Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: D_Cocca    04/10/2013    1 recensioni
Lenn, ultimo discendente di un Clan sanguinario caduto in rovina, lascia per la prima volta la sua casa per compiere una missione: uccidere la prima persona che incontrerà sul suo cammino, un servitore della Luce, per provare così la sua fedeltà alla Famiglia. Ma la prima persona che incontra è Jao, un giovane Stregone come lui che non ha la minima intenzione di farsi ammazzare e che vede della Luce anche nel cuore divorato dalle Tenebre di Lenn.
Lo Stregone Oscuro decide di scappare e liberarsi dalla morsa di ferro del suo Maestro seguendo Jao. Insieme ad altri ragazzi, i due intraprenderanno un viaggio per raggiungere il luogo in cui si terrà un Torneo per Stregoni, il cui vincitore verrà nominato re degli Umani e degli Elfi e verrà incaricato di portare la pace fra le due razze in conflitto da secoli. Ma Lenn sarà abbastanza forte per superare tutti gli ostacoli lungo il cammino? Sconfiggerà l'Oscurità e i demoni del passato che crede di essersi lasciato alle spalle?
Riuscirà a mantenere la sua anima integra, o questa finirà in mille pezzi?
*** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** ***
Nuovo aggiornamento [Capitolo 12 - Cuore di Drago (Parte II)]
Genere: Angst, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

[NdA: Rieccomi, dopo la pausa estiva! Dovevo postare per settembre, ma ci sono andata vicina, su! :D
Ecco il nuovo capitolo, con un titolo a doppio senso che verrà chiarito più avanti.
Ancora un po' di approfondimento psicologico, qualche evento interessante, ma ci avviciniamo sempre di più agli eventi-svolta nella trama. Sinceramente, non vedo l'ora.
Cercherò di postare un capitolo al mese; siccome quest'anno ho la maturità, non so quanto potrò dedicarmi alla scrittura, ma spero di ritagliarmi qualche ritaglio di tempo durante la sera. Questo capitolo vale ancora come post di settembre, quindi fra qualche settimana potrebbe arrivare il prossimo.
Nel frattempo, buona lettura! :D]



Capitolo 12
Cuore di Drago
Parte I





Lenn starnutì e poi si grattò il naso, irritato.
La città brulicava di polline e fiori da giorni.
In quell'Aprile la primavera s'era fatta viva pian piano, un po' in sordina. Ma ora che i fiori dentro e fuori le serre erano sbocciati, i mercanti si erano dati alla pazza gioia procurandosi quante più piante colorate e bizzarre potessero trovare a buon mercato, per poi rivenderle a prezzi piuttosto alti ai poveri abitanti di Malias, che vivevano nel grigiore. I cesti carichi di fiori scendevano lungo resistenti carrucole dal lucernario della città fino a terra, per poi risalire, vuoti e pronti per essere di nuovo riempiti.
Com'era tradizione, per festeggiare la fine del lungo inverno ogni essere vivente e non veniva ricoperto di fiori, rendendo omaggio al Dio della primavera Muò-Reh-Tai, il toro che rendeva feconda la terra degli uomini buoni.
Le case erano ricoperte di festoni. I tetti erano dei veri e propri giardini sopraelevati, pieni di germogli di alberi del pane e fichi, oppure cespugli di more e lamponi, più esotici per quella zona di Argeth; le porte e le finestre erano adornate da enormi ghirlande di allamande, bignonie e fiori d'acacia, tanto grandi da rendere difficoltoso entrare in casa o sporgersi a guardare la strada, costringendo tutti a piegarsi, anche i più bassi.
Gli uomini e i ragazzini avevano appuntati al petto un fiore a piacere, mentre le donne avevano le piante attorcigliate ai capelli, dall'edera che cresceva a tappeto alle margherite che creavano l'illusione di un prato semovente; le ragazzine più giovani si divertivano ad andare in giro con in testa veli di fiori, foglie giganti o rafflesie rosse e vistose quanto puzzolenti. Lenn li detestava sopra ogni cosa, quei dannati fiori giganti che si piazzavano sulla testa; ogni volta che giocavano ad acchiapparella e gli correvano vicino lasciavano una scia di puzza putrescente, e lui non capiva come le fanciulle potessero sopportare un odore del genere solo per apparire più stravaganti agli occhi dei coetanei.
La cosa più fastidiosa, comunque, erano le coppie di fidanzati. Come futuri mariti e mogli, nonché futuri perpetuatori della vita grazie a una augurata numerosa progenie, erano festeggiati e guardati con rispetto, e la primavera li rappresentava in ogni fiore che sbocciava dopo ogni inverno. Era la vita che prevaleva sulla morte.
E durante quella stagione le effusioni in pubblico erano tollerate se non proprio incoraggiate da tutti; ragazzi non ancora sposati potevano prendersi per mano, baciarsi di fronte a tutti o esibirsi in atti romantici e teatrali, a volte ricevendo anche qualche applauso ammirato o qualche complimento.
Lenn non poteva fare a meno di trovare quei comportamenti immaturi e poco sensati. A lui non interessava vedere due sconosciuti palparsi in pubblico né aveva intenzione di lodarli per questo; avrebbe girato lo sguardo per non guardare, ma ovunque si girasse c'erano due innamorati che gli facevano provare l'imbarazzo che loro apparentemente non provavano. Più di una volta era arrossito e aveva nascosto il viso dietro a una mano; non avrebbe mai detto che certe cose si potessero fare al di fuori di una stanza con tanta naturalezza, davanti a centinaia di sconosciuti. Lui li aveva sempre considerati momenti speciali, intimi, privati. Eppure il pudore sembrava sparire, in primavera.
Alla sua destra, in fondo alla via, una Guardia stava randellando la schiena di un giovane che stava andando un po' troppo oltre. Lenn voltò di nuovo la testa e si mise a fissare la porta di casa sua, alla sua sinistra. Sobria e spoglia in confronto alle altre in quel Distretto, l'unico ornamento era un piccolo filare di campanule appeso allo stipite e il giglio incantato sul davanzale della finestra appena accanto.
Fu fortunato, perché finalmente la porta si aprì e ne uscì Annah. Era vestita di un sari blu cobalto dai bordi e i disegni floreali d'oro. La ragazza quando lo vide gli rivolse un leggero sorriso e si poggiò lo scialle sul capo. Non gli rivolse la parola, come al solito, e si limitò ad affiancarlo, in attesa. Nella vicinanza, il mezzelfo percepì il profumo di lavanda emanato dalla sua pelle, più leggero e più delicato di qualsiasi fiore vistoso attorno a loro. Di tutte quante, lei era la più bella e la più aggraziata. Almeno per Lenn.
Ma il suo silenzio, come quello di una pianta, lo faceva sentire frustrato. Era passato almeno un mese dalla loro ultima conversazione; nel resto del tempo s'erano limitati a salutarsi in modo timido, qualche parola di circostanza, e poi qualche sorriso esitante quando s'incrociavano per strada o si trovavano l'uno di fronte all'altra nella loro piccola e stretta casa.
Tutto ciò da quando lui e Annah avevano condiviso il momento della cerimonia del nome Spirituale. Lenn sapeva che quell'evento avrebbe smosso qualcosa tra di loro; li aveva avvicinati pericolosamente, perché ogni volta che la guardava negli occhi sapeva che lo sguardo del Giglio era molto più morbido rispetto a prima; eppure c'era stato pure il tempo di incrinare i loro rapporti, come se dopo quel contatto inaspettato avessero bisogno di prendersi una pausa, come quando si rischia di affogare e una volta usciti si ha bisogno di riprendere fiato, prendendosi un momento lontani dall'acqua, a riflettere su quanto accaduto.
Ciononostante, per Lenn, Annah rimaneva il fiore di primavera più bello del cesto, nonché il più desiderato. Però non era semplice afferrarlo, come aveva colto la rosa che poi aveva regalato alla ragazza, appena un mese prima. A proposito di quel particolare dono, non l'aveva più rivisto in giro. Annah l'aveva cortesemente preso dalle sue mani e poi l'aveva ringraziato in modo altrettanto cortese; eppure la rosa per la fine della giornata era sparita nel nulla. Che la ragazza l'avesse buttata appena tornata a casa? Il pensiero lo addolorava, ma non le avrebbe chiesto nulla a riguardo, mai.
A salvarlo dal momento imbarazzante accanto ad Annah arrivò Jao, vestito di bianco, con i capelli mezzi sciolti e con una grande margherita afflosciata appuntata al petto. Era un nobile, eppure non aveva nulla di regale nel portamento o nell'aspetto, a differenza della sua migliore amica.
- Harù è pronto? - chiese alla Tigre.
- Sì, arriva subito. -
Annah si diresse verso il suo fidanzato, lo prese per le spalle e lo fece voltare a forza. Gli passò una mano tra i capelli castani, infastidita, per poi sfilare il laccio che li teneva fermi alla bell'e meglio e scioglierglieli. - Jao, se vuoi i capelli lunghi, li devi lavare più spesso. - gli disse – Non scherzavo quando la prima volta che ti ho rivisto ti ho detto che sembravi un barbone. Se non li tieni in modo decente, te li taglio mentre dormi. -
La ragazza gli lisciò i capelli con fare materno e glieli legò stretti, in modo che non scappassero a destra e a sinistra. Con i capelli legati a quel modo sembrava aver riacquistato l'aspetto che aveva quando Lenn l'aveva conosciuto, coi capelli ancora corti e ordinati.
Jao sbuffò con fare divertito, poi tirò indietro il laccio dei capelli per renderlo più molle e lasciare libera la chioma, e la Tigre tornò a sfoggiare la solita semovente criniera da leone.
Annah tentò ti riagguantarlo ma lui si svincolò e con un'altra risatina se ne tornò in casa. La ragazza si mise a braccia incrociate e sbuffò pure lei, solo che sembrava infastidita. Ma dopo aver conosciuto una parte più umana di Annah, Lenn cominciava a pensare che quel suo modo di fare scocciato, ansioso e maniacale fosse solo una facciata per tenere lontani gli altri, anzi, ne era sempre più convinto. Era una sorta di recita che mandava avanti da anni e di cui Jao era a conoscenza, per questo era più paziente con lei e non aveva remore nel farle i dispetti di tanto in tanto. Ma Lenn non poteva saperlo con certezza, forse era tutto nella sua testa, cercava di vedere la ragazza in modo più dolce solo perché provava attrazione per lei.
Jao uscì di nuovo fuori che trascinava Harù per una manica. L'Orso era nervoso e si vedeva, digrignava i denti ed era leggermente sudato.
- Se non ti muovi faremo tardi. - diceva la Tigre, - E tu non vuoi fare tardi, vero? -
- N-no, certo... - rispose l'amico, anche se non sembrava molto sicuro.
Lenn gli si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla. Gli tenne il braccio attorno alle spalle e lo condusse lungo la strada, mentre Chad e Rizo uscivano a loro volta di casa e li raggiungevano.
- Andrà tutto bene, Harù. Di che hai paura? Non ti ho mai visto spaventato. - disse il mezzelfo.
Harù gli rivolse un sorriso stentoreo. - Non lo so... Ansia da prestazione? -
Lenn sorrise a sua volta e cercò di ridere in modo affabile. Chissà se c'era riuscito. - Andiamo, è solo il primo turno del Torneo. Se quel casinista di Chad ce l'ha fatta, perché tu non dovresti passare? -
- Infatti! - disse il nero, per niente infastidito dall'affermazione di Lenn. - Hai visto che macello ho fatto la settimana scorsa. E Jao e Rizo hanno trovato avversari deboli, è andato tutto liscio. Te la caverai benissimo, sei troppo bravo. -
Harù annuì, ma non sembrava ancora convinto. - E se mi capitasse un Elfo come avversario? A voi non è successo. Ma io non voglio che mi capiti subito un avversario come Neruo. -
Lenn scosse la testa. - E' questo il problema? -
Harù annuì.
- Beh, Neruo non era un avversario poi molto forte. - disse, - Più che altro aveva dalla sua la testardaggine. Lui e le sue sorelle avevano un precedente con me, era una cosa personale. Non mi stupisce che si sia dato anima e corpo per battermi. Ma senza quel tipo di motivazione... Non so, a meno che non ti capiti un fanatico, dubito che troverai un avversario molto potente, almeno a questo punto della competizione. -
- Ascolta Lenn, c'ha ragione! E poi, se ti fai prendere dal panico, commetterai di sicuro degli errori, quindi rilassati. - aggiunse Chad.
Harù rimase in silenzio. I ragazzi continuavano ad avanzare e dirigersi verso il centro di Malias, alla fontana sotto cui c'era il passaggio per accedere all'arena. Conoscevano il percorso, perché l'avevano affrontato assieme già quattro volte, una per ogni incontro disputato fino ad allora. Ogni volta che percorrevano quella strada, però, le emozioni che li pervadevano erano differenti; Lenn ricordava l'esaltazione di Jao all'idea del suo primo incontro, la sicurezza di Rizo, che aveva vinto immediatamente, la voglia di mettersi alla prova di Chad. Ma il nervosismo di Harù, l'Orso placido, era stato del tutto inaspettato.
Il Coccodrillo diede una pacca sulla spalla al ragazzo dagli occhi azzurri, poi cercò lo sguardo di Lenn da dietro le spalle. Con il labiale disse qualcosa tipo: “lasciami parlare da solo con lui”, e il mezzelfo si affrettò a congedarsi con qualche parola e un sorriso, poi si staccò dai due e rallentò il passo per lasciarli andare più avanti.
Rallentò sempre di più, fino quasi a fermarsi, e gli passò accanto Rizo, che non lo degnò di uno sguardo, e poi Annah, che lo superò in fretta, per poi girarsi un istante a guardare cosa faceva. Jao lo sorpassò per prendere a braccetto la fidanzata e non lasciarla da sola con Rizo, cosa che lei odiava.
Così Lenn rimase a chiudere il gruppo, a qualche metro di distanza dagli altri, come al solito. A lui andava bene, trovava istintivo mettersi nella posizione di poter tenere sott'occhio tutti e non sentire gli occhi di nessuno puntati addosso. Gli dava sicurezza. E gli dava l'opportunità di osservare i comportamenti dei suoi amici quando non gli stavano attorno.
Notava la complicità che c'era tra Harù e Chad, che gli ricordava un po' la relazione che lui stesso aveva con Jao, anche se non confabulavano quanto loro. Vedeva Rizo nella sua baldanzosa camminata solitaria, indipendente e sicuro di sé, a suo agio nella solitudine esattamente come Lenn; almeno avevano qualcosa in comune. Non poteva fare a meno, inoltre, di invidiare Jao e la sua confidenza con Annah; i due chiacchieravano in modo fitto, con i visi vicini e un'aria d'intesa di cui lui non aveva mai avuto esperienza. Si volevano bene e si vedeva, e Annah con lui era completamente a suo agio, pareva serena come pochi quando pensava che nessuno la stesse osservando. Però Lenn la osservava, non poteva farne a meno. E immaginava gli sguardi di lei rivolti a sé, in un attimo di confidenza che non sarebbe mai appartenuto loro. Cominciava a invidiare Jao, perché lui godeva di quella compagnia che a lui veniva continuamente negata. Più il tempo passava, più non riusciva a sopportare quello stato delle cose.
Immerso in quei pensieri, non gli piacque affatto quando la Tigre si girò all'improvviso verso di lui, gli sorrise e si staccò da Annah per venirgli incontro. Cercò di scoraggiarlo con uno dei suoi sguardi più truci, ma l'amico gli si mise accanto imperterrito, con il suo solito sorriso divertito.
- Che hai? - esordì Jao.
- Niente. Perché? -
- Sei strano. Più del solito, voglio dire. -
Lenn scrollò le spalle e non rispose.
- Sei molto silenzioso, di recente. -
- Lo sai che lo sono sempre. -
- Sì, però avevo notato un certo miglioramento, ultimamente. Ti vedevo un po' più loquace. -
Lenn rivolse all'amico uno sguardo triste, ma non disse nulla.
Jao si fece più serio, e lo fissò col suo solito sguardo rassicurante, quello che rivolgeva ogni volta che doveva comunicare di aver capito l'antifona. - Hai rinunciato, insomma. -
Lenn annuì. Poi scrollò di nuovo le spalle. - Non ce la faccio. -
Il mezzelfo riusciva a percepire gli occhi di Jao puntati su di lui anche se non lo guardava, poteva percepire il movimento delle sue pupille mentre lo squadravano da capo a piedi nel tentativo di carpire qualche messaggio dalla sua postura, dalla sua espressione, oppure dalla camminata. Però Lenn lo ignorava e fissava un punto davanti a sé che poi scivolò pian piano verso destra, fino a incontrare la schiena di Annah. La ragazza camminava a passo tranquillo vicino ad Harù e Chad, ignara del desiderio che bruciava nel petto del ragazzo a pochi passi dietro di lei.
- Non capisco... Mi sembrava che stessi imparando ad aprirti. Ti vedevo più tranquillo, chiacchieravi di più. -
- Beh, era una finta. - gli rispose in modo brusco Lenn. Scosse la testa. Non aveva voluto suonare tanto aspro.
Jao rimase in silenzio per qualche secondo, forse stava rielaborando alcune informazioni. - ...Che intendi dire? -
Lenn digrignò i denti. - Quello non ero io, Jao. - gli rispose, sempre senza guardarlo. La sua voce suonò meno arrabbiata, come aveva voluto, e gli tornarono alla mente i momenti passati con Annah appena un mese prima, quelli in cui lei le diceva di volerlo vedere per quello che era, che doveva essere se stesso. Doveva essere Lenn Ryzard, nessun altro. E Lenn Ryzard non ce la faceva a sostenere una conversazione per più di cinque minuti senza sentirsi a disagio, non ancora.
- Io... Io... -
Non era facile tirare fuori le parole giuste. Jao era bravo a capire i suoi silenzi, ma non ancora così tanto da poter evitare completamente le parole. Di tutte le persone che aveva conosciuto, solo Lia era riuscita a capirlo così bene da non dover quasi mai parlargli per capire come si sentisse. L'assenza di quel tipo di tacita comunicazione e intesa lo frustrava molto più in quel periodo che in passato, ora che aveva capito cosa voleva dire legarsi a una persona e aver bisogno di essere veramente compreso da essa.
- Io ho provato a imitarvi. A essere gentile, a sorridere, a dare qualche pacca sulla spalla. Ma non mi viene naturale. Ogni singola parola, ogni gesto o reazione è calcolato. Devo fermarmi a pensare cosa sia conveniente e cosa non lo potrebbe essere. Ma io non ce la faccio più. E' faticoso, e non sono io. -
Jao rimase in silenzio. Si limitò a distanziarsi leggermente da lui, come per dargli più spazio, più respiro. Lenn apprezzò quel gesto.
- Mi sento stupido. - continuò il mezzelfo, - E mi sento frustrato. Perché io ce la metto tutta, ma gli altri non sembrano voler più venirmi incontro. Credono che io sia cambiato, ma non capiscono che non è vero. E io odio dover esplicitare ogni mio singolo pensiero per poter comunicare con loro, odio rendere tutto così palese. Mi fa sembrare stupido ed elementare tutto ciò che provo. Le parole sono così riduttive. -
A quel punto Lenn si voltò verso la Tigre e vide che il suo amico era diventato la maschera della serietà.
- Loro non sono come te, Jao. - disse. - Tu capisci cosa provo, vero? -
Jao chiuse gli occhi per un attimo, sospirò e poi tornò a guardarlo. - Credo di capire, sì. -
- Tu sei venuto qui sapendo già che qualcosa non andava. Chad e Harù non lo pensano nemmeno. -
Jao annuì.
Lenn si sentì un po' più sollevato. Sospirò. C'erano cose che davvero andavano dette, per sentirsi meglio.
- Ho cominciato a nutrire qualche sospetto quando sei tornato a rispondermi con dei “hm-mh” per dire sì e dei grugniti per dire no. - disse la Tigre, sogghignando.
Lenn accennò un sorriso. Il momento di tensione stava già scemando.
- Sai essere un brontolone dei più pesanti, quando ti ci metti. -
- Grazie, ce la metto tutta. -
Ci fu una breve pausa. Lenn camminava in mezzo a tante persone dai corpi e le voci vibranti, ma sentiva solo silenzio.
- Comunque, non vorrei prendere tutta la gloria per me: non sono l'unico che ha notato il tuo cambiamento. - riprese Jao, in tono decisamente più leggero.
Lenn gli rivolse uno sguardo perplesso. - No? E chi altri? -
Jao gli rivolse uno strano sorriso e indicò un punto davanti a sé con l'indice. - Quella ragazza laggiù. -
Il mezzelfo non ebbe nemmeno bisogno di voltare la testa per seguire il dito, perché il suo sguardo s'era posato di nuovo su di Annah da molto prima che Jao la indicasse.
- Lei mi ha fatto notare che ti sei rabbuiato poco dopo la cerimonia del tuo nome Spirituale. - disse la Tigre.
Ovvio. Era stata Annah stessa a suggerirgli di cambiare comportamento, per seguire al meglio la sua natura e smetterla di fare il ragazzo affabile, che tanto non gli riusciva per niente.
- E' successo qualcosa, quel giorno. -
Lenn s'irrigidì. Quella di Jao non era nemmeno una domanda. Era un'affermazione, e di quelle convinte, per giunta.
- Cosa te lo fa pensare? - domandò con tutta la calma che riuscì a simulare.
Jao sbuffò, tra il divertito e l'impaziente. - Il fatto che i miei due amici, di cui una conosco come le mie tasche, dal mal sopportarsi sono passati a un cortese distacco. E questa non è per forza una cosa buona. -
- E che cos'è, secondo te? -
Jao spalancò le braccia. - Vorrei proprio farmi un'idea, ma non ci riesco bene. E' come se adesso tu non le stessi più sulle palle; infatti con te è cortese come lo è con gli altri, più o meno. Solo che non ti parla, e questo è strano. Ci vorrei capire qualcosa, perché a vostro modo siete entrambi strani, in questo periodo. Lei però non mi dice niente. E tu, hai qualcosa da dirmi? -
Lenn gli sorrise, suo malgrado. - No, niente di niente. -
- Oh, andiamo! - fece Jao, - Non è che state tramando qualcosa, voi due? -
- Ma che dici? - rispose Lenn, e sentì il viso scaldarsi, forse non così tanto da arrossire. - Credimi, non è niente di particolarmente catastrofico. E' solo che... -
Lenn si interruppe un momento, a riflettere. Come rispondere in modo che Jao sentisse la sua curiosità placata, senza finire la conversazione con una tragica quanto patetica confessione d'amore per sé nei confronti di Annah? Quel giorno sentiva di averla amata come mai prima d'allora, e in cuor suo sperava che anche lei provasse la stessa cosa, anche se non era probabile. Però non voleva mentire al suo amico. Odiava mentire, farlo non portava mai a cose buone.
Decise di portarsi teatralmente una mano dietro la schiena, appena sotto al collo, e i polpastrelli trovarono subito il rilievo sulla sua pelle che formava il cerchio in cui erano racchiusi i caratteri che formavano la parola “Ryzard” in Elfico.
- ...Lei è un po' come te. - disse alla fine.
Jao per un attimo sembrò non capire. Aggrottò la fronte e arricciò il naso, concentrato, forse intento ad afferrare una particolare intuizione. Poi sembrò arrivare a una conclusione, e la sua bocca formò una “O” quasi perfetta.
Lo Stregone gli si avvicinò il più possibile. La voce gli uscì fuori dalla bocca in un sussurro: - E quindi è stata lei a...? -
Lenn lo guardò negli occhi per qualche istante, poi si decise ad annuire.
- E come mai hai accettato? -
Il mezzelfo scrollò le spalle per l'ennesima volta. - Mi aveva capito. -
Jao gli si allontanò di nuovo, questa volta con un sorriso compiaciuto disegnato in faccia. - Ora capisco un paio di cosette... Un po' estremi, voi due, eh? Ci sono così tanti modi per fare amicizia! Si coltivano le stesse passioni, si dice qualche battuta, si fa qualche passeggiata... -
- Ci si prende a schiaffi, si tenta di piantare una spada nel cranio dell'altro... Gli Dèi si divertono a farmi conoscere le persone in modo strambo e poi me le fanno diventare amiche, ma ci sto facendo l'abitudine. - ribatté il mezzelfo, divertito.
Jao si strinse nelle spalle e tirò fuori un sorriso incerto, forse ricordando il giorno in cui si erano conosciuti. Poi scosse la testa, come per cacciare via i ricordi.
- Comunque... - riprese con cipiglio la Tigre, - Tu e Annah non avete la minima idea di come relazionarvi con le persone. Siete davvero scarsi, sotto quel punto di vista. Infatti avete bruciato così tante tappe che ora vi comportate in modo stupido tra di voi. -
- Ehi. -
- Non negarlo. - rispose Jao, tranquillo.
Lenn aggrottò la fronte, infastidito. - Lei non si fa avvicinare. -
- Nemmeno tu. -
Lenn tacque.
- Sul serio, dovreste vedervi per capire davvero cosa sta succedendo. Si vede che tuo malgrado le vuoi parlare. E io lei la conosco benissimo, c'è qualcosa che la turba. In generale, è strana più di te. Trovo insolito il fatto che... Insomma, abbia voluto fare assieme a te la cerimonia Spirituale. Io sono il suo migliore amico, e se le chiedessi di fare la stessa cosa per me, rifiuterebbe di sicuro. -
Il mezzelfo, suo malgrado, rimase in silenzio. Un silenzio che poteva benissimo essere male interpretato, ma non sapeva cosa dire.
- Che io sappia, Annah è disposta a fare qualunque cosa solo per un motivo: saldare un debito. Lei odia visceralmente dovere qualcosa a qualcuno. -
Lenn questa volta annuì. - Me ne sono accorto. -
Jao lo scrutò a lungo. Quella conversazione non era casuale; l'amico era venuto con l'intenzione di indagare su un paio di cose, e non lo nascondeva.
- Mi hai detto che non sapevi le formule per evocare uno Spirito e te le sei andate a cercare in biblioteca. Io penso che sia stata lei a dirtele. E' così? -
Lenn rifletté per un istante. Ci pensò su, ma non trovò motivi per mentire. Non ancora. - Sì, è vero. Io non avevo la minima idea che si dovesse fare un rito del genere, figurati. Non me l'aveva mai detto nessuno. -
- Io davo per scontato che sapessi del secondo nome. Tutti gli Stregoni lo sanno. - rispose Jao, questa volta in un tono che sembrava un po' di scuse.
Lenn gli sorrise in modo rassicurante. - E' normale che tu l'abbia pensato. -
Seguirono altri momenti di silenzio. Jao sembrava attendere che Lenn aggiungesse qualcosa, ma il mezzelfo aveva deciso di rimanere muto come una tomba. Non avrebbe detto nulla di più di quello che l'amico gli avrebbe chiesto.
- E quindi? Aveva un debito nei tuoi confronti? - insisté l'amico.
Lenn emise un gemito infastidito.
- Ah, ho azzeccato. Embè, che tipo di debito era? -
Il mezzelfo emise un altro gemito. Rivide davanti a sé Annah, gli sembrò di percepire di nuovo la sua mano poggiata sul petto. Ricordava il discorso che gli aveva fatto, che si sentiva ancora in debito con lui per averla salvata dallo stupratore. Così gli tornò in mente quel giorno spiacevole. Per lui era una mattinata come tutte le altre, anche se era turbato dalla notte prima, in cui aveva rivelato per sbaglio alla ragazza la sua natura da mezzelfo. Però aveva deciso di non pensarci su, e aveva passato la mattina ad auto disciplinarsi, una cosa di cui sentiva l'impellente bisogno, di tanto in tanto. Girava per i tetti delle case e cercava di saltare da un edificio all'altro, spingendosi sempre più lontano e andando sempre più veloce. Poi si era messo ad addestrarsi nel gestire l'attenzione: sceglieva l'aura di un passante e cercava di starle dietro senza confondere la persona con le altre che affollavano la strada, per poi provare a percepire aure sempre più deboli e difficili da seguire.
Lo Stregone che stava pedinando in quel momento passò vicino all'imboccatura del vicolo in cui Annah era stata trascinata da quell'energumeno di cui non ricordava il volto, ma che avrebbe saputo riconoscere subito a causa della mancanza di un pezzo dell'orecchio sinistro, di cui si era sbarazzato personalmente.
Non ci aveva visto più. La visione di quell'uomo grande e grosso che attaccava una donna lo avrebbe fatto arrabbiare già di per sé, ma se quella donna era Annah, allora doveva pagarla cara. Il pensiero di un secondo fine nel suo salvataggio non l'aveva nemmeno sfiorato, non voleva apparire migliore agli occhi di lei, né entrare nelle sue grazie. Aveva semplicemente avuto l'impulso di agire nel modo più violento possibile quando lo sconosciuto aveva incominciato a palpeggiarla e umiliarla. L'avrebbe anche ucciso, ma era riuscito a ricordarsi la promessa che aveva fatto a se stesso, di usare la sua spada per far fermare il cuore di un solo uomo al mondo, e non era quello lì.
Aveva detto ad Annah di non volere nulla in cambio di quel gesto, ma a quanto pare lei non sopportava l'idea di sentirsi debitrice.
- Ho fatto qualcosa per lei, una volta. - disse finalmente, rimanendo vago.
- E cosa? - incalzò Jao, che sembrava sentirsi vittorioso per aver di nuovo avuto la deduzione giusta.
Lenn scosse la testa. - Non te lo posso dire. -
L'amico sembrò rimanerci male. - Perché? -
Il mezzelfo ricordò la ragazza appena tratta in salvo mentre tremava dalla testa ai piedi, poggiata al muro sudicio di quel vicolo. Si ricordò di quando gli aveva intimato di non fare parola con Jao dell'accaduto, altrimenti non sarebbe stata più libera di fare niente, cosa che probabilmente le era accaduto spesso. Non l'avrebbe mai tradita. Se lei voleva così, lui non avrebbe detto niente di niente.
- Le ho promesso di non aprire bocca. -
- Addirittura? -
Lenn annuì.
Jao rimase un attimo in silenzio, poi disse: - Credo di essermi perso qualcosa di importante. -
- Abbastanza. -
- Ma dov'ero io? -
- Non lo so. Di sicuro non con noi. -
- Mi chiedo cosa sia mai successo di così segreto, e che poi abbia portato a un regolamento di conti così particolare. - sembrò rimuginare, - Non mi dai nemmeno un indizio? -
Lenn scosse la testa più volte. - No. Io non ho intenzione di dire niente che lei non voglia far sapere. Semmai chiedilo a lei. Ma fai finta di intuire la cosa sul momento, altrimenti capirà che sono stato io a metterti la pulce nell'orecchio. -
Jao annuì. - E' strano, però. Non vi facevo così intimi. -
- Infatti non lo siamo. - ci tenne a specificare Lenn, infastidito. - E' stato uno scambio d'aiuto, niente di più. -
E solo gli Dèi sapevano quanto lui desiderasse che in realtà le cose non stessero così.
- E, come vedi, adesso che siamo pari non abbiamo più niente da dirci. - aggiunse, questa volta con una punta d'amarezza.
Detto questo, i due non parlarono più. Del resto, Lenn non avrebbe detto più niente. Non gli piaceva quella conversazione e aveva già parlato troppo.
Jao affrettò il passo, lo superò e prima di andarsene si voltò e gli disse: - Indagherò più avanti. Intanto cerca di non fare troppo il musone. -
Lenn si sforzò di sorridere. - Va bene. -
Soddisfatto, la Tigre si voltò e raggiunse di nuovo Annah, che lo accolse con un sorriso e una domanda che Lenn non sentì.
Da parte sua, il mezzelfo si tenne ancora più a distanza. Quando raggiunse la fontana al centro di Malias, spostata e con il passaggio sotterraneo in bella vista, i suoi amici erano lì ad aspettarlo, ma passò loro accanto come se non ci fossero stati.


Una volta augurata buona fortuna ad Harù, i ragazzi erano usciti dallo spogliatoio e si erano diretti verso gli spalti. Chad aveva corso per arrivare ad occupare i posti in prima fila, appena dietro il parapetto che divideva il pubblico dall'arena. Era uno dei posti più pericolosi, però era anche il più ambito. Niente appagava gli spettatori più della visione del sangue che schizzava dalle ferite a distanza così ravvicinata, o l'odore del sudore e della terra che arrivavano a zaffate inebrianti.
I ragazzi però avevano voluto mettersi proprio lì per poter essere abbastanza vicini ad Harù e potergli gridare dei consigli durante lo scontro e avere la speranza di essere uditi. Non era contro le regole; l'unica cosa severamente vietata era scavalcare il parapetto ed entrare in campo, pena l'espulsione dell'intruso, più qualche botta da parte delle Guardie, ed erano quelle che bisognava davvero temere.
Per la possibilità che qualcuno potesse intervenire con la magia durante l'incontro non c'era alcun rischio, dato che chiunque volesse entrare nell'arena doveva obbligatoriamente farsi mettere al polso il bracciale inibitorio. Braccialetti ai quali erano legati zanne o artigli di Arcano, poi sigillati con un nodo incantato da una semplicissima magia di frizione che stringeva i legacci così forte da non poter essere sciolti dalla sola forza fisica. L'aura emanata dai monili era fastidiosa e refrattaria a qualunque tipo di forza, spirituale, mentale o fisica che fosse. Solo chi non indossava i bracciali era in grado di rimuoverli, perché non a stretto contatto con le zanne Arcane.
Ogni volta che glielo mettevano, Lenn cominciava a tirarlo dal nervoso, finché l'incontro non finiva e poteva andare a liberarsene. Un artiglio di Arcano bastava a bloccare i poteri, e ne fu grato, perché un completo corredo di denti in un solo bracciale sarebbe stato quasi fatale, avrebbe respinto i suoi poteri con molta più intensità, facendo disperdere tutta la sua energia vitale fuori dal corpo.
Era rimasto di nuovo indietro, troppo intento a maledire il polso legato e che prudeva sempre di più.
Chad fu il primo a prendere posto, seguito da Rizo, che gli si sedette a fianco. Jao fu il terzo. La Tigre si voltò verso di lui e gli rivolse un sorriso dispettoso. Era la prima volta che si sedeva in modo da avere un posto a lato occupato da qualcuno che non fosse Annah o il mezzelfo.
Così il Giglio non batté ciglio e si sedette nell'unico posto libero accanto al fidanzato. Lenn rimase in piedi, esitante, guardando con astio il posto disponibile di fianco alla ragazza.
Jao di solito lasciava che i suoi due amici si mettessero al suo fianco, pur di stare assieme a lui e allo stesso tempo separati tra loro. Oggi invece lo Stregone aveva deciso di fargli dispetto e obbligarlo a mettersi vicino ad Annah.
Lenn lo guardò e gli mandò un messaggio muto, ma dal labiale ben chiaro: - Bastardo. -
La Tigre ridacchiò, soddisfatta.
Il mezzelfo a quel punto tirò un sospiro rassegnato e si sedette nell'unico posto libero che rimaneva. Ci mancava solo che qualcuno avesse fatto una corsa per infilarsi lì prima di lui, lasciandolo in piedi.
Non si accomodò, rimase con la schiena rigida mentre si voltava verso la ragazza. Lei incontrò il suo sguardo e gli rivolse un sorriso di circostanza, poi tornò a voltarsi verso l'area adibita al combattimento.
Lenn poggiò le mani sulle ginocchia in modo da non rischiare di sfiorarla con le braccia. Non si sentiva in vena di alcun contatto fisico, si sarebbe sentito solo più infastidito e a disagio, e l'aura pulsante irradiata dal bracciale stava già provvedendo abbastanza bene ad ampliare le sue percezioni negative.
Il suono del corno che annunciava l'entrata degli sfidanti e dell'arbitro in campo lo salvò, invitandolo a spostare la sua attenzione altrove.
Alla sua sinistra c'era Harù che avanzava verso il centro del campo, munito di paramenti color blu e maschera, com'era stato per Lenn per il suo primo incontro; la camminata era molto rigida e lo faceva sembrare ancora più goffo di quanto la sua stazza lo facesse sembrare. Lenn pensò che non avrebbe mai avuto paura di un avversario che gli si fosse presentato in quella maniera prima di un incontro.
Il mezzelfo spostò lo sguardo sull'altro uomo in campo oltre all'amico e all'arbitro, lo Stregone in rosso. Non era molto alto, aveva braccia e gambe sottilissime e di corporatura in generale era esile. Harù avrebbe potuto stritolarlo, se solo fosse stato consapevole della sua forza e si fosse deciso a mollare i suoi dannati coltelli. Aveva una gran mira, ma avrebbe gestito la situazione molto più facilmente se si fosse procurato un mazzafrusto o roba del genere e avesse imparato ad usarlo come si doveva. Ce lo vedeva bene anche con un paio di tirapugni, spesso usati dai Guerrieri.
I due Stregoni avanzarono fino a fronteggiarsi, poi l'arbitro cominciò il suo sproloquio sui Clan di appartenenza degli sfidanti. Uno portava nel sangue la forza di uno degli animali più potenti delle foreste, l'altro a quanto pareva era in grado di far librare in alto il proprio Spirito come l'animale che rappresentava il suo Clan.
Lenn cercò una posizione più comoda, invano. Odiava quei giri di parole.
Ma finalmente arrivò il momento di togliere le maschere. L'arbitro se la svignò e lo Stregone sconosciuto mostrò il suo volto.
All'inizio quella faccia non gli disse niente. L'aveva già vista, ma era piuttosto anonima. Gli unici particolari rilevanti che poté notare da quella distanza furono il colore della pelle olivastra e i sottili baffi adesi alle labbra, quasi disegnaticisi sopra. Che fosse Umano non v'erano dubbi, infatti aveva le orecchie tonde e non poteva essere scambiato per un Elfo nemmeno per sbaglio; forse per un eunuco, quello sì.
Il suo interiore campanello d'allarme suonò quando vide la reazione di Harù. L'Orso era sbiancato e fissava in modo insistente il nemico; quest'ultimo sembrava non riuscire a decifrare la reazione del ragazzo, così come non ci riusciva Lenn.
Fu in quel momento che sentì la voce di Jao chiamarlo, e sembrava preoccupato. - Lenn, hai visto...? -
- Malias! - esordì la voce profonda del re Kaloshi, - I pretendenti al trono che si scontreranno oggi sono Harù del Clan dell'Orso e Maimed del Clan dell'Aquila! -
Lenn sentì il nome e il suo cervello cominciò a lavorare. “Maimed, Maimed... L'Aquila. L'ho già vista un'aquila... Dove?
Jao si sporse verso di lui e gli poggiò una mano sul ginocchio. - Lenn, lo Stregone Oscuro! -
- Oh cazzo, è vero! -
Finalmente ricordava, e si diede dello stupido per non aver riconosciuto subito lo Stregone che aveva incontrato nella foresta appena un anno prima.
Si era completamente dimenticato di lui perché quel giorno aveva lasciato più il segno l'incontro avuto col suo amico Demone, di cui ricordava ancora il nome: Arshkad. E anche Harù di sicuro non l'aveva affatto dimenticato. Non con la reazione che aveva avuto.
- Di tutti quelli che potevano capitare, proprio lui! - commentò Chad poco distante.
Lenn vide Annah sbattere più volte le palpebre e aggrottare la fronte. - Di che parlate? Potrei esserne messa a parte? -
Il mezzelfo rivolse la parola alla ragazza con improvviso trasporto: - Circa un anno fa, cademmo in una trappola messa su da quel tizio. Combattemmo contro di lui e il suo schifoso Demone per liberarci. -
- Per liberarci! - sbottò Jao, - Potevamo già svignarcela una volta abbattuto il Demone. Se ora quello Stregone è incazzato è perché c'hai tanto tenuto a sfidarlo e umiliarlo. -
Annah, che ora ruotava la testa in continuazione per passare da un ragazzo all'altro, sembrava sempre più confusa. - Hai sfidato uno Stregone Oscuro?! - chiese a Lenn, stupita.
Il ragazzo fece un sorriso poco convinto, poi scrollò le spalle. - Mah, non è stato difficile. Ti ricordo che lo sono anche io. -
- Bla bla bla, arie. - commentò Jao. - Ancora un po' e diventavi cieco. Non ti sopravvalutare, stiamo parlando pur sempre di magia nera. Quella logora l'anima di chiunque. -
Annah guardò Lenn, con un acceso interesse che raramente rivolgeva a lui. - Di che parla? -
Il mezzelfo si limitò a toccarsi la guancia destra, dove c'era il suo vecchio sfregio.
- Mi sono visto arrivare la sua spada dritto in faccia e per poco non mi ha cavato via l'occhio. -
- Ma come fai a dimenticarti la faccia di chi ti ha fatto una cosa del genere? - domandò Annah, sempre più accigliata. Era raro vederla così confusa, tanto da tenere la bocca semichiusa, nel tentativo di trattenere un'espressione di genuino stupore.
- Sono accadute cose peggiori, quel giorno. Altro che sfregi. -
- Oh cazzo, è iniziato! - esclamò a un certo punto Jao.
Lenn spostò l'attenzione subito sull'arena. Vide Harù saltare all'indietro e prendere distanza dall'avversario; l'Orso armeggiava in modo frenetico coi coltelli, preparandoli al lancio.
Maimed aveva già sguainato la sua spada e l'aveva illuminata con la luce nera e violacea della magia Oscura.
Il primo ad attaccare fu Harù, che lanciò due dei suoi coltelli, caricandoli di magia bianca.
Fu una mossa fiacca e prevedibile, che venne resa vacua da uno scudo nero invocato dallo Stregone avversario.
L'Orso fece in gesto con la mano accompagnato da una formula, e le sue armi tornarono indietro in volo; lui le afferrò mentre roteavano senza esitare. Lenn riconobbe quella mossa, perché aveva vista usarla anche da Jao, e probabilmente era stata proprio la Tigre a insegnargliela.
- Avanti Harù, sei più forte di lui! - sbraitò Chad dal suo posto. Ma la sua voce si confondeva con quelle di tutti gli altri tifosi e di sicuro il combattente non la udì.
Maimed corse verso Harù e appena gli fu a pochi passi di distanza tentò un affondo. L'Orso schivò con un salto all'indietro e rispose lanciando un altro coltello diretto alla testa.
Maimed evocò un altro scudo che poi fece scomparire per poter avanzare e tornare a colpire con la spada.
Harù evocò uno scudo a sua volta, ma lo Stregone Oscuro non se ne preoccupò; sollevò la lama oltre la testa e la calò con forza sulla cupola magica, che continuava ad apparire intatta. Lo Stregone sollevò di nuovo la spada per poi farla calare ancora e ancora; ogni tanto qualche guizzo di magia si staccava dalla parete incantata e andava a volatilizzarsi nell'aria, ma erano perdite minime.
Intanto l'Orso s'era ripreso e, mentre l'avversario scaricava quella che sembrava ira repressa, sembrava essersi deciso a svegliarsi e passare all'azione. La sua bocca si muoveva velocemente mentre formulava un nuovo incantesimo.
Saper farsi venire in mente una buona strategia di battaglia e poi ricordarsi le parole giuste per metterla in atto con la magia doveva essere un processo lungo e frustrante, pensò Lenn. Lui non sarebbe mai riuscito a sopportare una cosa del genere.
Ma Harù aveva dentro sé un nuovo contegno e una nuova decisione e quindi il mezzelfo non si stupì quando fece svanire senza esitazione lo scudo e i suoi coltelli cominciarono a volteggiare nell'aria. Maimed indietreggiò per non venir ferito dalle lame. Prima che potesse fare alcun che i coltelli rotearono in modo da formare una forma ovale che si piazzò proprio davanti all'Aquila, per poi emettere una luce propria che invase la forma che inscrivevano ad alta velocità. La luce si trasformò in acqua e fuoriuscì dalla propria cornice per investire il nemico. Il getto d'acqua si rivelò più potente di quanto si potesse immaginare, e Maimed fu scagliato a vari metri di distanza, vicino al parapetto da cui Lenn e gli altri si sporgevano per gridare incitazioni e insulti.
Bagnato fradicio, Maimed si rimise in piedi, più stordito che altro, a giudicare da come barcollava.
Nel rialzarsi però aveva dimostrato una precisione disarmante quando aveva puntato lo sguardo direttamente sul loro gruppo.
Lenn gli restituì un'espressione arcigna.
- Oh, - fece lo Stregone Oscuro. - Siete tutti qui. -
Si ricordava di loro.
Per un attimo tra di loro scorse una strana energia ostile.
Poi Maimed fu buttato a terra di faccia da Harù, dopo averlo caricato come un toro imbufalito.
Lo Stregone nero si afflosciò sotto il suo peso, e l'Orso gli si mise cavalcioni. Dopodiché lo afferrò per le spalle e lo fece roteare su se stesso con la facilità con cui si gira una bambola. Orso e Aquila incrociarono lo sguardo.
Poi Harù tirò un manrovescio che gli fece schizzare il sangue dal naso, che andò a colorare di rosso la sabbia.
- Questo, brutta merda, è per avermi scagliato contro quel Demone di merda! - gridò l'Orso.
Non gli diede nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo, perché fece calare l'altro pugno e si sentì il sonoro scricchiolio delle nocche contro la mascella.
- Questo è per Lenn, ché l'hai quasi ucciso! -
Il mezzelfo a quelle parole s'irrigidì sul posto e Annah gli rivolse una delle sue occhiate. La ragazza tornò a guardare il pestaggio quando sentì il suono del terzo pugno.
- E questo è per tutti noi e per i poveracci che hai dato in pasto a quel mostro! -
Le facce di entrambi erano completamente rosse, chi per i pugni, chi per la rabbia.
Lenn non aveva mai visto Harù così arrabbiato. I suoi occhi erano due pezzi di ghiaccio fissi sull'avversario. Non sembrava più temere chi gli stava davanti, forse perché i ricordi dell'incontro con Arshkad erano distanti quanto intensi, più di qualsiasi altra emozione avrebbe forse mai provato. Lenn sapeva di che si trattava, ne aveva avuto esperienza. Sentirsi l'anima violata, rimescolata e rivoltata era la sensazione peggiore che uno Stregone potesse provare, soprattutto quel momento in cui percepisci la tua essenza mentre viene tirata così tanto da rischiare di essere strappata.
Con la differenza che Lenn aveva sperimentato tipi di tortura simili in precedenza, Harù no. Essere posseduto da Arshkad lo aveva segnato a vita, e i suoi lamenti nel sonno non erano altro che la parte che traspariva agli occhi degli altri, i segni minori del disagio.
Finiti i motivi per vendicarsi, Harù smise di gridare e si limitò a riempire di pugni l'uomo che gli stava sotto.
Ogni rumore di ossa fratturate, schizzi di sangue o lamento emesso da Maimed era chiaramente udibile. L'intero stadio s'era chetato e rimaneva attonito di fronte a quello sfoggio di violenza ben poco teatrale. Non si divertiva più nessuno. Il disagio aleggiava tutt'attorno ai combattenti.
Fu Chad a porre fine a quelle sevizie. - Harù! - esclamò.
L'Orso, come comandato da una forza misteriosa, s'interruppe appena udì la voce dell'amico. Alzò lo sguardo e lo guardò, sorpreso per essere stato interrotto e ancora intontito per essere uscito improvvisamente dal suo stato di grande concentrazione.
- Amico, lo stai uccidendo! - disse il nero.
- Eh? -
Harù lo fissò ancora per qualche secondo, poi abbassò lo sguardo. Emise un gemito di sorpresa e spavento quando vide il volto tumefatto e si rese conto di cosa stesse facendo davvero.
L'Orso sollevò le mani insanguinate e lese, nel gesto di allontanarle il più possibile da Maimed.
- C-che devo fare? - domandò, nella voce una punta di panico.
Chad si alzò dal suo posto e si poggiò alla balaustra. - Chiedigli se si arrende. E' il minimo. -
Harù fece una smorfia, come se fosse stato facile per Maimed dare una risposta, ridotto com'era.
Lo guardò con sguardo colpevole. - Ti... Ti... Ti arrendi? -
A quel punto lo Stregone aprì la bocca e mosse le labbra a una velocità tale che rese incomprensibile decifrare alcun che, e la voce era un sussurro. Quando però la frase sembrò tirare troppo per le lunghe per essere una semplice dichiarazione di resa, tutti i ragazzi sollevarono lo sguardo dal suo viso e si guardarono attorno.
Jao fu il primo a capire. - Harù, attento! -
Un sibilo riempì l'aria, poi il rumore improvviso e strascicato, che aveva la consistenza dell'acqua quando viene colpita da un oggetto. Solo che non si vide una goccia d'acqua schiantarsi da nessuna parte. Il parapetto venne colorato da uno spruzzo rosso.
Un attimo, e dallo stomaco di Harù uscì la punta di una lama, la spada di Maimed. La giubba e la camicia di flanella sotto si tinsero di rosso a vista d'occhio.
Qualcuno gridò.
L'Orso rimase immobile per qualche istante, gli occhi spalancati. Poi il ragazzo s'afflosciò e cadde steso su di un fianco.
- Harù! - Lenn si alzò in piedi e fece per scavalcare il parapetto, ma sentì una stretta al braccio che lo fece esitare.
Era Annah, e gli stringeva il braccio fino a farglielo sbiancare. Lo trapassò con uno sguardo freddo e severo.
- Fermo. - gli disse, - Sono entrambi a terra, ma nessuno ha dichiarato la resa. Se entri nell'arena, verrai espulso. -
Detto questo, la ragazza mollò la presa, e il mezzelfo non mosse un muscolo. Puntò lo sguardo su Harù e lo vide contorcersi e piangere per il dolore causato dalla spada. Sentì l'anima rattrappirsi a quella visione.
Maimed intanto sghignazzava nonostante le labbra spaccate e le guance gonfie. Suonava soddisfatto del risultato ottenuto. Fu solo dopo l'ultima gorgogliante risata che sibilò: - Stupidi ragazzini. -
A quel punto giunse anche l'arbitro e il suo turbante colorato, annunciato dallo scalpicciare dei suoi piccoli e veloci passi.
Lo Stregone Oscuro emise un lamento, poi finalmente disse: - Mi arrendo. -
Lenn si voltò a guardarlo, ma solo per rivolgergli uno sguardo truce.
L'arbitro sollevò entrambe le braccia. - L'incontro è finito! Vince Harù del Clan dell'Orso! -
Si alzò il boato di rito della folla che accompagnava sempre la fine di un incontro, anche se le grida erano meno esaltate del solito.
Lenn non aspettò un secondo di più e scavalcò il muretto assieme agli altri. In un momento furono attorno al loro amico ferito.
Il povero Harù appariva pallido come un cencio e soprattutto era spaventato. Gli si leggeva in volto che era terrorizzato per essere stato ferito così gravemente. Non gli era mai capitato.
- Bisogna estrarre la spada da lì! - disse il mezzelfo perentorio.
Questa volta fu Jao a bloccarlo prima che le sue mani potessero afferrare la lama. - Fermo. - disse la Tigre, enfatizzando il gesto, - Se la estrai il sangue uscirà a fiotti, e gli Stregoni guaritori non sono ancora arrivati. -
- Me ne frego delle Sanguisughe, lo voglio guarire io. -
Jao storse il naso. - Non è il tuo compito. -
- Forse non lo è, ma saprei cavarmela meglio. - rispose con ripicca. Poi gli fece un cenno con la testa. - Guarda se arrivano. -
Jao lo assecondò e si mise in piedi per guardarsi attorno. Due uomini avanzavano svelti, ma senza troppo allarme, nella loro direzione.
- Ci sono. - disse.
- E sono Umani? -
Jao esitò un momento, ma non perché non riusciva a vedere le orecchie degli estranei. - Sì. - confermò.
- E allora vaffanculo, non riusciranno mai a gestire abbastanza energia per guarirlo come si deve. E' un bello squarcio, questo. Roba da Elfi. E gli Elfi non guariscono gli Umani. -
La Tigre si riaccucciò al suo fianco. - E allora? Vuoi prodigarti? Nemmeno tu se un Elfo. -
A Lenn diede fastidio quella puntualizzazione. Ma con aria di sfida non staccò lo sguardo da Jao; si limitò a pensare alla spada che si muoveva, e alla sua sinistra avvertì i gemiti di Harù mentre la lama lo trapassava in senso inverso per poi scivolare fuori dal suo corpo.
A quel punto il mezzelfo rivolse completamente la sua attenzione sul ferito e gli poggiò le mani sullo stomaco. Emise un sospiro e poi fece fluire l'energia vitale da un corpo all'altro.
- Gli Umani hanno bisogno di formulare incantesimi complicati per poter trarre dai loro corpi l'energia vitale, e spesso non basta. Io ne ho pieno controllo e ne posso far defluire quanta ne voglio, senza vincoli. Le parole non esprimono le cose bene come le intendiamo. -
Jao non protestò e gli si mise accanto, poi gli posò una mano sulla spalla. - Non fare tutto di testa tua. Se hai bisogno di più forze, prendile da me. -, e da quel momento il ragazzo rimase immobile, in attesa.
Lenn cominciò a far defluire le sue energie dal suo corpo a quello di Harù, e dei flussi di luce azzurra gli avvolsero le braccia, per poi scendere e entrare nel corpo dell'Orso.
Rizo a quel punto si alzò in piedi. - Vado a placcare le Sanguisughe. Li convincerò che Maimed è messo peggio. -
Detto questo, il biondo si alzò in piedi e si diresse verso i medici con fare baldanzoso.
- Chad, copri Lenn. Non devono vedere. - disse Jao.
Il nero eseguì, annuendo. Aveva il viso contratto dall'ansia.
Lenn cominciò ad avvertire un forte senso di torpore, mentre continuava a cedere le sue forze ad Harù. La ferita andava guarendo e chiudendosi a una velocità singolare, ma solamente perché stava dando fondo a tutte le sue energie. Per orgoglio non avrebbe mai desistito, avrebbe piuttosto prosciugato ogni ombra di energia vitale nel suo corpo, e non ne avrebbe attinta nemmeno una goccia da Jao. Scosse la testa e strinse i denti.
- Quegli Stregoni non userebbero mai tutta la loro energia, anche se potessero... Non gliene frega niente di Harù. - disse, nel caso qualcuno avesse ancora dubbi sulla sua efficienza riguardo le guarigioni.
Intanto Rizo parlava a vanvera e conduceva gli Stregoni guaritori verso Maimed.
- Come va, Harù? - domandò Jao.
Il ragazzo annuì. - Bene. Lenn, ce la fai? -
- Certo che ce la faccio! - sbottò il mezzelfo.
Nessuno proferì più parola. Lenn, da parte sua, non fermò l'affluire di energia finché non sentì le braccia intorpidirsi e vide la pelle di Harù finalmente arrivare a richiudersi.
Emise un gemito e trovò appena la forza di recidere l'affluire di magia per non perdere i sensi. Cominciava a vedere dei puntini davanti agli occhi, il che non era mai un buon segno.
Però si sentì soddisfatto nel constatare che la ferita era quasi completamente guarita, cosa che non sarebbe riuscito a realizzare appena qualche mese prima. Gli allenamenti e la meditazione davano i loro frutti.
Ma ora era sfinito. Si sedette a terra di peso e si puntellò con le braccia all'indietro per sorreggersi.
Si rese conto di essere più debole del previsto quando Jao gli diede uno schiaffo sulla nuca, che fece roteare il mondo all'improvviso. Non reagì nemmeno.
- Sei un deficiente. T'avevo detto di usare anche la mia energia. -
Detto questo, il castano s'avvicinò all'Orso, che si stava mettendo seduto più comodo. La pelle e i suoi vestiti erano ricoperti di sangue, ma la ferita si era quasi ridotta a un taglio abbastanza profondo in via di cicatrizzazione.
- Tutto bene amico? -
Harù annuì.
Il ragazzo adesso sorrideva e aveva in corpo la forza che fino a poco prima aveva avuto Lenn. I suoi occhi azzurri guizzavano a destra e a sinistra, mentre il suo corpo e i suoi muscoli si contraevano in piccoli movimenti che lo facevano sembrare scattante e pronto a tutto.
Lenn rimaneva immobile nella stessa posizione che aveva nel momento in cui aveva finito la Trasfusione, gli occhi semichiusi e vitrei. Faceva fatica persino a elaborare pensieri sensati.
Harù gli venne vicino e mettendogli una mano sulla spalla lo ringraziò. O almeno, fu quella l'impressione. In quel momento avvertì solamente la pressione delle dita dell'Orso mentre si serravano attorno alla sua spalla, che quasi cedette al suo peso, abbassandosi e trascinandolo verso il basso.
A quel punto i suoi amici parvero accorgersi che qualcosa non andava. Gli rivolsero degli sguardi preoccupati, poi si alzarono tutti in piedi, si spolverarono i vestiti e gli si avvicinarono.
Il mezzelfo intuì le loro intenzioni, e pur di scampare a qualsiasi aiuto si diede una spinta e si mosse in avanti, nel tentativo di mettersi in ginocchio. Ci riuscì, ma mentre compì quell'azione si rese conto di essere lento in modo imbarazzante. Ogni movimento era rallentato come se si fosse trovato sott'acqua, o a mollo nel miele. Tutto era offuscato e i rumori erano distanti.
Emise un lungo gemito pieno di disappunto quando sentì una mano afferrarlo per il colletto della camicia e sollevarlo, per poi afferrarlo per le braccia e metterlo in piedi.
Le cose smisero di girare quando sentì un grumo formarglisi nel petto; poi fu abbastanza cosciente da capire che era stato Jao a trasmettergli un po' di forza.
- Andiamo a casa. - disse a quel punto Rizo, ritornato accanto a loro. - Non voglio che quei guaritori da quattro soldi ci fermino per chiederci informazioni sull'improvvisa guarigione di Harù. -
I ragazzi annuirono, poi Jao, che stava alla destra di Lenn e lo sorreggeva ancora, gli disse: - Ce la fai da solo? Fino a casa, poi ti potrai riposare. -
Lenn annuì.
Jao gli rivolse un sorriso storto. - Non so se posso fidarmi. -
A quel punto il mezzelfo dimenò il braccio per liberarsi dalla presa. - Ce la faccio, ce la faccio... - biascicò.
- Ehi, bastardelli! - gridò una voce alle loro spalle.
I ragazzi si voltarono e videro Maimed che si avvicinava pericolosamente, la faccia ancora mezza tumefatta e un dito puntato nella loro direzione. Al fianco aveva due Stregoni guaritori che estraevano con parsimonia l'energia vitale da delle gemme che portavano al collo, facendo guarire lentamente le ferite e ridurre gli ematomi.
- Non crediate di averla vinta con me, ve la farò pagare come si deve per quello che avete fatto ad Arshkad! E ora aggiungerò anche quest'ultimo episodio alla lista! -
Lo Stregone Oscuro non sembrava voler smettere di avanzare, ma a fermarlo ci pensarono le Sanguisughe al suo fianco.
- L'incontro è finito, amico. - disse uno di loro.
- Lo so che l'incontro è finito, stupido verme! - sbraitò Maimed, per poi tornare a rivolgere l'attenzione sui giovani Stregoni – Aspettatevi le peggio cose, e quando meno ve lo aspettate. Specialmente voi due, Orso e Drago! Mi ricorderò le vostre facce e i vostri nomi, e li riferirò a chi vi vuole male. -
- Basta, Stregone. - disse Jao in tono perentorio, - Non ci interessa cosa avrai da riservarci. Ma ricorda che ci hai sottovalutato due volte. Non lo fare una terza. Potremmo arrabbiarci sul serio. -
Detto questo, la Tigre si voltò e se ne andò senza ascoltare le proteste dell'uomo.
- Andiamo, ragazzi. -
Gli altri si scambiarono qualche occhiata, poi tornarono a guardare Maimed, e infine si decisero a muoversi e seguire l'amico.
Lenn fece qualche passo, poi sentì di nuovo la testa girare. Si fermò qualche istante per concentrarsi e chiuse gli occhi. Sentì un leggero tocco al braccio destro, e li riaprì soltanto per incontrare lo sguardo di Annah e notare le sue sottili dita a contatto con la sua pelle.
- Quegli stupidi lì davanti non sono affatto dei galantuomini. - disse con la disinvoltura di chi affermava qualcosa che non era affatto fuori contesto. - Non sanno che non si lascia mai camminare una signorina da sola. -
Detto questo, con un gesto disinvolto avvolse il piccolo braccio attorno a quello del mezzelfo. - Per questa volta sarai tu il mio accompagnatore. Non ho la minima voglia di correre loro dietro. -
Lenn era confuso. Rimase in silenzio solamente per non dover aprir bocca e sputare qualcosa di insensato.
- Andiamo. - incitò la ragazza. Detto questo, lei si mise a camminare lentamente e lui le venne dietro, mansueto.
- Ah, un'altra cosa... - aggiunse poi la ragazza, stringendo di più la presa, - Nel caso ne avessi bisogno, puoi appoggiarti a me. -
Il mezzelfo le rivolse uno sguardo stranito, lei aveva un'espressione quasi divertita. - Possiamo anche camminare più piano, se ti va. Lo so che saresti in grado di andare più veloce, ma forse in questo momento avrai voglia di ammirare il paesaggio. -
Lenn fece una smorfia. - Malias non è un gran bel posto da ammirare. Tuttavia, penso che accetterò la tua offerta. Ora che ci penso, ho davvero tanta voglia di prendermela con calma. -
E Lenn a quel punto ripose tutto l'orgoglio che aveva soltanto per passare un po' di tempo in più con Annah. La ragazza gli aveva offerto il suo aiuto e non avrebbe mai rifiutato, a differenza che con tutti gli altri. Lei da sola non sarebbe mai riuscita a sostenerlo completamente, ma a quanto pareva aveva deciso di dargli una mano.
Così si appoggiò più pesantemente a quella ragazza che gli arrivava appena alla spalla e cominciò a camminare, senza fretta.
- Riesci a tenermi? - le chiese con gentilezza.
- Certo. Per chi mi hai presa? -
Il mezzelfo sentì la pressione sul suo braccio aumentare e percepì un sostegno più solido sotto di sé. Dovette riconoscere che lei ce la stava mettendo davvero tutta ad apparire all'altezza della situazione.
L'orgoglio di entrambi li aveva portati lì, a vivere quella situazione bizzarra.
A Lenn venne da sorridere ma non disse più niente. Si limitò a camminare per raggiungere casa il prima possibile. Avere Annah accanto era piacevole, ma la prospettiva di un letto comodo, quel giorno, lo era di più.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: D_Cocca