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Autore: FinnAndTera    06/10/2013    3 recensioni
[Remus/Sirius]
Quella piccola e ridicola fissazione del fare metafore forse era nata per il semplice fatto che Remus trovava Sirius un soggetto perfetto per quel genere di cose. Sirius emanava una forza artistica non indifferente proprio perché non prestava molta attenzione a quel che faceva o diceva.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: I Malandrini, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Dalle metafore può nascere l'amore


Tomas allora non si rendeva conto che le metafore sono una cosa pericolosa.
Con le metafore non c’è da scherzare.
Da una sola metafora può nascere l’amore.
[L’insostenibile leggerezza dell’essere - Milan Kundera].
 

Sirius era il vento, il sole, la pioggia. Sirius ti travolgeva, ti riscaldava, ti accompagnava nei momenti di tristezza facendoti sentire meno solo.
Sirius era un angelo, ma aveva un demone interiore. Sirius era l’evaso che non riusciva a combattere i segni lasciati dalla prigione. Sirius era lo scoglio a cui aggrapparsi nel bel mezzo del mare in tempesta. Sirius era la madre che raccoglie il cesto nel fiume ed era il bambino inconsapevole di venire raccolto.
Remus scriveva sciocchezze poetiche ai lati delle pergamene e si sentiva un adolescente piuttosto stupido. Non lo faceva neanche apposta, a dire il vero, a quelle cose non pensava neanche, ma gli veniva naturale appuntarle lì da qualche parte.
Perché era Sirius l’inchiostro che gli permetteva di scrivere.
Quando poi le rileggeva rideva di se stesso e appallottolava le scartoffie bruciandole nel camino. Si perdeva nell’osservare la carta annerirsi e diventare polvere e nell’ascoltare il fuoco che scoppiettava più forte.
Anche Sirius era come il fuoco? Sì, ma lui non era il fuoco che ti disintegrava, era il fuoco che cicatrizzava.
Quella piccola e ridicola fissazione del fare metafore forse era nata per il semplice fatto che Remus trovava Sirius un soggetto perfetto per quel genere di cose. Sirius emanava una forza artistica non indifferente proprio perché non prestava molta attenzione a quel che faceva o diceva; sapeva di essere bello e di meritarsi gli sguardi delle persone, ma la bellezza non sempre coinvolge necessariamente l’arte, arte che lui possedeva disinteressatamente e che andava ben oltre le insulse figure retoriche di Remus, sia chiaro. Sirius era poetico quando guardava altrove mentre qualcuno riceveva la posta, quando combatteva contro il sonno per non fare incubi e persino quando correva per i corridoi o architettava qualcosa per cercare di evitare quei momenti in cui tutti avrebbero potuto notare la sua poesia.
Ecco, Sirius era poesia. Ti regalava  belle emozioni senza chiedere nulla in cambio e ti rendeva partecipe delle brutte sensazioni senza pretendere di essere consolato. Lo faceva perché era la sua natura.
Remus inizialmente prese un po’ sottogamba quei suoi scarabocchi, convincendosi del fatto che gli fosse lecito trovare uno spiraglio di meraviglia in qualcuno, dal momento che in lui non sarebbe mai potuto esistere. Si ritrovò però a pensarci su quando un freddo giorno di dicembre Sirius disse a tutti loro, con un sorriso largo e le lacrime agli occhi, di essere andato al funerale del signor Black, suo padre.
«Ho sbagliato?» chiese piano come se stesse pensando a qualcosa in particolare – probabilmente le reazioni di sua madre -, e tutti rimasero zitti per un po’. James disse “No” e basta, con la faccia leggermente sbalordita ma piena di empatia – e Remus giurava di aver visto anche l’ammirazione riflessa sugli specchi delle lenti degli occhiali tondi -, mentre Peter annuì tre volte. A Remus venne in mente solo una metafora per rispondergli e gliela disse come se fosse l’unica cosa che contasse, anche se considerava il tutto ridicolo e fuori luogo.
«Non c’è niente di sbagliato, Padfoot. Tu sei il diritto in un mondo di doveri».
Sirius allora chiuse gli occhi liberandosi del macigno del rancore nostalgico e si addormentò fra tre paia di braccia.
Da quel momento in poi Remus non bruciò più la sua libertà di sognare nel camino e conservò tutte le sue sensibili constatazioni fra gli appunti di Pozioni e di Storia della Magia, ma niente di più.
Se Sirius era così tante cose, allora poteva essere anche l’idea di amore?
Remus non si diede risposta e rimandò l’interrogatorio con se stesso e con il suo leggero essere di metafora in metafora, finché il tempo e la sfortuna gli vietarono con l’odio e la disperazione di poterne scrivere mille altre ancora. Remus scese a compromessi solo quando poté uscirne completamente distrutto: lui non meritava la meraviglia e la meraviglia meritava più di un assassino.
Tuttavia Sirius Black, anche dopo tutto quel tempo e quel dolore, non aveva mai smesso di essere una metafora vivente.
«Il pluriomicida Sirius Black evaso da Azkaban: nessuna traccia, svanito come fumo nero».
E alle metafore, Remus l’aveva finalmente capito, non c’era proprio scampo.
 
 
Note d'autrice: erano eoni che non scrivevo sulla mia prima OTP e come sempre quando perdo l'abitudine ne esce qualcosa di nonsense. Colpa di Kundera che mi fa venire gli attacchi di cuore con la sua perfezione. Questo è un modo per dire a Remus e Sirius che no, non mi son dimenticata di loro e che gli voglio sempre un sacco bene *manda amore*.


 
   
 
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