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Autore: _Hikari    22/09/2013    3 recensioni
«Emma».
Socchiude gli occhi, cercando di proteggersi dai granelli di sabbia portati dal vento.
«Cosa c’è, David?» sbuffa, continuando a camminare, l’odore della salsedine nei polmoni; le iridi fisse dinanzi a sé, che tentano di cogliere qualunque profilo, qualunque presenza che non sia solo una delle tante ombre che l’affiancano.
«Non sono suo padre, miss Swan». Sussulta impercettibilmente nell’udire la solita punta d’ironia farsi strada nella voce dell’uomo; non è acuminata, pungente, non riesce a trapelare d’ilarità a ferire, dilaniare la carne come una volta. Ma c’è,
è presente, per quanto fioca.
Esattamente come quella persona che l’ha raggiunta, che le cammina accanto, nonostante l’andatura stanca e gli occhi spenti.
Quand’è stata l’ultima volta che un barlume li ha attraversati? Due, quattro, sei mesi fa?
«Questo lo sapevo» risponde, leggermente stizzita, mentre lascia vagare il proprio sguardo sugli alberi che li sovrastano, che si stagliano imponenti contro il cielo dell’Isola che non c’è, proseguendo la loro disperata ricerca.
Oh, al diavolo, cosa pensa di vedere? Henry che le corre incontro libero e sano?

{«Di parole portate dal vento» | Mr. Gold/Emma Swan}
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Signor Gold/Tremotino
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Di luci fioche e vampate di calore
(solo e soltanto a causa della cioccolata, ovvio).

#07

Posa la tazza di cioccolata sul tavolo, inspirando l’odore di cannella che si è propagato per la centrale; poi abbassa lo sguardo sui polpastrelli arrossati, mentre trattiene una smorfia.
La gola continua a bruciare, ustionata dal liquido, eppure la piacevole sensazione di calore non acconsente a pervadere le membra, a penetrare fin nelle viscere e ad alleviare le pene della mente.
Si appoggia allo schienale della poltrona e torna a concentrarsi sulle luci di Natale che agghindano la stazione; Henry ha detto che sono belle, eppure a lei sembrano ancor più superflue di quando Mary Margaret le ha sparse per il locale.
Cerca distrattamente il giacchetto di pelle rossa: pare quasi che il gelo riesca a penetrare con maggior facilità che nell’appartamento della maestra, quando il riscaldamento è spento. 
O forse è solo il «buon Natale» del ragazzino mormorato velocemente mentre Regina lo tira per un braccio, e una porta che sbatte, a metterle quella fastidiosa sensazione addosso, a martellarle la mente fino a farla impazzire.
Rivolge un’occhiata all’orologio, le mani che permettono al tessuto liscio di aderirle al corpo. 
Per un momento si chiede se le orme possano essere ancora visibili sulla strada innevata, oppure siano scomparse come un ricordo troppo confuso per rimanere impresso; lasciatosi niente alle spalle se non lo spettro di una possibilità ormai svanita nel nulla, dissoltasi in un attimo come in un attimo era apparsa.
«Che sciocchezze» si dice, alzandosi, indecisa.
Mary Margaret è uscita, e la casa è fastidiosamente grande per potervici trascorrere questa giornata, mentre è Henry con Regina.
Regina, Regina, Regina.
Stringe il manico della tazza, finché non si rende conto delle nocche sbiancate.
Chissà, forse sarebbe stato meglio se non si fosse fermata ad uno schiaffo, quella sera. Alza appena il capo, al rumore della porta che si apre, e cerca di tornare al presente.  È sciocco, sciocco continuare a pensare a quei “se” ed a quei “ma”, è sciocco come siano ancora così vividi, dolenti, come una stanza d’albergo, un abitacolo di una macchina, una cella fredda ed un locale fin troppo vuoto.  «Buonasera, sceriffo». Non le occorre mettere a fuoco la sua persona per sapere che indossa uno dei suoi completi su misura, che una mano è appoggiata al bastone e che sta sorridendo, come sempre. «’Sera. Come mai qui, la Vigilia di Natale? Qualche suo cliente si rifiuta di pagare l’affitto?» domanda, tornando a portarsi la tazza fumante alle labbra.
«No».
«Uh, mi faccia indovinare, allora. Il sindaco Mills la vuole denunciare per l’incendio e lei sta cercando di precederla in qualche modo», lo osserva da sotto le ciglia, le labbra increspate, una mano che si aggrappa al tavolo.
I tremiti alle gambe non centrano niente, è solo che così è più comodo.
«Non sono prevedibile fino a questo punto» ribatte l’uomo.
«Lei non è mai prevedibile, Gold». 
O forse è solo lei, Emma, che si ostina a fidarsi, a non attendere costantemente una mossa.
Lui non risponde, si limita ad appoggiarsi al tavolo di legno; i corpi che accorciano la distanza, che si fanno eccessivamente vicini. 
«Comunque, cosa posso fare per… aiutarla?» prosegue lo sceriffo, imponendosi di non ritirare la mano, di lasciarla lì con noncuranza e di impedire alla propria voce di vibrare insicura. 
Insomma, non ne ha alcun motivo.
«Niente». I globi della donna si dilatano per la sorpresa, mentre avverte l’altro arto tremare, la tazza a mezz’aria.
«Come?».
«Trascorrere il Natale da soli non deve essere piacevole, dopo tutto ciò che è accaduto».
«Si sta… si sta proponendo per farmi compagnia?». Inarca le sopracciglia, osservando le sue iridi, come se quegli occhi possano risponderle, spiegarle che cosa stia accadendo, perché stia accadendo.
«Se la sua tolleranza può comprendere anche questo…», l’uomo torna a sorridere, lasciando la frase in sospeso, mentre gli occhi continuano a riverberare, riflessi di una qualche emozione che lei non riesce a distinguere, separare da quel turbinio.
Emma sospira, poggiando nuovamente la cioccolata sulla superficie in legno. 
Potrebbe rispondere semplicemente di no, dirgli di andarsene e ritornare nell’appartamento, anzi, sarebbe la decisione più sensata da prendere ma… Desidera veramente trascorrere la serata con un groviglio di spettri appartenenti a parole mai dette, a gesti mai compiuti, a dolore e vuoto in fondo al petto?
«Credo che si possa fare» mormora alla fine, d’altronde la prospettiva di trascorrere la serata in centrale non era piacevole.
Il sorriso di Gold si accentua e, per un momento, ha quasi l’impressione che sapesse la risposta ancor prima di entrare nella stanza.
Qualche attimo dopo i suoi passi affondano nella neve, eppure il freddo sembra quasi essere diminuito, come se una vampata di calore l’abbia sorpresa. 
In quell’arco di tempo Gold si domanda se quella visione avuta tempo prima fosse collocata al tavolo del Granny’s o in qualche altro luogo, e l’immagine di Emma Swan si contrappone al rumore dell’ennesima porcellana frantumata, dell’umidità pungente di una capanna e delle risate di un bambino. 
Non riesce a cancellare, ad eliminare; non pretende di rimuovere qualcosa, apporta solo qualche schizzo rosato ad uno scenario di oscurità e tenebra che volteggia nell’aria.    


Note: salve. :) E dopo l’angst del capitolo precedente ecco un po’ di… serenità senza pretese, più o meno, e nonsense (?). Credo sia l’OS in cui si avvicinino di più. L’ambientazione è quella dopo la 1x08, i riferimenti a Graham sono assolutamente volontari; se cercate bene ne trovate uno anche a Neal. L’accenno a French anche – seppur l’episodio, nella cronologia, non si sia ancor verificato –, un po’ come a quello alla veggenza di  Rumple.  Non ho nient’altro da dire se non che la prossima dovrebbe essere un’OS collocata sempre durante la season 1.  Spero che questo breve momento senza pretese sia stato di vostro gradimento nonostante abbia avuto qualche dubbio, anche questa volta, riguardante la pubblicazione. ^^’

   
 
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