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Autore: Nymeria90    25/09/2013    2 recensioni
– Di che cosa hai paura, Shepard?-
Fissò il cielo sopra di lui e all’improvviso le stelle parvero spegnersi, oscurate da un’ombra scura, enorme, dalla forma vagamente umana.
L’ombra nel cielo guardò giù, verso di lui, dentro di lui, si sentì invadere da un’oscurità che gli ghiacciò l’anima.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì, un istante dopo, non c’era più nulla.
- Di cosa ho paura mi chiedi?- sussurrò con voce roca mentre qualcosa dentro di sé si contorceva, implorandogli di tacere, perché solo così avrebbe potuto dimenticare. Non lo ascoltò: – C’è un’unica cosa che mi fa paura: l’eternità.-
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashley Williams, Comandante Shepard Uomo, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Alexander Andrej Shepard'
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Cittadella, 2186

 
C’era un momento, un breve momento tra un turno e l’altro, in cui la Normandy era silenziosa e deserta, persino IDA, che vigilava sui suoi compagni addormentati, era taciturna e schiva.
Shepard amava passeggiare per i ponti della sua nave in quel breve istante di solitudine, sentendosi come un viaggiatore solitario alla ricerca dei segreti del mondo.
In quei dieci minuti che decretavano la fine di un giorno terrestre e l’inizio di uno nuovo, Shepard interrompeva qualunque cosa stesse facendo, a prescindere dalla sua importanza, e esplorava la sua nave come se la vedesse per la prima volta.
Per dieci minuti non aveva altra preoccupazione che mettere un piede dietro l’altro.
Ma quel giorno, per motivi che nemmeno lui conosceva, decise di non adempiere a questo suo rituale. I suoi passi lo guidarono davanti alle porte dell’osservatorio, con una bottiglia di vodka in mano.
Nemmeno lui sapeva cosa aspettarsi da quella visita, l’unica cosa che sapeva era che aveva bisogno di entrare in quella stanza e assicurarsi che lei fosse davvero lì, dove aveva promesso sarebbe rimasta fino alla fine.
Non ci credeva fino in fondo; aveva paura di aprire la porta e scoprire che se ne era andata, di nuovo.
Appoggiò il palmo sul pulsante verde e la porta si aprì con un leggero sibilo, rivelando una stanza in penombra, illuminata solo dalla luce delle stelle.
Per un attimo il respiro gli si bloccò in gola, mentre i suoi occhi sembravano confermare i suoi peggiori timori: non c’era nessuno.
Poi, quasi indistinguibile tra le ombre, scorse una sagoma scura seduta sul divano di fronte alle stelle, immobile.
Non voleva svegliarla eppure il desiderio di vederla, di accertarsi che fosse davvero lei e non un sadico scherzo, lo spinse ad attraversare la stanza.
Fiocamente illuminato dalle stelle, scorse l’inconfondibile profilo di Ashley, il naso leggermente adunco, il mento deciso, le labbra voluttuose ... sobbalzò quando lei voltò il capo e lo fissò.
Ebbe la netta impressione che lo stesse aspettando e che l’avesse aspettato ogni notte, da quando era tornata sulla Normandy.
Si sedette al suo fianco, senza imbarazzo o disagio, come se la tensione, l’ostilità, che si frapponeva tra loro durante il giorno, all’improvviso fosse scomparsa, risucchiata da un buco nero.
Appoggiò la bottiglia sul divano, in mezzo a loro, e Ashley gli rivolse uno sguardo leggermente confuso prima di tornare ad ammirare le stelle.
Davanti a loro, in bilico tra una manciata di stelle e il vuoto, ai margini del grande ovale della galassia, ruotava, pigro e svogliato, un pianeta che da tempo immemore attendeva il ritorno dei suo figli.
Quando gli umani, sulla loro Terra, erano ancora alle prese con il vapore e il carbone, su quel pianeta, alle soglie del grande oceano nero del vuoto intergalattico, si consumava una lotta inenarrabile tra creatori e creati, tra padri e figli, padroni e schiavi. I creatori erano stati sconfitti, cacciati, esiliati e i creati, quegli esseri fatti di metallo e olio e circuiti e dati, erano diventati un popolo, un popolo con un loro mondo, una loro storia.
Ma i creatori non avevano dimenticato quel loro mondo perduto, non avevano rinunciato a riprendersi ciò che era stato loro e adesso, nell’era più cupa della galassia, si apprestavano a riprenderselo.
- Che cosa farai quando arriverai laggiù, Shepard?- mormorò Ashley infrangendo il silenzio.
Lui scrollò le spalle – Quello che devo fare, come sempre.-
- E se dovessi scegliere, Shepard? Geth o Quarian?-
Shepard s’irrigidì – Conosci la risposta.- replicò con freddezza.
Ash non si mosse né lo guardò, si limitò a fissare Rannoch con le braccia incrociate al petto – No, non la conosco. E non la conosci nemmeno tu.-
Fino a due anni prima aveva considerato i Geth come nemici, mostri da eliminare. Lo doveva a Jenkins e ai coloni impalati su Eden Prime. Ma incontrare Legion, parlare con lui, scoprire la logica Geth, lo avevano messo di fronte a una realtà che non riusciva a interpretare.
I Geth non erano malvagi, non erano meschini o crudeli, e le atrocità compiute agli ordini di Saren erano solo un virus, un malfunzionamento del sistema. Parlando con Legion si era reso conto che i Geth non erano mostri portatori di morte, ma robot avanzatissimi che agivano seguendo una logica inoppugnabile, con l’unico obiettivo di conservare se stessi. Si erano ribellati ai Quarian non per odio o desiderio di libertà, non conoscevano il significato né dell’uno né dell’altro, non provavano alcun sentimento, alcuna emozione, solo la consapevolezza di esistere e a quello non avevano voluto rinunciare.
Nel server Geth aveva visto la loro storia, la storia di un popolo che esisteva, un popolo che non aveva avuto altra colpa che essere stato creato.
La storia dei Geth lo aveva turbato, aveva provato compassione per loro e disgusto verso i Quarian che avevano giocato a fare Dio senza curarsi delle conseguenza. Ma non erano stati i discorsi di Legion o i filmati del server a far vacillare la sua dedizione alla causa Quarian.
Per quanto avanzati, evoluti, intelligenti, potessero essere, i Geth erano macchine e nient’altro: creature senz’anima, prive di sentimenti, incapaci di provare gioia, dolore, amore, passione, rabbia. Per quanto imperfetti, i Quarian erano vivi come mai i Geth avrebbero potuto essere. O, almeno, questo era quello in cui credeva fino a quella mattina, quando Legion gli aveva mostrato che si sbagliava.
I Geth avevano subito una metamorfosi, involontariamente i Razziatori avevano donato loro un’anima. Stavano diventando io invece che noi.
E, a questo punto, la guerra assumeva un significato ben diverso: i Quarian non gli stavano chiedendo di disattivare delle macchine ribelli, gli stavano chiedendo di sterminare un popolo, di compiere un genocidio.
- Tu credi che quelle lattine abbiano un’anima.- asserì Ashley guardandolo con quegli occhi che gli scavavano dentro.
- Non lo credo. Lo so. - fece una smorfia – Ma non sono qui per parlare di questo.-
- E allora perché sei qui?-
Era lì perché aveva temuto che se ne fosse andata. Era lì perché non voleva rimanere solo un’altra volta. Ma era troppo orgoglioso per dirlo ad alta voce.
Ashley gli rivolse un’occhiata eloquente, come se avesse capito tutto senza bisogno di parole. Prese la bottiglia e la stappò con un gesto secco – Conosci il “gioco del mai”?- domandò con un sorriso di sfida.
Shepard incrociò le braccia al petto – Per chi mi hai preso? Non esiste soldato che non abbia giocato a quel gioco.-
Ashley si sedette per terra, a gambe incrociate, appoggiando la bottiglia davanti a sé – Il comandante Shepard che beve e si rilassa? Scusa ma mi riesce difficile crederlo. –
Si sedette di fronte a lei – Non sono sempre stato comandante, sai? Un tempo mi divertivo anch’io. -
- Parli come un vecchio.- lo sbeffeggiò – Se sei così esperto forza: dimmi le regole.-
Shepard si strinse nelle spalle, con noncuranza – Si deve dire mai e finire la frase. Se è qualcosa che hai fatto bevi, altrimenti non bevi.-
- Mmm … sono colpita. A te l’onore, comandante.-
Shepard si appoggiò sui gomiti, mettendosi comodo – Mai fatto il bagno nell’oceano.-
Ashley sgranò gli occhi – Non ci credo!-
Shepard fece un gesto eloquente e lei bevve un sorso scuotendo il capo, incredula – Comandante, questo è grave! Non dirmi che non sai nuotare?-
- Tocca a te, Williams.-
Ashley rimise la bottiglia a posto, continuando a sghignazzare – Mai avuto paura del buio.-
Shepard esitò un attimo, poi prese la bottiglia e se la portò alle labbra – Non ero un bambino coraggioso.- confessò. Quando ebbe finito Ashley bevve a sua volta – Nemmeno io. -
Lui le sorrise – Mai rifiutato una missione.-
Nessuno dei due accennò a toccare la bottiglia.
- Ma che bravi soldatini.- commentò Ash – Tocca a me, giusto?-
Shepard annuì mentre lei si tamburellava il mento con le dita, pensierosa. I suoi occhi si illuminarono e gli rivolse un sorriso che non faceva presagire nulla di buono: – Mai stata con una prostituta.-
Shepard sostenne il suo sguardo per un istante, cercando di rimanere impassibile, ma di fronte al suo sguardo implacabile cedette e, con una smorfia imbarazzata, agguantò la bottiglia.
- Ah!- esultò Ashley – Lo sapevo! Che delusione, comandante!-
Shepard si bagnò appena le labbra – Non sono andato fino in fondo.- tentò di giustificarsi.
Ashley scosse il capo, disgustata – Scommetto che era un’Asari.-
Shepard si morse il labbro, annuendo con aria sognante – Prima licenza, finimmo dritti in un locale di spogliarelli. Io ero un pivello, un ragazzino alle prime armi: mai conosciuta una donna.- ammise, sentendo il collo arrossarsi pericolosamente – I ragazzi volevano farmi diventare un uomo. Fu il momento più imbarazzante della mia vita. - arricciò il naso: dopo tutti quegli anni il ricordo di quella serata gli faceva ancora venire i crampi allo stomaco.
Ashley iniziò a sghignazzare apertamente – Scommetto che ti macchiasti i pantaloni, comandante!-
- Tenente!- esclamò, sbalordito da tanta sfacciataggine – Ti spedisco a pulire i bagni se non la pianti!-
Ash si ricompose alla bell’e meglio, mascherando le risatine dietro finti colpi di tosse – Tocca a te.-
Lui sbuffò, lanciandole un’occhiata ammonitrice – Mai …- la sua espressione si fece seria - … desiderato una vita diversa.-
Le risatine di Ashley cessarono di colpe e sostenne il suo sguardo senza battere ciglio. Nessuno dei due si mosse.
- Mai dubitato della vittoria finale.-
Lei rimase immobile ma Shepard, dopo una breve incertezza, bevve un sorso.
- Shepard …-
Lui la zittì con un cenno brusco – Mai pensato che l’Alleanza avesse tutte le risposte.-
Ashley gli lanciò un’occhiataccia ma bevve, storcendo il naso - Mai andata a letto con una biotica ricoperta di tatuaggi.-
Shepard distolse lo sguardo e trangugiò la vodka, mentre Ash abbassava gli occhi, avvilita.
- Mai voltato le spalle alla persona che dicevo di amare.- replicò lui.
Ash sobbalzò, prima di rivolgergli uno sguardo colpevole e bere un lungo sorso; si rigirò la bottiglia tra le mani – È quasi finita.- sussurrò con voce impastata.
La vodka stava cominciando a fare il suo effetto.
Shepard si abbandonò contro il divano – Coraggio, l’ultima confessione. Scegli bene le parole.-
Ashley si umettò le labbra, appoggiò la bottiglia e gli rivolse uno sguardo indecifrabile – Mai perso il controllo.-
Lui fece uno strano sorriso e svuotò la bottiglia, tutta d‘un fiato. Ash scosse il capo e si alzò, leggermente malferma sulle gambe – Non ci credo.- mormorò, portandosi davanti all’osservatorio.
- Invece dovresti.- ribatté, rimettendosi faticosamente in piedi – Ultimamente non faccio altro.-
- Ah sì? E quando?-
Shepard le cinse la vita con le braccia, da dietro, avvicinando la bocca al suo orecchio – Adesso per esempio.-
La sentì trattenere il respiro, incredibilmente tesa; le spostò una ciocca di capelli, iniziando a baciarle il collo. Immaginò che l’avrebbe respinto o peggio, invece, inaspettatamente, lo lasciò fare.
Lentamente le slacciò la divisa, continuando a baciarla, e le si abbandonò contro il suo petto, gli occhi chiusi, le labbra socchiuse.
Di colpo la desiderò come mai l’aveva desiderata; più che un desiderio era un bisogno. Il bisogno di unire il suo corpo al suo, non per amore, ma per sentirsi vivo. Di nuovo.
Ash si aggrappò a lui con disperazione, intrappolando le sue labbra in un bacio che sapeva di cose perdute.
Non ci fu tenerezza o dolcezza in quel bacio, solo voracità. Come se la passione potesse far resuscitare quel loro amore calpestato, maltrattato, tradito; come se l’unico modo per ritrovarsi fosse cercarsi l’uno nel corpo dell’altra.
Si disfarono dei vestiti con movimenti febbrili, senza guardarsi, senza parlare, ognuno impegnato a lottare contro i propri fantasmi, le proprie colpe; se avessero potuto si sarebbero strappati anche la pelle. E ci provarono.
Le unghie di Ash affondarono nelle sue spalle, scavando solchi profondi, dolorosi, un dolore che lo faceva sentire reale. Lui le artigliò i fianchi, la schiena, baciandola in silenzio fino a farla gemere.
Crollarono in terra, avvinghiati, più simili a lottatori che ad amanti, più impegnati a farsi del male che a darsi piacere, nella vana speranza che la sofferenza della carne potesse lenire quella dell’anima.
Quando tutto finì si ritrovarono stretti l’uno all’altra, sudati e doloranti, imbarazzati e confusi. Shepard affondò il viso tra i suoi capelli, s’inebriò del suo odore, perdendosi nella sua carne. Poteva sentire il cuore di Ashley battere assieme al proprio, e si sentì vivo e completo come non lo era da molto tempo. Forse come non lo era mai stato.
Poi l’istante passò, rivide quella pistola, quella maledetta pistola, puntata contro di lui. Si sciolse dalla sua presa e rotolò di lato, di nuovo lucido.
Ashley si girò lentamente, dandogli le spalle, le gambe strette al petto. Per un istante provò l’istinto di abbracciarla, baciarla e cullarla tra le sue braccia finché non si fosse addormentata … scosse il capo e si rialzò, brusco.
Non c’era posto per la tenerezza; non su quella nave, non in quella guerra.
Si rivestì con metodo, con la stessa freddezza che sprigionava in battaglia.
Quando raggiunse la porta la voce di Ashley lo raggiunse, talmente flebile da fargli dubitare di averla davvero sentita – Non ti avrei mai sparato, Alex. –
Lui si bloccò, sentendo la bocca improvvisamente arida, la testa pesante.
Se avessi premuto il grilletto, Ash, mi avresti fatto meno male.
Non lo disse; la debolezza era un lusso che non si poteva permettere.
Solo i duri e i forti potevano sopravvivere in guerra. Solo i duri. Solo i forti.
Quando parlò la sua voce era quella del comandante - È acqua passata, tenente. Non parliamone più.-
Uscì dalla stanza senza aggiungere altro.
Nel buio dell’osservatorio, nuda sul pavimento gelido, Ash strinse più forte le gambe contro il petto, mentre una singola lacrima le scivolava lungo il viso.
  
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