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Autore: OmegaHolmes    06/10/2013    3 recensioni
La signora Hudson decide di dare in affitto la stanza vuota del 221B di Baker Street.
Sherlock, contrariato, farà di tutto per impedire che ciò accada.
Ma ci sarà qualcosa che anche il detective più freddo al mondo non potrà prevedere e non potrà controllare...
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes , Sig.ra Hudson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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-Ho intenzione di trovarmi un lavoro, lei per caso Signora Hudson sa a chi potrei rivolgermi?- disse la mattina seguente Alice , mentre mangiavano colazione.
-Oh cara… non saprei…se cerchi per fare pulizie…potrei indicarti qualcuno…-
Sherlock s’irrigidì. 
-Puoi fare le pulizie qui, al 221 b. Ti pagheremmo bene.- intervenne.
-No, ma io qui le faccio volentieri… è casa mia. No, preferirei trovarmi un posto da cameriera.-
-Se hai bisogno di denaro hai solo da chiedermelo, John lo fa continuamente.-
Il dottore, che stava leggendo il giornale trasalì:
-Cosa? Aspetta! Io non ti chiedo più soldi da un eternità! Comunque… Sherlock ha ragione, se hai bisogno per noi non c’è alcun problema. Sei già molto impegnata, con un lavoro potresti sacrificare gli studi. E poi l’idea di pulire qui non sarebbe male, anche se… avrei paura di cosa potresti trovare nella camera di Sherlock.-
Alice era commossa, erano tutti così gentili, però le dispiaceva.
-Ragazzi io… insomma, siete miei amici, non voglio rubarvi i soldi.-
-Noi insistiamo.- ribadì Sherlock che la fissava freddamente.
Non seppe dire di no e così si ritrovò subito con straccio e secchiello a pulire l’appartamento.
John era andato a lavorare, mentre Sherlock era in cucina a fare esperimenti.
Iniziò  dal salotto e si rese conto di quanto fosse disordinato Sherlock.
Sotto ogni cuscino del divano trovava qualcosa: libri, cartacce, provette e anche un revolver.
Quando aprì la finestra, il detective le lanciò un occhiataccia, lo stava disturbando.
Ma lei doveva pulire e l’avevano voluto loro.
Dopo aver pulito a fondo il salotto ( e ci mise davvero molto), passò alla stanza di Sherlock.
Non sa come, ma nel girò di pochi istanti si trovò la corporatura imponente del detective a sbarrargli la strada.
-Sherlock, fammi passare…-
-No, camera mia è perfetta così com’è.-
-Sherlock… non tocco nulla, do solo una spolverata al più grosso… hai per caso qualcosa da nascondermi?- disse lei avvinandosi a lui.
L’investigatore s’irrigidì:
-Certo che no.-
-Allora fammi passare.-
Il detective si scansò facendola entrare.
Alice non poté credere ai suoi occhi! Era perfettamente in ordine! Com’era impossibile? Insomma, Sherlock lasciava cose ovunque, dove  lui passava regnava sempre il caos e lì invece…
La ragazza lo guardò, lui fece finta di non notare il suo sguardo.
-L’avevi già ordinata, non è così? Sapevi che io sarei venuta a pulire e allora hai preferito farlo tu… però, mi dispiace, una spolverata devo darla!-
Sherlock sperava che invece, lei non volesse più pulire , visto l’impeccabile ordine.
Alice aveva iniziato a spolverare l’armadio, quando notò che qualcosa usciva da un’anta; incuriosita  l’aprì e… una valanga di vestititi appallottolati le crollarono addosso.
Sherlock cercò di fermarla, ma in vano.
Alice si trovava a terra con vestiti e cianfrusaglie varie, fin sopra i capelli.
Eppure scoppiò a ridere, perché gli sembrava così tanto infantile quel gesto!
-Ahahah! Sherlock, sei incredibile… piuttosto che mettere davvero a posto… senti non è che potresti darmi una mano ad uscire da qua sotto?-
Il detective le porse una mano, ma Alice aveva appoggiato male i piedi e così cadde sul letto, portando giù con se l’investigatore.
Tutto era successo in una frazione di secondo ed Alice non riusciva a capire come fosse capitato.
Si trovavano a pochi centimetri di distanza; la ragazza era paonazza e sentiva il respiro caldo del detective sul suo volto.
Si fissarono a lungo; Sherlock era evidentemente imbarazzato, nonostante cercasse di nasconderlo a tutti i costi.
Poi qualcosa distolse l’attenzione di Alice: nell’armadio aperto era rimasto soltanto un cappello sulla mensola in alto.
Era un cappello a due visiere, molto buffo, ma stranamente affascinante. Le piaceva un sacco.
-E’ tuo quel cappello?- le domandò lei.
-Uhm?- Sherlock si voltò, lo vide:- Ah… il “Death fresbee”… è orrendo lo so-
Alice si mise a sedere:
-No, io lo trovo molto carino, invece… aspetta che lo prendo.-
Salì sulle punte, fino ad arrivare a prenderlo.
Sherlock la guardava accigliato, senza capire quali fossero le sue intenzioni, ma le capì quando lei glielo mise in testa.
-Ti sta molto bene… ti fa risaltare gli zigomi, ti da un’ aria… misteriosa…- 
Lui la guardò sbalordito: aveva sempre trovato orrendo quel cappello, ma ora non gli sembrava più così male. Non sapeva cosa dire, insomma, lui non riceveva mai complimenti sul suo aspetto fisico.
Alice, nel frattempo, aveva iniziato a raccogliere i vestiti da terra.
Ma quelli non era “vestiti”, quelli erano “costumi”!
-Sherlock… perché hai una divisa da pompiere, una da poliziotto…un'altra da vigilante… e una da astronauta? Sono molto belli!- disse la ragazza ridendo.
Sherlock si alzò e ,cercando di nascondere l’imbarazzo, glieli tolse di mano dicendo che erano necessari per il suo lavoro.
In fine Alice si ritrovò solamente un frustino in mano, il che la mise in soggezione:
-Che-che cosa te ne fai di un frustino?-
-Lo uso a staffilare i cadaveri…oppure coi criminali… non amo andare in giro con la pistola, il frustino lo trovo molto più efficace…-
-Ah, meno male!-
-Perché, “meno male”?- chiede Sherlock confuso.
-Beh, avevo paura che lo usassi per il “sadomaso”… insomma è una cosa insolita da tenere in casa… -
Il detective si sentiva particolarmente imbarazzato… per lui era già tanto avere avuto un solo rapporto sessuale, in tutta la sua vita, con Irene Adler, insomma, lui non era tipo da quelle cose… e non seppe come gli uscì da formulare la seguente domanda:
-Tu hai mai avuto un rapporto sessuale?-
Alice sgranò gli occhi e le mancò il fiato per dare una risposta netta, ovvero, un no:
-I-io…beh ecco io…ehm…-
-Mi dispiace, non volevo metterti in imbarazzo. Non so nemmeno perché… il laptop mi aspetta.-
-Già…-
Sherlock , fradicio d’ impaccio, andò in salotto a controllare la mail, mentre Alice cercò di tornare ai suoi lavoretti.

Mettere in ordine la stanza di Sherlock fu un impresa ardua, ma dopo tre ore intense, riuscì finalmente a venirne a capo.
Quando uscì dalla stanza si buttò sul divano, esausta del lavoro estenuante compiuto.
 Quel pomeriggio c’e l’avrebbe avuto libero e non sapeva se passarlo a studiare, oppure andare da qualche parte… in fin dei conti, abitava a Londra, era una città piena di cose da fare!
-Mi dispiace…per la domanda di prima. Io non sono tipo da queste cose…non era mia intenzione.- disse Sherlock uscendo dalla cucina.
-Ma figurati… non mi hai creato imbarazzo e solo che… ecco io… sono vergine.- rispose in fine Alice, che era diventata rossa come il cuscino accanto a lei.
-Anche io, in un certo senso, lo sarei… insomma… ne ho avuto solo uno…una volta…tempo…fa- 
Alice non avrebbe mai pensato che il grande detective potesse diventare così impacciato su certi argomenti.
-Capisco… oggi pomeriggio cosa fai?- 
-Niente. Perché?-
-Il nuovo caso?-
-Concluso. Questa mattina.-
-Ma… non sei uscito di casa!-
-Era in realtà molto elementare. Lestrade mi ha inviato due foto della stanza d’hotel della vittima e sono riuscito a risalire che l’assassino era il marito, che l’ha seguita fino a qui, in cerca di un amante inesistente. Tipico.-
-Wow…cavolo… allora  non ti ero servita a nulla quel giorno. Mi dispiace…-
-No, in realtà. Sì insomma… era un modo per rompere il ghiaccio dopo l’accaduto.-
-Ah…ok.-
-Cosa dicevi di questo pomeriggio?-
-Ehm…no che sono libera e non so che fare… vorrei godermi un po’ Londra per un giorno… ma non saprei dove andare…se per caso ti andava…-
-Conosco ogni angolo di Londra. Ma non penso che potrei essere un ottima guida turistica. John è più esperto in queste cose.-
-Ma io vorrei andarci…sì…uhm…con te.-
Sherlock s’irrigidì e deglutì, non se l’aspettava affatto.
-Va bene allora. Se vuoi possiamo fare subito dato che… è ora di pranzo.-
-Ok.- disse sorridendo Alice.
Una gioia improvvisa le aveva invaso ogni parte del suo corpo, tutta la stanchezza le era passata, anche se non capiva bene quale fosse il suo rapporto con Sherlock.

Alle 13 in punto, Sherlock Holmes e Alice Elia, stavano passeggiando sulle sponde del Tamigi, dopo aver mangiato serenamente da Luigi’s.
Alice era felice in quel momento: gli alberi erano tinti di colori caldi e l’aria fredda sul volto, la trovava molto piacevole se aveva Sherlock accanto.
Passeggiavano in silenzio, uno accanto all’altro. Poi Alice vide la cosa più affascinante del mondo: la London Eye.
Sul suo volto comparve un sorriso da ebete e come un bambino strattona la mamma quando vede un palloncino, Alice strattonò con tutta forza il cappotto di Sherlock .
-Che c’è?- gli domandò lui.
-Ecco, mi piacerebbe molto andare sulla ruota panoramica, non ci sono mai andata!-
-Il macchinista è stato un mio cliente, magari mi fa uno sconto speciale.-
Alice prese quella frase per un sì e per tutto il pezzo di strada rimanente, non riuscì a togliersi dal volto quell’orrendo sorriso da ebete.
Però, al detective, quel sorriso da ebete piaceva. Di solito le persone che sorridono troppo lo infastidivano, come ad esempio Molly, ma lei non l’aveva mai vista così gioiosa ed il pensiero che ,forse, parte di quella gioia potesse essere causa sua lo rasserenò.
Quando arrivarono sotto l’imponente London Eye, Alice fischiò esterrefatta dalla sua grandiosità.
Sherlock parlò con il macchinista che fu “onorato di poterlo aiutare con una così bella ragazza”, queste furono le sue testuali parole, che infastidirono leggermente il detective.
Così, i due salirono in una cella singola e la ruota partì.
Il giro panoramico durava dai 35 ai 40 minuti ed in cima si poteva vedere tutta Londra e parte delle campagne, così aveva letto Alice su un libro.
Sherlock si guardava in torno annoiato dato che conosceva ormai a memoria l’intero perimetro della città… poi si accorse che in realtà la cosa più bella di tutto quel paesaggio, c’è l’aveva davanti… ed era Alice.
Sì, lui non lo formulò così romanticamente nella sua mente, ma se ne rese conto dal fatto che continuava a fissarla affascinato.
Lei non se ne rendeva conto, perché era attaccata al vetro della cella a contemplare Londra.
Lui la fissava e ,solo allora, si accorse che si era leggermente truccata… solo per coprire leggermente le occhiaie… e che aveva messo il rossetto dello stesso rosso del cappotto.
Ma soprattutto, dedusse dai suoi occhi, dalle sue mani, dal suo sorriso, che era felice.
Non stava pensando a nulla, lei ,in quel momento, solo a godersi quell’istante. Come faceva?
Il detective non sapeva darsi una risposta. Sapeva solo che in quell’istante non riusciva a smettere di guardarla.
-Non è bellissimo tutto questo, Sherlock?- domandò lei ad un tratto.
E lui, senza rendersene conto rispose:
-Sì, lo sei.-
Alice si voltò:
-No, ma io intendevo il p- - e poi si rese conto che lui la stava fissando con occhi sorridenti, occhi diversi dallo Sherlock che conosceva.
Lei le sorrise, come solo gli innamorati sanno sorridere, e lui fece lo stesso.
-Sherlock, stai sorridendo… perché non lo fai più spesso? Hai un bellissimo sorriso.-
Il detective non si era nemmeno reso conto di quello che stava facendo, il suo cervello sembrava essersi disteso dalle sue solite turbolenze.
-Io, non so perché non sorrido… in realtà odio le persone che lo fanno troppo spesso…-
-O forse le invidi?- 
-Io- …non lo so- disse Sherlock ridendo.
Lei si avvicinò a lui, che era seduto dall’altra parte della cella.
Lui restava nell’angolo con le mani in tasca, seguendola con lo sguardo.
Alice le si sedette accanto, poi si accorse che si era messo male la sciarpa e ,non seppe perché, le venne l’impulso di sistemargliela.
Lui indietreggiò leggermente poi ,immobile, la guardò.
Lei continuava a sorriderle dolcemente e ad un certo punto Sherlock si sentì lusingato di tutte quelle cure.
Alice era vicinissima e lui avrebbe voluto…
Tirò fuori le mani di tasca e con quel suo tipico tocco delicato le prese il volto tra le mani.
Lei lo guardò negli occhi sbalordita, lui si avvicinò lentamente e a pochi centimetri dalle sue labbra le sussurò:
-Il rosso ti dona.- e poi con timidezza poggiò le sue labbra su quelle di lei.
Alice sentì un calore piacevole inondarle tutto il corpo… Lui aveva un modo di baciare così delicato… come se avesse paura di poter rompere qualcosa.
La ragazza pensò se era possibile che un uomo così freddo potesse essere altrettanto tenero al suo interno.
Rimasero abbracciati per il resto del viaggio. Senza dir nulla. A scaldarsi uno accanto all’altro.
-Sherlock, noi che cosa siamo?- domandò in fine la ragazza.
A questo, il grande detective non seppe rispondere. Lui non voleva una ragazza… non voleva definire così Alice. Secondo lui quello non era il termine che le si addiceva… poi capì quale sarebbe stata la risposta più appropriata:
-Siamo come gli elettroni e i protoni… del tutto diversi, ma indispensabili all’interno di un atomo… e per quanto siano opposti non riescono a starsi lontano… Baker Street è il nostro nucleo atomico e John e la signora Hudson, sono i neutroni.-
Alice scoppiò a ridere, era la cosa più geniale e romantica che avesse mai sentito.


  
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