Ticket to Paris
Capitolo 4: “Pronti a tutto”
Il Fox and Hounds
era un pub nel quartiere di Caversham (1). Non era certamente il pub
più conosciuto, ben curato e pulito del sobborgo, ma Paul poteva affermare
senza alcun dubbio di aver frequentato locali molto più squallidi e
maleodoranti nella sua ancora giovane vita.
Con le vacanze di Pasqua era giunta anche la
proposta della cugina Betty di lavorare nel pub che gestiva con suo marito
Mike. “Tanto, Paul, non hai niente di meglio da fare.” Beh, questo lo pensava
lei e forse anche suo padre, ma non lui. Aveva le prove della sua band e poi
c’era Dot, non poteva lasciare a se stessa quella povera ragazza. Come avrebbe
fatto senza Paul? Lui avrebbe anche potuto sopravvivere per qualche giorno
senza i suoi baci appassionati e le sue carezza audaci, ma lei? Dot si sarebbe
chiusa in camera sua a piangere e disperarsi per la mancanza del suo splendido
ragazzo. Non avrebbe avuto neanche voglia di uscire per rimorchiare qualche
altro mocciosetto con cui passare la serata, perché
una volta che assaggi Paul McCartney, tutti gli altri impallidiscono nel
confronto, tutti gli altri sarebbero stati insulsi, insignificanti, insipidi e
molti altri insulti che iniziavano con “in-”.
Alla fine, aveva accettato la proposta di
lavoro, costretto soprattutto da suo padre, e Paul aveva pensato bene di
trascinare con sé anche John, così almeno il viaggio non sarebbe stato una noia
totale. E difatti era stato piuttosto divertente, oltre che stancante, fare
l’autostop da Liverpool fino a Caversham. Poi, una volta giunti al pub, il
divertimento era svanito e loro erano stati relegati dietro il bancone del pub
a lavorare, servendo i clienti, lavando le stoviglie, buttando la spazzatura e
molto spesso pulendo i servizi igienici. Decisamente un duro lavoro, ma la
compagnia di John rendeva tutto più sopportabile, anzi, diventava quasi
piacevole lavorare al suo fianco dietro al bancone, con John che, spietato,
commentava le ordinazioni dei clienti e faceva ipotesi improbabili sulle loro
vite private.
Poi un giorno Mike aveva proposto a Paul e
John di suonare proprio lì, nel suo pub, il sabato sera. E loro avevano
accettato senza remore, ben lieti di potersi esibire per un pubblico e fare
pratica, evitando quindi di far ristagnare le loro doti artistiche. Fortuna che
avevano portato con loro le chitarre, le loro immancabili compagne per
qualunque viaggio. In men che non si dica avevano trovato un nome per il loro
duo, i Nerk Twins, e avevano suonato e cantato in
quel piccolo, sconosciuto pub, disperso da qualche parte in Inghilterra.
Avevano cantato senza microfoni, sgolandosi per un pubblico che forse non li
apprezzava particolarmente, ma almeno li stava ad ascoltare, senza lanciargli
addosso il primo oggetto a portata di mano. (2)
Paul ripensò alla sera precedente, mentre
sciacquava nel lavandino le pinte per la birra e le sistemava negli scaffali. I
Nerk Twins non erano niente male, avevano un loro
fascino, pur essendo solo in due. Certo, all’inizio era stato strano, erano
troppo abituati alle sonorità di un gruppo più completo come quello a cui erano
così legati e che ancora non aveva trovato il suo nome definitivo. Tuttavia
Paul doveva ammettere che funzionavano anche in due e ora era riluttante ad
ammetterlo, ma si era divertito molto di più a suonare solo con John,
improvvisando insieme a lui, potendo contare solo sul suo supporto, sul suo
sguardo d’incoraggiamento
Era stato magico.
“Ehi, pupa!”
La voce familiare giunse alle spalle di Paul
e lui si voltò, guardando esasperato John e portando le mani sui fianchi in un
totale atteggiamento da “non è divertente”. E non lo era affatto!
“Oh, mi perdoni, signore!” esclamò l’amico,
portandosi una mano sulla bocca, “L’avevo scambiata per un’appetitosa
pollastrella!”
John si sedette al bancone, ridendo della
propria battuta. Fu l’unico, perché Paul lo stava guardando con un profondo
cipiglio sul volto, pur non essendo realmente offeso.
“Dove sei stato?”
“A pulire quei cessi che, lasciamelo dire, ma
mai la definizione ‘di merda’ è stata più appropriata.” spiegò lui con la
smorfia più disgustata che Paul avesse mai visto sul suo viso.
In quel momento, con quell’aria sofisticata,
quasi altezzosa, la differenza di classe sociale tra lui e Paul si fece più
evidente. Era una cosa che John cercava di nascondere, comportandosi come uno
che veniva dalla classe operaia, uno come Paul. Ma la realtà era che John era
più borghese di quanto desiderasse e Paul ridacchiò quando i suoi lineamenti
mostrarono quel lato di sé che John cercava di nascondere.
“Sporco lavoro, eh?”
“Puoi dirlo forte, dolcezza. Stavo per
vomitare.” sospirò e lasciò cadere la testa sul bancone, “Ora servimi qualcosa
da bere, sto morendo di sete.”
“Cosa preferisci?” domandò, recuperando un
bicchiere pulito.
“Quello che preferisci tu. Ti lascio carta
bianca.”
Paul annuì e pensò per pochi istante a cosa
potesse preparare per dissetare l’amico esausto e nauseato. L’idea che gli
balenò nella mente a quell’immagine calzava a pennello e il ragazzo cominciò a
preparare una bevanda che avevano conosciuto solo lì, una bevanda tipica di
Londra e dintorni: il Pimm’s (3). Lo servì
a John con l’aggiunta di un po’ di whisky, che John apprezzava particolarmente.
“Ecco a te.”
John alzò la testa e osservò il bicchiere con
il liquido ambrato, i cubetti di ghiaccio, una fetta d’arancia e una foglia di
menta. E poi, incuriosito, guardò Paul.
“Perché?”
“Perché cosa?” ribatté Paul, confuso.
“Perché hai scelto proprio questo?” domandò,
appoggiando il capo sulla mano.
“Mm, fammi pensare, perché è snob ed elegante
come te-”
“Io non sono snob!” protestò John accalorato.
“Lo sei, John, lo sei.” ribadì Paul, annuendo,
“ Ma soprattutto l’ho scelto perché, com’è che ha detto Betty…sì, è quello che
‘piace alla gente che piace’. Niente di più adatto al grande John Lennon, no?”
John sbuffò: “Io non piaccio.”
Paul si lasciò scappare una risata e appoggiò
i gomiti sul bancone: “Tu piaci eccome, John.”
“No, non è vero.”
“Sì, invece. Tu piaci a tutti, John, solo che
non tutti sanno quanto gli piaci, anche se ti rispondono o trattano male: fanno
così perché gli piaci così tanto da spiazzarli e loro non sanno proprio come
rapportarsi con te. Il fatto è che mandi tutti in confusione, John.” spiegò
Paul, sorridendo divertito.
John sembrava perplesso, quasi disorientato:
era convinto che Paul lo stesse prendendo in giro, ma quella non era la faccia
di chi lo stava prendendo per i fondelli su uno degli argomenti che più lo
turbavano.
“Anche tu?”
Glielo chiese con una punta d’innocenza così
strana da sentire nella sua voce che sì, anche Paul andò in confusione. Solo
per un attimo, si capisce. Lo guardò con gli occhi spalancati per quell’attimo
e poi scoppiò a ridere.
“Ammetto che forse il giorno in cui ci siamo
incontrati, potresti avermi spiazzato giusto un po’, niente di più. Ma poi ho
imparato a conoscerti e no, John, io sono l’unico che non potrai mai mandare in
confusione.”
“Però ti piaccio lo stesso?” domandò
speranzoso.
E Paul, a quella speranza che lo fece
sorridere, annuì: “Ma certo, John, certo che mi piaci.”
John sorrise, compiaciuto, e il suo sorriso
permase mentre appoggiava le labbra sul bicchiere e gustava la fresca bevanda.
Il suo sapore terribilmente amaro, in un primo momento, si trasformò poi in
qualcosa di estremamente dolce e fruttato e il profumo intenso del liquore
stuzzicò piacevolmente le sue narici.
Mentre beveva, guardò Paul, tornato nel
frattempo al suo lavoro. Oh, quel piccolo furfante! Aveva mentito, aveva
mentito a John, proprio a lui, perché sì, John gli piaceva e sì, John mandava
anche lui in confusione. Solo che Paul sapeva come nasconderglielo e negli anni
John aveva imparato a riconoscere quando lo faceva, aveva imparato a
riconoscere il modo in cui il suo atteggiamento si affrettava a mostrare
esattamente l’opposto di ciò che era scritto nel suo sguardo, perché gli occhi
di Paul non mentivano mai, erano ciò su cui John faceva sempre affidamento, ciò
che gli permetteva di comprendere appieno Paul e quello che provava, quello
pensava, quello che desiderava… Non era forse anche questa una delle
caratteristiche di Paul che piacevano di più a John?
“Anche tu mi piaci, Paul.” disse a bassa
voce, il bicchiere ancora sulle labbra.
Paul si voltò e gli rivolse uno sguardo
confuso: “Hai detto qualcosa?”
John sorrise con un ghigno quasi sardonico.
“Sì, ho detto che quel grembiulino ti sta una
meraviglia, cara. Sei proprio una donnina da sposare, Macca.”
Paul sospirò esasperato e alzò gli occhi al
cielo.
“John, tesoro, lascia che te lo dica una
volta per tutte: vai a farti fottere!”
“Credo che questo sia impossibile, ragazzi.”
s’intromise una voce maschile.
I due ragazzi si voltarono per vedere Mike,
il marito della cugina Betty, avvicinarsi con passo affrettato. Il suo sguardo
cadde sul bicchiere fra le mani di John e sul suo volto apparve all’istante una
severa espressione di rimprovero.
“Stavamo solo scherzando, Mike.” spiegò Paul.
“Beh, allora, invece di fare gli spiritosi,
preparatevi perché voglio che suoniate ancora fra dieci minuti.”
“Ora? Ma non c’è nessuno!” protestò Paul,
indicando il locale che era praticamente vuoto, se non si contavano tre uomini
seduti ognuno in tavoli diversi, con l’unica compagnia di una pinta di birra.
“E’ ora di pranzo, qualcuno arriverà di
sicuro. Stesso repertorio di ieri sera, ragazzi. Partite con ‘The world is waiting for the sunrise’ e
poi ‘Be bop a lula’.”
“Va bene.” disse John, incrociando le braccia,
“Ma se vuoi che ci esibiamo anche oggi, devi sganciare dieci sterline, cinque a
me, cinque a Paul.”
Gli occhi di Mike si spalancarono
profondamente indignati e lo stesso accadde a Paul, ovviamente per la sorpresa.
“Cosa?”
“Prendere o lasciare, amico. Non mi esibisco
con il mio compare gratuitamente. È solo una questione di rispetto del mio
lavoro.”
Mike lo guardò intensamente. Il disappunto
era svanito dal suo volto e aveva lasciato il posto a qualcosa di molto simile
all’interesse.
“Tre sterline.” rilanciò.
“Otto.”
“Quattro e vi pago il treno per il ritorno.”
“Affare fatto.”
“Bene, allora preparatevi.”
Mike se ne andò e Paul guardò John solo un
secondo prima di scoppiare a ridere insieme a lui.
“Ma che ti è preso?” domandò quando le risate
scemarono.
“Ragazzino, è il duro mondo dello spettacolo.
Ti ci devi abituare per quando diventeremo famosi con la band.”
“A proposito…” cominciò a dire Paul,
togliendosi il grembiule, “Chissà cosa staranno pensando gli altri.”
“Di che cosa?”
“Del fatto che siamo spariti così, da un giorno
all’altro.”
“E’ solo una settimana, Paul. Cosa vuoi che
pensino?”
“Non so, magari che vogliamo sciogliere il
gruppo e… suonare solo noi due, insieme.”
John lo guardò, pensieroso. Non era un
pensiero strano, lui stesso, negli ultimi giorni, aveva pensato a questa
possibilità. Era un’idea allettante. Avrebbero dovuto dividere i compensi solo
in due e mettere d’accordo due sole teste. Due teste calde magari, ma avevano
dalla loro parte la loro amicizia, il loro capirsi al volo, con un semplice
sguardo, uno scambio rapido che rivelava però un’intesa infinita, così
straordinaria che ogni volta John ne restava sorpreso, strabiliato.
“Intendi uno di quei pettegolezzi interni che
colpiscono i grandi gruppi della storia della musica?”
Paul rise: “Sì, proprio quelli. I
pettegolezzi che poi portano davvero allo scioglimento del gruppo.”
“Beh, se siamo a questo punto, significa solo
due cose.” commentò John pensieroso.
“Ovvero?”
“O siamo sul punto di scioglierci oppure
stiamo davvero per sfondare. In entrambi casi va bene per me.”
“Perché?”
“Perché se ci sciogliamo, saremo solo io e
te.”
Paul gli rivolse uno sguardo profondamente
scettico, poi gli sorrise.
“Te ne pentiresti due secondi dopo. Hai
impiegato molto tempo per dare vita e solidità a questa band, hai fatto
sacrifici e sprecato energie, John, non potresti mai sopportare lo scioglimento
del gruppo, neanche per continuare a suonare solo con me.”
Eccolo, Paul che entrava in azione, il suo
incredibile compagno d’avventura che guardava nel punto più profondo dentro
John e gli dava voce. Aveva ragione, John non avrebbe mai rinunciato al suo
gruppo. Dopotutto era la sua fottutissima band!
“Lo sai, Macca, forse per una volta da quando
ti conosco, hai detto una cosa sensata.”
“L’idea comunque è bella, teniamola per il
futuro, quando saremo ricchi e famosi…” esclamò Paul, facendogli l’occhiolino.
“Quando non ne potremo più di tutti gli
altri, di vedere ogni giorno le loro facce e le discussioni ci distruggeranno
da dentro?”
“Noi non saremo mai distrutti, John.” affermò
Paul.
John fissò l’ottimismo sul volto del ragazzo,
udì il suo tono deciso, la sicurezza nelle sue parole e per un attimo si lasciò
contagiare da tutti i sentimenti forti che Paul poteva infondergli con il gesto
più semplice. Ridacchiò, bevendo l’ultimo sorso del suo drink, pensando che
quel sapore amaro e dolce nello stesso tempo fosse proprio come quell’avventura
musicale che stavano condividendo, con l’amarezza dei momenti difficili, delle
crisi in cui pensavano che non sarebbero mai riusciti a sfondare e dare un
senso ai loro sforzi, e con la dolcezza delle gioie che avevano provato
insieme, di quegli attimi che sembravano aprire le porte per un futuro
migliore, un futuro che avrebbe riservato loro solo felicità. Paul racchiudeva
in sé ogni singola sfumatura della loro avventura e con lui accanto John
avrebbe potuto affrontare qualunque cosa.
“Bene, allora recuperiamo le chitarre. Se non
saremo noi a distruggerci, ci penserà tuo cugino.”
****
Alla fine la band non si era sciolta, anzi pochi giorni
dopo quel mini-soggiorno fuori Liverpool, avevano anche trovato il nome
definitivo, quello perfetto che era piaciuto a tutti: i Beatles. Poi
erano arrivati gli ingaggi per Amburgo e ora John era sicuro che mancasse
davvero poco, prima che fosse giunta la loro occasione d’oro, quella che li
avrebbe portati ad avere un contratto discografico, le loro canzoni incise su
un disco, quella che li avrebbe ripagati di tutti gli sforzi.
John era certo che quel momento sarebbe arrivato per loro
e questo sarebbe stato possibile grazie soprattutto al ragazzo che era ora con
lui e che aveva un colorito decisamente poco salutare sul suo viso.
Erano partiti da neanche un’ora con il traghetto da
Dover, le bianche scogliere erano ormai una candida, sottile striscia che si
stagliava all’orizzonte dietro di loro. Il sapore e l’odore dell’acqua salata
del mare solleticavano le narici, l’aria frizzantina di fine settembre pungeva
fastidiosamente il viso, ma con Paul che minacciava di rimettere anche l’anima
da un momento all’altro era più appropriato restare all’esterno, sul ponte di
poppa. Il ragazzo si trovava su una piccola panca di legno e John si voltò a
guardarlo, appoggiandosi alla ringhiera bianca del traghetto. Aveva il volto
pallido, quasi cadaverico: si era sdraiato sulla panchina, sollevando le
ginocchia e portando una mano sulla fronte. Un piccolo rimedio per percepire
meno i movimenti ondulatori del traghetto. Il mare non era propriamente piatto
quel giorno, Paul era stato sfortunato.
“Ehi, principessa, come stai?”
“Vaffanculo.” fu la risposta breve, concisa e lamentosa.
Stava proprio male. Perciò John ridacchiò e si avvicinò,
sedendosi accanto alla sua testa. Forse un po’ di sano conforto Lennoniano avrebbe giovato alla sua salute.
“John? Quanto manca, John?” domandò piagnucolando.
“Ancora un po’, resisti. Pensa a quante cose buone da
mangiare ci aspettano al di là della Manica: calde e fumanti zuppe di cipolle,
un cremoso paté di fegato dal sapore pungente e ah! Quei puzzolenti formaggi franc-”
Il viso di Paul assunse un’espressione disgustata: “JOHN!
Se non vuoi che vomiti sui tuoi pantaloni, smettila subito!”
John rise e gli appoggiò una mano sui capelli.
“Povero piccolo Paul che si ritrova lo stomaco debole. Sembra
promettere proprio bene questo viaggio, eh?” sospirò, “Speriamo che andrà
meglio sulla terraferma. Che ne dici?”
Paul lo guardò dal basso e mise il broncio: “Mi
dispiace.”
“Per cosa?” gli domandò, incrociando il suo sguardo.
“Ti sto rovinando la traversata.”
“Beh, non mi sembra che ci sia qualcosa di molto
eccitante da fare su un traghetto, a parte stare seduto e guardare il mare e
l’Inghilterra che si allontana sempre di più. Anzi, il fatto che tu stia male rende il viaggio
interessante. Per esempio, possiamo scommettere entro quanto tempo vomiterai e
ipotizzare che cosa vomiterai, magari quel muffin con i mirtilli che abbiamo
preso prima di imbarcarci. Se siamo fortunati riusciremo anche a recuperare i
mirtilli…”
“Bleah!” esclamò disgustato
Paul e poi chiuse gli occhi, “Comunque, John, grazie.”
“Mm…” mormorò John, “Sempre pronto a nauseare i miei
compagni di viaggio.”
E poi chiuse gli occhi anche lui, abbandonando la testa
all’indietro.
Cominciò a passare distrattamente la mano tra i capelli
di Paul e dopo pochi istanti notò che il ragazzo si era addormentato. Meglio
così. Non desiderava davvero che Paul stesse male, era il loro viaggio, la loro
grande fuga da Liverpool, avrebbero dovuto stare bene entrambi per godersi ogni
piccolo istante di quella nuova eccitante esperienza.
John guardò il cielo con piccole candide nuvole che
scorrevano sopra di lui e si rincorrevano vivacemente su quel campo di un
azzurro intenso. Sospirò, passandosi la lingua per inumidire le labbra che il
vento marino stava rendendo secche e si accorse di un sapore familiare nella
sua bocca. Un sapore fresco, intenso, amaro e poi dolce, fruttato, tremendamente
familiare. Come quel drink che gli aveva preparato Paul in quella breve vacanza
trascorsa insieme, solo un anno prima.
Lo stesso sapore intenso di quella prima avventura
condivisa, la stessa euforia di quando avevano suonato in due solo per tre persone,
senza lasciarsi scoraggiare dal pubblico indifferente… Sembravano essere sul
punto di vivere un’altra grande emozione, che aspettava solo loro. Aspettava
loro con le sue difficoltà, le sue sorprese, le sue gioie.
John sorrise fra sé a qualunque cosa si trovasse al di là
della Manica.
Stavano arrivando. Erano pronti.
Pronti a tutto.
(1)- Caversham è un quartiere
della città di Reading, nella contea del Berkshire,
vicino Londra.
(2)- Altri particolari sui Nerk Twins e il loro soggiorno a Caversham si possono
trovare qui: http://www.dailymail.co.uk/tvshowbiz/article-1078752/Meet-The-Nerk-Twins--John-Paul-called-gig-double-act--8211-drinkers-sleepy-Berkshire-pub.html
(3)- Informazioni sul Pimm’s:
http://www.intravino.com/assaggi/snob-elegante-pimms/
Note dell’autrice: ecco qua, quarto capitolo. Volevo pubblicare
domani, ma domani c’è l’aggiornamento di AGV e ho preferito anticipare.
Non ho molto da dire su questo
capitolo, è una specie di capitolo corridoio. Bisogna solo capire per cosa sono
davvero pronti questi due?
Grazie a kiki
per la correzione e chi legge e recensisce!
Nel prossimo capitolo
arriviamo in Francia, teniamo quindi gli “Occhi sempre aperti”.
A presto
Kia85