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Autore: Lady Vibeke    02/04/2008    14 recensioni
Michelle è perfetta, la ragazza ideale: intelligente, simpatica, dolce, premurosa, gentile, altruista, di buona e ricca famiglia, modesta, bella… Peccato solo che sia completamente sbagliata per Gustav. Ma come diavolo si fa a dire ad uno dei propri migliori amici che sta per commettere il più clamoroso e colossale errore della propria vita, ad un passo dal compimento dell’errore stesso?
Georg, Tom e Bill darebbero qualsiasi cosa per conoscere la risposta a questa domanda e poter così sventare il più grande disastro della storia dei Tokio Hotel.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[ BILL ]


Dolore. Un lancinante, insoffribile, disumano dolore. È tutto ciò che provo quando acquisto conoscenza, reduce dal sonno più tormentato della mia vita. La mia testa pulsa talmente forte che per un attimo mi viene il dubbio che il cuore mi sia schizzato nel cranio e lì abbia deciso di mettersi a martellare contro le mie tempie come un metallaro sotto cocaina, ma poi mi ricordo dei cinque Sex On The Beach extraforti che mi sono ingollato ieri sera e tutto ha un senso. Dannati postumi!

Apro prima un occhio, poi l’altro, e mi guardo pigramente intorno, non senza una buona dose di timore: riconosco l’armadio e i vari dischi d’oro e di platino appesi alle pareti. Bene, è la mia stanza, una buona notizia.

Richiudo gli occhi quasi subito, infastidito dalla lama di luce che penetra dalle imposte, e mi torna in mente l’incubo che ho fatto stanotte, una di quelle cose assurde che sai che nella vita reale non succedono, ma che ti spaventano a morte comunque.

Ho sognato che Gustav annunciava di voler sposare Michelle. Ridicolo, no? Insomma, è più che evidente che una simile eresia non potrà mai e poi mai…

Un momento…

Questa maledetta sbronza me la sono presa con Tom e Georg in quel bar di infima categoria vicino al Luna Park. E ci siamo andati dopo la cena al Florence. Cena offerta da Gustav perché…

Già, perché? Per quale motivo Gustav avrebbe dovuto…?

Oh, cazzo.

Ora ricordo! Quel coglione vuole davvero sposare Michelle!

Se la mia testa non mi stesse uccidendo, mi metterei a sbatterla contro il muro, ma meglio evitare. I vicini hanno già abbastanza da ridire sul casino che facciamo di solito, soprattutto quando io e Tom ci mettiamo a litigare. Il che non capita spesso. Quell’una o due volte al giorno. Fortuna che raramente siamo in casa.

Sto già per far partire una lunga e lamentosa serie di riflessioni su questa cavolata del matrimonio, quando mi accorgo che c’è qualcun altro nel letto con me.

Non può essere Tom, non mi sento soffocare dalle esalazioni pestilenziali del suo nuovo dopobarba. Ma se non è lui, allora chi è?

Merda, vuoi vedere che mentre ero ubriaco qualcuno si è approfittato di me? Dio, spero di non essere finito a letto con Georg. Gustav mi pagherà anche questa, giuro.

Mentre un brivido di raccapriccio mi scuote, cerco di farmi forza e coraggio e lentamente riapro gli occhi, voltandomi piano di lato. L’ignota presenza non si muove. Anzi, non da proprio segni di vita.

Non ho commesso un omicidio, vero?

Sollevo esitante una mano e la allungo verso la grossa sagoma che si cela sotto le coperte, poi afferro un lembo del lenzuolo e lo scosto con uno scatto deciso, pronto a tutto.

O quasi.

Per poco non mi viene un infarto: un paio di abnormi occhi neri e lucidi mi fissa in modo inquietante e piuttosto insistente. Mi ci vuole una manciata di secondi per riuscire a mettere a fuoco il proprietario: si tratta di un gigantesco coniglio rosa che occupa più di metà del letto e porta un orrido fiocco rosso al collo.

Beh, se non altro non è Georg.

Ma che diamine ci fa un coniglio rosa alto un metro e mezzo nel mio letto?

Mi sforzo di ricordare cosa sia successo ieri sera, dopo la cena, e vaghi flash emergono nella mia mente, tra cui anche l’ingresso al Luna Park. Non voglio sapere cosa ci abbiamo fatto, noi tre, in quel Luna Park, per portarci a casa questo bestione di peluche.

E poi, perché è nel mio letto? Dovrebbe stare nella stanza di Georg, è lui il collezionista di peluche.

Mosso da un impellente desiderio di ficcare la testa in un secchio di acqua gelata e poi scolarmi almeno una dozzina di caffè forti, mi districo dalle lenzuola e, barcollando, mi alzo. Quando finalmente ho raggiunto un equilibrio quasi stabile e mi sono accertato di indossare almeno i boxer, recupero un paio di occhiali da sole dal pavimento e me li infilo alla meno peggio, poi afferro l’ospite indesiderato e me lo trascino dietro attraverso il corridoio, che non mi è mai parso così accecante e tremendamente luminoso. Mentre cammino mi appoggio con la mano libera alla parete, onde evitare sbilanciamenti eccessivi della mia già scarsa stabilità. Ignoro deliberatamente lo specchio che c’è a metà strada: preferisco non sapere in quale vergognoso stato di trascuratezza io sia ridotto al momento.

Arrivo in cucina con un cerchio alla testa di intensità triplicata rispetto a quando mi sono svegliato e trovo Georg e Tom stravaccati al tavolo su due sedie ciascuno, una per sedersi ed una su cui hanno allungato le gambe. Sono entrambi nelle mie medesime condizioni: boxer e occhiali da sole calcati sul naso, le teste reclinate all’indietro con espressioni di stoica sofferenza, e stringono in mano una tazza di fragrante caffè fresco che devo assolutamente avere anch’io, e al più presto.

“Buongiorno.” Mormoro ancora mezzo addormentato, piantando il coniglio sul tavolo senza minimamente curarmi di cosa ci sia sotto.

“Non gridare, ti prego.” Rantola Tom, in un tono da moribondo.

“Non sto affatto gridando,” mi difendo io. “Riesco a malapena a parlare.”

“Allora non parlare.” Interviene Georg, con lo stesso tono di Tom. “Anzi, non respirare nemmeno.”

Grandioso. Siamo tutti e tre in piena fase di stronzaggine post-bevuta e nel pomeriggio dobbiamo incontrare la famiglia di Michelle, perché – l’avevo dimenticato – lei e Gustav fra due mesi si sposano.

Sono subito assalito da un’ondata di panico, ma cerco di sedarla versandomi tutto il caffè rimasto nella caffettiera della macchinetta (mi chiedo come abbiano fatto a farlo, tra l’altro, visto che qui dentro l’unico che sappia usare quest’aggeggio sono io), poi mi prendo un Mars dalla credenza e lo scarto con i denti.

“Hey, che fine ha fatto la pattumiera?” domando quando apro l’anta sotto il lavandino e la trovo sprovvista del solito cestino.

“Sul balcone” Mi comunica Georg. “Ci hai vomitato dentro ieri sera.”

Ah. Buono a sapersi. Ecco perché non ho la nausea, adesso.

“Poi ti toccherà pulire, ovviamente.” Soggiunge Tom, amabile come sempre.

“E dovresti anche dare da mangiare al criceto.” Prosegue Georg, sorseggiando il suo caffè.

“Noi non abbiamo un criceto.” Faccio notare io, ma Tom punta un dito verso un piccolo scatolone in un angolo della stanza che non avevo notato.

“Adesso sì.”

Mi avvicino riluttante allo scatolone. All’inizio mi sembra vuoto, a parte uno straccio appallottolato, ma poi vedo qualcosa muoversi, e accanto allo straccio individuo un batuffolino di pelo bianco che rosicchia felicemente il cartone. Strano, non ricordo di aver svaligiato un negozio di animali, ieri sera, ma effettivamente non ricordo un bel niente delle ultime dodici ore.

“Non chiedermi come,” dice Tom. “Ma l’hai vinto ieri sera al tiro al bersaglio. L’hai chiamato Elvis e gli hai promesso che quando sarà grande gli permetterai di farsi un giro su Jumbie.”

Che? Sono posso aver detto una cosa simile. Ad un criceto, per di più. Io, Bill Kaulitz, il ragazzo più serio e maturo…

Ehm…

Okay, è possibile che io l’abbia detto, ma ora non ha importanza, abbiamo cose ben più urgenti di cui preoccuparci.

“Qualcuno di voi rammenta a che ora dobbiamo essere alla tana del lupo?” domando, mentre comincio ad aprire tutte le ante del mobile e metto tutto a soqquadro alla ricerca delle confezioni di popcorn da microonde.

Tom fa schioccare la lingua.

“Se intendi il solenne ricevimento a Villa Keller, Gustav ha lasciato un messaggio in segreteria, ha detto che è rimandato a dopodomani.”

“Vogliono unire l’utile al dilettevole e approfittarne per presentarci la wedding planner.” Aggiunge Georg, schifato.

Io batto le ciglia perplesso.

“La wrestling che?”

“La wedding planner!” sbuffa Tom. “Quella che si occupa di organizzare il matrimonio.”

Io gli rispondo con uno sguardo vacuo.

“Dai, Bill, non hai mai visto il film con Jennifer Lopez?”

“Sai, Tom, non siamo tutti tv-dipendenti come te, a qualcuno piace farsi una vita.” Ribatto, indignato. Se per lui queste sono le cose importanti da sapere nella vita, comincio a spiegarmi molte, moltissime cose.

“Meglio essere tv-dipendenti che ‘farsi una vita’ con Michelle Keller.” Borbotta allora Georg, e stavolta non posso contraddirlo. Ha assolutamente ragione. Dobbiamo risolvere questa folle storia del matrimonio al più presto.

“Si può sapere che cazzo stai facendo?” mi chiede Tom, mentre io sono ancora immerso nella mia ricerca.

“Devo dare da mangiare al criceto, no?” rispondo, disseppellendo finalmente l’ultima busta di popcorn da sotto un cumulo di sacchetti di caramelle gommose.

“Guarda che i criceti mangiano semi di girasole ed affini,” Bofonchia lui. Deve sempre avere qualcosa da ridire. “I popcorn non sono esattamente il loro piatto preferito.”

“I popcorn no, ma il mais sì, e visto che in casa non abbiamo niente di meglio, dovrà accontentarsi. A meno che non abbia voglia di un panino al prosciutto.”

“Fate come vi pare con il roditore, io mi metto a mollo in una bella vasca di acqua fresca e mi faccio un idromassaggio.” Annuncia Georg.

“Bastardo!” si lamenta Tom. “Lo volevo io!” Ma non ha la forza di opporsi oltre, così Georg posa la propria tazza sul tavolo, proprio tra le zampe del coniglio gigante, e se ne va, lasciandosi dietro una scia di lamenti e brontolii.

Io intanto mi sono versato dei piccoli chicchi di mais sulla mano e sto tornando verso lo scatolone.

“Vieni qui piccolo Elvis, vieni dalla mamma…”

“Non confondere quella povera creatura,” mi rimprovera Tom, non pago di aver già abbondantemente rotto nei precedenti minuti. “Avrà già i suoi dubbi sulla tua identità sessuale, se poi ti ci metti anche tu…”

Ma quanto è simpatico. Almeno quanto un riccio di mare conficcato nella pianta del piede, solo molto più spinoso e fastidioso. Un giorno gli rivelerò che quella foto che tiene in bella vista sulla sua scrivania di me vestito da mucca Milka, in realtà è sua.

Lui si alza in piedi, va verso il lavandino e si riempie un bicchiere d’acqua.

“Sai dove teniamo le aspirine?” mi chiede, rovistando freneticamente in tutti gli armadietti che ho lasciato aperti.

Io sollevo lo sguardo dal mio piccolo amico peloso, a cui sono già irrimediabilmente affezionato (anche se nemmeno ricordavo esistesse), ed inarco le sopracciglia. Mio fratello non è molto sveglio, ma, poverino, non è colpa sua se i geni dell’intelligenza sono passati tutti a me.

“In bagno?” suggerisco, con tutto il mio notevole buonsenso.

“No,” grugnisce Tom, richiudendo bruscamente un cassetto. “Erano qui, da qualche parte.”

Io sospiro, mentre Elvis comincia a rubare ad uno ad uno i chicchi di mais e se li divora alla velocità della luce, riempiendosi le guance fino a sembrare una pallina di pelliccia con gli orecchioni.

“Hai guardato nella biscottiera?” ritento allora. Lui rotea gli occhi, come se stesse parlando con un minorato mentale e cercasse di non perdere la pazienza, giusto per buona educazione.

“Perché dovremmo tenere delle aspirine della biscottiera?” obietta ostinato.

Che male ho fatto perché il mio dna avesse una copia così ottusa?

Assumo un’aria che sia il più possibile compassionevole per quel suo cervello raggrinzito e sottosviluppato e cerco di non fargli pesare la sua inferiorità.

“Perché i biscotti stanno nel cestino della frutta,” gli spiego affabile. “Il quale non ha mai contenuto frutta da quanto è entrato qui dentro.”

Scettico, Tom allunga una mano verso la biscottiera di ceramica che sta sul bancone e la apre, estraendone subito dopo una manciata di confezioni di farmaci, tra cui l’aspirina. Ne scarta un paio e le scioglie nel bicchiere senza dire una parola, nemmeno uno dei suoi soliti ‘grazie’ mugugnati tra i denti.

Di niente, fratellone.

“Abbiamo già un piano per impedire a Gustav di buttarsi così irresponsabilmente tra le braccia dell’autodistruzione?” domando, tanto per cambiare argomento e non dovermi così ritrovare costretto a massacrare di botte il mio amato gemello, il quale replica sollevando le spalle.

“Ci sono due opzioni: o riusciamo a somministrargli una massiccia dose di buonsenso e troviamo il modo di fargli capire che sposare Michelle è una mossa saggia quanto mettere il sale nel caffè, o eliminiamo direttamente Michelle, e visto che il caro Gustav sembra aver sviluppato degli invincibili anticorpi contro ogni forma di ragione, direi che possiamo buttarci direttamente sulla seconda.”

Già, proprio quello che temevo.

 

-------

 

Sono circa le cinque di lunedì pomeriggio quando usciamo di casa e nessuno di noi ha ancora completamente smaltito la sbornia. Sostanzialmente siamo tre zombie con un’emicrania da record a bordo di un’auto che sfiora i cento chilometri orari, per recuperare il quarto d’ora di ritardo accumulato per via del battibecco tra Georg e Tom su chi dei due dovesse usare l’ultima goccia di crema idratante (poi la diva sono io, giustamente). Affidabilità è il nostro secondo nome.

Tom è al volante della sua Escalade e guida come se ci stessimo dirigendo al patibolo.

Beh, non è che abbia tutti i torti.

Non sappiamo molto sulla famiglia di Michelle, o, per meglio dire, su suo padre. Sua madre è morta quando lei era piccola, e non ha mai avuto fratelli o sorelle, quindi immagino che il suo ricco ed acido padre in carriera l’abbia abituata ad ottenere qualunque cosa semplicemente schioccando le dita. Forse nemmeno.

Beh, mi spiace, ma Gustav non finirà sulla lista dei suoi capricci soddisfatti e dimenticati.

Me ne sto seduto sul sedile posteriore in compagnia di Iwen, il coniglio rosa, che abbiamo deciso di chiamare così seguendo l’acrostico dell’unica risposta che abbiamo saputo trovare alla domanda ‘Sarà maschio o femmina?’, ossia: non lo so. È stata un’idea mia quella di portarlo con noi, così avrò qualche cosa da premere sul naso a punta di Michelle appena lei aprirà bocca.

Iwen mi sta seduto accanto, la cintura di sicurezza premurosamente allacciata, e anche lui sembra chiedersi cos’abbiamo mai fatto per meritare questa spinosa faccenda del matrimonio.

Nessuno fiata per tutto il tragitto, a parte occasionali insulti ed imprecazioni misti che Tom accompagna alle sue strombazzate contro i pochi malcapitati che incontriamo per queste stradine secondarie di campagna. Ci vuole mezz’ora per arrivare agli eleganti cancelli spalancati della villa dei Keller e mentre li varchiamo mi sento come Dante alle porte dell’Inferno: ‘lasciate ogni speranza voi ch’entrate’.

Parcheggiamo nello spiazzo davanti all’ingresso, accanto ad una Mercedes metallizzata nuova fiammante, e Tom ha a stento il tempo di togliere le chiavi dall’accensione che un acuto strillo familiare ci accoglie, e io non posso fare a meno di rabbrividire d’istinto.

“Eccovi, finalmente! Che piacere avervi qui!”

Michelle è sulla soglia e ci sorride con tutti e trentadue i suoi impeccabili denti candidi. È vestita con un abitino da cocktail di un atroce rosa confetto e un paio di sandali coordinati dai tacchi a spillo che fanno spavento. Sembra più magra dell’ultima volta che l’ho vista, o forse è solo il grosso brillante che porta all’anulare sinistro che crea quest’illusione.

Scende gli scalini di marmo ticchettando e ci corre incontro con le braccia tese, portandosi dietro un alone di Allure Chanel che mi fa quasi venire un attacco d’asma.

Ci bacia tutti e tre sulle guance, poi si tira su, battendo le mani concitata, e sfodera un sorriso abbagliante.

“Allora,” esclama entusiasta. “Come ci si sente ad essere dei testimoni?”

Mi mordo la lingua, rimangiandomi la battuta sui testimoni di omicidio che mi attraversa la mente, e mi sforzo di ricambiare il sorriso.

“Ehm… Emozionante,” balbetta Tom, insolitamente diplomatico. Georg annuisce e basta. Saggia decisione.

“Scioccante,” rispondo io, senza riuscire a tenere del tutto a freno il sarcasmo. “Una vera sorpresa.”

Michelle mulina la lunga chioma bionda e ci fa cenno di seguirla in casa.

“Venite,” gorgoglia radiosa. “Aspettavamo solo voi!”

Ci guida attraverso un corridoio pavimentato con un elaborato motivo di mosaico e noi la seguiamo come cani al guinzaglio. Sembra veramente di essere sulla via del patibolo.

Alla fine il corridoio sbocca su un’ampia sala, completamente illuminata dalla forte luce del sole che entra in abbondanza dalle grandi vetrate che danno sulla piscina.

Evviva, la mia emicrania è destinata a peggiorare drasticamente! Mi è anche toccato togliere gli occhiali da sole, e se non l'avessi fatto io, le due amebe comotose che mi accompagnano nemmeno si sarebbero scomodati a pensarci.

Gustav è seduto sul lunghissimo divano scamosciato e ci saluta con un cenno della mano. Non ha un’aria particolarmente rilassata.

In piedi poco lontano, un uomo corpulento in abbigliamento formale (presumibilmente il signor Keller) sta conversando con una donna sulla quarantina dalla vistosa acconciatura rossa che indossa un tailleur pantalone che sembra essere stato sfornato di fresco da una boutique di Gucci.

“Papà!” chiama Michelle, introducendoci. “Ecco qui gli amici di Gugu: Bill, Georg e Tom,” Ci spinge in avanti in modo un po’ troppo ansioso, ed è un miracolo che Georg non inciampi nel tappeto. “Ragazzi, lui è Michael Keller, mio padre.”

Keller ci osserva tutti dall’alto con un’espressione strana. Per la verità non ha affatto espressioni, nemmeno quando ci stringe la mano, borbottando qualcosa che non riesco ad afferrare, ma che suppongo sia da interpretare come ‘piacere’.

Quest’uomo incute timore e soggezione in modo raggelante.

Intanto non mi è sfuggito il fatto che Gustav abbia storto il naso nel sentirsi chiamato in quel modo ridicolo dalla sua adorabile fidanzata. Un altro argomento che poterò a sostegno della nostra tesi quando dovremo farlo tornare con i piedi per terra.

“E questa è Leila Strauss,” prosegue Michelle, indicando la donna. “Sarà lei ad occuparsi di qualunque dettaglio tecnico delle nozze, dalla cerimonia fino al banchetto.”

Leila Strauss ci porge una mano con una manicure perfetta.

“Lieta di conoscervi,” dice in tono annoiato. La sua stretta di mano è fiacca come la sua voce.

Ci squadra uno ad uno accigliata, come se si trovasse davanti ad una nuova specie mai vista, gli occhi azzurri e penetranti che sembrano intenzionati ad esplorare ogni centimetro, visibile e non, delle nostre persone.

“A semplice titolo informativo,” riprende compunta, sollevando un sopracciglio disegnato. “Cos’avete intenzione di fare?”

Oh, merda. Come fa a saperlo? Possibile che sia così evidente? Cazzo, doveva essere una guerra fredda, senza spargimenti di…

“Avete intenzione di partecipare alla cerimonia con quei capelli?”

Capelli? È di questo che parlava? Quindi non siamo stati scoperti!

“Che cos’hanno i nostri capelli che non va?” domanda Tom, un po’ sgarbato, e, onestamente, lui è l’ultimo dei tre che può permettersi di porre un interrogativo come questo. Quei rasta ormai sono fossili.

“Non ci facciamo un bel niente!” segue Georg, toccandosi protettivamente la coda che ha sulla nuca.

Leila si ravvia i capelli, facendo tintinnare i molti bracciali d’oro che porta al polso, senza nascondere il proprio disappunto.

“Ah, giusto,” replica con una specie di smorfia. “Avevo dimenticato che siete delle rockstar. Pazienza, troveremo una soluzione.”

Una soluzione per cosa, di grazia?

Questa messinscena ridicola deve finire, e al più presto.

“Sono spiacente, ma ora devo lasciarvi,” si scusa poi Leila, raccogliendo una borsa di pelle dal divano. “Ho molte cose di cui occuparmi.”

“Venga,” interviene Michelle prontamente. “La accompagno alla porta.”

“Lieta di avervi conosciuti tutti quanti,” saluta Leila, ma non c’è la minima traccia di espressività nelle sue parole. “Arrivederci, signor Keller, è stato un piacere.”

Keller riesce a restituirle un ‘altrettanto’, poi il suo cellulare si mette a squillare e lui si congeda in fretta, rinchiudendosi a parlare nella stanza attigua.

Leila sta per seguire Michelle fuori dalla stanza, quando sembra ricordarsi improvvisamente di qualcosa.

“Oh, signor Schäfer, quasi dimenticavo,” si volta verso Gustav, sempre impassibile. “Domani le manderò la mia assistente Almila a sbrigare un paio di informalità noiose, ma necessarie alla buona riuscita del matrimonio,” Sfila un palmare da una tasca della borsa e comincia a digitarci sopra con l’apposito pennino. “Le va bene domani mattina alle dieci?”

Gustav batte le ciglia, evidentemente preso in contropiede.

“Beh, suppongo si possa fare,” mormora. “Avrei dovuto rivedere gli arrangiamenti per un paio di nuovi brani, ma…”

“Perfetto,” lo interrompe Leila, sbrigativa. “Arrivederci allora, e ancora congratulazioni per il fidanzamento.”

Gustav esibisce un sorriso tirato, e le due finalmente se ne vanno, parlottando tra loro di location adeguate. Non chiedetemi a cosa.

Rimasti soli, io, Tom e Georg ci giriamo verso Gustav incrociando le braccia e lui si lascia cadere indietro contro il morbido schienale.

“Per favore, non una parola.” Ci supplica ad occhi chiusi, apparentemente esausto.

Ecco, è così che è destinato a finire, se sposa questa piccola strega boccoluta. Dovrebbe solo rendersene conto, sarebbe un gran bel passo avanti.

“Solo una cosa,” dice Georg, facendosi avanti con un sogghigno malcelato. “Crudelia Demon era proprio necessaria?”

Gustav gli alza un dito medio senza nemmeno aprire gli occhi. Tom e io ci scambiamo un’occhiata divertita, ma non troppo. Le cose si stanno facendo serie e il tempo vola, urge passare all’azione.

Bene, credo proprio che domani mattina andremo da Gustav a ficcare un po’ il naso. Chissà se questa assistente è uguale alla deliziosa Leila.



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A/N: grazie della calorosissima accoglienza a tutti quanti, è bello essere di nuovo in pista. Un grazie soprattutto a valux91 (i punti di vista dei capitoli sono specificati all'inzio!), L_Fy (mia adorata, è sempre bello ritrovarti tra i miei recensori! Quando posti qualche TokioHotellica novità anche tu?),  bluebutterfly (il tuo commento mi ha dato alla testa, sappilo, sono compiacuta come un Bill con in mano un premio nuovo fiammante), loryherm (graziegraziegrazie, sei sempre la migliore!), SiSi (sì, il nostro amato Gustav si chiama proprio così. tra lui e Georg, hanno dei nomi impegnativi!), NeraLuna (mi metto in ginocchio da quanto ti sono grata per i complimenti), Lidiuz93 (lol, no, non andrà esattamente così, ma quasi!), dark_irina (resto in ginocchio anche per te! Danke!), darkettone (e grazie anche a te! Spero di essere stata all'altezza delle aspettative), e poi le mie Anime Gemelle #1 e #2, starfi e sakura_kinomoto (vi adoro, leute!) e le mie stimatissime e adoratissime colleghe MS, RubyChubb, CowgirlSara e _Princess_. Un bacio a tutti!


P.S. per chi se lo domandasse, Iwen sta per Ich Weiss Es Nicht, che, per l'appunto, significa Non lo So in tedesco.
   
 
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