[ GUSTAV ]
Va tutto
bene.
Va tutto
armoniosamente, splendidamente bene.
Ho un
matrimonio che
si avvicina, una fidanzata con la mania delle cose in grande e tre
amici fuori
di testa che non sembrano troppo entusiasti dei primi due punti, ma non
è un
problema. Tutto va alla perfezione.
Mi passo
una mano
sulla fronte, sospendendo per un attimo il mio giro di flessioni
mattutine. Le
temperature sono già discretamente elevate per essere solo
maggio, e anche se
sono sul terrazzo e indosso solo un paio di bermuda, mi sembra di
scoppiare dal
caldo.
Michelle
è al lavoro
(se lavoro può chiamarsi fare la PR per conto del proprio
padre), e questo
significa che ho circa un’oretta per prepararmi prima che
arrivi questa
famigerata assistente.
Com’è
che si
chiamava? Almila, mi pare. Che strano nome.
Già
mi figuro una
Leila un po’ più giovane ma ugualmente snob che si
presenta in tenuta griffata
fino ai denti e trucco raffinatamente pesante.
Dio, che
incubo!
Prima di
riprendere
con le flessioni, credo di aver bisogno di una botta di liquidi e sali
minerali, quindi vado in cucina e mi tiro fuori del succo
d’arancia, bevendo
direttamente dal cartone. Michelle lo odia, ma occhio non vede, cuore
non
duole. Tanto lei nemmeno beve questa roba piena di pericolosissimi
zuccheri.
Sono
sudato come se
avessi corso la Parigi-Dakar in tre minuti, ma se non altro ho appena
dimostrato che il nuovo deodorante funziona, e anche bene. Lo devo
consigliare
a Tom.
Mi
tampono il viso
con la salvietta, pronto a terminare la sessione di esercizi, quando
sento
suonare alla porta. Sarà il postino.
Vado ad
aprire con
calma, psicologicamente pronto ad incassare la solita mazzata di
bollette ed
estratti conti della banca (il novanta per cento dei quali indirizzati
a
Michelle), ma non è la solita faccia del postino che mi
ritrovo davanti.
È
una ragazza di età
indefinibile, vestita in un modo che Bill definirebbe ‘Tripla
S’: sciatto,
scialbo, squallido, che mi guarda da dietro le lenti di un paio di
occhiali
rettangolari. Regge tra le braccia esili una gran quantità
di materiale
cartaceo e su una spalla porta una borsa nera da computer portatile.
Che sia
una
testimone di Geova?
No,
troppo
malvestita.
“Buongiorno,
signor
Schäfer,” dice con un sorriso che forse dovrebbe
apparire professionale, ma che
nasconde una timidezza piuttosto evidente. “Sono
l’assistente della signora
Leila Strauss.”
È
molto rossa in
viso e sembra non sapere bene dove guardare, così mi viene
in mente che sono a
torso nudo e discretamente sudato. A mia difesa posso dire che se fosse
arrivata
all’orario prestabilito, quest’imbarazzante
inconveniente si sarebbe evitato.
Cosa ci
fa qui così
presto?
“Ah,
piacere,”
biascico, preso in contropiede, e la invito ad entrare.
“Scusa se mi presento
così, ma ti aspettavo per le dieci.”
Lei si
blocca nell’ingresso,
pietrificata, e solleva il polso destro per controllare
l’orologio.
“Oh,
accidenti!”
impreca, battendo un piede a terra. “Avevo dimenticato che la
mia sveglia è
avanti di un’ora!”
Si scosta
una ciocca
di capelli biondi dal viso, ma dubito che la matita che le fissa lo
chignon
molle sulla nuca tratterrà gli altri ancora a lungo.
“Sono
desolata,” si
scusa, assennata. “Davvero, torno tra un’ora, non
volevo disturbarla…”
Cerco di
allentare
il suo disagio con una breve risata rassicurante.
“Ma
no, figurati,
stavo solo facendo un po’ di esercizio.”
Lei
azzarda uno
sguardo fugace e mi squadra di sotto in su, come per dire
‘Questo lo vedo’.
Potrei sbagliare, ma ora non sembra poi così disturbata
dalla mia relativa
nudità.
“Allora…
Almila,
giusto?” le chiedo, temendo di ricordarmi male, ma lei
annuisce. Bene. “Hai un
nome molto esotico.” Osservo, facendole strada attraverso
l’attico.
Lei mi
segue,
guardandosi intorno curiosa e quasi rovina a terra, inciampando nel
tappeto del
salotto.
“In
realtà Almila è
il mio cognome.” Dice, recuperando in fretta
l’equilibrio. Io mi volto stupito.
“E
il tuo nome
allora qual è?”
Lei esita.
“Suometar.”
Risponde, mentre le cedo il passo per entrare in cucina. Io aggrotto la
fonte,
non del tutto certo di aver compreso.
“Eh?”
“Sì,
sì, lo so,” fa
lei, appoggiando la tonnellata di fascicoli che tiene tra le braccia
sul tavolo
con un sospiro di sollievo. “Suona abbastanza assurdo qui. Il
fatto è che sono
di origini finlandesi.”
“Capisco,”
Dev’essere
qui da sempre, perché non c’è la minima
traccia di accento nella sua parlata. In
compenso il suo nome mi risulta comunque incomprensibile.
“Potresti ripeterlo,
per favore?”
“Suometar.”
Scandisce lei, più lentamente.
“Suometar,”
Me lo
ripeto un paio di volte a mente, ma già so che tra un
istante me lo sarò
dimenticato. “Non me lo ricorderò mai. Posso
chiamarti Tari?”
Lei
comincia a
dividere la roba che ha portato in piccole pile e fa cenno di
sì con la testa.
“Certo,
signor
Schäfer.”
Ancora
con questo signor Schäfer?
Vuole per caso farmi sentire
vecchio prima del tempo?
“E
tu potresti
chiamarmi Gustav, magari?” suggerisco speranzoso, ma lei mi
getta un’occhiata
oltraggiata.
“Ah,
no, è fuori
discussione, mi spiace,” decreta compunta. “Leila
mi licenzia in tronco se
dimostro troppa confidenza con i clienti, soprattutto con quelli del
suo
calibro, e la sua lista di moventi per la mia esecuzione è
già abbastanza
lunga.”
“Prego?”
“Sono
una maldestra
senza speranze,” spiega lei, in tono sconfortato.
“Sono da Leila per uno stage
e farle da assistente è un incubo, ma se passo questo
periodo di prova, verrò
assunta regolarmente.” Appoggia delicatamente la borsa sul
quadrato di tavolo rimasto
sgombro e la apre. “Purtroppo sono un vero disastro e sembra
che io non ne
combini una giusta.”
“Suvvia,
non puoi
essere così terribile.” Sdrammatizzo io.
“Vuole
sapere perché
Leila si è comprata una nuova Mercedes?”
Veramente
non è che
la cosa mi interessi – anche perché sono troppo
occupato a chiedermi cosa sia
tutto quel materiale che ha sparso in giro – ma suppongo si
tratti di una
domanda retorica.
“Perché?”
“Perché
quella che
aveva prima aveva un minuscolo graffietto sul fianco e lei mi ha
chiesto di
farla riverniciare con un nuovo colore, perciò io ho faxato
alla concessionaria,
ma anziché il codice del nuovo colore, ho lasciato quello di
quello vecchio,
così Leila si è ritrovata nuovamente con una
Mercedes color champagne, e
ovviamente il color champagne è out, quindi non ne ha
più voluto sapere di
rivederla.” Tari si lascia cadere su una delle sedie del
tavolo, come se il
semplice ricordo la stremasse. “L’ha venduta e se
n’è comprata una nuova, non
senza sottopormi ad una massacrante tirata di rimproveri.”
Se non
avessi
conosciuto personalmente Leila Strauss, penserei che stia gonfiando un
po’ la
storia, ma devo dire che effettivamente non mi riesce difficile
immaginare
quella donna dare in escandescenze per un inezia simile. A dire il vero
mi
vengono i brividi solo a pensarci.
“Certo,”
dice
solidale. “Capisco.”
Tari si
porta un
ciuffo vagante dietro all’orecchio e si mette a picchiettare
sulla tastiera del
portatile, ma quasi subito il suo viso si contrae spiacevolmente.
“Accidenti,
ho
dimenticato di caricare le batterie!” geme lamentosamente.
Perché
ho la
sensazione che questa mattinata sarà molto lunga e sfibrante?
“Puoi
alimentarlo a
corrente, se vuoi,” soggiungo. “Ecco,”
Tolgo il mio cellulare dalla presa in
cui è in carica. “Puoi attaccarlo qui.”
“La
ringrazio.”
Mormora lei, e, dopo aver estratto un cavo dalla borsa, comincia a
dipanarlo da
una parte all’altra della stanza.
Sto per
chiederle se
posso offrirle qualcosa, ma proprio in questo momento il campanello
suona di
nuovo.
“Faccia
pure,” mi
dice lei, trafficando goffamente con una serie di dispositivi USB.
“Io intanto
sistemo qui.”
“D’accordo.”
La lascio
sola, un
po’ preoccupato per cosa potrebbe accadere in mia assenza, e
vado alla porta.
Sarà
davvero il
postino, stavolta.
“Buongiorno,
principessa!” Mi salutano tre voci fresche e pimpanti.
No, non
è il
postino.
[ TOM ]
Non
riesco a fare a
meno di sogghignare quando la porta si apre: adoro fare questo tipo di
sorprese
scioccanti. Gustav ci guarda a bocca aperta, palesemente colto di
sorpresa. È a
torso nudo e abbastanza sudato, e mi viene da domandarmi
perché, visto che
Michelle è in ufficio, a quest’ora, e
l’assistente di Leila dovrebbe arrivare
solo tra mezz’ora.
Wow, vuoi
vedere che
il bravo ragazzo per eccellenza ha già un’amante?
E non si è nemmeno ancora
sposato! Ah, sono così fiero di lui!
“E
voi tre cosa ci
fate qui?” domanda dopo qualche secondo di comprensibile
smarrimento.
“Oh,
beh, sai…” Bill
si stringe nelle spalle ed esibisce uno dei suoi sorrisi innocenti che
fanno la
felicità di qualunque donna e anche di diversi uomini.
“Siamo capitati nei
paraggi e abbiamo pensato di passare a farti un salutino.”
“Abitate
dall’altra
parte della città,” puntualizza Gustav seccamente.
“Come diavolo potevate capitare nei
paraggi?”
“Il
mondo è piccolo,
sai?” ribatto io, anche se non possiedo nemmeno un briciolo
dell’innata
innocenza di Bill. Gustav però non demorde.
“E
di solito a
quest’ora siete incollati ai rispettivi cuscini.”
“Siamo
caduti dal
letto.” Insiste mio fratello.
“Non
vi sareste
svegliati comunque.”
Oh, ma
insomma,
quant’è pignolo! Non è molto carino da
parte sua trattare così dei cari amici
che si preoccupano tanto per lui e per il suo futuro.
“Quanto
sei
scortese, Gugu!” lo rimbecca Georg, guadagnandosi
un’occhiata assassina.
“Non
mi chiamare mai
più in quel modo.”
“Michelle
sì e io
no?” Georg fa una faccia offesa. “Brutto
cattivone!”
“Tu
non sei la mia
fidanzata.” Specifica Gustav a denti stretti. Non sembra poi
così felice di
vederci. Chissà come mai.
Georg
sorride
sornione.
“È
una proposta?” Si
porta le mani al cuore con fare teatrale. “Gustav, non vorrei
ferirti, ma lo
sai che ci tengo alla nostra amicizia…”
“Zitto,
cretino,” Gustav
lo afferra per un braccio e praticamente lo scaraventa
all’interno dell’attico.
“Venite dentro, muovetevi.”
Noi,
obbedienti,
entriamo. La casa è silenziosa e sembra tutto in ordine, ma
con questo ragazzo
non si può mai dire. Il bello di avere la reputazione
dell’angelo del gruppo è
che nessuno sospetta mai che tu possa combinare qualcosa di losco, ma a
me non
la si fa.
“Gustav,
posso farti
una domanda intelligente e molto sensata?”
“Non
ne saresti in
grado.”
Georg e
Bill ridono.
Io faccio dignitosamente finta di non aver sentito.
“Perché
sei mezzo
nudo e sudato?”
“Stavo
facendo un
po’ di esercizio.”
“Ah,
certo,”
annuisco io. “Lei chi è?”
Gustav,
come da
manuale, fa lo gnorri.
“Lei
chi?”
“Quella
con cui
stavi facendo esercizio,”
chiarisco
io, ammiccando. “Abbiamo interrotto qualcosa?”
“Sì,
la mia
conversazione con Tari.”
“Chi?”
domandiamo
io, Bill e Georg all’unisono.
Una
misteriosa
sconosciuta! Lo sapevo! Lo sapevo!
Quando
sbuchiamo in
cucina, scorgo una ragazza seduta al tavolo, con aperti davanti una
mezza
dozzina di cataloghi e un portatile. Non sembra in condizioni fisiche
compromettenti.
“Abbiamo
visite.” Le
annuncia Gustav, e lei alza lo sguardo, per poi alzarsi in piedi in
modo non
proprio aggraziato.
Questa
sarebbe lei?
Non
è esattamente il
tipo di ragazza con cui intavolerei una torrida relazione clandestina,
ma
sinceramente nemmeno una conversazione di cortesia.
Non
è molto alta,
una spanna meno di Gustav, e spaventosamente pallida. Gli occhiali
dalla
sottile montatura metallica non riescono a nascondere le profonde
occhiaie che
le segnano i contorni degli occhi di uno strano grigo-verde, il viso a
forma di
cuore è leggermente scavato nelle guance, mentre gli zigomi
risaltano
particolarmente. Ad occhio e croce le darei venticinque anni, forse
ventisei,
ma il suo abbigliamento casual è troppo trasandato per una
così matura. Forse,
con molto ottimismo, potrebbe risultare vagamente carina con un
po’ di trucco
ben studiato e magari una camicia che non sia di un così
infelice color giallo
canarino che la sbatte tanto.
Ci
sarebbe solo un
dettaglio insignificante che mi preme sapere: chi diavolo è?
Fortuna
che Gustav
sembra intuire i punti interrogativi dipinti a caratteri cubitali sulle
nostre
facce.
“Ragazzi,
lei è l’assistente
di Leila.”
Ah. Ma
non doveva
arrivare alle dieci?
La
ragazza si fa
avanti timidamente, inciampando nel cavo del portatile e scampando per
miracolo
un bel ruzzolone a terra, e ci stringe educatamente la mano in un modo
un po’
impacciato.
“Suometar
Almila,
piacere.” Si presenta, ma io non riesco a decifrare il nome,
e Bill e Georg non
sembrano molto più convinti di me.
“Come,
scusa?”
Lei
sospira, come se
fosse abituata a questa perplessità, e francamente non
stento a crederlo.
“Suometar,”
Ripete
paziente. “Tari, se preferite.”
“Sì,
grazie,
preferisco,” approvo io, mentre ricambiamo le presentazioni.
“Che diavolo di
nome è?”
Lei
arrossisce.
Mmm,
forse dovrei
rivedere un po’ i miei approcci con gli sconosciuti. Ho idea
che ‘Che diavolo
di nome è?’ potrebbe sembrare un po’
troppo aggressivo e maleducato, a primo
impatto, ma forse mi sbaglio.
“Finlandese,”
spiega, e, di nuovo, ho l’impressione che anche questa parte
sia abituata a replicarla
più e più volte. “Nella mitologia
scandinava, Suometar è la figlia umana della
Finlandia.”
Però,
mica male.
Chissà se anche la Germania ha una figlia umana.
Esteticamente decente, magari.
“Wow,”
fa Bill, gli
occhi che si illuminano. “Questo spiega tutto, anche questi
tuoi lineamenti
così spigolosi.”
Tari
abbozza un sorriso
nervoso.
“Lei
dice?”
Gustav
pare in piena
fase rimuginativa: si vede lontano anni luce che sta cercando di capire
cosa
siamo venuti a fare qui a quest’ora, per noi normalmente
notturna, a seminare
il caos per il suo perfetto loft da mezzo milione di euro. Non penso
che possa
arrivare ad intuire il nostro attentato di sabotaggio matrimoniale.
“Puoi
anche darci
del tu.” Si intromette Georg, con tutta la mia approvazione.
“Ah,
non ci
contare,” interviene Gustav. “Vi
chiamerà signor Listing e signori Kaulitz a
vita.”
“Mio
padre è il
signor Kaulitz!” esclama Bill, inorridito. “Io sono
Bill!”
“E
io la fata
turchina.” Borbotto io, sospirando, poi mi dirigo al tavolo
della cucina e mi
metto a curiosare tra la roba che c’è sopra.
“La
prego, non
tocchi niente!” Tari corre verso di me e mi sottrae da sotto
al naso un’agenda
elettronica prima che io la possa toccare. Io la guardo confuso e le
sue guance
si tingono di un rosa acceso. “Mi dispiace,”
balbetta, imbarazzata. “È che ho
assoluto bisogno che le mie cose restino in un ordine preciso e
rigoroso,
quindi preferirei che nessuno a parte me le toccasse.”
Ho
capito. È una di
quelle pazze psicotiche con l’ossessione
dell’ordine. Va bene, assecondiamola.
“Scusami.”
Mi faccio
rispettosamente da parte e lascio che lei posi nuovamente il palmare
tra le
varie scartoffie, gran parte delle quali costituite da depliant e
riviste di
matrimoni. Non me ne accorgo subito, ma parecchie immagini raffigurano
l’Italia, e la homepage aperta sullo schermo del portatile
mostra un primo
piano molto suggestivo di una panoramica su Milano, ed i link sono
tutti in
italiano.
Ti prego,
fa’ che
non abbiano intenzione di sposarsi in Italia!
Un conto
è mandare
all’aria un matrimonio giocando in casa, un altro
è doversi muovere in campo
straniero e ritrovarsi così in doppia difficoltà.
“Ehm,
Gustav,” Mi
sfrego dubbioso il mento, quasi temendo di chiedere. “Vi
ispirerete all’Italia
per le decorazioni e tutto?”
Qualcosa
mi dice che
ho toccato un tasto dolente, perché lui assume
un’espressione afflitta e si
passa una mano tra i capelli umidi.
“Michelle
ha sempre
sognato di sposarsi nel Duomo.”
“Il
duomo di
Magdeburgo?” fa Georg, stupito. Gustav sospira.
“Macché
Magdeburgo. Quello
di Milano!”
Ti
pareva. La legge
di Murphy non sbaglia mai: se qualcosa può andare male, lo
farà.
Questo
costituisce
una potenziale, drammatica complicazione.
“Organizzeremo
là
gran parte delle cose,” spiega Tari, in tono efficente.
“Verso metà giugno
andremo sul posto a sistemare tutto.”
Rettifico:
questo
costituisce una drammatica complicazione.
Mettiamo
caso, per
assurdo, che non dovessimo riuscire a trovare un piano efficace per
uccidere
Michelle e farla franca: dovremmo trovare allora il modo di seguire
questo
disastro ambulante di ‘Gugu’ fino a Milano e
perseguire là la nostra causa.
Beh,
forse non
sarebbe poi così male, no? Voglio dire, stiamo parlando
dell’Italia, e a
giugno, per giunta! Ci saranno migliaia di ragazze in minigonne e top
scollati
in giro per la città, e anche i locali ne
pulluleranno…
No! Tom,
controllati.
Sono un
buon amico,
devo pensare al bene di Gustav prima che alla soddisfazione dei miei
pur
fondamentali bisogni. Se riusciamo a non arrivare fino a Milano
è meglio.
Getto uno
sguardo a
Bill e Georg e, se il primo sembra solo ed esclusivamente preoccupato,
il
secondo ha tutta l’aria di pensarla come me, per filo e per
segno.
Non che ne dubitassi, comunque.
“Quindi,” Georg si schiarisce la voce, facendosi avanti a braccia conserte. “Ci sarà una trasferta di massa per il gran giorno?”
Tari si spinge gli occhiali sul naso ed annuisce.
“In effetti,” dice. “È sostanzialmente per questo che sono qui.” Scocca uno sguardo a Gustav, poi riporta la propria attenzione su Georg. “La signorina Keller ha espressamente richiesto il pieno coinvolgimento del signor Schäfer nei preparativi, e siccome Leila si occuperà della sposa, io seguirò lo sposo.”
Lo sposo. Suona veramente disgustoso. Soprattutto se penso a chi è associato quel ‘la sposa’.
Gustav, amico mio, vedrai che ti caveremo da quest’impiccio in cui tu stesso ti sei masochisticamente invischiato.
Raggiungo Georg al tavolo e mi piazzo davanti a lei, le mani poggiate sul bordo.
“Sono invadente se ti chiedo quanti anni hai?”
Lei si irrigidisce e, con la coda dell’occhio, vedo Bill passarsi sconsolato una mano sul viso, ed è come se potessi leggere telepaticamente i suoi pensieri: ‘No, Tomi, figurati, invadente tu?’
Scuote il capo incredulo, ma io lo lascio perdere. Trovo molto più costruttivo molestare la qui presente assistente del demonio, la quale si rifiuta categoricamente di alzare gli occhi dal monitor.
“Lei quanti me ne da?”
Risposta audace, per una piccola nerd. Un punto per lei.
Mi sporgo in avanti e mi metto a studiarla attentamente, valutando ogni suo tratto.
“Non saprei,” rispondo, vago. “Venticinque?”
L’intenso rossore che le compare sulle guance mi dice che non è la risposta esatta, ma sarà più giovane o più vecchia?
“Ne ho ventidue.”
Leggasi: la mia età. Mi dispiace per lei, però: non ha affatto l’aspetto fresco e rilassato che dovrebbe avere una ragazza così giovane. Sembra addirittura un po’ malaticcia.
“Non dovresti essere all’università, alla tua età?”
La sua fronte si corruga lievemente, ma la sua espressione resta pressoché inalterata.
“Anche lei, se è per questo.”
Sento Bill che ridacchia alle mie spalle e Georg, alla mia sinistra, sta lottando per trattenersi. Due a zero per lei.
“Comunque, se la cosa la può rassicurare,” aggiunge Tari. “Sono iscritta ai corsi di Mediazione Linguistica dell’Università di Berlino.”
“E cosa studi?” indaga Georg.
Tari sembra un po’ scocciata dalla nostra presenza e non fa che occhieggiare Gustav ogni volta che uno di noi le rivolge la parola, ma lui non sembra cogliere il messaggio. Secondo me sotto sotto è ben lieto di questa nostra intrusione e ci tollera volentieri, pur di non doversi sorbire questa cavolate sulle nozze.
“Inglese, Italiano e da quest’anno Spagnolo, con affini culture.”
“Forte!” commenta Bill, con il suo solito, incontenibile entusiasmo verso qualunque cosa. “Parli anche il Finlandese, però, vero?”
“Luonnollisesti minä osaan suomea.”
Risponde lei, disinvolta.
Bill
le sorride.
“Lo
prendo per un sì.”
“Secondo
me ti ha detto di andare
a quel paese.” Lo stuzzica Georg.
“Anche
secondo me.” Gli faccio
eco.
“Ragazzi,”
ci interrompe Gustav.
“Lasciatela in pace, non vedete che le state facendo perdere
tempo?”
Mi
chino verso di lei al di sopra
del tavolo e le chiedo tutto preoccupato:
“Ti
stiamo facendo perdere tempo,
Tari?”
Noto
che lei si fa sempre più
concentrata sul suo sito, ma quelle piccole increspature sulle sue
labbra si
direbbero proprio le conseguenze di un sorriso represso.
“Effettivamente
dovrei illustrare
al signor Schäfer diversi dettagli….”
“Fantastico!”
approvo, mostrandomi
partecipe. “Illustrali anche a noi!”
“Ma
veramente…”
“Siamo
i testimoni,” proclama
Georg. “Vogliamo essere coinvolti anche noi!”
Tari
boccheggia in direzione di
Gustav, quasi sperasse in una sua smentita, ma lui non fa altro che
spingerci
via, afferrare una sedia e mettersi accanto a lei, imbronciato.
“Togliamoci
il pensiero.”
Perfetto.
Ora entreremo in
possesso di preziose informazioni riservate che ci saranno utilissime
per
l’elaborazione del nostro piano.
Mentre
Tari mostra a Gustav alcune
delle location che ci sono in lizza per il banchetto, a me viene
un’idea
geniale, talmente geniale che mi stupisce che non l’abbia
avuta prima.
Questo dannato matrimonio ha i giorni contati.
Le recensioni sono sempre le benvenute, qualunque osservazione abbiate da fare per me è preziosa, quindi se vorrete rendermene partecipe ve ne sarò grata.
Tschüss Leute, bis zum nächsten Mal!