Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
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Autore: Jay_Myler    03/10/2013    1 recensioni
In questo gioco mi ha sempre colpito molto Castiel, e forse è proprio per il suo disegno nella pubblicità che, incuriosita, sono andata a vedere di che cosa si trattasse Dolce Flirt. Ma quando nei primi due episodi ho incontrato Ken, non ho potuto fare a meno di trattarlo bene e – come avrete visto se avete mai giocato – quando il personaggio, la Dolcetta per intenderci, rispondeva male a Ken o pensava cose cattive su di lui, la riprendevo ad alta voce come una pazza che parla al suo computer. Poi si sa, stiamo parlando di un gioco di dating game, una visual novel, era scontato che quell'anonimo ragazzetto occhialuto sarebbe diventato uno strafigo e così trattandolo bene e tenendo il suo peluches sul comodino l'ho aspettato con ansia e il mio trattarlo bene ha ripagato i miei sforzi.
Spero vi piaccia e buona lettura.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Kentin, Nathaniel, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dolce Flirt mania'
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Un altro giorno di scuola attendeva i ragazzi del Dolce Amoris, ma non era una giornata come tutte le altre per alcuni di loro, in particolar modo per Ivy che si era trovata davanti un inatteso spettacolo: dopo la loro separazione forzata era finalmente tornato Ken, il ragazzo che le piaceva da tempi immemori con cui sperava potesse nascere qualcosa con il tempo e continuando a crescere insieme, ma quel ragazzo che si era presentato il giorno prima era completamente differente dal ragazzo che aveva salutato un anno prima, sia fisicamente che caratterialmente; il suo sogno più grande si era trasformato in un incubo in piena regola. Poteva accettare il suo cambiamento, il suo voler ricominciare da zero il loro rapporto, se non fosse capitato quell’episodio con Ambra proprio il giorno prima; era così che era venuta a conoscenza del ritorno di Ken - anzi di Kentin è così che si voleva far chiamare ora - vedendolo attaccato alle labbra di quella antipatica bionda che non era nemmeno a conoscenza della vera identità del ragazzo che stava baciando. Di prima mattina e con zero voglia di andare a scuola, la ragazza decise che quello non era esattamente l’argomento più indicato sul quale riflettere durante il tragitto verso il suo liceo; con le cuffie nelle orecchie, ascoltando distrattamente un brano del suo lettore musicale, ormai stanca di aspettare un autobus che l’avrebbe portata davanti scuola, decise di farsi un pezzo a piedi per prendere un po’ d’aria e sbollentare la rabbia e la delusione accumulate nelle ventiquattrore appena passate. Non passò molto tempo dal suo camminare indisturbata con la musica a palla, che si trovò avanti una compagnia a lei molto gradita ma in quel momento non molto desiderata.
«Hey Ivy, aspettaci!» le gridò una voce da dietro.
Erano due dei suoi compagni di scuola, arrivati da poco, erano due gemelli che si somigliavano incredibilmente anche se loro non ci facevano molto caso; sarebbe stato più che facile sbagliarsi e confonderli se non fosse stato per il loro stile ed alcuni tratti fisici: erano uno l’opposto dell’altro, uno pieno di vita e amante dello shopping e dell’aria aperta, l’altra più chiuso e dedito ai suoi adorati videogiochi. Il ragazzo più frizzante si chiamava Alexy ed era riconoscibilissimo per il suo stile che non passava di certo inosservato, molto colorato e sgargiante, compreso di fantastiche cuffie per ascoltare la musica; i suoi capelli di un acceso celeste davano ancora più risalto al suo vestiario variopinto, ed a contrasto aveva due occhi che cadevano su un violaceo molto chiaro, che si sarebbe potuto definire quasi rosa; suo fratello, Armin, aveva uno stile più sobrio e monocromatico scelto ovviamente dal fratello ossessionato dallo shopping che gli comprava i vestiti e lo vestiva, conoscendo la sua noncuranza verso l’aspetto modaiolo. Ciò che contraddistingueva Armin era la sua passione verso i videogiochi, ovunque andasse ne aveva sempre uno con sé per giocarci, perfino in classe invece di ascoltare i professori giocava con le sue svariate piattaforme, che lo facevano finire spesso in presidenza o con i videogiochi sequestrati.
«Ragazzi, come mai qui, siete di strada?»
«A dir la verità ti abbiamo visto – anzi, ti ho vista, sai com’è Armin non stacca gli occhi dalla consolle quando inizia a giocare – ed ho trascinato… ehm, ho detto a mio fratello di scendere e raggiungerti»
Nel frattempo entrambi si erano girati per fissare Armin in attesa che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa per entrare nel discorso, discolparsi o inventarsi una scusa credibile per giustificarsi, ma come avevano già messo in conto Alexy ed Ivy, il ragazzo continuava a giocare imperterrito e senza degnarli di uno sguardo.
«Perdona mio fratello, a volte si fa prendere un po’ troppo da quei suoi stupidi giochi; certe volte ne sono addirittura geloso. La prossima volta non gli chiedo proprio di accompagnarmi a fare shopping andiamo solo io e te, come l’altra volta, ci siamo divertiti un sacco no?» disse quel ragazzo rivolgendole uno dei suoi miglior sorrisi.  Il bello di stare in loro compagnia era che entrambi avevano delle qualità che ti mettevano a tuo agio se il tuo morale si trovo a terra: Alexy con la sua allegria ti aiuta a risollevare il morale, mentre Armin immerso nei suoi giochi ti dava la calma e il silenzio che ti occorre quando non ti va di parlare; entrambe le opzioni andavano bene ad Ivy, anche se forse in quel momento avrebbe preferito il silenzio imbarazzante con Armin, ma sapeva che con chiunque di loro due l’argomento per lei spinoso non si farebbe fatto di certo vivo, visto che entrambi non conoscevano nemmeno di vista Ken..tin. Sapere di star camminando fianco a fianco con, forse, le uniche due persone che non conoscevano la radice dei suoi problemi era un sollievo per lei.
«Mi sembri un po’ giù di morale, ti è successo qualcosa?» le chiese preoccupato Alexy mentre si incamminavano uno accanto all’altra seguiti a ruota da Armin.
«Niente di importante, tranquillo» cercò di rispondergli in tono rassicurante e cercando di fingere un sorriso che somigliò di più ad una smorfia di dolore.
Ad Alexy questo particolare non sfuggì di certo, ma il suo istinto gli diceva che la ragazza non aveva la minima voglia di parlarne, così cercò di alleggerire il discorso con qualcosa di frivolo e sciocco.
«Non vorrei sembrare troppo eccitato, ma avete visto voi quel bellone che è venuto ieri al liceo?» Questa era un’altra delle enormi ed abissali differenze tra lui e suo fratello: ad Alexy piacevano i ragazzi.
Ivy non rispose ma si limitò a lanciargli un’occhiata interrogatoria; il giorno prima Ambra aveva accennato ad un nuovo arrivato, che alla fine si era rivelato Ken in piena fioritura, appena ritornato dal campo militare… che fosse davvero arrivato un nuovo alunno senza che loro lo sapessero? O probabilmente era proprio Kentin quello di cui stava parlando, alla fine anche l’oca bionda lo aveva etichettato come il nuovo arrivato quando non lo aveva riconosciuto. Quindi era possibile che si riferisse proprio a lui.
«Non dirmi che non l’hai notato? Alto, castano, capelli corti, occhi verde smeraldo, fisico atletico, addominali scolpiti, un figo insomma! Non può esserti passato inosservato»
«Non ci ho fatto davvero caso» disse senza inflessione Ivy, cercando di chiudere il discorso il più presto possibile.
«Oggi nemmeno tu sei di compagnia, sei peggio di mio fratello, non vi va di spiccicare parola; menomale che siamo arrivati altrimenti sarebbe calato un silenzio fastidioso, ci vediamo dopo!» salutò il ragazzo incamminandosi di gran carriera verso il portone principale, mentre Armin ed Ivy stavano ancora attraversando il cancello d’entrata.
 
 

«Sei sicuro papà?»
Chiese speranzoso il ragazzo, con i lacrimoni agli occhi; ancora non si vergognava di piangere per una cosa che gli stava a cuore e questo era un grande difetto agli occhi del padre.
«Ti ho già detto di no, quante volte devo dirlo? Chi dovrebbe cercare una femminuccia come te che per ogni sciocchezza piange? Ora smetti di dire queste cavolate e torna ai tuoi esercizi quotidiani! È un ordine!»
«Sissignore!» urlò tenendo a freno le lacrime che stavano iniziando a scendergli di nuovo.

 
 
Kentin si trovava di nuovo in quella scuola, dopo che l’aveva bramata per tutto quel tempo gli sembrava talmente banale e senza senso, non riuscendosi ad amalgamare a quel gruppo di persone ermeticamente chiuso e compatto; già la prima volta che vi aveva messo piede nei panni del piccolo e sprovveduto Ken non era riuscito ad integrarsi adeguatamente, rimanendo al fianco di Ivy ogni momento libero e possibile. Gli mancava da morire quella ragazza, ma la sua scelta era stata quella giusta, così facendo le avrebbe dato il suo spazio senza invaderla con la sua presenza e poi come negare l’evidenza dei fatti: in tutto quel tempo passato separati non si erano sentiti affatto, nemmeno per due minuti o per lettera. Quando aveva appreso la dura verità, aveva capito che le sue impressioni erano più che giuste e che il suo comportamento romantico e le sue mille attenzioni le davano solo sui nervi e appena se ne era andato per lei era stato un toccasana, una liberazione, anzi la liberazione dall’unica seccatura che la perseguitava. Era già il secondo giorno che aveva ripreso a calpestare quei corridoio, i quali aveva imparato a conoscere un anno prima, ma tutto il suo sforzo, il suo impegnarsi, lo vedeva svanire in un’insulsa nebbiolina, chiedendosi se quell’anno di sacrifici gli fossero serviti solo a prendersi quell’insulsa rivincita ed a perdere una vecchia amica. Non sapeva cosa pensare, non sapeva se lasciar perdere tutto e tutti o cercare di riconquistare le cose che gli stavano a cuore; davvero non sapeva a cosa credere e dove mettere mano. Il giorno prima era intenzionato a cercare un modo per farsi perdonare da Ivy ma che senso aveva farlo se lei non voleva; tutta quella scena, le lacrime, quello che gli aveva detto Nathaniel, non faceva che insidiargli dubbi nei suoi pensieri, tutte quelle cose non potevano essere falese, non poteva essere solo una messa in scena, ma dall’altro canto lei non gli aveva mai….
«Cosa ci fai sulla mia terrazza?» chiese un tono perentorio alle sue spalle, facendolo trasalire e spaventare; quella voce così calda e allo stesso tempo penetrante la conosceva fin troppo bene e gli faceva salire i brividi per tutta la schiena.
«Da quando questa terrazza sarebbe tua?» chiese Kentin con la voce indiscutibilmente tremante, ma cercando di darsi un certo tono per non far trapelare il suo essere ancora spaventato da quel ragazzo dai capelli ramati.
«È mia da quando ci vengo solo io, visto che è vietato stare qui» gli rispose in tono calmo incrociando le braccia sul petto.
«Se è vietata perché ci vieni sempre e perché non c’è nessuno cartello?»
«Semplice: perché io sono un ragazzaccio ribelle; o almeno così mi consideri tu»
Quell’ultima affermazione lo fece rimanere a bocca aperta ed un po’ stranito.
«Senti sfigato, lo so che non abbiamo cominciato con il piede giusto l’anno scorso, ma quest’anno sappi che non ho la minima intenzione di farmi perdonare o di allacciare un rapporto con te»
Ah ecco, questo era il Castiel che si ricordava.
«Non sono il ragazzo che può diventare il tuo migliore amico e non ho nemmeno la voglia, ma devi sapere che questo liceo si basa su un piccolo piano di abitudini e tu sei venuto a disturbare quello stupido equilibrio che si era creato. Quando eri Ken, il piccolo ragazzetto anonimo che tutti ignoravano o prendevano di mira, c’era un sacro equilibrio che non disturbava le cose – o almeno le mie di cose. Quando tu te ne sei andato hai sconvolto tutto questo ecosistema di pazzi che ci ha messo mesi per ristabilizzarsi al meglio; siamo sopravvissuti a vecchie conoscenze che se andavano ed a nuovi arrivi, poi torni tu e tutti va in malora. Mi sa che sei tu quello che non va; sappi che basta una persona – e con una persona intendo Ivy, che sta sempre in mezzo a tutti e volente o nolente ce l’abbiamo sempre davanti – che non sta bene che tutto il resto crolla. E sai di chi è la colpa?»
«….»
«Tua»
Kentin si alzò di scatto da terra e senza voltarsi se ne andò via, scendendo per le scale con ancora più dubbi di prima; la colpa non era sua, non poteva essere la sua, aveva passato una vita ad incolparsi per ogni minimo problema anche scaturente dagli altri ed ora non voleva incolparsi di nulla. Ma effettivamente Ivy se stava in quelle condizioni era per colpa sua e lui lo aveva visto con i suoi occhi nella serra. Quindi aveva ragione Castiel? La colpa era davvero la sua? Era lui il fulcro di tutti i problemi nel liceo?
«Cosa ci fai così presto al liceo? Ansioso di tornare tra di noi eh?»
Quello doveva essere il giorno dell’incontrare gente a caso che gli sparava domande random; ma non era di certo il momento più adatto per intrattenere conversazione con Nathaniel che per antonomasia era la gentilezza e la cordialità fatta persona, cose di cui in quel momento era del tutto sprovvisto Kentin.
«Nathaniel potrei rivolgerti la stessa domanda, ma immagino che la risposta sia qualcosa di burocratico o semplicemente di studio»
«Non posso smentirti, piuttosto com’è andata ieri con Ivy, alla fine l’hai incontrata?»
«Beh, si, eccome se l’ho incontrata, ma dovrei domandarti una cosa… ieri mi hai detto che da quando me ne sono andato Ivy non è stata più la stessa, cosa intendevi dire?»
Il ragazzo biondo inarcò la schiena leggermente passandosi una mano tra i capelli, cercando di riordinarsi le idee mentalmente non sapendo da dove cominciare.
«Non sarebbe meglio se chiariste tra di voi questo punto?»
«Non avrei chiesto il tuo aiuto se non fosse stato necessario, non avrebbe senso metterti in mezzo senza un valido motivo»
I due si guardavano dritto negli occhi, uno che implorava l’aiuto dell’altro chiedendogli più informazioni sul periodo in cui era stato assente; ma perché si stava affannando così tanto per sapere di più, alla fine aveva deciso e si era convinto di lasciar perdere il passato e di pensare solo al futuro ed al presente, cancellando per sempre Ken ed il suo ricordo; in cuor suo però sapeva che questo era molto più importante.
«Io…» Nathaniel incrociò di nuovo lo sguardo di Kentin e capì per la seconda volta che il suo aiuto sarebbe stato di cruciale importanza per il ragazzo.
«Va bene, ma non credo comunque di essere la persona più adatta per parlarti di questa cosa»
Kentin finalmente avrebbe saputo la verità, o almeno la reazione di Ivy alla sua partenza, mettendo così una volta per tutte in chiaro questa spinosa situazione e decidendo di conseguenza come comportarsi.
«Oh Nathaniel è qui, dobbiamo parlare di un argomento molto importante, venga nel mio ufficio …»
Una donna corpulenta, con un viso molto dolce ed angelico – che riconobbe come la Direttrice - tutta vestita di rosa e con in braccio un cagnetto aveva attirato l’attenzione dei due, richiamando il segretario delegato nel suo ufficio.
«…immediatamente!» strillò con quanto fiato avesse in corpo la donna scompigliandosi i capelli in preda ad un raptus di cattiveria che passò in un secondo quando sul suo viso riaffiorò di nuovo un sorriso.
Kentin si rassegnò all’idea che per il momento non avrebbe avuto nessuna delle risposte che tanto attendeva e dopo che Nathaniel gli aveva rivolto un sguardo rassegnato posandogli una mano sulla spalla lo seguì con lo sguardo vedendolo seguire la Direttrice nel suo ufficio.
Poi una voce lo distolse dalla sua rassegnazione.
«Scusa posso chiederti una cosa?»

 
 
«È impossibile, è passato così tanto tempo, a momenti arrivano prima quelle di mamma e papà dall’estero!»
Ivy mise la faccia tra le sue mani, in un misto di rabbia e rassegnazione con ancora una punta di speranza.
«Non fare così a volte ci sono dei ritardi, dei disguidi o forse…»
«No, zia! Non sono semplici ritardi o disguidi, sono arrivata ormai alla sedicesima in quasi tre settimane e nulla… So io cosa c’è sotto. Non vuole saperne più di me, ecco cosa»

 
 
«Cosa ne dici, non stanno crescendo bene?»
Ivy trasalì all’improvviso spaventata dall’apparizione improvvisa del ragazzo alle sue spalle.
«Jade, non ti avevo proprio sentito; tu dici che stanno crescendo bene? A me non sembra, l’anno scorso non sono nemmeno fiorite» disse la ragazza accarezzando le verdi foglioline un po’ flosce nel suo vaso.
«Abbi fiducia Ivy, se guardi meglio vedrai che la pianta inizia lentamente a riprendersi»
Quella pianta aveva tutta l’aria di star lasciando la presa, chiedendo con il suo verde smorto di regalarle l’eutanasia per smettere di soffrire una volta per tutte.
«Guardando meglio mi sembra solo che sia irrecuperabile e stia morendo» esclamò rassegnata togliendo dal vaso una foglia ormai del tutto rinsecchita.
«La solita pessimista, lo sai bene che per crescere al meglio le piante hanno bisogno non solo di cure fisiche ma anche di amore e dedizione…»
A quella affermazione il suo cuore sobbalzò e si ricordò il giorno in cui Ken le aveva mostrato il vaso e la sua buona volontà di portare avanti quel progetto con lei.
«In questi mesi la pianta ha avuto cure da te...»
«Stai dicendo che non sono capace di far crescere una pianta?» chiese indispettita la ragazza mettendosi a sedere sul tavolo vicino al vaso, di faccia con il ragazzo.
«Sto dicendo che la pianta ha sofferto perché hai sofferto anche tu… le hai trasmesso la tua melanconia e tristezza e così è tardata la fioritura» le disse Jade accarezzando a sua volta le foglie della pianta.
«Non spererei in un miracolo, se questa pianta è lo specchio della relazione tra me e Kentin è destinata a sfiorire per sempre»
«Io non ho mai detto che dipendesse da quello, lo hai appena confermato tu; non disperare per questi fiori, sono solo in tarda fioritura, c’è ancora speranza»
«Solo per i fiori mi sa…»
«Ma i fiori sono lo specchio della vostra relazione, no?» le disse retoricamente il ragazzo in un sorriso speranzoso.


Jay Myler
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