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Autore: catnip_everdeen    26/09/2013    1 recensioni
“A volte non so dove la vita mi stia portando, ma la lascio fare: conosce la strada meglio di me.”
[Capitolo 4]
Cloe Le Roy è una normale ragazza, stanca della sua vita di tutti i giorni. Di certo non si aspetterebbe di essere una creatura mitologica, appartenente a un mondo parallelo minacciato da un potente dio egizio. La scoperta di essere una ragazza rettile la sconvolge, vorrebbe che ci fosse un errore e tornare sulla Terra dai suoi.
Ma Cloe sente che è Marnea la sua vera casa, l'unico posto in cui si sente amata e dove incontra l'amore. Tuttavia, il dio cercherà in tutti i modi di confonderle le idee, di ritornare sui propri passi o addirittura lasciare le persone che ama...
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti! :3 
Questa è la prima storia che pubblico su EFP, ed è una Cross-Over. ;) 
Ovviamente non mi conoscete e ovviamente mi presento! ;)
Sono catnip_everdeen. Mi è sempre piaciuto scrivere un libro tutto mio, che magari un giorno avrebbe potuto essere fonte di ispirazione o un modo per fuggire dalla vita reale per qualcuno come me, una ragazza che a volte viene considerata pazza perché salterella qua e là prima di comprare un nuovo libro e che poi piange quando lo finisce. 
La cross-over che state per leggere, "Firegirl - L'Ultima delle Cinque.", l'ho iniziata a scrivere l'estate scorsa in un giorno di pioggia come quello dell'inizio della storia, nella stessa città. :D 
Buona lettura! Spero davvero che vi piaccia, sono arrivata solo al sesto capitolo perché per qualche mese l'ho abbandonata, e la aggiornerò presto! ;) Accetto ogni recensione, anche negative perché spero di migliorare.
Baci <3
catnip_everdeen


 
U
na presentazione...come iniziare? Ci vuole qualcosa di poetico, che faccia colpo...
Ma che mi illudo? Nella mia vita non c’è assolutamente nulla di poetico. È un casino allo stato puro. Perciò mi presenterò nel più semplice dei modi, diretta.
Sono Cloe Le Roy. Ho 13 anni. Ho genitori normalissimi, amici normalissimi e frequento una noiosissima scuola in una normalissima città italiana: Campobasso. Una vita incasinata? Fino a quel giorno non sapevo nemmeno che cosa volesse dire. Tutto della mia vita, dal 10 giugno 2000 al 22 settembre 2013, era fin troppo normale.
Se c’era qualcosa di eccitante era il fatto che non sapessi con esattezza il mio giorno di nascita. Sì, lo so che ho detto il 10 giugno, ma sappiate che con molte probabilità non sono nata quel giorno. I miei genitori e mio fratello Luke mi hanno trovata davanti alla porta di casa in quel giorno afoso...sono stata adottata. È stato Luke a scegliere il mio nome, a soli 5 anni, mia madre dice che è stato ispirato a un cartone animato che faceva in TV quel giorno, e ai miei genitori è piaciuto il nome Cloe. Oltre a Luke, che ha 18 anni al giorno di oggi, ho una sorellastra di nome Meredith di appena quattro anni.
La mia famiglia non è ricca, ma nemmeno povera. Ce la caviamo, dice mia madre. Ad ogni modo non ho mai avuto un paio di scarpe che superassero i trenta euro.
Detta così la mia vita fino a quel fatidico giorno sembra molto deprimente, ma almeno in parte vi sbagliate. A scuola ho alcuni amici. In classe faccio parte di quel gruppo che preferisce starsene vicino alle finestre quando c’è la ricreazione e che guarda quelle oche giulive che parlano e parlano di Amici e cantanti italiani da quattro soldi. In genere siamo sei “sorelle”, per così dire: Fabiola, Noemi, Elisa, Alessia e lei, la mia migliore amica, Alexandra. 
Lei illumina le mie giornate buie, anche solo sorridendo. È una forza della natura, siamo diventate amiche nell’esatto momento in cui lei si è trasferita nella nostra scuola in seconda media. È...straordinaria, è in pratica tutto quello che ho. “Dovremmo fare un patto di sangue”, ha scherzato una volta. Ma io ho storto il naso perché il sangue mi da i brividi anche se è mio e ho risposto “non serve un patto di sangue se giuriamo solennemente di salvarci la pelle a vicenda, se fosse necessario”. Ma anche io scherzavo. Figuriamoci se fossimo state in pericolo di morte!
Eppure, dopo il 22 settembre, il mio punto di vista è cambiato.
La storia comincia proprio quel giorno, il compleanno di Alexandra.
 
Driiiiiiiin, mi assorda la sveglia accanto al mio letto. Grugnisco e con gli occhi chiusi la getto a terra con un pugno. Le batterie volano via e il drin si interrompe bruscamente. Come è possibile che siano già le sette?! Poi delle parole chiave risuonano nella mia testa. Scuola. Alzarsi. Colazione. Ritardo. Sono le parole che ogni mattina mi attendono al risveglio.
Bene. Meredith irrompe nella mia stanza, ha gli occhiali rosa storti sul naso e i capelli ricci e castani da barboncino che le coprono gran parte della fronte. Urla come una matta: - SVELLIAAAAA!!!.
A volte mi chiedo se sia connessa alla sveglia, dato che appena la spengo lei continua il suo lavoro. La mando debolmente a quel paese, ma non se ne accorge nemmeno. Appena apro un occhio lei spegne la sirena ed esce ridendo. Rituale di ogni mattina. Apro anche l’altro occhio, un piede scivola giù dal letto seguito dall’altro e finisco con il sedere sul pavimento semi ghiacciato. Ora sono completamente sveglia. A tentoni cerco sotto al letto le batterie della sveglia, ma dopo neanche 4 secondi rinuncio all’impresa e schizzo in bagno per darmi una sciacquata. Normale amministrazione. La piccola Meredith bussa fuori dalla porta del bagno mentre ho la bocca piena di dentifricio dicendo che deve fare pupù urgente. Alzo gli occhi al cielo. Perché l’ora della pupù deve interrompere sempre le mie meditazioni su quanto sia monotona la mia vita?!
- Ora ti faccio entrare, piccolo mostro! – urlo schizzando, mio malgrado, l’acqua che ho in bocca sul pavimento di piastrelle bianche lucidate ieri sera da mia madre. Magari non se ne accorgerà, se sgattaiolo di casa prima che possa andare in bagno.
Apro la porta, Meredith si fionda nella toilette e io chiudo la porta alle mie spalle strusciando una mano sulla bocca per asciugarmi. Non ho avuto neanche il tempo di prendere l’asciugamano...
Con qualche passo da zombie (non mi sono svegliata completamente) raggiungo la cucina, dove al tavolo sono seduti mio padre e Luke, intenti a divorare la colazione. Solo Luke alza gli occhi dalla sua tazza di cereali per salutarmi con un sorriso, mio padre continua imperterrito. Non ci sono mai stati bei rapporti tra me e mio padre. Al contrario adoro letteralmente mia madre, che sta bollendo il latte per il piccolo mostro, e Luke. Lui rispecchia proprio l’idea che ho di un fratello maggiore.
- ‘giorno... – biascico prendendo posto.
- Buongiorno tesoro, come hai trascorso la notte? – chiede gentilmente mia madre. Ha un leggero accento inglese, perché il nonno che non ho mai conosciuto era di Liverpool e mia madre è nata lì trascorrendovi 21 anni. Poi venne in Italia per andare a trovare le sorelle di mia nonna italiane che le offrirono un lavoro come impiegata nella loro azienda immobiliare. Lei accettò, a 27 anni si sposò con mio padre, insegnante di matematica e fisica al liceo classico di Campobasso ed ebbe Luke. Aveva trentadue anni quanto mi trovarono davanti alla porta di casa il 10 giugno. Ora ne ha quarantacinque, ma non li dimostra. È di statura normale, il fisico asciutto, due occhioni color mare stupendi e morbidi ricci che le scendono fino a metà schiena. Quando sorride sembra ancora più giovane. Mi piacerebbe aver ereditato da questa donna almeno gli occhi, ma ogni volta che lo desidero mi ricordo che non sono sua figlia biologica. Luke ha due occhi verde smeraldo, della stessa intensità di mia madre, talmente belli anche per me che sono la sua sorellastra. Alexandra ha una piccola cotta per lui, come per la metà delle mie compagne di classe. Ma nessuna ha un orgoglio così basso da avvicinarsi a me e chiedergli di presentarle. Ad ogni modo mi piace che sia così. Sono gelosa del mio fratellastro.
Ma non sono solo gli occhi a fargli fare colpo. Ha una perfetta muscolatura, i suoi pettorali risaltano anche sotto alle t-shirt che porta di solito. Attenzione: ha muscoli, ma non è uno di quei ragazzi che si pompano in palestra o che appena possono si tolgono la maglia davanti alle ragazze. Luke è l’esatto contrario di loro. Va in palestra solo a scuola, ha praticato nuoto quando aveva 14 e 15 anni e ora è un topo da biblioteca. Niente occhiali, però. Mette raramente il gel nei capelli castano scuro, perennemente arruffati. Con quei denti, ha un probabile futuro come testimonial della Mentadeth. Sono così bianchi che quando sorride per darmi la buonanotte nel buio della stanza sono visibili come lampadine. Una volta al mese passa il fine settimana a fare campeggio con dei suoi amici che non ho mai conosciuto, e lo invidio. Non perché va a fare campeggio, ho il terrore degli insetti notturni, ma perché i miei non mi fanno mai dormire a casa delle mie amiche.
- Bene, grazie mamma – rispondo. Mi mette davanti la mia adorata tazza con i cereali. Come non essere attratti o meravigliati dalla gentilezza di mia madre? Mi sento in colpa per le piastrelle del bagno. In quel momento nella stanza irrompe Meredith, che correndo scivola sulle mattonelle di marmo della cucina e finisce con le gambe all’aria. Luke e io ridiamo. Il piccolo mostro si rialza guardandosi intorno e se fosse un pavone farebbe la ruota. Le piace essere al centro dell’attenzione, e vederci ridere è un modo per risvegliare l’orgoglio di papà Le Roy, assente in Luke e, ovviamente, in me.
- Io fatto pluf! – annuncia fiera. Indica con un dito rosa me e Luke. – E voi liso! Lide ancola Uke, lide ancola Loe!
Luke, per farla contenta, si spreca in un’altra risata di cuore. Le risate che fanno perdere la testa alle mie compagne sono quelle in cui si lecca le labbra. Una volta le ho sentito usare un termine per definirle...sensuali...ovviamente se sapessero che le origliavo si sarebbero rimangiate quell’aggettivo. Ad ogni modo, non ci trovo nulla di sensuale in quelle risate, sarà perché è mio fratello e lo conosco da una vita perciò le vedo ogni giorno... chissà.
Meredith si esibisce in un inchino e mi rivolge una delle sue occhiatacce dai mille significati prima di sedersi al suo posto accanto a mia madre. Io sto accanto a Luke, mio padre a capotavola.
Dopo un po’, mia madre dice: - Caro, non credi che dovremmo prendere un regalo per Alexandra? Oggi è il suo compleanno...tu che dici, Cloe?
Oh, cavoli. Oggi è il 22 settembre!? Perché non me lo sono ricordato?! Ieri sono uscita assieme ad Alex, siamo entrate nel suo negozio preferito e mi ha indicato una maglia che le piaceva moltissimo e che avrebbe voluto per il suo compleanno, poi ha borbottato qualcosa; ma non l’ho ascoltata manco per un secondo! Nei negozi di abbigliamento mi trovo sempre a disagio, perché so che non potrei mai avere abbastanza soldi da comprare una t-shirt con un teschio o una maglia scollata come quella che piaceva ad Alex...stupida, stupida, stupida! Che razza di migliore amica sono? Un’amica che dimentica il compleanno della sua best, qualcosa di inaudito!
Per poco il cucchiaio che ho in mano non cade sul pavimento. Senza guardare negli occhi mia madre, dico cercando di far suonare le mie parole vere: - Sì...beh, io ho..già ehm, preso un regalo per lei. Ieri...è una cosa piccola, ha detto che le piaceva molto... – Perché non ce l’hai detto? – chiede curiosa mia madre. – Avremmo potuto darti i soldi per qualcosa di più grande...
- No, no...quello che ho preso va bene lo stesso, grazie... – replico velocemente. Luke mi guarda di spiego. In qualche modo, sento che lui sa che sto mentendo spudoratamente. Ha quel maledetto sguardo inquisitorio, non ne sbaglia una. In un certo assomiglia ad Alex, che oggi compie gli anni e io non le ho comprato ancora niente. Perfetto. Devo farmi venire in mente qualcosa dopo scuola, potrei scappare al negozio di ieri con i soldi che ho e quelli che ho risparmiato. In tutto potrebbero essere circa trenta euro. Potrei farcela a comprare la maglia.
- Ehm...ciao, io vado a scuola – dico euforica. Per calmare Luke, gli faccio l’occhiolino e dico: - Oggi non c’è bisogno che tu mi riaccompagni a casa...vado con Alex.
Ecco, ora mento anche a lui. Ma che brava, Cloe, davvero brava. Luke si rilassa e sorride. Maledetta la mia lingua. Me la mordo per bene per evitare di spifferargli tutto. Filo in camera, mi vesto velocemente con jeans e maglia a maniche lunghe, ma guardando fuori dalla finestra vedo le gocce di pioggia che battono contro il vetro. Dovrò indossare anche il giubbino, penso. Esco di casa con lo zaino appeso solo a una spalla, l’unico giubbino impermeabile nero infilato solo a una manica, il cellulare vecchio modello con i tasti che minaccia di cadere dalla tasca piccola dei pantaloni e le chiavi di casa tra i denti perché le mani sono impegniate ad infilare giubbotto e zaino.
- ‘Tciao a ‘tti! – urlo al resto della casa e mi sento ridicola per come parlo. Luke e mamma mi augurano buona giornata, Meredith si mette a fare i capricci perché vorrebbe venire anche lei alla mia scuola con “Alezzandla” che sarebbe il suo modo di chiamare Alex e mio padre mi manda un grugnito di risposta.
Mi faccio spuntare una terza mano per chiudere la porta alle mie spalle, e ad accogliermi c’è una scrosciante pioggia. Nel tentativo disperato di aggiustare lo zaino e infilarmi l’altra manica del giubbotto, lo zaino va a finire per metà in una pozzanghera. Urlo di frustrazione. Dopo aver maledetto accuratamente la mia goffaggine, infilo rabbiosamente la manica e mi rimetto lo zaino gocciolante come me sulle spalle. E ho scordato l’ombrello.
Mi aspetta una giornata estremamente lunga.
 
Finalmente arrivo a scuola. Come al solito è già suonata la campana, ma per fortuna il portone è ancora aperto per i ritardatari come me...e Alexandra. Me la ritrovo alle calcagna, anche lei senza ombrello, prima che possa mimetizzarmi con gli alberi. E se si mettesse a fare domande sul regalo? E se mi invitasse ad uscire dopo scuola o semplicemente a riaccompagnarla a casa mandando a monte il mio piano per comprarle un regalo mentendo in pratica a tutti quelli che conosco?
- Maledetta pioggia! – esclama. Io e lei ci somigliamo fisicamente, almeno quanto un’aquila somiglia ad un piccione viaggiatore. Lei ha lunghi capelli lisci e color rame, i miei sono mossi e castano scuro più o meno come quelli di Luke. Ora entrambe li abbiamo semi fradici per la pioggia. Lei ha gli occhi verde acqua, io li ho marroni. Lei ha lunghe ciglia nere anche senza eye-liner, io no. Alex ha le labbra piene e rosa, il viso delicato e la pelle rosa carne; io le labbra sottili e pallide come il resto della mia pelle e gli zigomi leggermente pronunciati. I suoi fianchi sono curvi al punto giusto, le lunghe gambe veloci e scattanti in palestra e mantiene il più delle volte un portamento aggraziato tanto che sembra due anni più grande di me; io sono magra, tremendamente goffa come avete avuto modo di vedere qualche minuto fa davanti a casa mia e cammino a passo di marcia. In poche parole, lei ha un posto assicurato come modella, io al massimo come postina o come prossima attrice di Patty. Mancano solo gli occhiali e le stelline.
- Già... – dico. Fa che non si accorga di quanto sono tesa, ti prego, ti prego...
- Ehi, oggi mi sembri un po’ tesa... – fa lei preoccupata. – Qualcosa non va?
E ti pareva! Ora mentiamo anche alla mia migliore amica e il piatto è completo. – I problemi di matematica erano un po’ difficili...non credo di averli fatti bene...Luke ieri non ha potuto aiutarmi.
Alex sembra dimenticarsi della mia tensione non appena faccio il nome di mio fratello. Sorride ed entra nel mondo dei suoi sogni insieme a lui, mentre io penso ad entrare a scuola e a pensare quanto sia stata tremendamente fortunata.
Ora di storia. La più noiosa del mondo. La prof di 61 anni spiega e spiega, e il mio cervello non registra nemmeno la metà delle sue parole. Come posso uscire da scuola senza che Alex se ne accorga e mi segua? Inizia a diventare sospettosa sul fatto che non abbia fatto parola sul suo compleanno. Me ne accorgo dal modo in cui mi fissa dall’altra parte della classe. Dietro di me, un ragazzo che si crede il più figo del mondo ridacchia con il suo braccio destro, un mezzo obeso, per qualcosa che ha detto la prof.
- Psst! Ehi, Le Roy! – Mi correggo: ride di me, qualsiasi cosa abbia fatto. Lo ignoro finché non inizia a punzecchiare la mia schiena con una matita.
- Che vuoi? – sussurro molto irritata. Quello ride e indica il mio zaino.
- Per caso l’hai portato sotto la doccia? – Altre risate. Stavolta la professoressa se ne accorge e lo spedisce fuori dalla classe per 10 minuti. Prometto a me stessa di seguire più attentamente l’ora di storia da domani. Beh...oggi sono troppo impegnata a pensare.
 
Finalmente arriva l’ultima ora, quella di matematica, che passa molto più lentamente della prima ora. Al suono della campana tento con tutta me stessa di mettere da parte la goffaggine e sguscio fuori dalla porta secondaria. Con un sospiro di sollievo inizio a correre verso il negozio di ieri, rallentata solo dalla pioggia che non ha smesso un attimo di battere sulle finestre della scuola. In meno di cinque minuti sono arrivata davanti alla porta, entro e mi dirigo immediatamente nel posto in cui Alex ha visto la maglia. Ce n’è solo una, altro colpo di fortuna. Costa venticinque euro, perfetto.
La porto alla cassa, dove la commessa perde altro tempo a togliere un fastidioso coso grigio accanto all’etichetta. Impacchetta e io fuggo via lasciando il resto sul bancone. In tre minuti sono tremendamente ansimante e sfreccio accanto a casa mia.
Sto per fare la discesa che porta a casa di Alex, per farle una sorpresa e scusarmi per la mia fuga, quando mi assorda un rumore metallico, simile a qualcuno che sbatte un enorme coperchio da pattumiera sul contenitore.
Mi immobilizzo. La busta del regalo si bagna di pioggia, ma è l’ultimo dei miei pensieri. Cos’era quel rumore?!
Poi lo vedo. Dall’angolo in fondo alla strada deserta, strano anche per una piccola città come la mia alle due, spunta un essere enorme. Un bestione alto dieci metri, con le braccia e le gambe d’acciaio lunghe quanto una stanza e larghe quanto un televisore che si rispetti. Le mani sono grandi quanto me, un povero scricciolo in mezzo a una strada che fissa impotente quella specie di Transformer con gli occhi quadrati e gialli.
Che avanza a lente falcate verso di me.

 
  
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