'Cause I'll be by your side wherever you fall.
Alla mia parabatai, Arianna
per I suoi diciotto anni.
Magnus Bane
era certo che quel momento sarebbe arrivato: si era voluto illudere, ad un certo
punto, che tutto fosse passato con meno drammaticità del previsto, ma appunto
era stata solo un’illusione infranta quella sera, mentre ancora reggeva in una
mano il cellulare tramite il quale Alec lo aveva appena mandato al diavolo – ed
entrambi sapevano che quell’esclamazione valeva molto di più se detta da uno di
loro piuttosto che da un mondano.
Non era arrabbiato, non se l’era
presa perché poteva capire la rabbia del ragazzo, ma non riusciva a sbloccarsi
dalla posa statica in cui era caduto per fare qualcosa: sentiva lo stomaco
chiuso in una morsa soffocante ed un enorme peso sul petto.
Quando si decise a richiamarlo non
sapeva quanto tempo fosse passato, ma a giudicare dal fatto che Alec non era
raggiungibile probabilmente ne era trascorso troppo. Stava per mettere giù
anche la successiva chiamata, fatta stavolta ad Isabelle, quando la ragazza
rispose.
«Magnus», disse secca, come se da
quella semplice parola dovesse essere chiaro tutto.
Il Sommo Stregone di Brooklyn deglutì
cercando di non farsi spaventare dal tono minaccioso di una sorella
iperprotettiva.
«Alexander è lì con te?».
«No. È uscito più di un quarto d’ora
fa. Che gli hai fatto?».
No, il tono di Isabelle non era
affatto rassicurante: Magnus rinunciò a dar sfogo all’improvvisa irritazione
che quelle accuse infondate avevano fatto montare in lui e sospirò per tenersi
calmo. Era stranamente stanco.
«Ho bisogno di parlargli di persona.
Sai dirmi dov’è?».
«A caccia, credo…». Esitò. Lo
Stregone credette di cogliere paura in quell’attimo di silenzio.
«Ti chiamo appena lo trovo», la
rassicurò senza che gli fosse chiesto, prima di mettere giù, prendere cappotto
e chiavi e uscire velocemente dall’appartamento.
~
Trovare Alec si era rivelato più
difficile di quanto Magnus avesse pensato. Avrebbe potuto usare un incantesimo
di localizzazione, ma era uscito troppo in fretta, prima che quell’idea gli
venisse in mente e non aveva avuto alcuna voglia di tornare indietro. Quindi
aveva deciso di affidarsi all’istinto ed aveva capito perfettamente il significato
della frase “l’amore fa fare cose stupide”.
Perché stava girando per le stradine
di New York praticamente alla cieca, affidandosi al briciolo di buonsenso che
ancora aveva, quando un temporale lo aveva colto del tutto impreparato e lo
aveva bagnato in pochi istanti. E Lilith sapeva quanto gli Stregoni odiassero
l’acqua.
Ora era fermo sotto un porticato, le
braccia al petto ed il cappotto che gocciolava come se fosse stato appena
lavato a mano. Si scostò dal viso i capelli ormai privi di gel e glitter e sospirò: se non si fosse fatto venire un’idea al
più presto si sarebbe preso un accidenti senza risolvere nulla.
Un lampo, seguito dal minaccioso
seguito del fedele tuono, lo riscosse dai suoi pensieri e improvvisamente gli
diede la soluzione. Magnus Bane scattò e cominciò a
correre come aveva fatto davvero pochissime volte: sapeva dov’era Alec – era la
cosa più ovvia.
Di notte la città era se possibile
ancora più trafficata che di giorno e lo Stregone dovette far attenzione a più
di una macchina intenzionata, secondo il suo scombussolato punto di vista, a
metterlo sotto a tutti i costi prima di arrivare finalmente a Central Park.
C’era un posto, in tutto quel verde,
nascosto agli occhi dei mondani, che da sempre era territorio dei Nephilim e che solitamente veniva usato per allenarsi
all’aria aperta. Magnus era certo che Alec fosse lì, per questo non fu affatto
sorpreso – ma piuttosto sollevato – quando sentì il rumore di una spada
angelica che colpiva alcuni paletti di legno infissi al terreno. Era un training
ad ostacoli, bersagli da colpire con diverse armi, ma ora il Cacciatore
sembrava intento a ridisegnare la forma dei suddetti paletti a colpo di Adamas.
Quando riuscì a vedere per bene il
ragazzo, finalmente a riparo dalla pioggia sotto la grossa chioma di un albero,
si rese immediatamente conto che qualcosa non andava: i movimenti di Alec erano
pesanti e scarsamente coordinati, si muoveva di forza, di peso, come se quello
dovesse compensare la mancanza di altro, di attenzione ed agilità.
Si mosse per prenderlo, per fermarlo,
ma dovette stare attento a non ferirsi dal momento che lo Shadowhunter,
sentendolo arrivare, mosse l’arma verso di lui senza neanche guardare chi
fosse.
«Hey,
calma!», si lamentò Magnus, facendo un passo indietro ed alzando istintivamente
le braccia.
Alec rimase imbambolato, guardandolo
come se avesse bisogno di tempo per riconoscerlo, finché non abbasso la spada,
come se non avesse forze.
«Come…?».
«Ti conosco». Lo Stregone evitò di dirgli
che, però, aveva girato per ore prima di trovarlo: quella era una cosa che non
si era ancora perdonato.
Il Nephilim
non disse nulla, rimase semplicemente fermo sul posto, ondeggiando appena, cosa
che preoccupò abbastanza l’altro.
«Che cosa hai fatto?».
«Io…? Cercavo qualche demone da
ammazzare, ma pare che stasera abbiamo deciso che non potevo avere
soddisfazione, quindi sono venuto qui ad allenarmi…».
A sentirlo parlare, Magnus capì che
non era ubriaco, ma respirava in modo pesante e pareva avere difficoltà a
concentrarsi. Si mosse verso di lui senza più esitazioni e gli mise una mano
sulla fronte, avvertendo appena il fastidio dell’altro per quell’improvviso
contatto.
«Tu scotti», sussurrò, preoccupato:
il fatto che la salute degli Shadowhunters fosse
molto più difficile da intaccare rispetto a quella dei mondani, in quel momento
serviva solo a rendergli chiaro quanto fosse preoccupante la situazione.
«Sto bene», lo contraddisse quello,
tirandosi indietro e perdendo appena l’equilibrio così da barcollare
pericolosamente ma riuscire a tenersi in piedi.
«No, invece», se c’era una cosa che
odiava davvero nei Nephilim era la loro testa dura –
e Alec confermava dannatamente bene
quella cosa.
«Sto bene», ripeté il Cacciatore,
mentre barcollava ancora recuperando le proprie armi «Devo stare bene, no? Perché Isabelle stenta ancora a riprendersi,
mia madre è più pallida che mai e mio padre non è neanche a casa. Jace non sembra essere molto d’aiuto, ma immagino sia il
suo modo di accettare la cosa, quindi io
devo stare bene. Perché ho delle responsabilità, sono il maggiore».
«Questo non ti nega il diritto di
star male, Alexander».
La voce di Magnus era flebile,
lasciava trasparire il dolore dello Stregone nel vedere il suo ragazzo ridotto
in quello stato: sapeva che prima o poi avrebbe ceduto, schiacciato dal dolore
e dal ruolo che silenziosamente aveva assurdo senza averlo effettivamente
scelto. Era passato un mese dalla morte del giovane Max
ed era come se il tempo non fosse affatto trascorso: Isabelle si riprendeva
molto lentamente e i coniugi Lightwood sembravano
essere distrutti a tal punto da non riuscire a fare più nulla – Robert era
tornato ad Alicante, lasciando Maryse sola con se
stessa. Per Alec era stato quasi naturale prendere in mano la situazione, essere
quello forte, quello che il dolore non poteva intaccare, per gli altri.
Magnus, però, sapeva che non sarebbe
potuto durare per sempre. Eppure, si chiedeva che cosa potesse fare davvero per
lui, ora che si trovava ad affrontare quel crollo.
«E come se non bastasse, ho
complicato tutto!», stava continuando a dire il Nephilim,
ormai la voce spezzata dal dolore e dalle lacrime – un suono che Magnus non
avrebbe mai voluto sentire.
«Complicare? Alexander, tu sei quello
che sta cercando di tenere in piedi tutti!».
«Certo, come no! Lanciando bombe nei
momento meno opportuni!».
Lo Stregone capì immediatamente a che
cosa si riferiva Alec e fu come un pugno nello stomaco: non si aspettava che il
suo coming-out fosse facile, ma sentirlo parlare in
quel modo lo distruggeva.
«No, no, Alec…», gli si avvicinò per
poi stringerlo delicatamente a sé – stavolta l’altro non si oppose «Tu non hai
fatto nulla di sbagliato: dovevano saperlo, meriti di poter vivere come vuoi e
frequentare chi più ti piace, senza doverti nascondere. Quello che hai fatto,
farci uscire allo scoperto, non ha nulla a che vedere con tutto il resto. Non
hai sbagliato niente». Gli parlava in modo calmo ed amorevole, nonostante il
dolore che anche lui stava provando. Voleva rassicurarlo, alleviare almeno un
po’ quella sofferenza.
«Ma è colpa mia se mio padre è
tornato ad Alicante! Se non l’avessi fatto, se avessi quantomeno aspettato… ora
lui sarebbe qui e noi staremmo meglio», continuò a torturarsi Alec.
Per un istante, Magnus si chiese se
davvero il suo ragazzo si fosse pentito di averlo baciato davanti a tutti,
lasciando chiaramente intuire che avevano una relazione, ma quel pensiero durò
pochissimo: si costrinse a metterlo da parte – era più importante prendersi
cura di Alexander, il resto veniva dopo.
«Tuo padre non è andato via per
questo! Non potrebbe mai! Ha solo bisogno di tempo… ha perso un figlio, come tu
hai perso un fratello: ognuno reagisce a modo proprio e a lui serve un po’ di
tempo da solo». Sapeva che non era del tutto vero, che Robert Lightwood poteva essere andato ad Alicante per qualcosa che
riguardava la morte di Max ma che era ben lungi
dall’accettare la relazione del figlio con uno Stregone; tuttavia, dirlo in
quel momento non avrebbe giovato a nessuno.
Alec gli si aggrappò improvvisamente
contro, come se non avesse più forze e lo Stregone lo prese in braccio,
accorgendosi che era ancora più leggero di quanto ricordasse. Si incamminò
così, mentre la pioggia per la prima volta non gli dava affatto fastidio.
~
Quando Alec riprese conoscenza, il
sole era già a più della metà del suo corso – o almeno questo riuscì a dedurre
dalla luce che entrava nella stanza. Cercò di muoversi quanto meno possibile
perché qualcosa gli diceva che farlo non sarebbe stato affatto piacevole e si
rese conto di essere nella camera da letto di Magnus, anche se faticava a
ricordare come ci fosse arrivato.
«Sei sveglio, finalmente». La voce
dello Stregone lo accolse con una punta di sollievo.
Si voltò verso di lui per scorgere il
sorriso sulle sue labbra e gli occhi felini che scintillavano, investiti dalla
luce, mentre armeggiava col cellulare, probabilmente scrivendo un messaggio.
«Isabelle voleva essere informata
quando ti saresti svegliato», rispose alla domanda che il ragazzo ancora non
aveva posto.
«Da quando tu e mia sorella messaggiate?». Solo il pensiero di un simile scenario lo
faceva rabbrividire.
«Non da molto», rise l’altro,
indovinando i suoi pensieri «Solo quando ci
fai preoccupare».
Alec mise su una smorfia di fastidio
mentre cercava di sollevarsi.
«Che cosa è successo?», chiese,
sistemandosi con difficoltà sul letto.
«Davvero non ricordi nulla?». Magnus
ora si era spostato dalla poltrona al capo del letto, sedendosi con una certa
accortezza, qualcosa a cui Alec non era abituato e che istintivamente lo
infastidì.
«Ricordo immagini sconnesse, è tutto
abbastanza confuso… Mi allenavo. Pioveva… Mi hai portato a casa tu?».
Il verso che scappò allo Stregone era
qualcosa di molto simile a “chi altri?”.
«E sono stato tutta la notte a
combattere con la tua febbre alta», lo informò non tanto per vantarsi quanto
per fargli capire la gravità della cosa, la paura che comunque aveva provato
quando, ogni volta che credeva di aver vinto, la temperatura aumentava
nuovamente in modo vertiginoso e il Nephilim riprendeva
il suo delirio fatto di parole incomprensibili, grida e tremore.
«Mi spiace», sussurrò Alec, senza
saper che cosa dire: non ricordava per bene ogni cosa, ma una parte di lui era
certo di dovere delle scuse allo Stregone. «Se ho detto qualcosa… qualunque
cosa… Spero davvero di non aver detto nulla che ti abbia offeso».
Magnus perse parte del sorriso che
finora aveva continuato ad allargargli le labbra.
«Non hai detto nulla che abbia offeso
me. Ma dovresti smetterla di pensare
che sia tutto sulle tue spalle. Non stai bene, come non sta bene nessuno della
tua famiglia, ma mentre gli altri possono contare su di te, tu non vuoi contare
su nessuno e la cosa non va affatto bene».
Alec ricordò improvvisamente che lo
Stregone gli aveva rivolto più o meno le stesse parole anche la sera prima,
quando lo aveva mandato al diavolo chiudendo la chiamata e decidendo che
allenarsi lo avrebbe distratto da tutti quei pensieri: ora, però, non aveva via
di scampo – doveva affrontare la cosa.
«Se mi lascio andare, non ci sarà più
nessuno a fare da appiglio».
«E tu credi che nessuno sarebbe
disposto a prendere il tuo posto per un po’? Che Isabelle o tua madre, o anche Jace non accetterebbero volentieri di invertire i ruoli per
una volta e lasciare che anche tu abbia tempo per elaborare la cosa, per stare
meglio?».
Il Nephilim
abbassò la testa. Certo, lo avrebbero fatto, erano i suoi fratelli, la sua
famiglia… ma i punto era che non glielo avrebbe mai chiesto, che lui non li
avrebbe mai appesantiti di una cosa del genere.
«Lascialo fare almeno a me…».
Di scatto, gli occhi di Alec
tornarono in quelli di Magnus, più vicino di quanto ricordasse.
«Stanotte, al parco… sembravi pentito
di aver “detto” a tutti di noi». Alla fine non ce l’aveva fatta a tenere quella
cosa per sé. «Come se fosse stato solo l’ennesimo peso aggiunto ad una
situazione pessima in partenza. Non tenermi lontano, Alexander».
Lo Shadowhunter
gli si buttò praticamente tra le sue braccia, lasciando che nuove lacrime,
stavolta consapevoli, gli bagnassero il viso e sporcassero il maglioncino dello
Stregone. Aveva così bisogno di sentire quel calore, quella presenza accanto a
sé che stava cominciando a rendersi effettivamente conto che Magnus era la sola
cosa che aveva gli aveva impedito di impazzire completamente. E non si era
neanche reso conto che col suo comportamento lo stava allontanando.
«Mi dispiace, mi dispiace tanto»,
sussurrò «Ma credimi quando ti dico che non sono pentito di aver mostrato a
tutti che sei il mio ragazzo, il mio
Stregone. E tenerti lontano è l’ultima cosa che voglio fare».
«Sono felice che la pensiamo allo
stesso modo», scherzò, di nuovo allegro Magnus «Anche perché ho una sorpresa
per te», annunciò, alzandosi dal letto – con un certo disappunto di Alec, che
non si sarebbe mai staccato da quel calore.
«Sorpresa?», chiese incuriosito – e,
sì, giusto un po’ in allarme.
Lo Stregone annuì.
«Hai presente “Il viaggio del mondo
in ottanta giorni?”. Togli tutti quei mezzi di trasporto mondani e l’evidente
spreco di tempo per spostarsi ed otterrai quello che faremo».
«Un viaggio intorno al mondo. Tutto
il mondo?». L’idea per quanto lo spaventasse, allo stesso tempo era così
invitante da emozionarlo.
«Umh…
proprio tutto no… Dobbiamo escludere il Perù – è una storia lunga, te ne
parlerò – e umh… avevo pensato di stilare una lista
delle città che meritano maggiormente la nostra visita, così da avere un nostro
itinerario».
«Sembra…», Magnus avrebbe voluto
prendersi a schiaffi per l’ansia con cui aspettava che Alec continuasse la
frase. «Sembra bellissimo». La risata che gli regalò fu la cosa migliore.
«Bene!», anche lo Stregone tratteneva
a fatica l’entusiasmo «Allora vieni giù da quel letto – fa’ le valigie e
decidiamo da dove cominciare!».
«Adesso?»,
il Nephilim divenne titubante, la gioia scemò al
pensiero delle cose concrete, della vita all’Istituto, degli impegni e delle
responsabilità.
«Adesso! Ho voglia di vedere il
tramonto da una città che non sia New York! Ho già avvertito tutti
all’Istituto: Jace mi ha detto di comportarmi bene,
Isabelle era così felice che non la smetteva più di abbracciarmi. Tua madre…
alla fine non ha fatto poi così tante storie».
Alec poteva invece immaginare sua
madre sussurrare minacce con voce ferma e perentoria, minacce a cui, lo
sapevano entrambi, Magnus non aveva prestato la minima attenzione, se non
quando, alla fine, gli aveva concesso di partire con suo figlio.
«E poi…», continuò lo Stregone,
avvicinandosi di nuovo, con sguardo vagamente malizioso «se anche ci fosse
stato qualche impedimento o non ti avessero permesso di venire, semplicemente
ti avrei rapito e portato via con me».
«Sai che sarebbe stata una violazione
degli Accordi? Il Conclave si sarebbe messo alle tue calcagna e tu saresti
stato un fuggitivo». Le labbra di Alec erano a pochissima distanza da quelle di
Magnus, ma entrambi avevano imparato a reggere quel gioco troppo bene. Anche se
alla fine, ovviamente, era lo Stregone a vincere.
«Che vengano pure a cercarci. Non ci
avrebbero mai trovato» e poi fu semplicemente un gioco di labbra e respiri, un
bellissimo connubio di profumi diversi ed improvvisa felicità e dolore tenuto
troppo dentro e bisogno ed amore.
«Andiamo», sussurrò il Nephilim, quando si fermarono per riprendere fiato.
Come risposta, le mani di Magnus
brillarono di scintille rosse ed azzurre.
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Ebbene sì, dopo tante titubanze alla
fine approdo in questo fandom per vostra (s)fortuna.
Anche perché, come resistere a questi due?
Questa shot
in particolare è il mio personale regalo di compleanno alla mia parabatai Arianna
che oggi compie diciotto anni. È pochissimo ma è fatto con il cuore e spero
davvero che apprezzerai. Non ho bisogno di dirti altro, credo che il fatto che
siamo parabatai renda tutto abbastanza chiaro, no?
Umh… per il resto, credo sia ovvio che
questo missing moment è ambientato tra “City of Glass” e “City of Fallen Angels” e boh, mi sono
sempre chiesta come fosse nata l’idea del viaggio romantico di Magnus ed Alec,
so… ci ho provato. Il titolo è un verso della canzone “By your
side” dei Tenth Avenue North.
Spero vi sia piaciuta e vi ringrazio
per l’attenzione. Baci.
- Alchimista
Ps: Stay tuned,
perché io e la suddetta Arianna abbiamo alcune idee in via di sviluppo riguardo
questi due e potremmo arrivare da un momento all’altro!