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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    20/09/2013    1 recensioni
[Angst/HurtComfort/FamilyFluff][PostHades]
Versione riveduta e corretta, divisa opportunamente in capitoli, della mia fic con lo stesso nome.
Quando non si sa se le cose miglioreranno o meno, quando un certo numero di segreti sono talmente dolorosi da rischiare di distruggere una famiglia ancora prima che questa possa muovere i primi passi...
Quando la Guerra Santa porta ferite molto più profonde di quelle fisiche.
Genere: Drammatico, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Pegasus Seiya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nei Giardini Che Nessuno Sa'
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CAPITOLO 4

TUTTO DEVE SEMBRARE IMPOSSIBILE...

Nei giardini che nessuno sa
Si respira l’inutilità.
C’è rispetto grande pulizia,
è quasi follia.

Seiya Kido, Saint di Athena ed eroe ad un età in cui si dovrebbe soltanto essere bambini...

Seduto sulla riva del Lete, col tempo congelato in un giorno perenne senza fine o bui, fissava malinconico la superficie increspata del fiume.

Pur non potendo vedere le stelle, le sentiva pulsare dolorosamente nel suo cuore e avrebbe potuto vederle, pur se sbiadite sbiadite, se solo avesse chiuso gli occhi: sapeva che i suoi fratelli avevano sofferto e stavano ancora soffrendo per lui ma non poteva aiutarli, non prima almeno di trovare un modo per aiutare sé stesso e trovare una cura per le sue ferite e per il suo Cosmo mortalmente colpito ormai ridotto ad un lumicino.

Era impotente.

In quel luogo di eterna tranquillità, però, stava recuperando le forze, gradualmente e senza fretta alcuna, mentre il suo spirito trovava conforto nel mulinello di risate e sorrisi dei bambini e delle donne che aveva trovato giunto lì.

Una famiglia spaccata in due e divisa dalla morte, la loro, una famiglia che però aveva trovato in lui quel sottile filo rosso che simboleggiava la loro unione anche oltre la morte.

Nei giochi infantili di quei suoi fratelli quasi del tutto sconosciuti, persi troppo presto e con le fattezze di eterni bambini, Seiya trovava il suo fragile equilibrio.

Ma il dolore non accennava a diminuire, non se ne andava mai: lo teneva stretto senza lasciarlo andare ed era insopportabile, a volte: tale da farlo piangere come in quel momento.

Ecco dov'eri...”

Ancora prima di udirne la voce, il ragazzo aveva riconosciuto, nell'odore portato dal vento, quello delle donne che l'avevano avvicinato con passo leggero; asciugarsi le lacrime fu un attimo e poi si lanciò tra le braccia accoglienti e spalancate della sua mamma.

Inginocchiata a terra, infatti, stava Hitomi, che lo avvolse in una nuvola di vaporosi capelli rossi come il tramonto, e non era da sola perché con lei c'erano anche Natassia e Deirdre.

Kaa-san...” sussurrò Seiya con il viso nascosto nella spalla della madre, aggrappandosi a lei come se non volesse cadere nel baratro in cui la sua disperazione lo stava trascinando: “Mi mancano... Mi mancano terribilmente... Ma non posso tornare...” si lasciò sfuggire un singhiozzo, “Non sono pronto... Non ho le forze per farlo...” .

Hitomi si scambiò uno sguardo addolorato con le compagne, che ricambiarono con occhi che erano lo specchio di una sofferenza profonda, quella di donne impotenti davanti al sangue dei figli che scorre a fiumi, poi riprese ad accarezzare la testa spettinata del ragazzino: “Pensa a guarire, piccolo... Tornerai da loro, te lo prometto.”

Seiya aumentò la stretta e due lacrime caddero sulla spalla di Hitomi: “Li sento soffrire, kaa-san ed è insopportabile.” rantolò come se gli mancasse il fiato, “Li amo troppo, capisci? Non ce la faccio a restare indifferente davanti al loro dolore, sono la mia vita.” parole sincere, le sue, che gli sgorgavano dal cuore con la dirompente energia di una supernova.

Lei annuì: “Sei qui anche per loro, Seiya,” replicò con voce serena, “Trova nel loro pensiero la motivazione. Fai ardere di nuovo il tuo Cosmo; a piccoli passi, senza fretta. Coltiva in te questo amore, fallo crescere e nutrilo, rendilo ancora più forte.” ella scostò il volto del figlio per far incrociare i loro occhi: azzurri come il mare i suoi, lucidi e color del cioccolato quelli del ragazzo.

Poi sorrise, asciugandogli con la manica le lacrime: “Sarà questa la tua energia vitale.”

Seiya, pur tremante, annuì: “V-Voglio tornare da loro, fosse anche l'ultima cosa che faccio.”


Ti darei gli occhi miei per vedere ciò che non vedi.

L'energia, l'allegria, per strapparti ancora sorrisi.

Dirti sì, sempre sì, e riuscire a farti volare...


Hyoga, sveglio in una stanza fredda, osservava con cupa rassegnazione il viso segnato di Shun che dormiva al suo fianco nel seppur ampio letto singolo che, notte dopo notte, era diventato la loro tana, un posto dove cercare di tenere fuori le brutture di una situazione che stava sfuggendo di mano sotto i loro occhi e che erano incapaci di gestire.

Ikki era rimasto in clinica a dare il cambio ad una Seika letteralmente esausta e lui non se l'era sentita di lasciare Shun da solo, non dopo le ultime 24 ore e certamente non senza un conforto e una protezione contro gli incubi più aggressivi; e in effetti era stata la scelta più oculata da fare: Shun aveva invocato a lungo Seiya, aveva pianto fino a sfinirsi ulteriormente e solo i goffi moti di affetto di Cygnus avevano permesso al tredicenne di calmarsi fino ad addormentarsi.

Hyoga era stato quasi tentato di chiamare Miho e dirle che non sarebbero passato ma aveva ricacciato via il pensiero, imponendosi disciplina: faceva bene a tutti loro e non solo ai bambini il vedersi perchè dava al tutto una seppur fasulla sensazione di normalità, ovvero ciò che impediva a tutti di impazzire definitivamente.

Seiya stava morendo e non potevano fare nulla per trattenerlo e legarlo a loro: non l'amore né Athena potevano fare nulla per lui.

E Hyoga ne era terrorizzato.

Pur non volendo pensare al peggio, doveva comunque tener in conto la possibilità che questo potesse accadere, e neppure era troppo remota la possibilità: ricordava il gelo delle mani di Seiya, quel gelo che gli aveva stretto lo stomaco in una morsa tale da paralizzarlo ed era stato in quel momento che aveva sentito, per la prima volta, il sangue ribollire consapevolmente.

Non voleva vedere un altro fratello morire davanti ai suoi occhi.

Alla ricerca di calore, Cygnus prese ad accarezzare i capelli spettinati del minore, che si mosse nel sonno con un mugolio infastidito: “ Vorrei dirti che andrà tutto bene...” sussurrò il russo mentre una lacrima scendeva dall'occhio sano, “Ma non ne ho neppure io la certezza.” ammise con un groppo in gola a mozzargli il respiro.

Non sapeva cosa fare...

Poteva solo aggrapparsi all'esile speranza che faticava a mantenere viva nel suo spirito.

Seiya... Non andartene.”

§§§

Quando Shun si risvegliò, la prima cosa che vide fu il segno delle lacrime, ancora umido nel punto in cui erano cadute sul cuscino che lui e Hyoga avevano diviso per quella notte ma del fratello nessuna traccia, il letto era tiepido dal suo lato ma freddo da quello del russo.

Pur se assonnato, quella mancanza lo inquietò non poco, preoccupandolo: dove poteva essere andato? Col cuore che batteva a mille, il ragazzino tese l'orecchio, distinguendo infine il suono dell'acqua corrente della doccia; a quel punto, calmatosi, si lasciò cadere sul materasso e chiuse gli occhi mentre sprofondava col viso nel guanciale.

Aveva i nervi a fior di pelle, come tutti e la nausea mentre tutte le sue troppo indebolite difese venivano abbattute da una nuova ondata di ansia e paura.

La possibilità che le cose peggiorassero fatalmente era concreta, forse troppo, e la prospettiva era raccapricciante al punto che Shun dovette reprimere con tutta la propria forza quello che, senza dubbio, era un attacco di panico in piena regola: non poteva pesare a propria volta sulla sua famiglia, non in momenti così' tremendi e dolorosi per tutti; si era ripromesso di non far trapelare nulla ma non poteva ingannare Hyoga, non poteva sottrarsi al suo silenzioso affetto e se anche avesse mantenuto davanti agli altri l'apparenza di una serenità che non gli apparteneva, di un rassicurante sorriso fasullo che celava un oceano nero di dolore e sofferenza, sapeva altresì che il Cigno avrebbe nuotato in quell'oscuro mare per abbracciarlo con forza e donargli la forza di svegliarsi ogni giorno.

§§§

La stanza in cui Unicorno era seduto non gli piaceva.

Era lì solo perché Saori-san glielo aveva chiesto e non per sua scelta.

Le alte scaffalature in legno di mogano, scuro e rifinito di particolari, erano piene di libroni pesanti rilegati con finiture in oro e da titoloni quasi incomprensibili che gli facevano girare la testa e sì che non era ancora al massimo della propria forma.

Sulla parete alle spalle della poltrona girevole del dottore era cosparsa di diplomi, certificati, foto inamidate di riunioni, seminari e chissà cos’altro, cosa che non lo convinceva per niente e non lo avrebbe mai convinto.

Cioè, chi mai poteva essere quel tipo che si vantava tanto di poterlo aiutare?

Lui non aveva nessun problema.

Cioè, si, forse un problema lo aveva ma esulava dalle competenze di quel tipo dagli occhiali con la montatura dorata che lo fissava con aria compiaciuta come se fosse una bestia rara: “O come un Unicorno.” si trovò a pensare e sentì gli angoli della bocca incurvarsi leggermente verso l’alto ma l’uomo immobile davanti a sé sembrava quasi non essersene accorto.

Un lieve fruscio di fogli gli fece sollevare sorpreso la testa e si stupì nel vedere il suo interlocutore osservare una loro foto dei tempi dell’infanzia, forse l’unica immagine rimasta di quell’epoca così lontana; doveva appartenere a Shun, Jabu ne riconosceva il segno caratteristico sugli angoli piegati con la precisione geometrica così cara al fratello, quasi tutte le raffigurazioni appartenenti all’Andromeda presentavano quel segno caratteristico.

Dove ha preso quella?” chiese con severità il ragazzo, facendo per riprendersela, “Me l’ha consegnata Lady Saori.” replicò l’altro, schivandolo con un semplice movimento delle spalle, il sorriso sul viso del professore davanti a sè lo faceva imbestialire, “Parlami di questa immagine…” cominciò lui, sfiorando con le dita i volti ivi raffigurati.

Unicorn scosse la testa arrabbiato: “non ho niente da dirle e il mio passato non sono affari suoi, sono stato chiaro?!” gridò stridulo, rizzandosi in piedi e gettandosi sulla mano dell’uomo che agitava davanti al proprio naso la fotografia.

Il guerriero riuscì a recuperarla per poi nasconderla in tasca.

Allora, Saori-sama mi ha pregato di scambiare due chiacchiere con te.” dichiarò affabile quello, come se nulla fosse successo, “È molto preoccupata per te, teme che la possibile morte di tuo fratello possa sconvolgerti ulteriormente.” decretò il medico, incrociando le mani davanti al viso, i gomiti poggiati sulla lucida superficie, “Com’era il tuo rapporto con lui?” incalzò, osservando il moro con aria curiosa.

Questi sospirò: “Quale parte del “si faccia i fatti suoi” non le è chiara?” sbottò ironico, “Seiya non morirà, non dica più cose del genere.” lo trucidò con lo sguardo per l’affermazione precedente, “Non morirà, ha capito?” puntualizzò il più giovane; lo psichiatra segnò alcune cose su di un foglio: “Ma così facendo potrà smettere di soffrire, non ci pensi a lui? Non credi di essere un po’ troppo egoista a pensarla così?” domandò il medico inquisitorio, allungando la testa verso il guerriero, in attesa di un risposta.

Jabu scattò in piedi, stringendo i pugni: “LUI NON MORIRA'” gridò il ragazzo con gli occhi fuori dalle orbite, afferrandolo per il colletto bianco e disfacendogli il nodo della camicia, “Non mi importa nulla di sembrare egoista, se è per mio fratello, perché io voglio che si svegli, che mi prenda a pugni e mi offra subito dopo la rivincita, voglio che continui a soffrire con noi in questo mondo, che continui a vivere assieme a noi. “ ringhiò sul naso del professore prima di mollare la presa, “E se osa lasciarsi andare, giuro che vado a prenderlo sino all’inferno e lo riporto qui a calci!” gridò, uscendo subito dopo dalla stanza, sbattendo poi la porta alle proprie spalle.

Il ragazzo corse, corse come mai aveva corso in vita sua, corse fino a farsi quasi scoppiare il cuore e quando si fermò, si accorse di essere uscito dal complesso ospedaliero e di trovarsi in un cortile.

Ma non riconosceva il posto.

Stava pensando a come tornare indietro quando, alle sue spalle, notò un’ombra sfuggente.

Si voltò di scatto, trovandosi davanti a un bimbo: avrà avuto all’incirca sei anni, forse sette, dai folti ricci neri che gli incorniciavano il viso paffuto. Addosso aveva un grazioso pigiama rosso con una macchinina stampata su, era buffo nel suo insieme ma sembrava tremendamente triste.

Jabu si asciugò gli occhi con la manica della felpa, inginocchiandosi di fronte a lui con un sorriso sghembo sul viso: “Che ci fai qui fuori, piccolo?” gli domandò, invitandolo ad avvicinarsi.

Lo scricciolo arricciò il naso, poi gli andò più vicino, scrutandolo attentamente: “Stai male?” gli chiese serio, evitando la domanda del maggiore, “Perché piangi?”.

Unicorn si sentì in imbarazzo: “Scusami… È che sono un po’ nervoso… E sono stanco… Tu piuttosto, non dovresti essere nella tua camera?” lo rimproverò; il minore annuì, “Si, ma mi annoiavo… Così sono uscito.” borbottò il bimbo, strisciando il piedino sul suolo ghiaioso, “Poi ti ho visto piangere.” aggiunse con solennità.

Una volta di più, il guerriero si sentì stupido.

E’ successo qualcosa?” chiese il bimbo, aggrappandosi alle sue spalle, con tutta la forza che le sue manine piccine potevano avere: “Sembri proprio triste..” borbottò lui, poggiando la sua testa sulla schiena del quattordicenne.

Unicorn sentì il prepotente istinto di prenderlo tra le braccia e stringerlo, gli faceva una tenerezza immensa quel piccoletto; e così fece.

E mentre lo abbracciava, non poté fare a meno di scoppiare in un pianto a dirotto.

Aveva letteralmente i nervi a pezzi.

Non gli importava di nulla, voleva che Seiya si svegliasse, a qualunque costo.

   
 
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