mi state seguendo ancora nonostante i miei tempi biblici nell'aggiornare.
Se vi va, fatemi sapre che ne pensate di questo capitolo e cosa vi aspettate dai prossimi!
A presto! ^^
Keep running. Keep shinig. Mean something.
xoxo
Lù