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Autore: Acinorev    22/09/2013    18 recensioni
«Hai mai visto i Guinness World Records?» chiese ad un tratto Harry, continuando a fissare il sole splendente sopra le loro teste.
«Cosa c'entra ora?» domandò Zayn spiazzato, guardando l'amico attraverso le lenti scure degli occhiali.
«Hai presente quei pazzi che provano a stare in apnea per un tempo sempre maggiore? Ecco, tu devi fare la stessa cosa», spiegò il riccio, come se fosse un'ovvietà.
Gli occhi di Zayn si spalancarono, mentre iniziava a pensare che Harry si fosse beccato un'insolazione. «Devo provare a battere un record di apnea?»
«No, ovvio che no - rispose l'altro scuotendo la testa. - Loro si allenano per rimanere sott'acqua, un posto dove non c'è la nostra fonte di vita, l'ossigeno. Tu devi fare lo stesso, devi imparare a vivere senza di lei.»
Sequel di "Unexpected", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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4:32 am

Capitolo 19

 
Alice.
 
Quando uscii dal bagno, sentivo le voci di Harry e Louis provenire dal loro salotto: a quanto pare quest’ultimo era tornato, anche se sembrava voleva andarsene di nuovo.
Rimasi in corridoio per non immischiarmi nel loro discorso, e anche per racimolare altro coraggio per affrontare Harry e quello che avrei dovuto dirgli.
«Lou, non fare cazzate» esclamò la sua voce, con la solita intonazione che usava per convincere qualcuno pur sapendo che non ci sarebbe riuscito.
«Non sto facendo cazzate – Ed ecco la voce piccata di Louis Tomlinson, quella che invece sapeva di dover dar ragione al suo migliore amico, anche se non l’avrebbe mai ammesso. – Sono le nove di sera e sto andando dalla mia ragazza: questo è quanto».
Sorrisi, scuotendo la testa nel buio del corridoio: quel ragazzo era più semplice da comprendere di quanto facesse credere, anche se era risaputo che scegliesse con cura le persone con cui darlo a vedere.
«Come se non ti conoscessi» sbuffò Harry, e quasi riuscivo a vederlo mentre si sistemava i capelli ricci.
Mi sarebbero mancati così tanto.
«Ciao, Haz. A domani» lo salutò l’altro, quasi soddisfatto della sua resa implicita.
Per un attimo smisi di respirare, quasi terrorizzata dall’idea che fosse arrivato il momento che avevo rimandato tanto a lungo. E la scusa di aspettare il momento migliore, di non rovinare l’evento promozionale per il nuovo album, era solo una stupida scusa. Lo sapevo bene.
Mi schiarii la voce e feci un passo avanti solo quando sentii la porta di casa chiudersi dietro Louis.
Mi passai una mano tra i capelli e indossai un sorriso che mi avrebbe dovuta consolare. «Sempre il solito, eh?» chiesi, mentre guardavo Harry sedersi con uno sbuffo sul divano. La canottiera nera gli stava leggermente larga, lasciando scoperta la pelle tatuata: gli short in jeans, quelli che facevano scoppiare l’invidia di gran parte delle ragazze – e a volte anche la mia – per le gambe che non coprivano, erano chiari e contrastavano con la sua abbronzatura che stava pian piano scomparendo. Gli occhi verdi, quei maledetti occhi verdi, erano su di me, ancora ignari della sfumatura che avrebbero assunto da lì a poco solo a causa mia.
«Sempre il solito» confermò, sorridendomi e scuotendo la testa, per poi farmi segno di sedermi accanto a lui. Ma io stavo meglio in piedi, con le mani che si torturavano a vicenda e la paura a farmi tremare le ginocchia.
«Che c’è?» mi chiese dopo qualche secondo, perché mi conosceva troppo bene.
Schiusi le labbra e abbandonai l’abbozzo di sorriso che mi portavo dietro come uno scudo, obbligando Harry a fare lo stesso, anche se per un motivo diverso.
«Devo dirti una cosa» mormorai, abbassando lo sguardo sul tavolino in vetro che ci divideva.
La pausa che si insinuò tra di  noi fu interrotta dalla sua voce bassa e grave, preoccupata. «Alice, che succede?»
A quel punto tornai a guardarlo, perché mi aveva chiamata Alice e non Celeste – come al suo solito –, quindi significava che aveva davvero capito che qualcosa non andava.
«Io…»
Mi morsi la lingua e chiusi gli occhi: improvvisamente tutto il mio coraggio, tutte le parole che avevo programmato di dire, tutte le mie energie vennero meno, lasciandomi sola in piedi in quel salotto, con Harry che aspettava una mia spiegazione. Lo sentii muoversi sul divano e capii che si era alzato per avvicinarsi a me, solo quando aprii di nuovo le palpebre e me lo ritrovai davanti.
«Hey» disse semplicemente, respirandomi sul viso, mentre con una mano mi sfiorava una guancia. Io andai incontro a quel contatto e sospirai profondamente, sforzandomi di guardarlo negli occhi, quegli occhi che mi avrebbero seguito nel viaggio di ritorno in America, che mi avrebbero perseguitata come avevano già fatto la prima volta.
«Ti amo» sussurrai, consapevole del fatto che sarebbe stata l’ultima volta in cui lui mi avrebbe guardata in quel modo, a quelle mie parole.
Harry infatti sorrise, un po’ insicuro, e baciò le mie labbra delicatamente, solleticandomi la fronte con i suoi ricci disordinati.
«Cosa c’è?» ripeté, a pochi millimetri dal mio viso, come se mi stesse facendo capire di non esserci cascato.
Presi un ultimo ampio respiro e mi morsi le labbra, allontanandomi lentamente ma non di molto da lui. «Quando sono tornata qui, io… Harry, io sapevo di non poter restare».
I suoi occhi, come previsto, rivelarono esattamente e senza ombra di dubbio il suo stato d’animo, la sua sorpresa mista alla confusione per quelle mie parole: ritrasse la mano dalla mia guancia e corrugò la fronte.
«Cosa?» chiese flebilmente, abbozzando un sorriso incredulo, che si spense lentamente mentre io gli rispondevo.
«Sono tornata perché mi mancavi, perché avevo bisogno di stare con te – spiegai, con la voce tremolante di chi sa a cosa sta andando incontro. – Ma ho solo approfittato della pausa estiva dell’università e sapevo… Mi dispiace, Harry, mi dispiace di averti mentito, di averti fatto credere che sarei rimasta qui, con te. Ho sbagliato, ma solo perché non ho resistito al pensiero di stare di nuovo con te anche solo per così poco tempo: quando ci siamo incontrati sotto casa tua io avevo intenzione di dirti la verità, ma tu eri così felice di vedermi che non ne ho avuto la forza e ora… Ora…»
«Alice, che cazzo stai dicendo?»
 
 
Vicki.
 
Quando sobbalzai nel letto, aprendo gli occhi di scatto e trovandomi immersa in un buio troppo intenso, pensai di aver sognato qualcosa e di essermi svegliata di soprassalto. Il campanello che suonava senza sosta e impazientemente, però, era sin troppo reale per essere solo una semplice creazione del mio inconscio.
Mi massaggiai il viso e grugnii qualcosa in segno di disappunto e sonno: la sveglia sul comodino alla mia destra segnava le 4.32 ed io ero ancora stordita, nonostante iniziassi ad essere leggermente preoccupata al pensiero di chi potesse essere a quell’ora e, soprattutto, con quell’urgenza.
Alzandomi dal letto, brancolai per la mia stanza alla ricerca di una maglia da mettermi, e poco importava se non si abbinava ai pantaloni in cotone grigio: sospirai e ricordai finalmente di chiamarmi Victoria e di avere un forte mal di testa per quello che era successo poco più di ventiquattro ore prima con Zayn. Scartai comunque l’idea che potesse essere lui, nonostante non potessi esserne certa.
«Arrivo!» gracchiai con la voce assonnata, stupendomi subito dopo di aver ottenuto il ritorno del silenzio in casa mia: perché Teddy non abbaiava nemmeno? La luce del salotto mi accecò per un attimo, mentre mi stringevo le mani sulle braccia per far fronte ai brividi provocati dai piedi nudi sul pavimento freddo.
«Per quale stupido motivo non c’è uno spioncino, in questa cavolo di porta?» borbottai tra me e me con la fronte corrugata, mentre un’improvvisa agitazione mi invadeva. Dopo aver girato tre volte le chiavi nella serratura, appoggiai la mano sulla maniglia della porta, ma la ritrassi subito dopo, guardandomi in giro con gli occhi stanchi e i capelli che mi finivano davanti al viso, perché erano sfuggiti in piccole ciocche dalla crocchia che mi ero fatta la sera prima: avvistai un piccolo ombrello nel porta-ombrelli all’angolo della sala, alla mia sinistra, così mi fiondai a prenderlo e ne allungai l’asta, rendendolo un po’ più facile da maneggiare e forse anche un po’ più minaccioso. Sarebbe stata la mia arma, se ce ne fosse stata la necessità.
Dopo un respiro profondo, mi decisi ad aprire la porta proprio quando il campanello produsse di nuovo il suo suono fastidioso perché troppo forte per quell’ora del mattino.
Indietreggiai di qualche passo senza nemmeno volerlo, nell’esatto istante in cui riconobbi chi avevo di fronte. L’ombrello cadde a terra e io sbattei più volte le palpebre, assicurandomi che quello non fosse un sogno. O un incubo.
Lui incrociò il mio sguardo senza esitazioni – come sempre -, con la mascella tesa, le labbra serrate che formavano una linea dura, le braccia lungo i fianchi e i pugni chiusi in modo nervoso. Il respiro profondo, potevo avvertirlo solo grazie al suo petto, che compiva movimenti ampi sotto la canottiera di un verde militare che stonava leggermente con i pantaloni blu notte a quadri: era in pigiama. Le espadrillas in tela beige probabilmente erano il primo paio di scarpe che aveva trovato, perché gli occhi assonnati e il segno del cuscino che spiccava sulla guancia destra mi suggerivano che fosse stato a letto fino a poco prima. Se a dormire o meno, non potevo saperlo.
«Louis.»
Il mio fu un sospiro involontario, flebile e inesorabilmente confuso: non solo dalla sua presenza in casa mia, ma anche dalla decisione con la quale entrò in salotto a passo veloce, chiudendo la porta con un gesto della mano. Mi guardò di nuovo, permettendomi di carpire l’inquietudine nei suoi occhi, mentre il mio cuore si agitava ad ogni suo passo nervoso: aveva preso a camminare avanti e indietro di fronte a me, con lo sguardo sul pavimento e i capelli abbassati sulla fronte che gli sfioravano le sopracciglia in maniera disordinata.
La gola secca non mi aiutava a parlare, ma ci provai lo stesso. «È successo qualcosa? – domandai in preda all’agitazione. – Cosa ci fai qui? E a quest’ora?»
Il mio tono di voce era risultato più tremolante e roco del previsto, a causa dell’effetto di Louis su di me e di quella strana ed insensata sensazione. Ma lui non sembrò nemmeno avermi sentito.
Mi mossi verso di lui, allungando una mano per poterlo toccare e magari farlo scappare da quei movimenti irrequieti, perché mi stava davvero preoccupando. Poco importava tutto quello che era successo tra di noi, o quello che non era successo: vederlo in quello stato era sconvolgente.
Quando le mie dita arrivarono a sfiorargli il braccio sinistro e le mie labbra si lasciarono sfuggire di nuovo il suo nome in una specie di supplica, lui si scansò, fermandosi davanti a me: smisi di respirare, appena i nostri occhi si incontrarono di nuovo, perché ebbi l’impressione di essere la causa di quella sfumatura turbata che li possedeva.
Schiusi le labbra e rimasi in silenzio, aspettando chissà cosa o forse cercando di nascondere a me stessa che mi stessi sgretolando davanti all’intensità della sua attenzione su di me.
Passò qualche secondo, secondo in cui nessuno dei due si mosse se non per respirare, poi Louis sembrò riscuotersi, o forse semplicemente decidersi a farlo, avvicinandosi velocemente a me: mi ritrovai con le sue labbra sulle mie e con le sue mani ai lati del mio viso, mentre mi obbligava ad indietreggiare per la sorpresa.
Era sfacciato, irruente, ma era bisognoso. E, questa volta, non c’era nessuna possibilità di fraintendimento.
«Louis, aspetta» riuscii a dire, nonostante il mio corpo volesse dimostrare il contrario, mentre ricambiavo alcuni baci senza riuscire a controllarmi, mentre le sue dita intrecciate ai miei capelli mi impedivano di allontanarmi.
Parlavo sulla sua bocca e respiravo la sua aria, ma dovevo farlo. «Louis, per favore» riprovai, più flebilmente. Cosa stava facendo? Anzi, la domanda giusta era: perché?
Mi morse un labbro solo per poi baciarlo a lungo, e continuò a farlo anche mentre mormorava duramente qualcosa. «Non preferisci essere baciata così?» furono le sue parole, che mi fecero vacillare sotto il loro peso. Concentrata su di esse, lasciai che Louis mi circondasse la vita con un braccio per avvicinarmi a lui, mentre percorreva la linea della mia mascella con dei baci urgenti, fino ad arrivare al lobo del mio orecchio.
Respirò tra i miei capelli e io aprii gli occhi come se potessi trovare una via di fuga da tutto quello.
«Non preferisci me?» continuò, in un sussurro impregnato di orgoglio e possessività.
Inspirai profondamente e raccolsi la forza per separarmi da lui, allontanandolo con gli avambracci sul suo petto e le mani sulle spalle. Avevo capito quale fosse il suo problema e dovevo ancora decidere come sentirmi a riguardo, perché c’erano troppe cose in sospeso, contraddittorie e ingannevoli.
«Quindi è questo quello di cui ti importa di più? – sbottai, passandomi le dita tra i capelli mentre cercavo di tener testa ai suoi occhi nei miei, alle sue labbra arrossate che mi pregavano silenziosamente di ristabilire un contatto. – Che c’è, sei stato ferito nell’orgoglio quando hai visto Zayn baciarmi? È questo che ti ha fatto venire a casa mia nel pieno della notte? Vuoi dimostrarmi di essere migliore di lui?» aggiunsi, corrugando la fronte con indignazione. Avevo appena avuto la conferma del dubbio che ormai viveva con me: quel bacio tra me e Zayn, l’aveva visto eccome.
«Io sono migliore di lui. Per te, io lo sono!» rispose lui a tono, avvicinandosi a me tanto da obbligarmi ad alzare lo sguardo e a sentire il suo respiro sulla mia pelle.
«Ma chi ti credi di essere? – domandai, spingendolo via per guadagnare di nuovo il mio spazio vitale, la possibilità di difendermi. – Fino ad ora sei stato tutt’altro che il meglio per me, quindi con che diritto ti presenti qui a dirmi queste cose?!»
Non lo capivo. Sul serio. E non avevo nemmeno voglia di impegnarmi per farlo, perché sapevo già in partenza che non ci sarei riuscita, che appena avessi trovato un appiglio lo avrei perso dopo una sua parola di troppo o in meno.
Louis si passò una mano tra i capelli, incastrandoli tra le dita nervosamente, e sospirò, come se stesse cercando di dire qualcosa ma non ci riuscisse.
Strinsi i pugni e cercai di controllare il respiro.
«Perché non capisci?» sussurrò dopo qualche secondo, con gli occhi che si alzavano lentamente verso di me. Era possibile che fossero così chiari e comprensibili, per una volta?
«Cosa devo capire, Louis? – domandai, quasi come se fosse una lamentela esasperata. – Ci ho provato in tutti i modi, ma non mi è mai sembrato che tu volessi farmi capire qualcosa, anzi» confessai. Non stavamo più urlando, forse perché eravamo solo stanchi, anche se di cose diverse.
«Lascia stare» farfugliò, voltandosi di scatto per dirigersi verso la porta. Ma io non gliel’avrei permesso, non di nuovo: doveva togliersi la brutta abitudine di sganciare una bomba e fuggire subito dopo, lasciando me al centro del trambusto. Da sola.
Arrivai prima di lui alla sua destinazione, e feci aderire la schiena al legno freddo che mi stava alle spalle, bloccando Louis nel suo tentativo di fuga, dato che era la cosa a cui somigliava di più. «Non te ne andrai – dissi velocemente, tenendo testa al suo sguardo. – Non così, non prima di avermi spiegato tutto».
«Fammi passare, Vicki» ordinò, a meno di un passo da me. Le sue labbra serrate sembravano voler evitare a tutti i costi altre urla, ma io le avrei preferite di gran lunga alla sua assenza.
Per un attimo rimasi in silenzio, guardandolo negli occhi, poi insistetti. «Perché non puoi semplicemente dirmi quello che ti passa per la testa, per una volta?» chiesi flebilmente. Ero pronta a qualsiasi cosa, ormai, ed ero sicura che sapere sarebbe stata la cosa migliore, qualsiasi conseguenza avrebbe comportato.
Louis mi fissò insistentemente, con le spalle rigide ed il respiro irregolare di chi probabilmente avrebbe solo voluto scappare il più in fretta possibile. Intanto io pregavo affinché facesse l’unica cosa che gli avevo chiesto di fare.
Alla fine decisi di osare, di fidarmi di quello che riuscivo stranamente e facilmente a leggere nelle sue iridi. «Di cosa hai paura?»
Ebbi l’impressione che entrambi avessimo smesso di respirare, e lo sguardo che Louis mi rivolse sembrò volermi dare una conferma delle mie ipotesi: avevo centrato il punto, nonostante ancora non capissi a pieno cosa stesse succedendo dentro di lui, ma era già qualcosa. E per la prima volta, ero davvero determinata a scoprire i suoi veri sentimenti, a capire tutti i suoi comportamenti, dal primo all’ultimo.
«Di cosa hai paura, Louis?» ripetei, rilassando i muscoli.
Era strano avere a che fare con un Louis tanto diverso, quasi indifeso.
«Di te.»
Schiusi le labbra e per un attimo ebbi paura di aver capito male, di aver frainteso quel flebile sussurro che si era insinuato tra di noi per scomparire subito dopo, lasciandomi nel dubbio della sua veridicità. Ma Louis mi guardava dritto negli occhi, con l’espressione più sincera e vulnerabile che mi avesse mai dato l’occasione di scorgere, e io sentii le ginocchia tremare.
«Di me?»
Deglutii, mentre lui indietreggiava lentamente, dandomi un po’ più di spazio per respirare, o forse dandolo a se stesso. Di nuovo la sua mano andò a scompigliargli i capelli, di nuovo le sue palpebre si chiusero e di nuovo lo sentii respirare profondamente.
«Hai paura di me?» ripetei, come un disco rotto. Ero incredula e avevo bisogno di sentirglielo dire ancora una volta, o forse ancora un paio di volte, perché mi sembrava impossibile.
«Tu mi terrorizzi» fu la sua risposta, stranamente calma ma comunque capace di stordirmi con il suo significato.
Mi riscossi e studiai il suo viso, in cerca di qualcos’altro, in cerca di un appiglio.
«Ma perché? Io non…»
«No, tu non capisci – mi anticipò, rivolgendomi un sorriso arreso e appena accennato, che non poteva di certo mancare. Svanì subito dopo, però, lasciando posto ad una linea dura e in tensione. – E questo mi fa incazzare».
Corrugai la fronte e «allora fa’ qualcosa – esclamai, con la voce tremante per una serie di emozioni che dovevo ancora distinguere. – Fammi capire quello che dovrei, perché non credere che per me sia divertente dover star dietro ad ogni tuo sbalzo d’umore».
Avevo la sensazione di essere ad un passo dalla verità, quella che per tutto quel tempo avevo cercato disperatamente, ma di dover ancora faticare parecchio per ottenerla. Speravo solo di sbagliarmi.
Louis si morse a lungo il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo dal mio, che sì, forse era troppo impaziente per poter essere sopportato senza problemi: lo osservai darmi le spalle e fare qualche passo nella direzione opposta alla mia, con una mano che passava sul suo collo come un antistress poco efficace, mentre il mio cuore tornava a farsi sentire, probabilmente dopo essersi ripreso dallo shock di poco prima.
«Sai cos’ho fatto stanotte? Poco prima di venire qui? – cominciò, appoggiando le mani allo schienale del divano, senza darmi l’occasione di poterlo guardare in faccia. Mi avvicinai lentamente a lui, ma non troppo, mentre aspettavo trepidante che continuasse a parlare. – Sono andato a letto con Eleanor. Più di una volta».
E io sapevo che tra di loro era così, sapevo che era normale, che il tono di voce di Louis era colpevole, che ero io quella di troppo e che non c’era niente che io potessi pretendere da lui, ma nessuna di queste consapevolezze mi impedì di immobilizzarmi per un improvviso dolore proprio al centro del petto.
Chiusi gli occhi con talmente tanta forza da farmi quasi male, perché volevo a tutti i costi evitare di farli diventare lucidi: non era il momento di essere troppo emotiva, come al mio solito, non era il momento per lasciarsi andare.
«Ed è questo quello che faccio – riprese, costringendomi a fare un respiro profondo e ad alzare le palpebre. – Vado a letto con lei perché tanto so che non significa niente, che non c’è niente da rovinare e che per un po’ di tempo posso levarmi te dalla testa».
Quando si voltò verso di me, il suo sguardo si posò sul mio viso e io abbassai il mio: mi asciugai velocemente una guancia con il dorso della mano, sporcandolo con una lacrima che non ero riuscita a trattenere, e serrai le labbra come se stessi pregando che non mi avesse vista.
Le sue parole continuavano a rimbombarmi nella testa e significavano così tante cose da spiazzarmi e confondermi: dentro di loro, c’erano arrendevolezza, timore, menzogne. C’era tutto quello che io avevo bisogno di conoscere di lui.
Aveva ammesso di pensare a me, tanto da dover fare sesso con Eleanor per avere una tregua, per scappare dalla paura che aveva già confessato di provare, ma che io dovevo ancora comprendere a pieno.
«Stai piangendo?» chiese in un sussurro incredulo, facendo un passo verso di me. Io ne feci uno indietro e scossi la testa, mormorando un «no» poco convincente. Non riuscivo ad ignorare il fatto che la sua bocca, prima di quel bacio irruente tra di noi, fosse stata sul corpo di un’altra solo poco prima.
«Vaffanculo» sbottò Louis subito dopo, tirando quello che mi sembrò un pugno allo schienale del divano. Sobbalzai e mi costrinsi ad alzare lo sguardo su di lui, nonostante non volessi farmi vedere così debole: lo trovai con le nocche ancora incastrate nella piccola rientranza provocata nella pelle del divano, le spalle tese e gli occhi chiusi. Sembrava arrabbiato, stanco.
Presi un respiro profondo e mi asciugai gli occhi velocemente, mentre racimolavo un po’ di forze per avvicinarmi a lui, senza nemmeno sapere cosa stessi facendo o se fosse la cosa giusta: gli arrivai di fianco e appoggiai una mano sulla sua spalla destra, attirando la sua attenzione su di me.
«Non sto piangendo – dissi in modo deciso, per quanto ci riuscissi. – Guardami, Louis. Non sto piangendo» aggiunsi, provando a convincerlo con ogni fibra del mio corpo, persino con il mio respiro reso regolare solo da un immane sforzo. Tutto dipendeva dalla sensazione di dover rassicurare il ragazzo che mi stava di fronte, dopo la sua reazione, e io non riuscivo a resistere a quel senso del dovere che si era impadronito di me. Nonostante tutto.
Louis serrò la mascella e si inumidì le labbra nervosamente. Avrei voluto pregarlo di stare tranquillo, perché sembrava sull’orlo di una crisi di nervi, ma non ne ebbi il tempo.
Fu lui, infatti, a prendere la parola. «So fare solo questo – cominciò, con un tono di voce così basso, così represso, da farmi venire i brividi. – So solo rovinare tutto e, cazzo, quante volte ti ho fatta piangere? Quante, eh?» chiese, facendo comparire di nuovo quel mezzo sorriso arreso e colpevole di poco prima.
«È questo il problema – continuò, senza farmi ribattere, assumendo ancora quella maschera dura e quasi sofferente che indossava quella notte. – Non sono capace di farti stare bene, non sono capace di avere una fottuta relazione senza rovinare tutto, ed è sempre stato così».
Lasciai che la mia mano scivolasse lungo il suo braccio lentamente, mentre ascoltavo con la massima attenzione ogni sua parola: era strano sentirlo parlare di ciò che provava realmente, dato che era praticamente la prima volta che succedeva, ma era terribilmente giusto. Sentivo di non essere poi tanto pazza quanto credevo, di non essermi illusa per tutto quel tempo, di interessare davvero a Louis, nonostante i suoi comportamenti e le sue azioni.
In quel momento, l’aver paura di me sembrava avere più senso di prima: dalle sue parole si capiva che non sapeva nemmeno come comportarsi con una persona, che fosse ben consapevole dei suoi numerosi errori e di tutte le loro conseguenze.
«Non sono in grado di fare la cosa giusta, di dire la cosa giusta o di non essere geloso come un fottuto psicopatico. Non ci riesco. – continuò, lasciando trasparire la stanchezza e la rabbia contro se stesso dalla sua voce. – Posso farlo con Eleanor, dato che so benissimo che io e lei non andremo da nessuna parte. L’ho fatto per tutti questi anni mentre stavo al suo fianco, al sicuro da qualcosa che non avrei potuto rovinare perché non c’era, ma non riesco a farlo con te, Vicki. Da quando sei arrivata ho paura anche solo… - Lasciò in sospeso la frase e io inspirai profondamente per tenere a bada le lacrime, che lottavano per uscire solo per alleggerirmi del carico di emozioni che mi gravava addosso: eppure sentivo che a Louis non avrebbero fatto bene, quindi ero disposta a tenerle nascoste, in un istinto protettivo del tutto malsano. – Ho paura di fare anche solo un passo perché finirei per mandare tutto all’aria, come sempre. Come ho già fatto».
Non risposi alle sue parole, perché dovevo assimilarle, analizzarle e capirle fino in fondo: Louis mi aveva appena offerto la chiave del suo comportamento su un piatto d’oro, anziché d’argento, e io non potevo fare altro che ripercorrere mentalmente tutta la nostra pseudo-storia alla luce di quella nuova verità. E tutto aveva più senso, tutto sembrava più chiaro.
Louis che usciva con me, ma che poi era tornato da Eleanor con una freddezza sconvolgente, da una ragazza con la quale si sentiva al sicuro da qualsiasi casino che avrebbe potuto combinare.
Louis che era geloso di Zayn, nonostante avesse voluto chiudere le cose con me, e io che non riuscivo a comprenderlo perché davo per scontato che mi avesse usata per divertirsi, quando invece era solo alle prese con la sua incapacità di tenersi stretta una persona, con la sua paura.
Louis che si avvicinava e si allontanava con la stessa facilità, confondendomi continuamente, mentre forse lui stava peggio di me.
Tutto, nella mia mente, acquistava quel dettaglio mancante che mi aveva impedito di decifrarlo fino in fondo.
«Quindi tu… Tu sei tornato con Eleanor solo perché…»
«No, ascolta, lascia perdere – mi interruppe, con un sonoro respiro, allontanandosi da me con le mani tese in avanti, quasi volesse fermare le mie parole con quel semplice gesto. I suoi occhi mi avrebbero tormentata per parecchio tempo, già lo sapevo. – Devo tornare a casa».
«No, aspetta!» provai a fermarlo, afferrandolo per un polso.
Avrei voluto rassicurarlo, nonostante ne avessi bisogno anche io, avrei voluto dirgli che capivo le sue paure e che ero disposta ad affrontarle con lui, a dimenticare tutto e a ricominciare qualsiasi cosa ci fosse tra di noi, ma in quel momento la mia bocca disubbidì alla mia volontà. «Non tornare da lei» sussurrai semplicemente, con il cuore che mi martellava nel petto al solo pensiero di vederlo andare via, al solo pensiero che potesse dormire accanto ad Eleanor.
Louis scosse la testa, con una maschera di serietà sul viso che non mi era di grande conforto: lentamente ritrasse il polso dalla mia presa e rimase a guardarmi per qualche secondo, come se il tempo si fosse fermato e noi ne fossimo i prigionieri incapaci di muoversi.
Fu molto veloce, però, quando si voltò per dirigersi a grandi passi verso la porta di casa.
«Louis!» lo richiamai, seguendolo lungo il vialetto.
Bastava osservare i suoi movimenti decisi per capire che non aveva assolutamente intenzione di darmi ascolto.
«Louis, per favore! – continuai, bloccandolo per un braccio, poco prima che potesse salire in macchina. – Resta qui. Possiamo parlarne e…»
Mi interruppi quando lui si liberò di nuovo di me, sedendosi al posto di guida senza guardarmi in faccia.
«Cazzo, Louis, ascoltami!» sbottai, passandomi una mano tra i capelli.
Ma non lo fece: per un attimo incontrò il mio sguardo, un attimo così piccolo e allo stesso tempo significativo da lasciarmi sbalordita, poi chiuse lo sportello e se ne andò.
 
 



ANGOLO AUTRICE

Ok, ehm… Ciao hahahha
Credo che a questo punto alcune di voi saranno un po’ sconvolte,
perché questo capitolo è tutto tranne che tranquillo e perché Louis è… Beh, è Louis hahah
Non ho molto tempo per dilungarmi, quindi cercherò di essere breve (certo….)
Due paroline su Alice ed Harry: innanzitutto ora potrete capire perché Harry abbia
raccomandato a Louis di non fare stronzate, dato che evidentemente lo conosce bene e
sa che il suo vero interesse è Vicki e non Eleanor; poi, Alice è tornata dall’America, sì,
ma in realtà deve ripartire, piccolo dettaglio che ha tenuto nascosto per
paura, diciamo. Se andate a rileggere il primo incontro tra lei ed Harry, infatti,
lei non risponde alla domanda “resterai?", ma lui non ci fa caso perché troppo felice di vederla.
Non ho riportato l’intera loro discussione, solo perché ho in mente altri progetti!
Anticipo solo che mooolto presto ci sarà un confronto tra Abbie ed Harry YAY :)
Poi, LOUIS E VICKI aka saranno la mia morte ahhaha In realtà Louis ha già detto tutto,
e io spero davvero di essere riuscita a descriverlo al meglio: come aveva detto Harry un po’
di capitoli fa, a Louis non piace mettere in mostra ciò che prova, parlare dei propri
problemi, ed è quello che ho cercato di dimostrare con questo capitolo. Spero di aver
mostrato bene la sua difficoltà nell'aprirsi!
Inoltre è un ragazzo spaventato, che non sa come comportarsi con le persone a cui tiene
perché finisce sempre per rovinare tutto (e di questo ce ne ha dato una prova più volte!):
ecco perché era tornato con Eleanor senza preavviso, ecco perché continuava ad avvicinarsi
e allontanarsi da Vicki in modo così confuso. Gli piace molto e questo lo spaventa ancora di più.
La sua relazione con El andava bene solo perché per lui non aveva molto significato,
quindi si sentiva più libero, più tranquillo! In ogni caso, la sua paura lo porta
a scappare di nuovo da Vicki, che – POVERINA – sta subendo una batosta dopo l’altra hahha
Prometto che tornerà ad essere felice, GIURO (:
PS. io AMO Louis, ma questo lo sapevate già ahahah E spero che voi abbiate cambiato 
idea su di lui, almeno un po :)
Comunque mi piacerebbe davvero molto sapere le vostre opinioni su questo capitolo,
che è molto importante per la storia!
 
Ringrazio moltissimo tutte voi per l’affetto e l’appoggio che mi dimostrate ogni volta!
E un grazie particolare alla mia bella caterina che ha letto in anteprima questo capitolo!
 
A presto fanciulle, un bacione!
 
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Storia originale: “Morning Bar

 
 
   
 
 
 
  
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