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Autore: _Hikari    05/10/2013    3 recensioni
«Emma».
Socchiude gli occhi, cercando di proteggersi dai granelli di sabbia portati dal vento.
«Cosa c’è, David?» sbuffa, continuando a camminare, l’odore della salsedine nei polmoni; le iridi fisse dinanzi a sé, che tentano di cogliere qualunque profilo, qualunque presenza che non sia solo una delle tante ombre che l’affiancano.
«Non sono suo padre, miss Swan». Sussulta impercettibilmente nell’udire la solita punta d’ironia farsi strada nella voce dell’uomo; non è acuminata, pungente, non riesce a trapelare d’ilarità a ferire, dilaniare la carne come una volta. Ma c’è,
è presente, per quanto fioca.
Esattamente come quella persona che l’ha raggiunta, che le cammina accanto, nonostante l’andatura stanca e gli occhi spenti.
Quand’è stata l’ultima volta che un barlume li ha attraversati? Due, quattro, sei mesi fa?
«Questo lo sapevo» risponde, leggermente stizzita, mentre lascia vagare il proprio sguardo sugli alberi che li sovrastano, che si stagliano imponenti contro il cielo dell’Isola che non c’è, proseguendo la loro disperata ricerca.
Oh, al diavolo, cosa pensa di vedere? Henry che le corre incontro libero e sano?

{«Di parole portate dal vento» | Mr. Gold/Emma Swan}
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Signor Gold/Tremotino
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Inalando l’aria di salsedine.
#08

Rabbrividisce al contatto dell’aria fredda con le sue membra, mentre il sudore che le imperla la fronte si fa gelido e il giacchetto insufficiente.
Rivolge una fugace occhiata al cartellone dell’autobus, illuminato appena dai raggi mattutini che penetrano dalla coltre di nubi, smettendo di correre; il fianco continua a dolere, l’ossigeno a mancare e il petto ad abbassarsi freneticamente, inalando l’aria di salsedine.
«Buongiorno». Sussulta appena, guardandosi intorno, i denti che affondano nell’interno della guancia.
Gold la osserva da sopra le pagine di un libro, il solito e irrisorio sorriso che gli incurva le labbra.
E fastidioso.
«’Giorno» sbuffa la donna, assottigliando gli occhi e inarcando le sopracciglia.
«Anche lei rimasto a piedi?».
«A quanto sembra…», annuisce, ritraendosi sulla panca per farle posto.
Emma si accomoda, lentamente, continuando a stringersi nel cappotto, come se possa farle da barriera, aumentare le distanze, dividere, separare, porre un limite alla vicinanza.
«Da quant’è qua?» dice, sbuffando e riavviandosi i capelli biondi. Perché devono essere sempre i fattori negativi della vita ad accumunarli?
«Uhm, una decina di minuti» risponde distrattamente l’uomo, voltando pagina.
«Cosa? Ma se dovrebbe già essere arrivato».
«Non siamo a Boston, miss Swan. Temo che dovrà attendere ancora qualche…» si interrompe, alzando il polso e guardando le lancette dell’orologio. «Una quindicina di minuti circa, teoricamente».
La donna torna a stringersi nel giacchetto, cercando rifugio da quella brezza che le scompiglia i capelli, pervade le strade e smuove le fronde degli alberi.
«Quindi… avevo ancora quindici minuti», sospira, la maglietta bagnata per la corsa, che le ricade sul corpo.
Mary Margaret avrebbe potuto anche avvisarla.
«Ho detto teoricamente», la corregge, le iridi tornate a quella sequenza di parole vergate sulla superficie immacolata.
«Arriverà prima?».
«No, se abbiamo fortuna fra venti minuti» replica lui, con voce monocorde, il proprio essere immerso in un qualche mondo che a lei non è dato conoscere – non che vorrebbe farlo, assolutamente.
“Con quella che hai giungerà fra un’ora”.
Rivolge il proprio sguardo alla strada, desiderando di avere anche lei qualcosa da fare per sfuggire a quella presenza, accomodata accanto alla sua persona.
Tenta di concentrarsi sui passi che risuonano lungo il marciapiede, i volti che si intravedono di sfuggita.
“No, decisamente oggi non è giornata”, sospira, reprimendo un brivido quando Gold la sfiora. È solo per il vento.
Infine sbuffa piano, facendo saettare gli occhi in lontananza, in cerca di un profilo famigliare. Niente.
«Ha freddo…».
«No» risponde bruscamente, tornando al volto dell’uomo che la sta osservando. «Sto benissimo».
Gold schiude la bocca, come se voglia ribattere.
«Cosa sta leggendo?» lo interrompe, cercando di controllare il proprio corpo, di non iniziare a tremare per il gelo che le risale lungo le membra, irrigidisce gli arti e raschia le gole.
Impreca mentalmente, mentre riprende a parlare, la voce arrochita, i globi che accarezzano la copertina del volume che il negoziante stringe fra le mani: «La fiera della vanità; un romanzo senza eroe».
«L’ha letto?» domanda Gold, appoggiandosi allo schienale in legno.
«Sì, tempo fa» risponde lentamente, una spiacevole sensazione che la pervade.
Il giacchetto non riesce a dividere, ma le parole avvicinano. A suo discapito.
Scuote impercettibilmente il capo. È stupido: insomma, non le importa cosa legge o fa; è solo un pretesto per cambiare argomento, nulla di più.
Eppure non può fare a meno di constatare che se mai dovesse abbinare un libro a una persona, quello che tiene in mano, sarebbe fra i primi candidati.
«È raro… trovare un eroe al giorno d’oggi», le parole dell’uomo la riportano al presente, costringendola ad osservare un’altra volta quella copertina, tentare di evitare i suoi occhi divenuti eccessivamente voraci, capaci di vedere qualcosa di cui non conosce identità.
«Vero».
«Ma esistono», scorge le sue labbra contrarsi in un sorriso, e non riesce a far a meno di pensare alla teoria di Henry.
Be’, almeno su una cosa ha ragione, il ragazzino, e forse dovrebbe iniziare a tenersi lontana sul serio.
«A me non piacerebbe» emana, il fiato che si condensa, librandosi contro il cielo.
Non sa perché l’ha detto, insomma, l’argomento nemmeno le piace. E non le interessa.
«Cosa?».
«Essere paragonata a una marionetta. Nemmeno se fossi un’eroina», si stringe nelle spalle. In fondo è la verità.
«Nessuno la confronterebbe mai a una marionetta». Il tono di Gold le fa alzare gli occhi di scatto, ritrarsi appena con un moto innaturale.
È freddo, quasi violento, acuto, pungente, come se stia cercando di proteggere qualcosa.
«Sta arrivando» riprende poi, pacatamente, accennando al rumore di ruote che risuona alle sue spalle, ed Emma si domanda perché non riesca mai a comprendere nessuna delle persone di quella maledetta città.


Il colore delle marionette sbiadisce, i vestiti e i dettagli con cui vengono agghindate corrosi, lacerati, finché il legno non viene consumato dal fuoco, mentre la consistenza delle pedine è intaccata, la superficie scostata. Eppure, dopo sessantasei anni, sono ancora lì, posizionate sulla scacchiera.



Note: chiedo venia per il ritardo. Avevo scritto questa breve OS tempo fa, ma sembrava essere scomparsa da ogni cartella. E invece oggi sono riuscita a ritrovarla.
Uhm, cosa dite a proposito di quest’incontro? Coincidenza? Destino? La sottoscritta non sapeva cosa inventarsi? No? Sì? Scegliete voi. xD
Non ho la minima idea della frequenza (ogni riferimento all’ora che avevo perso qualche settimana prima della stesura di questa cosetta è puramente casuale) con cui passino i mezzi pubblici nelle cittadine americane, e nemmeno nelle grandi metropoli.
Come qualcuno di voi avrà compreso è quasi tutto ispirato a “la fiera della vanità” di William Thackray da cui provengono i rispettivi riferimenti alle marionette. Inoltre, il sessantasei non è un numero preso a caso, diciamo che è stato ricavato da un tortuoso ragionamento – esatto, amo complicarmi la vita – che si può riassumere così: 1 (mettiamo che sia trascorso un anno dalla visione di Rumple durante cui sia terminata la relazione con Cora e tutto il resto) + 18 (se non erro dovrebbero essere gli anni che possedeva Regina quando venne costretta a sposarsi) + 19 (supponiamo che Biancaneve avesse 9 anni quando il padre si era risposato e che durante la storia di Storybrook possedesse la stessa età di Emma, proprio come afferma quest’ultima durante la 3x01) + 28 (gli anni della maledizione) = 66 (eccovi il risultato).
Detto questo non ho nient’altro da aggiungere. Spero di essere riuscita a mantenere i rispettivi personaggi IC e – soprattutto – che la lettura vi sia piaciuta almeno un po’. (:
Prima di salutarmi vorrei rivolgere un grazie immenso a: Euridice100, Stria93, Julia_Julie, chi segue/preferisce/ricorda la raccolta e anche ai lettori silenziosi. Sul serio, grazie di cuore.
Bene, adesso ho finito sul serio.
Alla prossima, Dream.

   
 
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