Salve a tutti e buon sabato!
Mi tocca iniziare anche quest'aggiornamento con delle scuse, perché sono assente dall'universo EFP in qualità da autrice da quasi un mese e posso solo dare la colpa a me stessa, perché prima avevo zero ispirazione per scrivere, quando invece durante il periodo trascorso a studiare, ne avevo fin troppa, poi, piuttosto che riposarmi in queste ultime settimane di settembre, ho fatto più di prima, poi ci si sono messi di mezzo appuntamenti che avevo già preso in precedenza e che non potevo rimandare, e che mi hanno impossibilitata a scrivere e poi, diciamo la verità, anche un po' di pigrizia, che spesso e volentieri non mi ha fatto aprire il file della storia. Insomma, un bel mix, non vi pare?
Comunque, mi scuso con tutti coloro che hanno atteso (o forse no) l'aggiornamento per tutto questo tempo e mi scuso soprattutto con le deliziose personcine che commentano sempre e con affetto mi sostengono. Credo che sia a loro che devo le mie più profonde scuse per averle fatte attendere così a lungo, se non contiamo qualche piccolissimo spoiler nel gruppo su Facebook, che ricordo essere You thought you know me; vi ricordo, inoltre, che il gruppo è privato, perciò per accedervi dovrete inviarmi una richiesta che, non temete, accetterò volentieri :)
Dopo essermi, per l'ennesima volta, prodigata nelle scuse, dopo aver fatto pubblicità non richiesta, credo di poter spendere due paroline sul capitolo che vi apprestate a leggere. Dunque, voglio ritornare brevemente sulla questione Kristen, principalmente perché più di qualcuna nelle recensioni si è dimostrata felice del fatto che tra lei e Robert non sarebbe successo nulla. E' vero che ho precedentemente assicurato che tra lei e Robert non sarebbe successo nulla, ma vero è che questa frase potrebbe essere equivoca, ovvero, potrebbe voler dire non succederà davvero nulla-nulla, oppure non succederà nulla, nel senso di non rilevante; ecco, la mia frase, nello specifico, faceva riferimento a questa seconda interpretazione: qualcosa succederà, ma, qualsiasi cosa sia, di qualsivoglia natura, non comprometterà assolutamente il matrimonio di Robert, né il suo rapporto (se ancora ci sarà) con Solephine. Quindi, in sostanza, rincuoratevi, ma non troppo :D
La seconda e ultima parolina che voglio spendere su questo capitolo, è che l'Hyatt Regency Palais, che nomino nel flashback, è davvero un albergo a cinque stelle, situato a Nizza, più precisamente, direttamente sulla spiaggia. Non ho idea, però, se le stanze siano come quella che ho sommariamente descritto io, se ci sia un cocktail di benvenuto o meno, se la hall sia davvero come l'ho presentata; insomma, l'hotel esiste, ma tutto il resto è frutto della mia inventiva/immaginazione. Ci tenevo a precisarlo :)
Detto questo, ringrazio ancora una volta le splendide persone che hanno commentato lo scorso capitolo, quelle che hanno letto, che hanno aggiunto la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare *.* UN GRAZIE IMMENSO! <3 Non so davvero cos'altro dirvi per dimostrarvi la mia riconoscenza, davvero *.*
Ora, visto che ho scritto anche troppo, vi lascio al capitolo, con la promesse che per il prossimo non trascorrerà un mese, lo giuro! :)
Buon week-end e buon inizio di settimana a tutti e, ovviamente...
... Buona Lettura! <3
Three Stones Trailer by TheCarnival
6. Talk
Vengo svegliato dal suono del campanello. Getto un'occhiata alla sveglia sul comodino: le nove. E' tardi, almeno per me, abituato ad essere svegliato dalle urla di James già alle sei del mattino, senza contare le altre, numerose, sveglie notturne, sempre ad opera sua.
Forse ci ha pensato Tom, mi dico, alzandomi e rendendomi presentabile quel minimo per aprire al primo visitatore della giornata.
Qualcuno, però, mi ha preceduto: Kristen.
E' già attiva, perfettamente a suo agio, nonostante sia qui da neanche una settimana, e accoglie Sofia come se fosse sua madre, facendola accomodare in cucina e aiutandola con le borse della spesa.
< Buongiorno. > Borbotto a mezza voce, sedendomi su uno degli sgabelli che circondano la penisola al centro della stanza, spaventandole, impegnate come sono nei convenevoli di rito.
< Robert. Buongiorno a te. > Mi saluta Sofia, sorridendomi.
< Caffè? > E', invece, il saluto di Kristen, che spinge verso di me una tazza piena del liquido nero.
< James? > Domando, apparentemente tranquillo.
< Tom lo sta vestendo. > Risponde lei, sorridendo ad entrambi.
Bevo un sorso di caffè; è zuccherato esattamente come piace a me e, all'improvviso, ho voglia di vomitare, di alzarmi dallo sgabello e di correre in bagno. Kristen era stata la mia ragazza, tempo addietro, certo, ma prima di allora, non era mai riuscita a zuccherare il mio caffè in maniera perfetta, tanto che io continuavo a prenderla in giro, affermando che non poteva davvero essere così innamorata di me, come diceva, se non riusciva a ricordare neanche con quanti cucchiaini di zucchero bevessi il caffè.
Solephine aveva indovinato fin da subito, fin dalla prima mattina che avevamo diviso, dopo esserci entrambi addormentati guardando un film noioso alla tv e lei, gentile ed ospitale, mi aveva svegliato con l'odore di ciambelle e caffè allo zenzero, esattamente due cucchiaini di zucchero al suo interno.
Mi aveva sorpreso e lei era arrossita quando gliel'avevo confessato.
Il vuoto allo stomaco che provo in questo momento, quando mi rendo conto che Kristen ha preso possesso della mia casa troppo in fretta e con troppa disinvoltura, non può essere paragonato minimamente a quello che ho provato, sapendo che Solephine aveva avuto un incidente e rischiava la vita.
< Lei chi è? > La domanda di Sofia mi distrae dai miei pensieri.
La osservo: l'espressione gentile di poco prima, scomparsa, così come il sorriso pieno e sereno.
< Un'amica e una collega. > Cerco di non balbettare, di non peggiorare la situazione.
< Ed è qui per...? > Si acciglia, mi scruta come se le stessi nascondendo qualcosa.
< Voleva aiutarmi... voleva aiutarmi con James, ha continuato ad insistere sul fatto che se avessi avuto accanto degli amici, sarei riuscito a condurre una vita quanto più normale possibile, che non potevo fare tutto da solo, che non potevo permettere che l'incidente di Sole avesse ripercussioni anche sul piccolo... > Perché è successo tutto così in fretta, cosa è cambiato davvero?
< Anche noi siamo qui per aiutarti, Robert. > La sua espressione si trasforma ancora, diventando nuovamente dolce e comprensiva, lo posso capire dal suo tono di voce, mentre poggia una mano sulla mia, impegnata a reggere la tazza di caffè tra le mani, costringendomi a sollevare lo sguardo per incontrare i suoi occhi.
< E comunque, non mi pare che James abbia avuto qualche ripercussione; non fino ad ora, comunque. Si è abituato ad avere due papà intorno. > Sorride, riferendosi a Tom e lo faccio anch'io. Forse dovrei cominciare a preoccuparmi del fatto che potrebbe chiamare papà Tom, piuttosto che me, considerato che è lui che vede costantemente, ogni ora, da quando si sveglia, fino a quando va a dormire la sera.
< Avrei dovuto avvisarti di Kristen, mi dispiace. > Borbotto a mezza voce, arrossendo per il senso di colpa.
< Non devi giustificarti con me, Robert e neanche con Sole, se è questo che temi, e non devi sentirti in colpa. Abbiamo tutti dei momenti di debolezza, no? E, per la cronaca, ti stai comportando benissimo, con tutti, specialmente con James. Sole aveva ragione quando diceva che saresti stato un padre perfetto. > Mi scompiglia i capelli con fare materno, cominciando a sistemare la spesa nella credenza.
Rimango attonito per qualche istante, immagazzinando le sue parole: Kristen era davvero stata soltanto una debolezza? E, in tal caso, avevo così bisogno di lei, da non interrogarmi neanche sul perché avessi improvvisamente accettato la sua presenza, soltanto perché era riuscita ad indovinare i miei fantasmi e a farmi rendere conto che avevo bisogno d'aiuto, ma che non avrei voluto chiederlo? Avevo accettato solo perché non volevo essere rimproverato, o perché avevo davvero voglia di cambiare atteggiamento nei confronti degli altri, di chi mi sta vicino?
Solephine sarebbe davvero fiera di me, se mi vedesse? Di come mi sto comportando con James? Forse, quella di Sofia è solo una banale rassicurazione, solo un modo come un altro per non farmi abbattere, per tenere alto il mio morale.
< Robert, lo terresti tu, mentre gli preparo il latte? > Kristen attende la mia risposta, ma io non mi accorgo di lei, troppo concentrato sui miei pensieri. E' James a riportarmi alla realtà, cominciando a piangere, le mani protese verso di me per farsi prendere in braccio.
Scuoto la testa, risvegliandomi dalle mie elucubrazioni, accogliendolo contro il mio petto e cullandolo, sperando che si calmi in fretta.
Kristen mi sorride e si avvicina ai fornelli, Sofia che ancora si affaccenda intorno alla dispensa, nel tentativo di farci entrare tutto quello che ha comprato.
Quando riesce, non senza sforzo, a chiudere le ante di ogni singolo ripiano che ha riempito, e ci lascia soli frettolosamente con la scusa di un impegno dimenticato, sospiro, accarezzando i capelli di James, ma non so se è un sospiro di sollievo, o di semplice constatazione.
< Ecco, è pronto. > Kristen mi tende il biberon adeguatamente riscaldato ed io la ringrazio, afferrandolo.
Mentre James già succhia avido, la osservo sedermisi di fronte, poggiare il mento sul palmo della mano e osservare la scena con un sorriso.
< Cosa c'è? > Le domando, corrugando le sopracciglia, in imbarazzo.
Fa spallucce e scuote la testa.
< James è fortunato ad avere un padre come te. > Risponde alla fine.
Arrossisco e abbasso lo sguardo, in palese difficoltà. Non sono mai stato un tipo da complimenti ed elogi.
< Tom mi ha aiutato moltissimo e anche tu stai facendo tanto; non sono mai solo, ecco perché vi sembra che sia così bravo. > La mia non è falsa modestia, è semplice verità. Sono sempre circondato da persone più esperte di me, che sanno sempre cosa fare e che mi danno continuamente consigli. Agli occhi esterni posso risultare un padre perfetto, ma la verità è che ricevo quasi sempre un aiuto al momento giusto, dalle persone giuste.
< Sciocchezze! Cambiamo i pannolini, riscaldiamo il latte e giochiamo con lui quando sei via, ma sei tu la persona che gli dà davvero quello di cui ha bisogno: affetto, amore, protezione. Rimani ore in camera sua a guardarlo dormire, ti ho visto, sai? Tom non l'hai mai fatto e nemmeno io. Diamo per scontato che se avrà fame o avrà bisogno di essere cambiato, piangerà; tu, invece, no, sei lì anche quando potresti dormire, recuperare le ore di sonno perse o potresti essere a divertirti chissà dove, sicuro della nostra presenza. Insomma, quello che sto cercando di dirti, è che James non avverte la mancanza di Solephine, perché tu svolgi il lavoro di entrambi, perché ti sente sempre vicino e sente vicino anche lei, perché ce l'hai negli occhi la sua immagine, il suo viso, è come guardare in uno specchio e vederci riflesso qualcosa che va al di là della tua immagine. > Continua, lasciandomi sorpreso.
< Non fate altro che ripeterlo, tutti. Cosa dovrebbe voler dire? Che James dovrà abituarsi all'assenza della madre? Che lei non tornerà più? > Ho di nuovo le lacrime agli occhi e questa volta non mi interessa che mi veda così, così come sono, fragile e a pezzi e arrabbiato e solo.
Le sue parole mi fanno stringere lo stomaco per quanto sono belle e dense di fiducia e coraggio, ma credo di conoscerne il sottinteso.
< So quanto fa male e quanto è doloroso, Robert, ma... > La interrompo, furioso, cercando, tuttavia, di non spaventare James, limitandomi a grugnire a denti stretti.
< No, no che non lo sai, Kristen. Nessuno di voi sa cosa significhi. > Stringo il biberon così forte, che le dita diventano bianche, fanno male.
Lei, colpita dalle mie parole, o forse sorpresa dal tono con il quale le ho pronunciate, abbassa lo sguardo sul legno del tavolo, torturandosi le mani. Non voglio metterla in imbarazzo, non voglio prendermela con lei, ma anche la mia è la verità: Tom, Jack, sua moglie, i miei genitori sono qui per aiutarmi, è vero, ma non sanno cosa vuol dire crescere un bambino senza nessuno accanto, trovandoti all'improvviso a dover imparare tutto quello che tua moglie aveva appreso durante i nove mesi di gravidanza, mentre tu ti limitavi a farle compagnia durante il corso pre-parto, o nella lettura di un nuovo saggio, ma cedevi al sonno quando voleva guardare l'ennesimo programma sulla nutrizione dei neonati alle undici di sera, o continuavi a rimandare sull'appuntamento per scegliere il mobilio della cameretta o continuavi a sostenere che stava esagerando con tutte quelle informazioni, che non c'era bisogno e lei ti rispondeva che fare la mamma è una cosa seria, devi imparare a farla, non nasci con un gene predisposto.
Hanno tutti la loro famiglia, qualcuno da cui tornare, qualcuno di cui occuparsi, invece tu sai di essere solo con tuo figlio e sai che non imparerai mai così tanto in così poco tempo, perché lui ogni giorno ha bisogno di nuove attenzioni, ha nuove esigenze e quando credi di padroneggiare almeno la sua messa a letto, con il carillon, le luci soffuse e la lampada colorata che disegna figure di dinosauri e castelli sul muro, lui ha già cambiato idea, ha già deciso di essere stufo del carillon, delle luci e delle figure stilizzate sul muro e tu devi avanzare di un altro gradino in cerca di qualcosa che lo faccia stare bene, anche se non sei sicuro più di niente.
< Mi dispiace... i-io non avrei dovuto... è solo che non riesco a farmi capire, non riesco a farmi ascoltare, sono tutti troppo presi ad essere dispiaciuti per me, per Solephine e per James e non fanno altro che ricordarmi che devo cavarmela da solo, che sarà difficile, che dovrei valutare un aiuto psicologico... mi sento oppresso dalle voci di queste persone che non sanno niente di me, o di James, o del mio dolore. > Sospiro, poggiando il biberon vuoto sul tavolo, sollevando James per adagiarlo contro la mia spalla, in attesa del suo solito ruttino post-pappa.
< No, hai ragione, hai tutto il diritto di sentirti così, è normale. Io, in ogni caso, spero che Solephine si svegli e che James abbia anche una mamma da abbracciare e a cui sorridere, davvero e quello che ho detto prima... beh, era solo un complimento diretto a te, perché sei davvero bravo con lui... > Fa di nuovo spallucce e arrossisce, mentre continua a torturarsi le mani ed io come faccio a non sentirmi un completo idiota? Ho esagerato, come al solito e ho letto nelle sue parole quello che, in realtà, ho letto in quelle di tutti gli altri. Sono solo sbottato, la valvola ha ceduto e sono esploso, ma questo non giustifica l'averla aggredita.
< Immagino avrei dovuto semplicemente dire grazie. > Abbasso lo sguardo, da perfetto vigliacco quale sono.
< Va bene così, hai fatto bene a sfogarti e non ne hai avuto modo in quest'ultimo periodo, con tutte le cose da fare, perciò... è ok. > Sorride ed io le sorrido di rimando, perché non saprei cos'altro fare, perché, nonostante tutto, è qui, pronta a giustificarmi, a tendermi la mano e a farmi forza.
Ho conosciuto Solephine qualche tempo dopo la nostra separazione, quando ormai mi ero rassegnato all'idea di innamorarmi di un'altra donna, di costruirmi una famiglia, di stabilizzarmi, ma avrei voluto parlarle di lei, di quello che aveva rappresentato per me, di come mi faceva stare male l'idea di rimanere da solo, di come avevo deciso di concederle un'altra possibilità, nonostante il suo tradimento, di come mi ero illuso che tra noi avrebbe davvero funzionato.
Non so perché penso questo proprio adesso, ad anni di distanza da tutto ciò; credo sia perché ho imparato a conoscere tutto di Solephine, dalla sua marca di vestiti preferita, alla posizione in cui le riusciva più facile addormentarsi, ma io non avevo mai ricambiato, non mi ero mai sbilanciato molto, specialmente sul mio passato, e non perché non mi fidassi di lei, o non l'amassi abbastanza da volere che conoscesse tutto, forse semplicemente perché non ero sufficientemente pronto. Aveva intuito che venivo da una relazione complicata, che ero ferito e avevo bisogno di tempo, che non volevo impegnarmi e che sarei stato sospettoso nei suoi confronti, almeno all'inizio, ma non le avevo raccontato la storia nei particolari, e lei non aveva fatto domande, aveva rispettato i miei spazi e mi aveva concesso il tempo di cui avevo bisogno.
Adesso che mi sento abbastanza pronto ad affrontare i demoni del mio passato con Kristen, lei non c'è; il demone, ironia della sorte, mi sta sorridendo e mi sta aiutando a rialzarmi.
< Non avevamo una quasi-discussione da... beh, da anni. > Sospira, come se avesse concluso un lavoro piuttosto faticoso e soltanto adesso stesse cominciando a rilassarsi.
< In realtà, non ci siamo parlati affatto per anni. > Preciso con un mezzo sorriso.
< Già, ed è strano dividere la stessa casa, adesso, anche se, beh, la situazione è cambiata e tu sei sposato e hai un bambino e c'è Tom, ma... insomma, sai cosa voglio dire, no? > Si porta indietro i capelli con una mano, il tipico gesto di quando è nervosa o in imbarazzo, quello per cui riviste e tabloid hanno fantastico su, domandandosi chi l'avesse trasmesso a chi.
Sole tremava quando era nervosa. Non mi riferisco ad un tremore di paura o di ansia, semplicemente non riusciva a stare ferma e cominciava con il far tremare una gamba, sempre più veloce, e poi l'altra e poi tamburellava un piede a terra, alzando gli occhi al cielo, poi si mordeva le labbra come se avesse voluto strapparsele e poi decideva che non sarebbe riuscita a starsene seduta per altri dieci minuti, così si alzava e cominciava a camminare nervosamente su è giù per l'intera stanza, con una mano al fianco e l'altra tra i capelli, come se stesse valutando l'ipotesi di legarli.
La sua agitazione mi faceva sempre sorridere.
Registro con un secondo di ritardo l'aver utilizzato un verbo al passato.
< Sì, hai ragione, è strano, ma non così imbarazzante come temevo. > Ammetto, continuando a carezzare la schiena di James. Il suo corpicino caldo contro il mio mi dà sollievo e mi fa sentire meno solo.
< In realtà, non pensavo che mi avresti mai chiamata. > Continua con fare casuale, come se stessimo parlando del tempo.
< Non pensavo l'avrei fatto. E' stata una cosa... impulsiva, ecco. > Rispondo, pensandoci un po' su.
< Impulsiva? Nel senso che ti sei pentito di averlo fatto? > Mi domanda con un sorriso di scherno.
Sorrido anch'io e scuoto la testa.
< No, nel senso che non ci ho riflettuto. > Spiego. < Come se le mie mani avessero agito da sole, non controllate da alcun impulso. > Continuo.
Ride, come trovasse la cosa molto divertente, o come se mi considerasse un pazzo da internare.
< Sì, beh, è un bel modo di giustificare le proprie azioni quello di dare la colpa al proprio corpo. > Ogni tanto le esce un suono a metà tra uno sbuffo e una pernacchia, come se volesse rimettersi a ridere, ma poi, improvvisamente, cambiasse idea.
< Mi hai anche detto che non era una telefonata riconciliatoria, però non mi sembra che ci stiamo facendo la guerra. > Afferma, quasi fosse ovvio che, comunque, tutto quello che ho detto o fatto, o tutte le giustificazioni che abbia provato a dare alle mie azioni, non contassero molto.
< Non era un avvertimento, Kristen. Cioè, sì, lo era, perché non volevo ti illudessi, ma non significava certo che avrei tenuto il muso o mi sarei comportato come una statua di sale. > James si muove, cercando una posizione più comoda per addormentarsi, ora che ha segnalato il suo perfetto inizio di digestione.
< Certo, rimani pur sempre un gentleman inglese. > Ancora una volta, si passa una mano tra i capelli, umettandosi le labbra con la lingua.
Solephine aprì la portiera del taxi sul quale lei e Robert erano saliti mezz'ora prima diretti ad uno degli alberghi più chic di Nizza, l'Hyatt Regency Palais, che affacciava direttamente sulla meravigliosa spiaggia francese, già pullulante di turisti e bagnanti.
Robert la precedette all'interno della struttura e, mentre si occupava dei bagagli e delle chiavi, lei si guardò intorno: studiò l'architettura classica ed elegante della hall, le poltrone di pelle morbida nelle quali erano assorti probabili magnati in vacanza, gli altoparlanti invisibili che diffondevano una melodia rilassante nell'intero ambiente, i lampadari di cristallo a goccia che, nonostante fossero spenti, con la loro rifrangenza sembravano illuminare più del sole stesso, l'andirivieni dello staff che, puntualmente, le sorrideva cordiale, anche se non l'avevano mai vista, i turisti sorridenti che le passavano accanto dopo aver varcato le porte del moderno ascensore color oro e che profumavano di salsedine e sole, l'intenso profumo delle brioche e del caffè ancora caldo che proveniva dalla sala ristorante dove, probabilmente, qualcuno stava ancora consumando la colazione; non era abituata al lusso, non lo era mai stata: i suoi genitori, per le vacanze estive, preferivano noleggiare un camper e spostarsi da una zona all'altra del Paese, cercando di visitare il più possibile. Dormivano nei sacchi a pelo, accanto alle zone attrezzate per il campeggio e Sole ricordava ancora di come le piacesse contare le stelle con Jack e suo padre.
Sì, insomma, sarebbe stata una vera follia disdegnare un albergo a cinque stelle, in cui bastava che tu schioccassi le dita per avere un cameriere al tuo servizio, però, di primo acchito, le sembrava sempre un'esagerazione. Poi, una volta che avevi soggiornato lì per qualche giorno, non notavi tutte queste grandi differenze con un albergo a tre stelle: stessa colazione, stessa pulizia, stessi servizi. Soltanto, forse, qualche privilegio in più, come la piscina riscaldata e prenotabile a tuo uso personale, una macchina VIP pronta a scortarti in qualunque posto, a qualsiasi ora, cena in camera con cameriere privato e Wi-fi gratuito; tutti servizi di cui avrebbe potuto tranquillamente fare a meno.
< Suite 704. > Robert le sventolò davanti agli occhi le chiavi della loro stanza.
< Ma come? Tutto questo lusso, e poi utilizzano ancora le vecchie chiavi di metallo? > Scherzò, afferrandole e studiandole.
< Hanno avuto problemi con i sistemi di identificazione delle tessere e hanno preferito fare ritorno al vecchio sistema. > Le sorrise, afferrando le valigie e incamminandosi verso l'ascensore.
Uno dei portieri gli si era avvicinato per convincerlo che le valigie le avrebbe portate lui, utilizzando l'ascensore di servizio, così loro avrebbero potuto godere del cocktail di benvenuto senza impicci, ma Robert aveva fermamente rifiutato, ringraziandolo.
Solephine sorrise nell'osservare l'espressione incredula del portiere, correndo appena per raggiungere Robert.
< Sono le nostre valigie, possiamo portarle noi, no? > Le chiese, quasi sentisse il dovere di giustificarsi per quel rifiuto.
< E' il loro mestiere, cercava solo di essere gentile. Non lo licenzieranno per questo, vero? > Il plin dell'ascensore li avvisò del suo arrivo.
< No, non credo. > La rassicurò, riflettendoci.
Il settimo piano era silenzioso, lontano anni luce dall'atmosfera della hall, eppure ugualmente accogliente.
Fu Solephine ad aprire la porta, spalancandola per permettere a Robert di trasportarvi le valigie senza impedimenti di sorta. Nel salottino luminoso, arredato con eleganza studiata, li attendevano due flute di champagne e una ciotola di fragole.
Sole ne rubò una prima di dirigersi verso la camera da letto, dove le porta-finestre erano state lasciate aperte, a favore di una profumatissima brezza marina e di un sole tiepido.
Poco distante, su un palchetto di legno rialzato era sistemata una spaziosissima vasca bianca, colma d'acqua, sulla cui superficie galleggiavano quelle che assomigliavano moltissimo a bacche profumate, color ambra. Testò la temperatura dell'acqua, sfiorandone la superficie: era tiepida.
Robert la raggiunse alle spalle, abbracciandole la vita, immergendo il viso tra i suoi capelli profumati. Solephine, di rimando, chiuse gli occhi, portando un braccio all'indietro per carezzargli i capelli setosi.
< Abbiamo tempo per un bagno? > Le mormorò, baciandole una spalla.
< L'intervista è alle undici. > Rispose lei, voltandosi appena per incontrare le sue labbra.
Effettivamente, riemersa dal piacevole bagno caldo con Robert, avrebbe dovuto cercare di non dimenticarsi che non era lì per un week-end rilassante, che non poteva oziare in accappatoio nella suite o guardare la TV per tutto il giorno, o fare l'amore con Robert fin quando le sue membra non avrebbero richiesto riposo; era lì, in via ufficiosa, per intervistare un attore francese emergente che sembrava essere assediato dai media, soprattutto per via della sua recente nomination al Festival di Cannes. Il New York Times, ovviamente, pretendeva l'esclusiva e, per averla, l'unica possibilità era fare i bagagli in fretta e furia e volare a Nizza dove stava girando il suo ultimo film. Fortuna che Robert non ci aveva pensato su due volte, aveva afferrato il passaporto, le aveva sorriso e le aveva semplicemente detto che l'avrebbe accompagnata.
< Ok, devo andare, adesso. > Sole si divincolò con dolcezza dall'abbraccio di Robert che, tuttavia, le circondò la vita proprio mentre lei stava tentando di mettersi in piedi, tirandola nuovamente verso di sé, facendola ridere divertita.
< Non arriverò mai all'intervista di questo passo... > Ponderò, sovrastandolo e mordendogli una guancia per gioco.
< Infatti, non ti lascerò andar via. > Sussurrò lui, coprendo entrambi con il lenzuolo bianco fin sopra la testa, come se fossero in una tenda da campeggio.
< Perché non intervisti me? > Continuò, pizzicandole un fianco.
< Sì. Certo. E cosa dovrei chiederti? > Mise la testa fuori dalla tenda-lenzuolo, si sporse verso il comodino e afferrò i fogli con le domande che si era preparata appositamente per l'intervista. Le stava ripassando, per non sembrare una perfetta imbranata alla prime armi di fronte al giovane attore, prima che Robert pretendesse la sua dose di attenzioni.
< Come gestisce la pressione improvvisa dei media? > Ritornò sotto il lenzuolo, assumendo la sua aria più professionale, seduta sui polpacci accanto a Robert, disteso, che le solleticava un ginocchio con l'indice, sorridendo assorto.
< Cerco di non pensarci. > Rispose, socchiudendo appena gli occhi, come per concentrarsi.
< Uno dei desideri che vorrebbe realizzare nel prossimo futuro? > Continuò lei, sbirciando i fogli.
< Uhm... domanda impegnativa... > Soppesò, scrutandola.
< Ho solo rielaborato quello che mi hanno detto in redazione. > Gli fece una linguaccia, piegando i fogli e poggiandoli accanto a lei.
< Allora devo obbligatoriamente rispondere. > Le afferrò una mano, giocherellando con le sue dita.
Solephine annuì, attenta al gioco d'incastri che stavano eseguendo.
< Diciamo che mi piacerebbe comprare una casa in campagna, avere un cane o due, una moglie bellissima che mi ama e due, tre marmocchi che si rincorrono nel giardino. > Sorrise, slegando la mano dalla sua e afferrandole, invece, la vita, trascinandola su di sé, scostandole i capelli dal viso.
< Una moglie ce l'hai già, o te ne sei dimenticato? > Alzò gli occhi al cielo, pizzicandogli il naso con due dita.
< Allora dobbiamo provvedere al resto. > Mormorò, baciandole il collo e poi una spalla.
Che avesse avuto il sentore di qualcosa? No, impossibile.
Non l'aveva detto a nessuno, neanche a sua madre. Solo a Jack, un paio di mattine prima e che, oltretutto, l'aveva anche sgridata, perché sarebbe dovuto essere Robert il primo, non lui. Tuttavia, sapeva che avrebbe mantenuto il segreto, almeno fin quando lei non avesse deciso di renderlo pubblico.
Era stupido e da paranoica, ma ogni volta che apriva la bocca per pronunciare quelle due parole, si bloccava, automaticamente, come se avesse un meccanismo dentro di lei pronto a scattare in situazioni critiche.
Doveva farlo. Non poteva rimandare ancora, sarebbe stato da idioti.
Arrossì sotto lo sguardo di Robert e abbassò lo sguardo, lasciando che i capelli la nascondessero.
< Cosa c'è? > Le chiese, sistemandosi meglio sulla porzione di cuscino che il lenzuolo-tenda era riuscito ad inglobare.
< Devo dirti una cosa... > Prese tempo, anche se adesso non avrebbe più potuto tirarsi indietro.
Robert si accigliò, cercando di scoprirle il viso e di guardarle gli occhi, anche se non ce ne fu bisogno, perché fu lei stessa a sollevare lo sguardo, le guance ancora rosse d'imbarazzo.
Robert non poté fare a meno di notare quanto amasse quel lato di Solephine: sapeva essere forte, una vera roccia quando c'era bisogno di lei, non mollava mai la presa; ma sapeva essere anche splendidamente timida quando qualcosa la riguardava da vicino, splendidamente fragile quando doveva ammettere le sue debolezze o i suoi pensieri di troppo.
< E' così difficile? > La abbracciò, carezzandole la schiena, ma lei si divincolò dalle sue braccia, sollevò il lenzuolo, scoprendo entrambi, e impresse il viso nel cuscino, lo stesso di Robert.
< Sono incinta. > Ammise, la voce ovattata dalla stoffa.
< Cosa? > Domandò lui. Alle sue orecchie, la sua frase era risultata qualcosa come shono iginta, il che non aveva alcun senso.
< Devi proprio farmelo ripetere? > Sollevò appena la testa, i capelli scomposti davanti agli occhi e il viso color rosso pomodoro.
< Non ho davvero capito. > Fece spallucce. < Ma se non vuoi ripeterlo, puoi scriverlo, o puoi mandarmi un sms. > Continuò, passandole una penna e il plico di fogli di domande da porre al neo attore francese.
Sole sospirò, ma impugnò la penna e scrisse senza guardare; poi gli passò il tutto.
Lo studiò per qualche minuto, cercò di capire la sua reazione, di leggere una qualche sorta di emozione nei lineamenti del suo volto, ma Robert sembrava una statua, di ghiaccio, impassibile.
< Robert? > Lo chiamò alla fine, pungolandogli un braccio con il dito indice, sperando di rianimarlo.
Nulla. Non successe assolutamente nulla.
< Robert? Dì qualcosa! > Sbottò esasperata.
L'interessato si voltò verso di lei, quasi la rapì con gli occhi, come se volesse mangiarla, come se volesse imprimere nella sua mente ogni più piccolo particolare di quel viso, dalle lentiggini agli occhi azzurri, dai capelli di media lunghezza al naso piccolo e proporzionato, dalle guance ancora rosse alle labbra morbide, appena carnose; e poi fece una di quelle cose che, Solephine ci era abituata, da Robert non ti aspetti, nel senso che, un minuto prima, sembra ci siano tutte le premesse per una reazione esagerata, devastante, l'istante dopo, si è tutto trasformato in qualcos'altro: sorrise, uno di quei sorrisi aperti, sinceri, che gli facevano illuminare anche gli occhi, che ti stordivano e davanti ai quali non potevi far altro che ricambiare.
Successe esattamente così, la travolse, prima con il sorriso, poi in senso fisico, rischiando di far cadere entrambi dal letto.
< Da quanto lo sai? > Le domandò ridendo come un bambino.
< Da un paio di giorni, più o meno. > Gli accarezzò i capelli, stringendosi a lui.
< E non volevi dirmelo? Chi altro lo sa? > Non era un rimprovero, anzi. Voleva avvisare chiunque il più in fretta possibile, il fuso orario aveva poca importanza.
< Nessuno, soltanto Jack. L'avevo appena scoperto e non sono riuscita a trattenermi... > Si affrettò a spiegare, aspettandosi un rimprovero che non venne, perché Robert allungò una mano sul comodino, afferrò l'iPhone e, ancora su di lei, cercò nella rubrica il numero di chi sapeva dover avvisare per primi, i suoi genitori.
< Dobbiamo rimediare allora. > Era già pronto ad avviare la chiamata, quando Solephine gli sfilò il cellulare dalla mano con dolcezza, abbandonandolo sul cuscino.
< Possono aspettare. > Mormorò, ribaltando le posizioni, solleticandogli le labbra con il respiro.
< Non ti ho ancora detto che è meraviglioso, Sole, è la notizia più bella che tu potessi darmi. > Sussurrò in risposta, distratto dalle sue carezze innocenti.
< E la seconda è che devo davvero fare quell'intervista, perché non voglio essere licenziata. > Lo baciò a mo' di saluto, lasciandolo lì, perplesso e divertito.
< Crudele. > Le tirò dietro un cuscino, che lei schivò, facendogli una linguaccia e scomparendo in bagno.