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Autore: _LilianRiddle_    21/09/2013    3 recensioni
Eccomi tornata con una nuova storia, dopo tanto tempo. Questa volta mi sono dedicata ad una Dramione, un genere che io amo da morire. E' la prima, siate clementi ^^.
Dal testo:
"- Maledizione! – esclamò, preoccupandosi ancora di più vedendo Luna poco lontano da lui, priva di sensi.
S’inginocchiò accanto al ragazzo, che stava tentando, invano, di alzarsi.
- Fermo Malfoy, fermo. – cercò di trattenerlo Hermione, con le mani tremanti e le lacrime agli occhi, troppo preda delle sue emozioni per riuscire a formulare anche il più semplice degli incantesimi di cura.
Il ragazzo la scacciò malamente, tentando ancora una volta di alzarsi.
- Non ho bisogno del tuo aiuto, Mezzosangue. Ce la faccio da solo. – disse tentando di suonare cattivo e minaccioso, respingendo le sue mani.
- Zitto, Draco, zitto. – sussurrò Hermione. Il ragazzo sussultò sentendo il suo nome pronunciato proprio da lei, proprio da quella che avrebbe dovuto insultarlo e picchiarlo come avevano fatto quei ragazzi. E ne avrebbe avuto tutto il diritto, di questo era sicuro.
- Io non mi sono difeso, Hermione. – bisbigliò lui, prima di svenirle tra le braccia. "
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione, James/Lily, Lily/Severus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saving each other - How to save a life'
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Capitolo VI.
 
Ronald Weasley camminava lento per i corridoi del settimo piano, i più devastati dalla guerra. Non essendoci classi, lassù era rimasto tutto come prima, in attesa che qualcuno lavasse via il nero di sangue e morte da quelle pietre che per troppo tempo avevano retto la sua scuola. Navigava con la mente, ricercando il posto della morte di Fred. Il suo fantasma era tornato per tormentarlo ancora, ma lui sapeva che in realtà non era giusto. Fred doveva essere morto. Morto e basta, rimanere a metà era una pura follia. Non che non rivolesse suo fratello indietro. Per quanto avesse potuto detestarlo per tutti gli scherzi che lui e George gli avevano riservato fin dalla nascita, non lo avrebbe cambiato per nulla al mondo. Ma niente avrebbe potuto riportarlo indietro, in carne e ossa. Avrebbe voluto sfogare tutta la sua rabbia – tutto il suo dolore – su Rookwood, ma non poteva, perché ormai quell’essere infame era ad Azkaban a scontare la sua pena. E lui non avrebbe più potuto toccarlo. Odiava, odiava sentirsi così. Sentirsi così vuoto e così pieno, non sapeva come comportarsi, non sapeva cosa dire. Ne aveva parlato con Harry e lui lo aveva capito più profondamente di chiunque altro. Ma non poteva aiutarlo. Harry aveva i suoi problemi. Però era stato fortunato, come sempre: lui aveva Ginny. Ginny era quello di più meraviglioso che poteva capitare nella vita di Harry ed Harry lo sapeva. E si fidava di lui, anche se non gli andava a genio il fatto che toccasse sua sorella. Ma, dopo che anche con Hermione non era andata bene – troppi pensieri, troppo dolore -, a lui non era restato nessuno. Non aveva qualcuno che lo amasse, che lo accettasse con tutto il suo dolore e la sua rabbia. Forse era per questo che si era buttato sulle ragazze. Quell’universo che prima lo spaventava a morte, adesso era diventato la sua ancora di salvezza.
Alzò lo sguardo, cercando con gli occhi chissà che cosa, quando vide una ragazza, parlare gentilmente con la Dama Grigia, i lunghi capelli mossi dal vento. Era così presa dalla conversazione, che per poco andò a sbattere contro Ron, rimasto a bocca aperta a guardarla arrivare. Ripresosi da quell’attacco di catatonicità acuta, si piego, prendendole i libri che le erano caduti.
- Scusa. Non ti avevo proprio visto. – disse lei con un sorriso di scuse.
 Ron scosse la testa.
- Non ti preoccupare, anche io ero sovrappensiero. – le rispose sorridendo.
La Dama Grigia, sentendosi tristemente di troppo, sparì in un soffio e i due si ritrovarono soli.
- Quindi tu sei il Prefetto di Grifondoro. – disse la mora, additando la spilla con la P che Ron mostrava fieramente sulla divisa.
- Sì. Quasi tutti i miei fratelli sono stati Prefetti. – le rispose con un velo di tristezza, pensando a Fred. – Vedo che anche tu sei Prefetto. Corvonero? -
- Si, sono al sesto anno. –
- Strano, non ti ho mai vista prima. Vieni da Beuxbatons? –
La ragazza rise, tornando a camminare.
- Oh, no. Ti sembro una delle bellezze eteree di Beuxbatons? No, io vengo dall’Egitto. Sono nata ad Alessandria d’Egitto e sarei volentieri rimasta lì, ma in questo periodo ci sono un po’ di casini e i miei hanno deciso di trasferirsi. Così, eccomi qua a Hogwarts. –
Il ragazzo annuì. Era la ragazza più bella che Ron avesse mai visto. I capelli neri, riccissimi, le arrivavano alla vita e gli occhi scuri brillavano di una grazia e di un’intelligenza non comune. Anche se era Corvonero, non sembrava una dei soliti secchioni degli ultimi anni. Anzi, pareva simpatica e divertente.
- Come ti chiami? – chiese la ragazza.
- Oh, sì… ehm… io sono Ron. Ron Weasley. Sai, capelli rossi e un sacco di fratelli… - sorrise, mesto.
- Quel Ron Weasley? Quello del Trio? Il fratello di Ginny? – chiese con una scintilla di curiosità negli occhi.
- Sì, proprio io. Conosci mia sorella? –
- Certo, siamo nello stesso anno e abbiamo lezione insieme quasi tutti i giorni. – si fermò davanti alle scale. – Io vado di qua. – disse indicando dispiaciuta la scala di destra.
Ron annuì.
- E io di qua. - Sorrise alla ragazza e fece per girarsi quando si accorse che, con tutti i pensieri che gli aveva procurato, non le aveva neanche chiesto come si chiamava.
- Non mi hai detto come ti chiami! – urlò alla ragazza, che già era a metà della rampa.
Lei si girò, con un sorriso bellissimo e luminoso.
- Io sono Samia. - lo salutò, promettendogli che si sarebbero di certo rivisti.
Trasognato, Ronald Weasley tornò alla torre di Grifondoro, forse più leggero di prima.
 
***
 
Draco Malfoy camminava per il parco di Hogwarts, dopo essere andato a schiarirsi le idee volando a parecchi metri da terra sulla sua scopa. Nessuno lo aveva voluto nella squadra di Quidditch di Serpeverde, nonostante tutti sapessero che lui, insieme a Potter, era uno dei più bravi cercatori di tutta Hogwarts. E nulla aveva cambiato il fatto che Serpeverde fosse riuscita a perdere addirittura contro Tassorosso, senza di lui. L’importante era non avere il Mangiamorte in squadra. Se solo lo avessero ascoltato. Non voleva la loro amicizia, non gli importava proprio di farsi degli amici, tantomeno idioti come quelli, ma avrebbe davvero voluto giocare ancora a Quidditch. Invece si ritrovava a dover volare da solo a notte fonda con il rischio di farsi beccare da Gazza e ricevere una punizione esemplare che avrebbe soltanto aggravato la sua situazione, aumentando il numero già elevato di retate contro di lui. Avevano provato anche a picchiare Blaise o Ashling. Nel primo caso ne avevano prese così tante che non si erano più azzardati a toccare il moro. Nel secondo, beh, Ashling sa essere estremamente convincente quando vuole. Soprattutto incazzata e con una bacchetta in mano. Le retate contro di lui non erano di certo diminuite. Anzi. Sembravano aumentare giorno per giorno. Viveva nell’ansia che qualcuno lo beccasse. Voleva solo essere lasciato in pace. Essere odiato, disprezzato, tutto quello che gli altri volevano. Ma voleva essere lasciato in pace. E non riusciva proprio a difendersi, nonostante le urla di Ashling e le frasi gentili di Blaise. Draco Malfoy pensava che, essendo scampato ad Azkaban per la bontà di altri, quello sarebbe stato un ottimo pegno in cambio della libertà. In fondo facevano bene a picchiarlo. Se l’era meritato. Era stato un ipocrita, un falso, un codardo. Un Malfoy. E odiava ammettere con se stesso che, per quanto fosse nato in una famiglia tutt’altro che dalla parte giusta, le scelte erano state sue e solo sue. Aveva liberamente scelto di farsi marchiare come un animale. Per proteggere sua madre e suo padre. Perché, nonostante il freddo distacco e lo sfarzo in cui era vissuto, l’amore dei suoi genitori non gli era mai mancato. E lui si sentiva in dovere di fare qualcosa. E, per un ragazzino di quindici anni, un Marchio non sembra così terribile rispetto alla perdita della sua famiglia. E adesso non aveva più niente. Ed era finito addirittura a confidarsi con la Granger. La Granger. Aveva ancora nelle narici il suo profumo di mandorle e menta e questo era male. Non si aspettava proprio che lo abbracciasse. Insomma, non lei, non dopo quello che le aveva fatto per così tanti anni. Era assurdo. Di tutte le reazioni che aveva pensato quando aveva iniziato a raccontare alla ragazza di quel particolare episodio della sua vita, insomma, di tutte le cose, non si aspettava proprio che lei lo abbracciasse. Perché un abbraccio sa essere molto più intimo di un bacio. Con le labbra puoi mentire. Ma con il corpo no. con le braccia, con il petto, con il cuore che tamburella sul tuo costato inseguendo quello di lei… no, non si può mentire con un abbraccio e lui si era scoperto troppo. Quella sera aveva finto di stare male e aveva mandato solo Blaise ed Ashling a fare la ronda, abbandonando la Granger. Non poteva proprio vederla, quella sera, aveva troppi pensieri in testa e non voleva cadere in discorsi come quelli della sera prima. Che, tra l’altro, aveva introdotto lui. Stupido. Incredibilmente stupido. Che cosa gli era saltato in mente di fare il vero o falso con lei? Sapeva che si sarebbe cacciato in qualcosa che non sarebbe stato capace di gestire, ma aveva comunque deciso di giocare con lei. Giocare. Dio, quanto era stato stupido! Erano ore che si insultava, cercando di incastrare i suoi sentimenti contorti in un angolo della mente.
- Draco. – disse una persona, dietro di lui.
Si girò di scatto, la bacchetta in pugno. Respirò più profondamente vedendo che era solo Ashling.
- Ciao Lin. Blaise? –
- Quel disgraziato mi ha abbandonata all’ultimo momento. Non aveva neanche iniziato la relazione che la McGranitt ha assegnato l’altro giorno e, come sai, sei fogli di pergamena non si scrivono da soli. Quindi mi ha lasciata da sola. – disse affiancandosi al ragazzo.
Draco rise, teso. Sapeva che Ashling avrebbe notato subito che c’era qualcosa che non andava in lui, già quella mattina lo aveva sommerso di mille domande silenziose, solo scrutandolo negli occhi. Questa volta, fragile e bagnato, avrebbe capitolato senza troppa fatica.
- Allora, Malfoy? Che ti prende? – eccola lì, la domanda che tanto temeva, uscita dalle belle labbra della sua migliore amica, anche se mai, per nessuna ragione al mondo, lo avrebbe ammesso davanti a lei.
Ashling lo guardava, sapendo benissimo di aver mandato il giovane rampollo dei Malfoy nel panico. Beh, non gli avrebbe posto quella domanda, se fosse stato altrimenti.
- Ashling, cosa vuoi sapere? – chiese sospirando.
- Voglio sapere che cosa ti passa per quella testa bacata, Draco. E so per certo che c’entra Hermione. Che cosa è successo ieri sera? –
Draco non sapeva che cosa risponderle. Che cosa era successo, ieri sera? Perché era successo? Proprio non se lo sapeva spiegare.
- Ho pianto, dopo averle raccontato del giorno in cui ho torturato Ted Tonks. E potrei anche averla abbracciata. – aggiunse abbassando la voce a un sussurro.
Ashling lo guardava stralunata.
- Di tutte le cose… di tutto quello che… - scosse la testa. – Okay, Draco. Ci stai ancora pensando? –
- A cosa? –
Ashling alzò il sopracciglio.
- Ad Hermione, Draco. A quello che è successo. –
- No. Certo che no. – nega, nega, nega.
Ashling sbuffò, spostandosi i capelli rossi dietro l’orecchio.
- Andiamo, pensi che me la beva in questo modo? Draco, guardami e dimmi che non ci stai pensando. – disse fermandosi.
Il ragazzo sapeva di essere fregato. Già non riusciva a mentire ad Ashling quando non la guardava, figurarsi se lei avesse puntato le sue iridi scure su di lui. Si girò, controvoglia, verso la rossa. Tanto sapeva perfettamente che non gli avrebbe dato tregua finché non avesse parlato. E, nel remoto caso in cui lui fosse resistito, sarebbe andata dritta filata a parlarne con la Granger. Cosa che doveva assolutamente evitare.
- Lin, perché mi ha abbracciato? – chiese, evitando di rispondere alla domanda di prima, ma dimostrando di starci pensando comunque, ad Hermione.
- Beh, che ti aspettavi? È Hermione, Draco. – rispose guardandolo. – E ora, se permetti, vorrei tornare alla mia ronda. –
E lo lasciò lì, a fissare ebete il punto in cui la sua compagna di casa era sparita.
 
***
 
Harry Potter aspettava la sua ragazza, con la paura atroce di non vederla arrivare. Non poteva fare niente per fermare l’ansia che, automaticamente, saliva nel pensare a Ginny. Perché la sua mente era ancora bloccata in Sala Grande, con tutti i corpi morti disposti in fila. Le persone che piangevano, cuori che, battendo troppo velocemente, smettevano di battere, corpi distrutti e menti ancora di più. E il rosso dei capelli Weasley. La paura che, di fianco a Fred, ci fosse qualcun altro. Che ci fosse Ginny, di fianco a Fred, ferma e immobile, eterea, immortale, morta. L’immagine di lei morta gli appariva negli incubi che faceva di notte, quelli in cui vedeva la sfilza di persone che erano morte, volenti o nolenti, a causa sua.
Si sentiva in colpa per quelle vite spezzate che erano finite in tutti quegli anni per proteggere lui e solo lui. Si sentiva in colpa per i suoi genitori, primi tra tutti, per il Professor Raptor e per Barty Crouch, finiti tra i piedi dell’Oscuro Signore e trucidati barbaramente.
Per Cedric Diggory, che pur non c’entrando niente, era morto a causa sua, trovandosi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Per il suo padrino Sirius, per Malocchio Moody e per la sua Edvige.
Per il suo amico Dobby, elfo libero e forte.
Per Tiger, che aveva creato quel maledetto Ardemonio, nella Stanza delle Necessità.
Per Lavanda Brown, uccisa da quel mostro di Fenrir, lo stesso che aveva sfigurato anche il bellissimo Bill Weasley.
Per Severus Piton, il suo tanto odiato professore di Pozioni, che si era rivelato l’uomo più forte e coraggioso di tutti.
Anche per la spietata Bellatrix Lestrange, stava male. Anche per lei.
E per Tonks e Lupin, e ancora di più per il piccolo Teddy, che sarebbe cresciuto senza l’affetto dei suoi genitori.
Per Fred, e ancora di più per la famiglia Weasley, che aveva distrutto.
Per Colin Canon, che non sarebbe mai diventato maggiorenne, che non sarebbe mai diventato il famoso fotografo che sperava di essere da grande. Lui non sarebbe mai stato grande e Dennis Canon, il suo piccolo fratellino, sarebbe diventato l’ombra di sé stesso, senza il fratello a sorvegliarlo.
Stava male per la scia di sangue che si portava dietro sin da quando era piccolissimo. E sapevano che queste erano manie di grandezza degne del vecchio Tom. Sapeva che non avevano combattuto per lui, ma per qualcosa in cui credevano. Avevano combattuto per un Mondo Magico migliore, per le loro famiglie, per i loro amati. Ed erano morti facendolo, donando un mondo migliore a tutti. Ma, nonostante sapesse ciò, la sua mente si era come bloccata sulla convinzione che fosse colpa sua. Nonostante tutto, nonostante tutti. Era così, ne era convinto. Non poteva essere altrimenti. Quel vuoto dentro che sentiva dalla morte di Tom Riddle non gli aveva lasciato spazio di pensare ad altro. Oltre alla paura che se Ginny fosse rimasta con lui, sarebbe morta. Come tutti quelli che lo avevano amato. Come tutti quelli che avevano provato ad essere qualcosa per lui. Harry Potter, Salvatore del Mondo Magico, doveva in tutti i modi allontanare la sua ragazza da lui. Ginny lo avrebbe odiato, era vero, ma almeno sarebbe stata al sicuro. Da non si sa bene che cosa. Forse da se stesso. Temeva che il suo problema più grande fosse proprio lui.
Avrebbe dovuto parlarne con qualcuno. Non sapeva chi. Beh, c’era Ron, ma sapeva che il suo rosso amico non avrebbe saputo dirgli quello che aveva bisogno di sentirsi dire. Forse Hermione, in un momento migliore, avrebbe potuto aiutarlo. Lei di certo avrebbe saputo cosa fare per farlo stare meglio. Fosse anche affatturarlo. Ma Hermione doveva pensare a sé stessa, non poteva assillarla come aveva fatto in tutti quegl’anni. Rimaneva solo una persona e lui sapeva bene chi era. Era esattamente la persona che voleva allontanare che avrebbe potuto aiutarlo da quella sua fobia della gente che gli era presa. Rischiava di avere un attacco di panico ogni volta che vedeva un parente delle vittime che quella guerra aveva mietuto. E avere in giro per il dormitorio un Ron distrutto e una Ginny che era dovuta crescere troppo in fretta a causa della perdita di suo fratello, non giovava certo alla sua salute mentale. Né ai suoi polmoni. Che la suddetta ragazza, poi, fosse incredibilmente bella, sensuale e profumata, non lo aiutava affatto.
Il profumo di Ginny gli rimbalzò in testa come una dolcissima stilettata di dolore. Ricordava ancora quando lo aveva sentito, in quella prima lezione col professor Lumacorno, al sesto anno. Fiori di campo, sapone e biscotti. Ecco l’odore che aveva sentito. Il suo, quello che sentiva ogni volta che le scostava i capelli, o la baciava. Ed era quello che sentiva farsi strada prepotentemente nel suo cuore, ogni volta che faceva l’amore con lei. Quando sentiva il suo profumo tutte le paure sparivano, in un attimo tutto sembrava svanire. Il mondo non era più bianco o nero, ma solamente di tante sfumature di grigio. Quando sentiva il suo profumo riusciva quasi ad accettare quello che era successo. Riusciva quasi ad ammettere con sé stesso che non era colpa sua.
Una mano gli sfiorò piano la guancia.
- Harry, guardami. – sussurrò Ginny ad un centimetro dalle sue labbra.
Il ragazzo puntò i suoi occhi assurdamente verdi in quelli nocciola di lei e si sentì a casa. Più che a Hogwarts, più che a Grimmauld Place, più che alla Tana. Ginny era la sua casa e questo non poteva cambiare. E non poteva allontanare da sé la sua casa.
- Ti amo. – sussurrò Harry, stringendola a se.
- Anche io. – rispose Ginny, baciandolo dolcemente.
Harry la trascinò su per il loro dormitorio, chiudendosi la porta della sua stanza con un fluido movimento della bacchetta.
Ora andava molto meglio.
 
***
 
Hermione aveva iniziato la ronda da sola quando, all’alba di mezzanotte e mezza, Malfoy non si era ancora presentato. Eppure aveva capito da Ashling che quella sera quel maledettissimo rampollo Malfoy, testuali parole, si sarebbe presentato. La rossa Serpeverde, infatti, aveva beccato Lumacorno a fare la ramanzina a Draco, quella mattina, dicendo al ragazzo che se non si fosse presentato alla ronda di quella sera, sarebbe incappato in una punizione esemplare.
A quanto pare, pensò Hermione, non gli importa più di tanto della punizione esemplare che gli avrebbe inferto Lumacorno.
Era dieci giorni che non si presentava alle ronde. Precisamente dalla sera in cui le aveva parlato di quando aveva torturato suo zio Ted. Un Babbano. Ma Hermione era convinta che non fosse per averle raccontato ciò che lui si era allontanato così. La ragazza era convinta che quello che più lo aveva destabilizzato fosse stato l’abbraccio e, ancora di più, l’aver pianto davanti a lei. Malfoy, in fondo, non piangeva mai. E quando lo faceva, veniva torturato da Harry con un Sectumpsempra. Magari si aspettava una cosa del genere anche da lei. Ma lei non era Harry e non avrebbe mai usato una maledizione contro qualcuno. Mai più. Aveva deciso che non poteva diventare un’Auror, perché ne sarebbe morta. Aveva deciso che avrebbe impugnato la bacchetta solo per curare, per fare del bene. Aveva deciso di diventare Medimaga per sfuggire dalla guerra. E fiondarsi nella morte. Perché sapeva che se avesse scelto quella professione, la morte sarebbe stata la costante della sua vita. Perché non sempre si riesce a guarire. Non sempre le persone ce la fanno. Anche per questo voleva fare quel tipo di lavoro. Per rendersi conto di quanto fosse fortunata lei ad essere sana, senza problemi. Beh, dei problemi ce li aveva. E pure grossi. Uno era addirittura una persona, e forse era anche il suo problema più grande. Ma questo, per il suo lavoro, era irrilevante. Quello che voleva fare le avrebbe fatto capire che poteva ancora fare del bene, nonostante tutto. O almeno, così sperava.
Imprecò a mezza voce quando, per l’ennesima volta, la scala su cui stava salendo si spostò. Non ne poteva più. Era la terza nel giro di due piani. Si sedette di schianto, ritrovandosi in un corridoio sconosciuto del sesto piano. Si era allungata la strada ancora di più, avrebbe aspettato che la scala tornasse indietro, al posto di vagare in corridoi che non aveva mai neanche visto.
Appoggiò la testa sulle ginocchia, aspettando paziente. Ad un certo punto sentì rumore di passi. Guardò in giro, ma non vide nessuno, così riappoggiò la testa alle ginocchia. Eppure era convinta di aver sentito qualcuno. Magari era Gazza. Aspettò cinque minuti poi, sentendosi osservata, rialzò la testa. Malfoy la guardava in tralice, dall’alto del suo metro e novanta. Aveva la testa leggermente inclinata di lato e un ciuffo di capelli biondi gli ricadeva sull’occhio, donandogli un’espressione più dolce del solito e coprendo un vecchio livido ormai quasi svanito.
La studiava, Draco, come se fosse stata la prima volta che la vedeva. Come se si trovasse davanti ad una creatura mitologica e assai pericolosa. Come se stesse cercando di fare amicizia con una chimera.
- Sei in ritardo. – sussurrò Hermione.
- Non ti trovavo. – rispose lui con un mezzo sorriso. – Si dice che ti sei persa. Vero o falso? – disse poi, aiutandola ad alzarsi.
La ragazza sorrise.
- Vero. Le scale hanno fatto le birichine, questa sera. – rispose.
Draco l’accompagnò lungo quel corridoio a lei, stranamente, sconosciuto. La fece girare per vicoli strettissimi e bui, che le mettevano i brividi. Finalmente, all’ennesima svolta, apparvero nel corridoio del settimo piano, il quadro di Barnaba il Babbeo in bella mostra davanti al muro dove, forse, c’era ancora la Stanza delle Necessità.
Iniziarono ad aprire le porte delle aule, in rigoroso silenzio e a distanza di sicurezza.
Sia mai che mi venga da abbracciarlo ancora, pensò Hermione.
Non poté impedirsi di osservarlo, però. La camminata tesa e nervosa, parecchi lividi sul viso e sulle braccia, il Marchio Nero che svettava sulle maniche della camicia arrotolate, la giacca su una spalla. Per essere bello era bello. Hermione si stupì di quel pensiero, distogliendo subito lo sguardo dal biondo e puntandolo sull’aula che aveva aperto almeno cinque minuti fa.
- Granger, smettila di guardarmi. – disse, girandosi con le braccia incrociate, cupo.
Hermione passò dal suo colorito roseo al rosso vermiglio nel giro di dieci secondi.
- Perché, non riesci a concentrarti, altrimenti? – chiese, memore delle parole che lui stesso le aveva rivolto all’inizio dell’anno.
Draco spalancò gli occhi e per una frazione di secondo il suo viso imperturbabile fu attraversato dalla sorpresa e da un altro sentimento, che Hermione non riuscì a decifrare.
Il ragazzo sbuffò, si passò una mano nei capelli, scompigliandoli, e tornò a fare quello che stava facendo prima. Hermione gli si affiancò svelta, per non rimanere sola in quel corridoio buio, e fu quasi costretta a correre per tenere il passo con la falcata svelta del biondo. Il quale rideva sommessamente, guardando la sua compagna arrancare verso di lui. Hermione, allora, con un mezzo sorriso, si fermò in mezzo al corridoio, costringendolo a tornare indietro. Andarono avanti così a lungo, ridendo come due bambini.
All’improvviso, da una vetrata, fece capolino il pallido sole di dicembre e, incantati, i due ragazzi si fermarono a guardare l’alba.
Le mani che si sfioravano e il cuore che batteva all’unisono, mentre piccoli fiocchi di neve iniziavano a cadere dal cielo plumbeo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 Angolo dell'Autrice:
Ho davvero pochissimo tempo, quindi scusate la fretta. 
Ringrazio tutti quelli che leggono, recensiscono o mettono la mia storia tra le preferite, seguite o ricordate.
Ringrazio la mia Lu che finalmente ha finito la sua meravigliosa storia (che consiglio veramente di leggere, nonostante la fine che ti lascia l'amaro in bocca.)
Ringrazio la Gio, il mio Grillo Parlante, che in questo periodo è incasinato quanto me.
Alla prossima,
un bacio,
Lilian.
 
  
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