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Autore: Lady Vibeke    04/04/2008    13 recensioni
Michelle è perfetta, la ragazza ideale: intelligente, simpatica, dolce, premurosa, gentile, altruista, di buona e ricca famiglia, modesta, bella… Peccato solo che sia completamente sbagliata per Gustav. Ma come diavolo si fa a dire ad uno dei propri migliori amici che sta per commettere il più clamoroso e colossale errore della propria vita, ad un passo dal compimento dell’errore stesso?
Georg, Tom e Bill darebbero qualsiasi cosa per conoscere la risposta a questa domanda e poter così sventare il più grande disastro della storia dei Tokio Hotel.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[ GUSTAV ]

 

Va tutto bene.

Va tutto armoniosamente, splendidamente bene.

Ho un matrimonio che si avvicina, una fidanzata con la mania delle cose in grande e tre amici fuori di testa che non sembrano troppo entusiasti dei primi due punti, ma non è un problema. Tutto va alla perfezione.

Mi passo una mano sulla fronte, sospendendo per un attimo il mio giro di flessioni mattutine. Le temperature sono già discretamente elevate per essere solo maggio, e anche se sono sul terrazzo e indosso solo un paio di bermuda, mi sembra di scoppiare dal caldo.

Michelle è al lavoro (se lavoro può chiamarsi fare la PR per conto del proprio padre), e questo significa che ho circa un’oretta per prepararmi prima che arrivi questa famigerata assistente.

Com’è che si chiamava? Almila, mi pare. Che strano nome.

Già mi figuro una Leila un po’ più giovane ma ugualmente snob che si presenta in tenuta griffata fino ai denti e trucco raffinatamente pesante.

Dio, che incubo!

Prima di riprendere con le flessioni, credo di aver bisogno di una botta di liquidi e sali minerali, quindi vado in cucina e mi tiro fuori del succo d’arancia, bevendo direttamente dal cartone. Michelle lo odia, ma occhio non vede, cuore non duole. Tanto lei nemmeno beve questa roba piena di pericolosissimi zuccheri.

Sono sudato come se avessi corso la Parigi-Dakar in tre minuti, ma se non altro ho appena dimostrato che il nuovo deodorante funziona, e anche bene. Lo devo consigliare a Tom.

Mi tampono il viso con la salvietta, pronto a terminare la sessione di esercizi, quando sento suonare alla porta. Sarà il postino.

Vado ad aprire con calma, psicologicamente pronto ad incassare la solita mazzata di bollette ed estratti conti della banca (il novanta per cento dei quali indirizzati a Michelle), ma non è la solita faccia del postino che mi ritrovo davanti.

È una ragazza di età indefinibile, vestita in un modo che Bill definirebbe ‘Tripla S’: sciatto, scialbo, squallido, che mi guarda da dietro le lenti di un paio di occhiali rettangolari. Regge tra le braccia esili una gran quantità di materiale cartaceo e su una spalla porta una borsa nera da computer portatile.

Che sia una testimone di Geova?

No, troppo malvestita.

“Buongiorno, signor Schäfer,” dice con un sorriso che forse dovrebbe apparire professionale, ma che nasconde una timidezza piuttosto evidente. “Sono l’assistente della signora Leila Strauss.”

È molto rossa in viso e sembra non sapere bene dove guardare, così mi viene in mente che sono a torso nudo e discretamente sudato. A mia difesa posso dire che se fosse arrivata all’orario prestabilito, quest’imbarazzante inconveniente si sarebbe evitato.

Cosa ci fa qui così presto?

“Ah, piacere,” biascico, preso in contropiede, e la invito ad entrare. “Scusa se mi presento così, ma ti aspettavo per le dieci.”

Lei si blocca nell’ingresso, pietrificata, e solleva il polso destro per controllare l’orologio.

“Oh, accidenti!” impreca, battendo un piede a terra. “Avevo dimenticato che la mia sveglia è avanti di un’ora!”

Si scosta una ciocca di capelli biondi dal viso, ma dubito che la matita che le fissa lo chignon molle sulla nuca tratterrà gli altri ancora a lungo.

“Sono desolata,” si scusa, assennata. “Davvero, torno tra un’ora, non volevo disturbarla…”

Cerco di allentare il suo disagio con una breve risata rassicurante.

“Ma no, figurati, stavo solo facendo un po’ di esercizio.”

Lei azzarda uno sguardo fugace e mi squadra di sotto in su, come per dire ‘Questo lo vedo’. Potrei sbagliare, ma ora non sembra poi così disturbata dalla mia relativa nudità.

“Allora… Almila, giusto?” le chiedo, temendo di ricordarmi male, ma lei annuisce. Bene. “Hai un nome molto esotico.” Osservo, facendole strada attraverso l’attico.

Lei mi segue, guardandosi intorno curiosa e quasi rovina a terra, inciampando nel tappeto del salotto.

“In realtà Almila è il mio cognome.” Dice, recuperando in fretta l’equilibrio. Io mi volto stupito.

“E il tuo nome allora qual è?”

Lei esita.

“Suometar.” Risponde, mentre le cedo il passo per entrare in cucina. Io aggrotto la fonte, non del tutto certo di aver compreso.

“Eh?”

“Sì, sì, lo so,” fa lei, appoggiando la tonnellata di fascicoli che tiene tra le braccia sul tavolo con un sospiro di sollievo. “Suona abbastanza assurdo qui. Il fatto è che sono di origini finlandesi.”

“Capisco,” Dev’essere qui da sempre, perché non c’è la minima traccia di accento nella sua parlata. In compenso il suo nome mi risulta comunque incomprensibile. “Potresti ripeterlo, per favore?”

“Suometar.” Scandisce lei, più lentamente.

“Suometar,” Me lo ripeto un paio di volte a mente, ma già so che tra un istante me lo sarò dimenticato. “Non me lo ricorderò mai. Posso chiamarti Tari?”

Lei comincia a dividere la roba che ha portato in piccole pile e fa cenno di sì con la testa.

“Certo, signor Schäfer.”

Ancora con questo signor Schäfer? Vuole per caso farmi sentire vecchio prima del tempo?

“E tu potresti chiamarmi Gustav, magari?” suggerisco speranzoso, ma lei mi getta un’occhiata oltraggiata.

“Ah, no, è fuori discussione, mi spiace,” decreta compunta. “Leila mi licenzia in tronco se dimostro troppa confidenza con i clienti, soprattutto con quelli del suo calibro, e la sua lista di moventi per la mia esecuzione è già abbastanza lunga.”

“Prego?”

“Sono una maldestra senza speranze,” spiega lei, in tono sconfortato. “Sono da Leila per uno stage e farle da assistente è un incubo, ma se passo questo periodo di prova, verrò assunta regolarmente.” Appoggia delicatamente la borsa sul quadrato di tavolo rimasto sgombro e la apre. “Purtroppo sono un vero disastro e sembra che io non ne combini una giusta.”

“Suvvia, non puoi essere così terribile.” Sdrammatizzo io.

“Vuole sapere perché Leila si è comprata una nuova Mercedes?”

Veramente non è che la cosa mi interessi – anche perché sono troppo occupato a chiedermi cosa sia tutto quel materiale che ha sparso in giro – ma suppongo si tratti di una domanda retorica.

“Perché?”

“Perché quella che aveva prima aveva un minuscolo graffietto sul fianco e lei mi ha chiesto di farla riverniciare con un nuovo colore, perciò io ho faxato alla concessionaria, ma anziché il codice del nuovo colore, ho lasciato quello di quello vecchio, così Leila si è ritrovata nuovamente con una Mercedes color champagne, e ovviamente il color champagne è out, quindi non ne ha più voluto sapere di rivederla.” Tari si lascia cadere su una delle sedie del tavolo, come se il semplice ricordo la stremasse. “L’ha venduta e se n’è comprata una nuova, non senza sottopormi ad una massacrante tirata di rimproveri.”

Se non avessi conosciuto personalmente Leila Strauss, penserei che stia gonfiando un po’ la storia, ma devo dire che effettivamente non mi riesce difficile immaginare quella donna dare in escandescenze per un inezia simile. A dire il vero mi vengono i brividi solo a pensarci.

“Certo,” dice solidale. “Capisco.”

Tari si porta un ciuffo vagante dietro all’orecchio e si mette a picchiettare sulla tastiera del portatile, ma quasi subito il suo viso si contrae spiacevolmente.

“Accidenti, ho dimenticato di caricare le batterie!” geme lamentosamente.

Perché ho la sensazione che questa mattinata sarà molto lunga e sfibrante?

“Puoi alimentarlo a corrente, se vuoi,” soggiungo. “Ecco,” Tolgo il mio cellulare dalla presa in cui è in carica. “Puoi attaccarlo qui.”

“La ringrazio.” Mormora lei, e, dopo aver estratto un cavo dalla borsa, comincia a dipanarlo da una parte all’altra della stanza.

Sto per chiederle se posso offrirle qualcosa, ma proprio in questo momento il campanello suona di nuovo.

“Faccia pure,” mi dice lei, trafficando goffamente con una serie di dispositivi USB. “Io intanto sistemo qui.”

“D’accordo.”

La lascio sola, un po’ preoccupato per cosa potrebbe accadere in mia assenza, e vado alla porta.

Sarà davvero il postino, stavolta.

“Buongiorno, principessa!” Mi salutano tre voci fresche e pimpanti.

No, non è il postino.

 

 

[ TOM ]

 

Non riesco a fare a meno di sogghignare quando la porta si apre: adoro fare questo tipo di sorprese scioccanti. Gustav ci guarda a bocca aperta, palesemente colto di sorpresa. È a torso nudo e abbastanza sudato, e mi viene da domandarmi perché, visto che Michelle è in ufficio, a quest’ora, e l’assistente di Leila dovrebbe arrivare solo tra mezz’ora.

Wow, vuoi vedere che il bravo ragazzo per eccellenza ha già un’amante? E non si è nemmeno ancora sposato! Ah, sono così fiero di lui!

“E voi tre cosa ci fate qui?” domanda dopo qualche secondo di comprensibile smarrimento.

“Oh, beh, sai…” Bill si stringe nelle spalle ed esibisce uno dei suoi sorrisi innocenti che fanno la felicità di qualunque donna e anche di diversi uomini. “Siamo capitati nei paraggi e abbiamo pensato di passare a farti un salutino.”

“Abitate dall’altra parte della città,” puntualizza Gustav seccamente. “Come diavolo potevate capitare nei paraggi?”

“Il mondo è piccolo, sai?” ribatto io, anche se non possiedo nemmeno un briciolo dell’innata innocenza di Bill. Gustav però non demorde.

“E di solito a quest’ora siete incollati ai rispettivi cuscini.”

“Siamo caduti dal letto.” Insiste mio fratello.

“Non vi sareste svegliati comunque.”

Oh, ma insomma, quant’è pignolo! Non è molto carino da parte sua trattare così dei cari amici che si preoccupano tanto per lui e per il suo futuro.

“Quanto sei scortese, Gugu!” lo rimbecca Georg, guadagnandosi un’occhiata assassina.

“Non mi chiamare mai più in quel modo.”

“Michelle sì e io no?” Georg fa una faccia offesa. “Brutto cattivone!”

“Tu non sei la mia fidanzata.” Specifica Gustav a denti stretti. Non sembra poi così felice di vederci. Chissà come mai.

Georg sorride sornione.

“È una proposta?” Si porta le mani al cuore con fare teatrale. “Gustav, non vorrei ferirti, ma lo sai che ci tengo alla nostra amicizia…”

“Zitto, cretino,” Gustav lo afferra per un braccio e praticamente lo scaraventa all’interno dell’attico. “Venite dentro, muovetevi.”

Noi, obbedienti, entriamo. La casa è silenziosa e sembra tutto in ordine, ma con questo ragazzo non si può mai dire. Il bello di avere la reputazione dell’angelo del gruppo è che nessuno sospetta mai che tu possa combinare qualcosa di losco, ma a me non la si fa.

“Gustav, posso farti una domanda intelligente e molto sensata?”

“Non ne saresti in grado.”

Georg e Bill ridono. Io faccio dignitosamente finta di non aver sentito.

“Perché sei mezzo nudo e sudato?”

“Stavo facendo un po’ di esercizio.”

“Ah, certo,” annuisco io. “Lei chi è?”

Gustav, come da manuale, fa lo gnorri.

“Lei chi?”

“Quella con cui stavi facendo esercizio,” chiarisco io, ammiccando. “Abbiamo interrotto qualcosa?”

“Sì, la mia conversazione con Tari.”

“Chi?” domandiamo io, Bill e Georg all’unisono.

Una misteriosa sconosciuta! Lo sapevo! Lo sapevo!

Quando sbuchiamo in cucina, scorgo una ragazza seduta al tavolo, con aperti davanti una mezza dozzina di cataloghi e un portatile. Non sembra in condizioni fisiche compromettenti.

“Abbiamo visite.” Le annuncia Gustav, e lei alza lo sguardo, per poi alzarsi in piedi in modo non proprio aggraziato.

Questa sarebbe lei?

Non è esattamente il tipo di ragazza con cui intavolerei una torrida relazione clandestina, ma sinceramente nemmeno una conversazione di cortesia.

Non è molto alta, una spanna meno di Gustav, e spaventosamente pallida. Gli occhiali dalla sottile montatura metallica non riescono a nascondere le profonde occhiaie che le segnano i contorni degli occhi di uno strano grigo-verde, il viso a forma di cuore è leggermente scavato nelle guance, mentre gli zigomi risaltano particolarmente. Ad occhio e croce le darei venticinque anni, forse ventisei, ma il suo abbigliamento casual è troppo trasandato per una così matura. Forse, con molto ottimismo, potrebbe risultare vagamente carina con un po’ di trucco ben studiato e magari una camicia che non sia di un così infelice color giallo canarino che la sbatte tanto.

Ci sarebbe solo un dettaglio insignificante che mi preme sapere: chi diavolo è?

Fortuna che Gustav sembra intuire i punti interrogativi dipinti a caratteri cubitali sulle nostre facce.

“Ragazzi, lei è l’assistente di Leila.”

Ah. Ma non doveva arrivare alle dieci?

La ragazza si fa avanti timidamente, inciampando nel cavo del portatile e scampando per miracolo un bel ruzzolone a terra, e ci stringe educatamente la mano in un modo un po’ impacciato.

“Suometar Almila, piacere.” Si presenta, ma io non riesco a decifrare il nome, e Bill e Georg non sembrano molto più convinti di me.

“Come, scusa?”

Lei sospira, come se fosse abituata a questa perplessità, e francamente non stento a crederlo.

“Suometar,” Ripete paziente. “Tari, se preferite.”

“Sì, grazie, preferisco,” approvo io, mentre ricambiamo le presentazioni. “Che diavolo di nome è?”

Lei arrossisce.

Mmm, forse dovrei rivedere un po’ i miei approcci con gli sconosciuti. Ho idea che ‘Che diavolo di nome è?’ potrebbe sembrare un po’ troppo aggressivo e maleducato, a primo impatto, ma forse mi sbaglio.

“Finlandese,” spiega, e, di nuovo, ho l’impressione che anche questa parte sia abituata a replicarla più e più volte. “Nella mitologia scandinava, Suometar è la figlia umana della Finlandia.”

Però, mica male. Chissà se anche la Germania ha una figlia umana. Esteticamente decente, magari.

“Wow,” fa Bill, gli occhi che si illuminano. “Questo spiega tutto, anche questi tuoi lineamenti così spigolosi.”

Tari abbozza un sorriso nervoso.

“Lei dice?”

Gustav pare in piena fase rimuginativa: si vede lontano anni luce che sta cercando di capire cosa siamo venuti a fare qui a quest’ora, per noi normalmente notturna, a seminare il caos per il suo perfetto loft da mezzo milione di euro. Non penso che possa arrivare ad intuire il nostro attentato di sabotaggio matrimoniale.

“Puoi anche darci del tu.” Si intromette Georg, con tutta la mia approvazione.

“Ah, non ci contare,” interviene Gustav. “Vi chiamerà signor Listing e signori Kaulitz a vita.”

“Mio padre è il signor Kaulitz!” esclama Bill, inorridito. “Io sono Bill!”

“E io la fata turchina.” Borbotto io, sospirando, poi mi dirigo al tavolo della cucina e mi metto a curiosare tra la roba che c’è sopra.

“La prego, non tocchi niente!” Tari corre verso di me e mi sottrae da sotto al naso un’agenda elettronica prima che io la possa toccare. Io la guardo confuso e le sue guance si tingono di un rosa acceso. “Mi dispiace,” balbetta, imbarazzata. “È che ho assoluto bisogno che le mie cose restino in un ordine preciso e rigoroso, quindi preferirei che nessuno a parte me le toccasse.”

Ho capito. È una di quelle pazze psicotiche con l’ossessione dell’ordine. Va bene, assecondiamola.

“Scusami.” Mi faccio rispettosamente da parte e lascio che lei posi nuovamente il palmare tra le varie scartoffie, gran parte delle quali costituite da depliant e riviste di matrimoni. Non me ne accorgo subito, ma parecchie immagini raffigurano l’Italia, e la homepage aperta sullo schermo del portatile mostra un primo piano molto suggestivo di una panoramica su Milano, ed i link sono tutti in italiano.

Ti prego, fa’ che non abbiano intenzione di sposarsi in Italia!

Un conto è mandare all’aria un matrimonio giocando in casa, un altro è doversi muovere in campo straniero e ritrovarsi così in doppia difficoltà.

“Ehm, Gustav,” Mi sfrego dubbioso il mento, quasi temendo di chiedere. “Vi ispirerete all’Italia per le decorazioni e tutto?”

Qualcosa mi dice che ho toccato un tasto dolente, perché lui assume un’espressione afflitta e si passa una mano tra i capelli umidi.

“Michelle ha sempre sognato di sposarsi nel Duomo.”

“Il duomo di Magdeburgo?” fa Georg, stupito. Gustav sospira.

“Macché Magdeburgo. Quello di Milano!”

Ti pareva. La legge di Murphy non sbaglia mai: se qualcosa può andare male, lo farà.

Questo costituisce una potenziale, drammatica complicazione.

“Organizzeremo là gran parte delle cose,” spiega Tari, in tono efficente. “Verso metà giugno andremo sul posto a sistemare tutto.”

Rettifico: questo costituisce una drammatica complicazione.

Mettiamo caso, per assurdo, che non dovessimo riuscire a trovare un piano efficace per uccidere Michelle e farla franca: dovremmo trovare allora il modo di seguire questo disastro ambulante di ‘Gugu’ fino a Milano e perseguire là la nostra causa.

Beh, forse non sarebbe poi così male, no? Voglio dire, stiamo parlando dell’Italia, e a giugno, per giunta! Ci saranno migliaia di ragazze in minigonne e top scollati in giro per la città, e anche i locali ne pulluleranno…

No! Tom, controllati.

Sono un buon amico, devo pensare al bene di Gustav prima che alla soddisfazione dei miei pur fondamentali bisogni. Se riusciamo a non arrivare fino a Milano è meglio.

Getto uno sguardo a Bill e Georg e, se il primo sembra solo ed esclusivamente preoccupato, il secondo ha tutta l’aria di pensarla come me, per filo e per segno.

Non che ne dubitassi, comunque.

“Quindi,” Georg si schiarisce la voce, facendosi avanti a braccia conserte. “Ci sarà una trasferta di massa per il gran giorno?”

Tari si spinge gli occhiali sul naso ed annuisce.

“In effetti,” dice. “È sostanzialmente per questo che sono qui.” Scocca uno sguardo a Gustav, poi riporta la propria attenzione su Georg. “La signorina Keller ha espressamente richiesto il pieno coinvolgimento del signor Schäfer nei preparativi, e siccome Leila si occuperà della sposa, io seguirò lo sposo.”

Lo sposo. Suona veramente disgustoso. Soprattutto se penso a chi è associato quel ‘la sposa’.

Gustav, amico mio, vedrai che ti caveremo da quest’impiccio in cui tu stesso ti sei masochisticamente invischiato.

Raggiungo Georg al tavolo e mi piazzo davanti a lei, le mani poggiate sul bordo.

“Sono invadente se ti chiedo quanti anni hai?”

Lei si irrigidisce e, con la coda dell’occhio, vedo Bill passarsi sconsolato una mano sul viso, ed è come se potessi leggere telepaticamente i suoi pensieri: ‘No, Tomi, figurati, invadente tu?’

Scuote il capo incredulo, ma io lo lascio perdere. Trovo molto più costruttivo molestare la qui presente assistente del demonio, la quale si rifiuta categoricamente di alzare gli occhi dal monitor.

“Lei quanti me ne da?”

Risposta audace, per una piccola nerd. Un punto per lei.

Mi sporgo in avanti e mi metto a studiarla attentamente, valutando ogni suo tratto.

“Non saprei,” rispondo, vago. “Venticinque?”

L’intenso rossore che le compare sulle guance mi dice che non è la risposta esatta, ma sarà più giovane o più vecchia?

“Ne ho ventidue.”

Leggasi: la mia età. Mi dispiace per lei, però: non ha affatto l’aspetto fresco e rilassato che dovrebbe avere una ragazza così giovane. Sembra addirittura un po’ malaticcia.

“Non dovresti essere all’università, alla tua età?”

La sua fronte si corruga lievemente, ma la sua espressione resta pressoché inalterata.

“Anche lei, se è per questo.”

Sento Bill che ridacchia alle mie spalle e Georg, alla mia sinistra, sta lottando per trattenersi. Due a zero per lei.

“Comunque, se la cosa la può rassicurare,” aggiunge Tari. “Sono iscritta ai corsi di Mediazione Linguistica dell’Università di Berlino.”

“E cosa studi?” indaga Georg.

Tari sembra un po’ scocciata dalla nostra presenza e non fa che occhieggiare Gustav ogni volta che uno di noi le rivolge la parola, ma lui non sembra cogliere il messaggio. Secondo me sotto sotto è ben lieto di questa nostra intrusione e ci tollera volentieri, pur di non doversi sorbire questa cavolate sulle nozze.

“Inglese, Italiano e da quest’anno Spagnolo, con affini culture.”

“Forte!” commenta Bill, con il suo solito, incontenibile entusiasmo verso qualunque cosa. “Parli anche il Finlandese, però, vero?”

Luonnollisesti minä osaan suomea.” Risponde lei, disinvolta.

Bill le sorride.

“Lo prendo per un sì.”

“Secondo me ti ha detto di andare a quel paese.” Lo stuzzica Georg.

“Anche secondo me.” Gli faccio eco.

“Ragazzi,” ci interrompe Gustav. “Lasciatela in pace, non vedete che le state facendo perdere tempo?”

Mi chino verso di lei al di sopra del tavolo e le chiedo tutto preoccupato:

“Ti stiamo facendo perdere tempo, Tari?”

Noto che lei si fa sempre più concentrata sul suo sito, ma quelle piccole increspature sulle sue labbra si direbbero proprio le conseguenze di un sorriso represso.

“Effettivamente dovrei illustrare al signor Schäfer diversi dettagli….”

“Fantastico!” approvo, mostrandomi partecipe. “Illustrali anche a noi!”

“Ma veramente…”

“Siamo i testimoni,” proclama Georg. “Vogliamo essere coinvolti anche noi!”

Tari boccheggia in direzione di Gustav, quasi sperasse in una sua smentita, ma lui non fa altro che spingerci via, afferrare una sedia e mettersi accanto a lei, imbronciato.

“Togliamoci il pensiero.”

Perfetto. Ora entreremo in possesso di preziose informazioni riservate che ci saranno utilissime per l’elaborazione del nostro piano.

Mentre Tari mostra a Gustav alcune delle location che ci sono in lizza per il banchetto, a me viene un’idea geniale, talmente geniale che mi stupisce che non l’abbia avuta prima.

Questo dannato matrimonio ha i giorni contati.



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A/N: sono di frettissima, quindi ringrazio ancora una volta tutti voi che leggete e soprattutto commentate, sono davvero felice che la storia vi stia piacendo. La frase in Finlandese che dice Tari significa "Naturalmente parlo Finlandese", e non so proprio spiegarmi come Bill possa non aver compreso!
Le recensioni sono sempre le benvenute, qualunque osservazione abbiate da fare per me è preziosa, quindi se vorrete rendermene partecipe ve ne sarò grata.
Tschüss Leute, bis zum nächsten Mal!
   
 
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