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Autore: Kia85    24/09/2013    6 recensioni
Liverpool 1961. Quando John Lennon riceve in regalo cento sterline, non pensa molto prima di chiedere al suo amico Paul McCartney di unirsi a lui in un viaggio all’insegna dell’avventura, un viaggio che cambierà la loro vita, la loro amicizia e li preparerà a essere Beatles.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon , Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ticket to Paris

 

Capitolo 4: “Pronti a tutto”

 

Il Fox and Hounds era un pub nel quartiere di Caversham (1). Non era certamente il pub più conosciuto, ben curato e pulito del sobborgo, ma Paul poteva affermare senza alcun dubbio di aver frequentato locali molto più squallidi e maleodoranti nella sua ancora giovane vita.

Con le vacanze di Pasqua era giunta anche la proposta della cugina Betty di lavorare nel pub che gestiva con suo marito Mike. “Tanto, Paul, non hai niente di meglio da fare.” Beh, questo lo pensava lei e forse anche suo padre, ma non lui. Aveva le prove della sua band e poi c’era Dot, non poteva lasciare a se stessa quella povera ragazza. Come avrebbe fatto senza Paul? Lui avrebbe anche potuto sopravvivere per qualche giorno senza i suoi baci appassionati e le sue carezza audaci, ma lei? Dot si sarebbe chiusa in camera sua a piangere e disperarsi per la mancanza del suo splendido ragazzo. Non avrebbe avuto neanche voglia di uscire per rimorchiare qualche altro mocciosetto con cui passare la serata, perché una volta che assaggi Paul McCartney, tutti gli altri impallidiscono nel confronto, tutti gli altri sarebbero stati insulsi, insignificanti, insipidi e molti altri insulti che iniziavano con “in-”.

Alla fine, aveva accettato la proposta di lavoro, costretto soprattutto da suo padre, e Paul aveva pensato bene di trascinare con sé anche John, così almeno il viaggio non sarebbe stato una noia totale. E difatti era stato piuttosto divertente, oltre che stancante, fare l’autostop da Liverpool fino a Caversham. Poi, una volta giunti al pub, il divertimento era svanito e loro erano stati relegati dietro il bancone del pub a lavorare, servendo i clienti, lavando le stoviglie, buttando la spazzatura e molto spesso pulendo i servizi igienici. Decisamente un duro lavoro, ma la compagnia di John rendeva tutto più sopportabile, anzi, diventava quasi piacevole lavorare al suo fianco dietro al bancone, con John che, spietato, commentava le ordinazioni dei clienti e faceva ipotesi improbabili sulle loro vite private. 

Poi un giorno Mike aveva proposto a Paul e John di suonare proprio lì, nel suo pub, il sabato sera. E loro avevano accettato senza remore, ben lieti di potersi esibire per un pubblico e fare pratica, evitando quindi di far ristagnare le loro doti artistiche. Fortuna che avevano portato con loro le chitarre, le loro immancabili compagne per qualunque viaggio. In men che non si dica avevano trovato un nome per il loro duo, i Nerk Twins, e avevano suonato e cantato in quel piccolo, sconosciuto pub, disperso da qualche parte in Inghilterra. Avevano cantato senza microfoni, sgolandosi per un pubblico che forse non li apprezzava particolarmente, ma almeno li stava ad ascoltare, senza lanciargli addosso il primo oggetto a portata di mano. (2)

Paul ripensò alla sera precedente, mentre sciacquava nel lavandino le pinte per la birra e le sistemava negli scaffali. I Nerk Twins non erano niente male, avevano un loro fascino, pur essendo solo in due. Certo, all’inizio era stato strano, erano troppo abituati alle sonorità di un gruppo più completo come quello a cui erano così legati e che ancora non aveva trovato il suo nome definitivo. Tuttavia Paul doveva ammettere che funzionavano anche in due e ora era riluttante ad ammetterlo, ma si era divertito molto di più a suonare solo con John, improvvisando insieme a lui, potendo contare solo sul suo supporto, sul suo sguardo d’incoraggiamento… Era stato magico.

“Ehi, pupa!”

La voce familiare giunse alle spalle di Paul e lui si voltò, guardando esasperato John e portando le mani sui fianchi in un totale atteggiamento da “non è divertente”. E non lo era affatto!

“Oh, mi perdoni, signore!” esclamò l’amico, portandosi una mano sulla bocca, “L’avevo scambiata per un’appetitosa pollastrella!”

John si sedette al bancone, ridendo della propria battuta. Fu l’unico, perché Paul lo stava guardando con un profondo cipiglio sul volto, pur non essendo realmente offeso.

“Dove sei stato?”

“A pulire quei cessi che, lasciamelo dire, ma mai la definizione ‘di merda’ è stata più appropriata.” spiegò lui con la smorfia più disgustata che Paul avesse mai visto sul suo viso.

In quel momento, con quell’aria sofisticata, quasi altezzosa, la differenza di classe sociale tra lui e Paul si fece più evidente. Era una cosa che John cercava di nascondere, comportandosi come uno che veniva dalla classe operaia, uno come Paul. Ma la realtà era che John era più borghese di quanto desiderasse e Paul ridacchiò quando i suoi lineamenti mostrarono quel lato di sé che John cercava di nascondere.

 “Sporco lavoro, eh?”

“Puoi dirlo forte, dolcezza. Stavo per vomitare.” sospirò e lasciò cadere la testa sul bancone, “Ora servimi qualcosa da bere, sto morendo di sete.”

“Cosa preferisci?” domandò, recuperando un bicchiere pulito.

“Quello che preferisci tu. Ti lascio carta bianca.”

Paul annuì e pensò per pochi istante a cosa potesse preparare per dissetare l’amico esausto e nauseato. L’idea che gli balenò nella mente a quell’immagine calzava a pennello e il ragazzo cominciò a preparare una bevanda che avevano conosciuto solo lì, una bevanda tipica di Londra e dintorni: il Pimm’s (3). Lo servì a John con l’aggiunta di un po’ di whisky, che John apprezzava particolarmente.

“Ecco a te.”

John alzò la testa e osservò il bicchiere con il liquido ambrato, i cubetti di ghiaccio, una fetta d’arancia e una foglia di menta. E poi, incuriosito, guardò Paul.

“Perché?”

“Perché cosa?” ribatté Paul, confuso.

“Perché hai scelto proprio questo?” domandò, appoggiando il capo sulla mano.

“Mm, fammi pensare, perché è snob ed elegante come te-”

“Io non sono snob!” protestò John accalorato.

“Lo sei, John, lo sei.” ribadì Paul, annuendo, “ Ma soprattutto l’ho scelto perché, com’è che ha detto Betty…sì, è quello che ‘piace alla gente che piace’. Niente di più adatto al grande John Lennon, no?”

John sbuffò: “Io non piaccio.”

Paul si lasciò scappare una risata e appoggiò i gomiti sul bancone: “Tu piaci eccome, John.”

“No, non è vero.”

“Sì, invece. Tu piaci a tutti, John, solo che non tutti sanno quanto gli piaci, anche se ti rispondono o trattano male: fanno così perché gli piaci così tanto da spiazzarli e loro non sanno proprio come rapportarsi con te. Il fatto è che mandi tutti in confusione, John.” spiegò Paul, sorridendo divertito.

John sembrava perplesso, quasi disorientato: era convinto che Paul lo stesse prendendo in giro, ma quella non era la faccia di chi lo stava prendendo per i fondelli su uno degli argomenti che più lo turbavano.

“Anche tu?”

Glielo chiese con una punta d’innocenza così strana da sentire nella sua voce che sì, anche Paul andò in confusione. Solo per un attimo, si capisce. Lo guardò con gli occhi spalancati per quell’attimo e poi scoppiò a ridere.

“Ammetto che forse il giorno in cui ci siamo incontrati, potresti avermi spiazzato giusto un po’, niente di più. Ma poi ho imparato a conoscerti e no, John, io sono l’unico che non potrai mai mandare in confusione.”

“Però ti piaccio lo stesso?” domandò speranzoso.

E Paul, a quella speranza che lo fece sorridere, annuì: “Ma certo, John, certo che mi piaci.”

John sorrise, compiaciuto, e il suo sorriso permase mentre appoggiava le labbra sul bicchiere e gustava la fresca bevanda. Il suo sapore terribilmente amaro, in un primo momento, si trasformò poi in qualcosa di estremamente dolce e fruttato e il profumo intenso del liquore stuzzicò piacevolmente le sue narici. 

Mentre beveva, guardò Paul, tornato nel frattempo al suo lavoro. Oh, quel piccolo furfante! Aveva mentito, aveva mentito a John, proprio a lui, perché sì, John gli piaceva e sì, John mandava anche lui in confusione. Solo che Paul sapeva come nasconderglielo e negli anni John aveva imparato a riconoscere quando lo faceva, aveva imparato a riconoscere il modo in cui il suo atteggiamento si affrettava a mostrare esattamente l’opposto di ciò che era scritto nel suo sguardo, perché gli occhi di Paul non mentivano mai, erano ciò su cui John faceva sempre affidamento, ciò che gli permetteva di comprendere appieno Paul e quello che provava, quello pensava, quello che desiderava… Non era forse anche questa una delle caratteristiche di Paul che piacevano di più a John?

“Anche tu mi piaci, Paul.” disse a bassa voce, il bicchiere ancora sulle labbra.

Paul si voltò e gli rivolse uno sguardo confuso: “Hai detto qualcosa?”

John sorrise con un ghigno quasi sardonico.

“Sì, ho detto che quel grembiulino ti sta una meraviglia, cara. Sei proprio una donnina da sposare, Macca.”

Paul sospirò esasperato e alzò gli occhi al cielo.

“John, tesoro, lascia che te lo dica una volta per tutte: vai a farti fottere!”

“Credo che questo sia impossibile, ragazzi.” s’intromise una voce maschile.

I due ragazzi si voltarono per vedere Mike, il marito della cugina Betty, avvicinarsi con passo affrettato. Il suo sguardo cadde sul bicchiere fra le mani di John e sul suo volto apparve all’istante una severa espressione di rimprovero.

“Stavamo solo scherzando, Mike.” spiegò Paul.

“Beh, allora, invece di fare gli spiritosi, preparatevi perché voglio che suoniate ancora fra dieci minuti.”

“Ora? Ma non c’è nessuno!” protestò Paul, indicando il locale che era praticamente vuoto, se non si contavano tre uomini seduti ognuno in tavoli diversi, con l’unica compagnia di una pinta di birra.

“E’ ora di pranzo, qualcuno arriverà di sicuro. Stesso repertorio di ieri sera, ragazzi. Partite con ‘The world is waiting for the sunrise’ e poi ‘Be bop a lula’.”

“Va bene.” disse John, incrociando le braccia, “Ma se vuoi che ci esibiamo anche oggi, devi sganciare dieci sterline, cinque a me, cinque a Paul.”

Gli occhi di Mike si spalancarono profondamente indignati e lo stesso accadde a Paul, ovviamente  per la sorpresa.

“Cosa?”

“Prendere o lasciare, amico. Non mi esibisco con il mio compare gratuitamente. È solo una questione di rispetto del mio lavoro.”

Mike lo guardò intensamente. Il disappunto era svanito dal suo volto e aveva lasciato il posto a qualcosa di molto simile all’interesse.

“Tre sterline.” rilanciò.

“Otto.”

“Quattro e vi pago il treno per il ritorno.”

“Affare fatto.”

“Bene, allora preparatevi.”

Mike se ne andò e Paul guardò John solo un secondo prima di scoppiare a ridere insieme a lui.

“Ma che ti è preso?” domandò quando le risate scemarono.

“Ragazzino, è il duro mondo dello spettacolo. Ti ci devi abituare per quando diventeremo famosi con la band.”

“A proposito…” cominciò a dire Paul, togliendosi il grembiule, “Chissà cosa staranno pensando gli altri.”

“Di che cosa?”

“Del fatto che siamo spariti così, da un giorno all’altro.”

“E’ solo una settimana, Paul. Cosa vuoi che pensino?”

“Non so, magari che vogliamo sciogliere il gruppo e… suonare solo noi due, insieme.”

John lo guardò, pensieroso. Non era un pensiero strano, lui stesso, negli ultimi giorni, aveva pensato a questa possibilità. Era un’idea allettante. Avrebbero dovuto dividere i compensi solo in due e mettere d’accordo due sole teste. Due teste calde magari, ma avevano dalla loro parte la loro amicizia, il loro capirsi al volo, con un semplice sguardo, uno scambio rapido che rivelava però un’intesa infinita, così straordinaria che ogni volta John ne restava sorpreso, strabiliato.

“Intendi uno di quei pettegolezzi interni che colpiscono i grandi gruppi della storia della musica?”

Paul rise: “Sì, proprio quelli. I pettegolezzi che poi portano davvero allo scioglimento del gruppo.”

“Beh, se siamo a questo punto, significa solo due cose.” commentò John pensieroso.

“Ovvero?”

“O siamo sul punto di scioglierci oppure stiamo davvero per sfondare. In entrambi casi va bene per me.”

“Perché?”

“Perché se ci sciogliamo, saremo solo io e te.”

Paul gli rivolse uno sguardo profondamente scettico, poi gli sorrise.

“Te ne pentiresti due secondi dopo. Hai impiegato molto tempo per dare vita e solidità a questa band, hai fatto sacrifici e sprecato energie, John, non potresti mai sopportare lo scioglimento del gruppo, neanche per continuare a suonare solo con me.”

Eccolo, Paul che entrava in azione, il suo incredibile compagno d’avventura che guardava nel punto più profondo dentro John e gli dava voce. Aveva ragione, John non avrebbe mai rinunciato al suo gruppo. Dopotutto era la sua fottutissima band!

“Lo sai, Macca, forse per una volta da quando ti conosco, hai detto una cosa sensata.”

“L’idea comunque è bella, teniamola per il futuro, quando saremo ricchi e famosi…” esclamò Paul, facendogli l’occhiolino.

“Quando non ne potremo più di tutti gli altri, di vedere ogni giorno le loro facce e le discussioni ci distruggeranno da dentro?”

“Noi non saremo mai distrutti, John.” affermò Paul.

John fissò l’ottimismo sul volto del ragazzo, udì il suo tono deciso, la sicurezza nelle sue parole e per un attimo si lasciò contagiare da tutti i sentimenti forti che Paul poteva infondergli con il gesto più semplice. Ridacchiò, bevendo l’ultimo sorso del suo drink, pensando che quel sapore amaro e dolce nello stesso tempo fosse proprio come quell’avventura musicale che stavano condividendo, con l’amarezza dei momenti difficili, delle crisi in cui pensavano che non sarebbero mai riusciti a sfondare e dare un senso ai loro sforzi, e con la dolcezza delle gioie che avevano provato insieme, di quegli attimi che sembravano aprire le porte per un futuro migliore, un futuro che avrebbe riservato loro solo felicità. Paul racchiudeva in sé ogni singola sfumatura della loro avventura e con lui accanto John avrebbe potuto affrontare qualunque cosa.

“Bene, allora recuperiamo le chitarre. Se non saremo noi a distruggerci, ci penserà tuo cugino.”

****

Alla fine la band non si era sciolta, anzi pochi giorni dopo quel mini-soggiorno fuori Liverpool, avevano anche trovato il nome definitivo, quello perfetto che era piaciuto a tutti: i Beatles. Poi erano arrivati gli ingaggi per Amburgo e ora John era sicuro che mancasse davvero poco, prima che fosse giunta la loro occasione d’oro, quella che li avrebbe portati ad avere un contratto discografico, le loro canzoni incise su un disco, quella che li avrebbe ripagati di tutti gli sforzi.

John era certo che quel momento sarebbe arrivato per loro e questo sarebbe stato possibile grazie soprattutto al ragazzo che era ora con lui e che aveva un colorito decisamente poco salutare sul suo viso.

Erano partiti da neanche un’ora con il traghetto da Dover, le bianche scogliere erano ormai una candida, sottile striscia che si stagliava all’orizzonte dietro di loro. Il sapore e l’odore dell’acqua salata del mare solleticavano le narici, l’aria frizzantina di fine settembre pungeva fastidiosamente il viso, ma con Paul che minacciava di rimettere anche l’anima da un momento all’altro era più appropriato restare all’esterno, sul ponte di poppa. Il ragazzo si trovava su una piccola panca di legno e John si voltò a guardarlo, appoggiandosi alla ringhiera bianca del traghetto. Aveva il volto pallido, quasi cadaverico: si era sdraiato sulla panchina, sollevando le ginocchia e portando una mano sulla fronte. Un piccolo rimedio per percepire meno i movimenti ondulatori del traghetto. Il mare non era propriamente piatto quel giorno, Paul era stato sfortunato.

“Ehi, principessa, come stai?”

“Vaffanculo.” fu la risposta breve, concisa e lamentosa.

Stava proprio male. Perciò John ridacchiò e si avvicinò, sedendosi accanto alla sua testa. Forse un po’ di sano conforto Lennoniano avrebbe giovato alla sua salute.

“John? Quanto manca, John?” domandò piagnucolando.

“Ancora un po’, resisti. Pensa a quante cose buone da mangiare ci aspettano al di là della Manica: calde e fumanti zuppe di cipolle, un cremoso paté di fegato dal sapore pungente e ah! Quei puzzolenti formaggi franc-”

Il viso di Paul assunse un’espressione disgustata: “JOHN! Se non vuoi che vomiti sui tuoi pantaloni, smettila subito!”

John rise e gli appoggiò una mano sui capelli.

“Povero piccolo Paul che si ritrova lo stomaco debole. Sembra promettere proprio bene questo viaggio, eh?” sospirò, “Speriamo che andrà meglio sulla terraferma. Che ne dici?”

Paul lo guardò dal basso e mise il broncio: “Mi dispiace.”

“Per cosa?” gli domandò, incrociando il suo sguardo.

“Ti sto rovinando la traversata.”

“Beh, non mi sembra che ci sia qualcosa di molto eccitante da fare su un traghetto, a parte stare seduto e guardare il mare e l’Inghilterra che si allontana sempre di più. Anzi,  il fatto che tu stia male rende il viaggio interessante. Per esempio, possiamo scommettere entro quanto tempo vomiterai e ipotizzare che cosa vomiterai, magari quel muffin con i mirtilli che abbiamo preso prima di imbarcarci. Se siamo fortunati riusciremo anche a recuperare i mirtilli…”

Bleah!” esclamò disgustato Paul e poi chiuse gli occhi, “Comunque, John, grazie.”

“Mm…” mormorò John, “Sempre pronto a nauseare i miei compagni di viaggio.”

E poi chiuse gli occhi anche lui, abbandonando la testa all’indietro.

Cominciò a passare distrattamente la mano tra i capelli di Paul e dopo pochi istanti notò che il ragazzo si era addormentato. Meglio così. Non desiderava davvero che Paul stesse male, era il loro viaggio, la loro grande fuga da Liverpool, avrebbero dovuto stare bene entrambi per godersi ogni piccolo istante di quella nuova eccitante esperienza.

John guardò il cielo con piccole candide nuvole che scorrevano sopra di lui e si rincorrevano vivacemente su quel campo di un azzurro intenso. Sospirò, passandosi la lingua per inumidire le labbra che il vento marino stava rendendo secche e si accorse di un sapore familiare nella sua bocca. Un sapore fresco, intenso, amaro e poi dolce, fruttato, tremendamente familiare. Come quel drink che gli aveva preparato Paul in quella breve vacanza trascorsa insieme, solo un anno prima. 

Lo stesso sapore intenso di quella prima avventura condivisa, la stessa euforia di quando avevano suonato in due solo per tre persone, senza lasciarsi scoraggiare dal pubblico indifferente… Sembravano essere sul punto di vivere un’altra grande emozione, che aspettava solo loro. Aspettava loro con le sue difficoltà, le sue sorprese, le sue gioie.

John sorrise fra sé a qualunque cosa si trovasse al di là della Manica.

Stavano arrivando. Erano pronti.

Pronti a tutto.

 

 

 

(1)- Caversham è un quartiere della città di Reading, nella contea del Berkshire, vicino Londra.

(2)- Altri particolari sui Nerk Twins e il loro soggiorno a Caversham si possono trovare qui: http://www.dailymail.co.uk/tvshowbiz/article-1078752/Meet-The-Nerk-Twins--John-Paul-called-gig-double-act--8211-drinkers-sleepy-Berkshire-pub.html

(3)- Informazioni sul Pimm’s: http://www.intravino.com/assaggi/snob-elegante-pimms/

 

Note dell’autrice: ecco qua, quarto capitolo. Volevo pubblicare domani, ma domani c’è l’aggiornamento di AGV e ho preferito anticipare.

Non ho molto da dire su questo capitolo, è una specie di capitolo corridoio. Bisogna solo capire per cosa sono davvero pronti questi due?

Grazie a kiki per la correzione e chi legge e recensisce!

Nel prossimo capitolo arriviamo in Francia, teniamo quindi gli “Occhi sempre aperti”.

A presto

Kia85

 

   
 
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